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Rigettata la richiesta di due donne di essere indicate entrambe madri. Cassazione 3 aprile 2020 n. 7668

Nel richiamare i principi esposti dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 221 del 2019, gli Ermellini hanno rigettato la richiesta avanzata da una coppia di donne, entrambe di cittadinanza italiana, di vedersi riconoscere il riferimento alla doppia maternità nell’atto di nascita della bambina nata in Italia a mezzo di PMA espletata all’estero.

La sentenza della Corte d’Appello di Venenzia, secondo gli Ermellini, ha fatto corretta applicazione del divieto per le coppie formate da persone "di sesso diverso" di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) cui possono accedere solo le "coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi" ai sensi dell’art. 5 della L. n. 40 del 2004.

Come ampiamente esposto nell’articolata sentenza della Consulta n. 221 del 2019, la tutela costituzionale della «salute» non può essere estesa fino a imporre la soddisfazione di qualsiasi aspirazione soggettiva o bisogno che una coppia (o anche un individuo) reputi essenziale, così da rendere incompatibile con l'evocato parametro ogni ostacolo normativo frapposto alla sua realizzazione. La contraria affermazione che pure si rinviene nella sentenza n. 162 del 2014 deve intendersi calibrata sulla specifica fattispecie alla quale la pronuncia si riferisce (la coppia eterosessuale cui sia stata diagnosticata una patologia produttiva di infertilità o sterilità assolute e irreversibili). Se così non fosse, sarebbero destinate a cadere automaticamente, in quanto frustranti il desiderio di genitorialità, non solo la limitazione oggi in esame, ma tutte le altre limitazioni all'accesso alla PMA poste dall'art. 5, comma 1, della legge n. 40 del 2004: limitazioni che la stessa sentenza n. 162 del 2014 ha, per converso, specificamente richiamato anche in rapporto alla fecondazione eterologa.