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La proposizione di un'azione di rivendica da parte del chiamato all'eredità costituisce accettazione tacita dell'eredità. - Cass. sez. II, 27 giugno 2005, n. 13738

- Accettazione dell'eredità -
L'accettazione tacita dell'eredità può desumersi, ex articolo 476 del Cc, dall'esplicazione di un'attività personale del chiamato con la quale venga posto in essere un atto di gestione incompatibile con la volontà di rinunciare all'eredità e non altrimenti giustificabile se non nell'assunzione della qualità di erede, cioè un comportamento tale da presupporre necessariamente la volontà di accettare l'eredità, secondo una valutazione obiettiva condotta alla stregua del comune modo d'agire di una persona normale. In tal senso è significativa la proposizione d'azioni giudiziarie intese alla rivendica o alla difesa della proprietà o ai danni per la mancata disponibilità dei beni ereditari, dato che al semplice chiamato è solo consentito, ex articolo 460 del Cc, esperire le azioni possessorie e compiere gli atti conservativi, di vigilanza e di temporanea amministrazione, mentre l'esperimento delle azioni intese al reclamo o alla tutela della proprietà sui beni ereditari e al risarcimento per la loro mancata disponibilità, presuppone necessariamente l'accettazione dell'eredità stessa, in quanto, trattandosi di azioni che travalicano il semplice mantenimento dello stato di fatto quale esistente all'atto dell'apertura della successione e la mera gestione conservativa dei beni compresi nell'asse, il chiamato come tale non avrebbe il diritto di proporle, giacchè diversamente dimostra di aver accettato la qualità di erede.

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