Il progetto genitoriale di coppia anche omoaffettiva va salvaguardato, la prospettiva del singolo no, di Cesare Fossati

Nota a Corte Costituzionale, sentenze n. 68 e 69 del 22 maggio 2025

Domenica, 25 Maggio 2025
Dottrina | Procreazione assistita | Accertamento paternità e maternità Sezione Ondif di Genova
Fossati. Il progetto genitoriale di coppia per visualizzare l'allegato è necessario autenticarsi

Il progetto genitoriale di coppia anche omoaffettiva va salvaguardato, la prospettiva del singolo no

di Cesare Fossati[1]

Nota a Corte Costituzionale, sentenze n. 68 e 69 del 22 maggio 2025[2]

Sommario

  1. Le aporie del sistema. 1
  2. La prospettiva della coppia omogenitoriale al femminile. 3
  3. Assenza di un interesse contrario. 6
  4. La rilevanza dell’impegno comune assunto. 7
  5. La tutela del bambino nato non equivale alla tutela del bambino da concepire. 7
  6. Conclusioni 9

 

  1. Le aporie del sistema

In Italia sono vietate in linea generale le tecniche di procreazione medicalmente assistita per le coppie omosessuali, mentre per le coppie eterosessuali sono consentite negli stretti limiti dettati dalla legge[3]. All’estero, in molti paesi, l’accesso a queste tecniche di aiuto alla procreazione è permesso anche alle coppie formate da persone dello stesso sesso.

Si pone però il problema dell’aggiramento dei divieti interni insito nella libertà di circolazione e dato dalla conseguente circolazione degli status, per cui chi è genitore, seppure sociale o d’intenzione in uno Stato, chiede di essere considerato tale anche nel proprio paese d’origine. Succede così che le coppie omosessuali si rechino all’estero per usufruire, in maniera del tutto lecita, in quanto consentita dalla legislazione di molti paesi, delle tecniche di procreazione assistita, per poi fare rientro in Italia e dare alla luce il bambino. Nello specifico stiamo parlando di coppie formate da due donne unite in matrimonio o unione civile che dir si voglia, mentre si esula del tutto dal tema della gestazione per altri o surrogazione di maternità, severamente punita nel nostro ordinamento, addirittura recentemente come reato universale.

Si assiste da tempo ad una singolare casualità: il riconoscimento del nascituro come figlio di entrambe, l’una madre biologica, l’altra d’intenzione, dipende da fattori del tutto imprevedibili, in ogni caso disomogenei sul territorio nazionale, in quanto discende in primo luogo dalla sensibilità, ovvero dall’orientamento etico, dell’Ufficiale dello Stato Civile del Comune nel quale risiede la coppia e al quale si rivolgerà, e di seguito, ancora, dalla volontà o meno del Pubblico Ministero del  circondario di quel Tribunale, di impugnare o meno il riconoscimento[4].

Viceversa, se l’Ufficiale dello Stato Civile del Comune non intende procedere alla trascrizione nell’atto di nascita delle due mamme, a costoro non resterà che agire in giudizio e, ancora una volta, confidare in un giudice orientato a consentire la trascrizione.

Paiono quindi evidenti le aporie di un sistema che non regge di fronte all’incessante evoluzione del sentire sociale nei confronti dei bisogni e delle esigenze delle coppie omoaffettive.

La Legge 40 del 19.02.2004, denominata "Norme in materia di procreazione medicalmente assistita", emanata con l’intento di arginare un fenomeno che è in costante evoluzione, non pare essere in grado di rispondere alle esigenze delle persone.

Spetta certamente in primis al Parlamento sbrogliare la matassa che si è venuta a creare.

Nell’attesa di un intervento legislativo, di fronte allo sgretolamento del muro innalzato con la predetta legge, è la Corte Costituzionale a venire coinvolta, chiamata più volte e su più fronti a porre rimedio alle aporie più vistose: la Consulta talvolta assesta un deciso colpo al muro in via di disfacimento, talaltra viceversa lo ripara per quanto possibile.

È quanto accaduto con le sentenze, emesse contemporaneamente dal Supremo organo di interpretazione delle leggi qui in commento, gemelle solo nella data di pubblicazione, ma per il resto ispirate a principi apparentemente opposti.

 

  1. La prospettiva della coppia omogenitoriale al femminile.

Che fare di fronte ad una coppia di donne che, oltre ad essersi unite in matrimonio (o unione civile, secondo la discriminatoria soluzione adottata dal legislatore), si è assunta anche la responsabilità di un progetto di procreazione?

Il giudice delle leggi, chiamato ancora una volta a sostituirsi ad un legislatore reticente, ripercorre gli aspetti salienti del quadro d’insieme.

  1. In tema di PMA, si segnala una preoccupante lacuna dell’ordinamento, che richiede un impellente intervento del legislatore, attraverso una disciplina organica della materia, volto a colmare il divario tra la realtà fattuale e quella legale nel rapporto del minore con la madre intenzionale, nell’ottica di conferire riconoscimento giuridico ai legami affettivi e familiari esistenti, anche se non biologici, e all’identità personale del minore.
  2. La genitorialità viene vista come espressione di un consenso e di assunzione di responsabilità – in questo la Corte richiama i precedenti sul tema: Il consenso ha un valore tale da rappresentare un adeguato fondamento per il sorgere della responsabilità genitoriale anche in ipotesi di scissione tra identità biologica e identità giuridica, fondata, in base all’art. 6 della legge n. 40 del 2004, sul consenso comune al progetto di genitorialità, ritenuto titolo idoneo a fondare lo status filiationis (sentenza n. 162 del 2014).

Dal comune impegno volontariamente assunto discendono i doveri inerenti alla responsabilità genitoriale.

Si innesta in questo contesto la tematica relativa al genitore sociale: la legge non fornisce una definizione della responsabilità genitoriale, ma nell’art. 147 c.c. prevede i doveri dei coniugi verso i figli, individuandoli negli obblighi di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni. La norma ripete la formula dell’art. 30, primo comma, Cost. e «dal combinato disposto delle due disposizioni si evince il nucleo di detta responsabilità, che si collega all’obbligo dei genitori di assicurare ai figli un completo percorso educativo, garantendo loro il benessere, la salute e la crescita anche spirituali, secondo le possibilità socioeconomiche dei genitori stessi» (sentenza n. 31 del 2012).

III. Il diritto dei figli. L’interesse del minore assurge ad un vero e proprio diritto del figlio. Ai doveri dei genitori, corrisponde un fascio di diritti che fanno capo al figlio, articolati dal legislatore nel «diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni»; nel «diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti» (art. 315-bis c.c.) e nel «diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale» (art. 337-ter c.c.).

La Corte richiama i propri precedenti in cui si è più volte ribadita la progressiva emersione della centralità dell’interesse del minore nel sistema normativo, alla luce dei princìpi costituzionali e della stessa evoluzione della legislazione ordinaria.

Nel nostro ordinamento – si è detto – «l’interesse morale e materiale del minore ha assunto carattere di piena centralità», specialmente dopo le riforme del diritto di famiglia cui hanno fatto seguito una serie di leggi speciali che hanno introdotto forme di tutela sempre più incisiva dei diritti del minore.

In parallelo alla considerazione della centralità dell’interesse del minore, si è venuta delineando, strettamente correlata allo stesso, l’affermazione dell’unicità dello stato di figlio, quale principio ispiratore della riforma della filiazione, introdotta nel biennio 2012-2013, compendiato dal nuovo art. 315 c.c. Per cui «tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico». In forza di detto principio, tutte le forme di filiazione riconosciute dal nostro ordinamento: all’interno del matrimonio, fuori del matrimonio, adottiva nelle sue varie forme, godono della medesima considerazione, con riferimento sia alle situazioni giuridiche soggettive imputate al figlio (art. 315-bis c.c.), sia alla sua posizione nella rete formale dei rapporti familiari (art. 74 c.c.).

Nel quadro di princìpi delineati, il carattere omosessuale della coppia che ha avviato il percorso genitoriale in questione non può costituire impedimento allo stato di figlio riconosciuto per il nato.

Trattasi un principio forte che sembra poter aprire dei varchi anche per quanto concerne le coppie omosessuali maschili.

Un’inidoneità genitoriale, in sé, della coppia omossessuale è stata costantemente esclusa dalla Corte che, in linea anche con la giurisprudenza di legittimità in materia di accesso alla PMA (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 22 giugno 2016, n. 12962[5]), ha già avuto occasione di affermare che «non esistono neppure certezze scientifiche o dati di esperienza in ordine al fatto che l’inserimento del figlio in una famiglia formata da una coppia omosessuale abbia ripercussioni negative sul piano educativo e dello sviluppo della personalità del minore» (sentenze n. 32 del 2021[6] e n. 221 del 2019[7]; nello stesso senso, sentenze n. 79 del 2022[8] e n. 230 del 2020[9]).

  1. La centralità dell’interesse del minore, raccordata con la responsabilità dei genitori che hanno legittimamente avviato di comune accordo il percorso di PMA, richiede di individuare in concreto quale sia il livello di protezione di tale interesse e quali siano le condizioni perché al nato possa essere riconosciuto lo stato di figlio anche della madre intenzionale.

L’interesse del minore consiste nel vedersi riconoscere lo stato di figlio di entrambe le figure – la madre biologica e la madre intenzionale – che abbiano assunto e condiviso l’impegno genitoriale attraverso il ricorso a tecniche di procreazione assistita. L’attuale disciplina dell’adozione in casi particolari di cui all’art. 44, comma 1, lettera ), della legge n. 184 del 1983 risulta insufficiente a sanare il vulnus all’identità personale e all’interesse del minore a vedersi riconosciuto lo stato di figlio ai sensi dell’art. 8 della legge n. 40 del 2004 (sentenza n. 32 del 2021).

  1. Lo stato di incertezza attuale.

Non possono poi essere sottaciute le ulteriori ragioni per cui l’acquisizione dello stato giuridico del nato è attualmente caratterizzato da assoluta incertezza e imprevedibilità.

Sul territorio nazionale, ad oggi, si assiste a una significativa eterogeneità di comportamenti tenuti dagli ufficiali di stato civile in ordine alla decisione di iscrivere o meno il nome della madre intenzionale del nato da PMA, oltre che dai pubblici ministeri in ordine alla decisione, in caso di iscrizione, di chiedere la rettificazione dell’atto.

Tale condizione di incertezza e imprevedibilità non è neanche destinata ad avere un termine. Infatti, qualora l’ufficiale di stato civile iscriva l’atto di nascita con l’indicazione anche della madre intenzionale (e il pubblico ministero non proceda immediatamente per la rettificazione), la situazione resta soggetta a una perpetua precarietà, in quanto l’istanza di rettificazione da parte del pubblico ministero non è soggetta a limiti temporali (ex art. 95, comma 2, del d.P.R. n. 396 del 2000).

  1. Assenza di un interesse contrario

L’interesse del minore, per quanto centrale, non è un interesse “tiranno”, che debba sempre e comunque prevalere. Al pari di ogni interesse costituzionalmente rilevante, esso può essere oggetto di un bilanciamento in presenza di un interesse di pari rango.

Ma, con riguardo all’odierna questione, non si pone un problema di bilanciamento, in quanto non è ravvisabile alcun controinteresse di peso tale da richiedere e giustificare una compressione del diritto del minore a vedersi riconosciuto il proprio stato di figlio (della madre intenzionale) automaticamente sin dal momento della nascita.

Sotto tale profilo, la situazione in esame si distingue radicalmente dall’ipotesi di ricorso alla cosiddetta maternità surrogata, in cui viene in considerazione la finalità di disincentivare il ricorso a una pratica che l’ordinamento italiano considera meritevole di sanzione penale e violativa di un principio di ordine pubblico, in quanto offende la dignità della donna (Cass., n. 38162 del 2022; nello stesso senso, sentenze n. 79 del 2022; n. 33 del 2021 e n. 272 del 2017).

  1. La rilevanza dell’impegno comune assunto

La Consulta ritiene che il mancato riconoscimento effettuato, secondo le modalità previste dall’ordinamento (artt. 250 e 254 c.c. e d.P.R. n. 396 del 2000) al nato in Italia dello stato di figlio di entrambe le donne che, sulla base di un comune impegno genitoriale, abbiano fatto ricorso a tecniche di PMA praticate legittimamente all’estero costituisca violazione:

  1. a) dell’art. 2 Cost., per la lesione dell’identità personale del nato e del suo diritto a vedersi riconosciuto sin dalla nascita uno stato giuridico certo e stabile;
  2. b) dell’art. 3 Cost., per la irragionevolezza dell’attuale disciplina che non trova giustificazione in assenza di un controinteresse;
  3. c) dell’art. 30 Cost., perché lede i diritti del minore a vedersi riconosciuti, sin dalla nascita e nei confronti di entrambi i genitori, i diritti connessi alla responsabilità genitoriale e ai conseguenti obblighi nei confronti dei figli.

La lesione ricondotta dal rimettente al «complesso delle disposizioni censurate» va ascritta in particolare all’art. 8 della legge n. 40 del 2004.

  1. La tutela del bambino nato non equivale alla tutela del bambino da concepire

Alla luce dei suesposti principi espressi dalla Consulta con la sentenza n. 68, sorprende ritrovare un impianto del tutto diverso nella successiva sentenza 69 emessa lo stesso giorno.

Nel caso di specie una donna single aveva formulato domanda giudiziale in via cautelare, chiedendo di non applicare l’art. 5 della legge n. 40 del 2004, per contrasto con gli artt. 8 e 14 CEDU, e, per l’effetto, ordinare al Centro procreazione assistita convenuto di accogliere la richiesta di accesso alla tecnica di fecondazione assistita di tipo eterologo e di avviare la procedura medica a carico del Servizio sanitario regionale.

Il Tribunale di Firenze ha ritenuto la questione rilevante ai fini della decisione, in virtù di plurimi profili di illegittimità rispetto a norme costituzionali e sovranazionali[10] e ha pertanto investito della questione la Corte.

L’intervento richiesto è diretto a consentire semplicemente l’accesso alle tecniche di PMA alla donna singola, senza subordinarlo ai casi in cui sia affetta da sterilità o infertilità patologiche o a quelle in cui rischi di trasmettere gravi malattie genetiche.

Fra gli obiettivi del legislatore della legge 40 rientra quello di proteggere l’interesse dei futuri nati ad avere genitori quanto più rispondenti ai presupposti della procreazione naturale.

La Corte ha precisato che la nozione di famiglia fondata sul matrimonio non è più il solo paradigma familiare presente nel nostro ordinamento, e che grazie al suo intervento anche la donna sola, la coppia omosessuale e la coppia eterosessuale in età avanzata sono ritenute capaci di svolgere validamente anch’esse le funzioni genitoriali[11].

L’interesse all’autodeterminazione procreativa non fonda una pretesa costitutiva di un diritto alla genitorialità ad ogni costo.

La scelta del legislatore di non avallare un progetto genitoriale che conduce al concepimento di un figlio in un contesto che implica l’esclusione della figura paterna è valutato tuttora rientrare nel principio di precauzione nell’interesse dei futuri nati.

Nell’attuale contesto giuridico l’aspirazione alla genitorialità delle persone singole può trovare rifugio nell’ambito dell’adozione internazionale, in virtù della rimozione, effettuata proprio dalla Consulta, del divieto che impediva alle persone singole di sottoporsi al giudizio di idoneità ad adottare[12].

La Corte in definitiva non ritiene sussistente una disparità di trattamento fra la categoria delle donne singole e quella delle coppie eterosessuali, in quanto non omogenee, così come non sussiste disparità in relazione alle condizioni economiche fra coloro che possono recarsi all’estero e coloro che questa possibilità non la hanno.

Il margine di apprezzamento lasciato al legislatore nazionale su questi temi è ampio e insindacabile da parte della Corte, la quale si è posta il problema di tutelare il bambino già nato, mentre si è arrestata di fronte alla pretesa di tutelare preventivamente anche il bambino ancora da concepire.

  1. Conclusioni

Il quadro emergente dall’attuale sistema giuridico per i nati da procreazione assistita è indubbiamente variegato ed è difficile per i non addetti ai lavori comprenderne la logica.

La Consulta, in attesa che lo faccia il legislatore, si è fatta carico del sentire diffuso che considera ingiusto il trattamento differenziato di casi identici a seconda della risposta fornita, nel dato momento storico, dal singolo Comune o dal PM competenti.

È forse venuto il momento per riconsiderare, oltre alla legge 40/2004, anche l’impianto della legge 184/1983 sulle adozioni ed i sistemi, burocratici ed inefficienti, per permettere di dare effettiva risposta al diritto del minore a crescere in una famiglia, non importa se eterosessuale, ad instar naturae, con vincoli di sangue ovvero sociali.

Ciò che più conta è, oltre all’affetto, la responsabilità morale e giuridica che il genitore assume volontariamente e consapevolmente verso il nato, ed è sostanza che non discende necessariamente dal legame di natura.

 

[1] Avvocato del Foro di Genova, curatore del sito dell’Osservatorio Nazionale sul Diritto di Famiglia e Presidente della sezione genovese.

[2] Per un più ampio panorama di opinioni si veda anche: Due mamme sì, una no, un papà boh. La gimkana della Consulta sulla genitorialità, il commento di Emanuele Bilotti, su Tempi, 23.05.25, https://lc.cx/autE6K; La tutela del minore è il faro delle toghe», di Carlo Rimini, Corriere della Sera, 23.05.25; La Consulta argina la discrezionalità sui diritti dei bambini, IlSole24Ore, Cesare Mirabelli, Ilaria Queirolo, Cesare Fossati, 24.05.25.

[3] Si ricorda che solo grazie all’intervento della Corte Costituzionale con le sentenze n. 96 e n. 229 del 2015 l’accesso alle tecniche è stato esteso anche alle coppie fertili se «portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui all’art. 6, comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n. 194.

[4] Ne fornisce una plastica rappresentazione il quotidiano Il Secolo XIX del 24.05.25 che riporta le storie di due coppie di mamme: la prima coppia genovese dovette lottare per il riconoscimento e dopo che fu loro negato dal Comune del capoluogo ligure, fece ricorso in Tribunale che diede loro ragione, ma il Comune decise di impugnare il provvedimento e la Corte d’Appello, nel 2020, accolse l’appello. L’unica strada per loro fu quella di far ricorso al lungo e spesso toruoso iter dell’adozione speciale attraverso il Tribunale per i Minorenni per veder riconosciuta la madre intenzionale. L’altra storia riguarda una coppia di mamme residenti a Savona che nel 2023 ottennero la registrazione della dichiarazione di nascita presso il loro Comune. In questo caso tutto bene per il diritto del bambino a vedere riconosciuta la doppia genitorialità, restava tuttavia pur sempre la spada di Damocle della possibilità che la Procura del locale Tribunale volesse impugnare: anche in questo caso il Procuratore si dimostrò illuminato e non impugnò.   

[5] Stepchild adoption, Cassazione: sì in casi particolari, in Altalex, 22.06.2016

[6] Le sentenze della Corte costituzionale n. 32 e n. 33 del 2021 e l’applicabilità dell’art. 279 c.c., di Giovanna Chiappetta, in Giustizia insieme, 6.07.2021

[7] Procreazione assistita: legittimo il divieto per le coppie gay, di Irene Marconi, in Altalex, 30.10.2019

[8] Garantire le relazioni familiari. La decisione della Corte costituzionale n. 79/2022, di Maria Chiara Errigo, in OSSERVATORIO COSTITUZIONALE, Fasc. 3/2022, 7 giugno 2022

[9] La Corte Costituzionale sul riconoscimento dello status di genitore alla “madre intenzionale”, in dirittifondamentali.it

[10] Il riferimento è agli artt. 2, 3, 13, 32 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, nonché agli artt. 3, 7, 9 e 35 CDFUE, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge n. 40 del 2004, nella parte in cui non prevede che anche la donna singola possa accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita

[11] Sentenze n. 221 del 2019 e n. 230 del 2020

[12] sentenza n. 33 del 2025

editor: Fossati Cesare