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La misura cautelare della permanenza in casa inflitta al minore non costituisce una misura di custodia cautelare ma è solo equiparata ad essa ai fini del computo della sua durata. - Cass. penale, sez. II, 17 novembre 2003, n. 43901

Lunedì, 17 Novembre 2003
Giurisprudenza | Diritto penale minorile | Legittimità

- Misure cautelari -
Secondo la disposizione espressa e la ratio della norma di cui all'articolo 21 del Dpr 22 settembre 1988 n. 448, il minore al quale è imposta la misura della permanenza in casa viene considerato in stato di custodia cautelare ai soli fini della durata massima della misura e del calcolo della pena da scontare, mentre per il resto è considerato libero, anche se sottoposto a prescrizioni e obblighi. Ne deriva, da un lato, che il giudice non è tenuto a disporre la traduzione per l'udienza del minore sottoposto alla detta misura e, dall'altro, che l'allontanamento del minore dalla casa può assumere valenza (ad esempio, ai fini e per gli effetti di cui all'articolo 21, comma 5, dell'articolo 21 citato) solo quando è ingiustificato (e non lo è allorché il minore si allontani dalla casa proprio per recarsi all'udienza) e non è, in tal caso, comunque assimilabile né al reato di evasione né a quello di cui all'articolo 650 del codice penale.

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