
Impossibile la revoca del consenso prestato per la pma dopo la fecondazione dell’embrione. Di Michela Labriola. Nota a sentenza Trib. Santa Maria Capua Vetere 27.01.2021
La sentenza si trova nella sezione Giurisprudenza a questo link
martedì, 2 marzo 2021
Dottrina | Procreazione assistita
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Il caso. Una coppia di coniugi si sottoponeva ad una pratica di procreazione medicalmente assistita, presso un ospedale Capitolino, prestando il consenso come per legge. Successivamente alla fecondazione dell’ovocita, marito e moglie interrompevano la terapia per motivi di salute e, superati i problemi, in accordo decidevano che quattro embrioni sarebbero stati crioconservati e trasportati presso un Centro Medico di Caserta. A seguito della separazione intervenuta tra i coniugi, il marito si determinava a non acconsentire allo scongelamento degli embrioni per evitare il successivo impianto in utero. La moglie, con ricorso d’urgenza ex art. 700 cpc, adiva il Tribunale di Santa Maria C.V. affinché si procedesse in via d’urgenza all’impianto “avendo raggiunto 43 anni con riduzione delle possibilità di successo”. Il giudice del giudizio cautelare ordinava al Centro di Caserta di procedere all’impianto in utero degli embrioni fecondati e crioconservati[1].
Il marito, proponeva reclamo avverso il provvedimento cautelare e sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 co. 3 della L.40/2004, nella parte in cui non prevede la revoca del consenso dopo l’avvenuta fecondazione. Sul punto, il reclamante eccepiva come la revoca del consenso, non ammessa dalla legge se avvenuta successivamente alla fecondazione e, altresì, negata dal giudice di prime cure perché ritenuta “non compatibile con la tutela costituzionale degli embrioni, più volte affermata dalla Consulta”, sia in contrasto con l’obbligo di conseguire, in ogni stato e grado del procedimento, il consenso informato, così come previsto nei trattamenti sanitari.
segue
[1] Le tecniche di procreazione medicalmente assistita utilizzate sono tre, a seconda dei singoli casi. La tecnica “di primo livello” prevede l’inserimento nella cavità uterina del liquido seminale. Se l’infertilità da affrontare è più grave, si può ricorrere alle tecniche “di secondo livello”, più complesse e invasive, tra cui la Fivet (Fertilizzazione in vitro con trasferimento di embrioni) e l’Icsi (Intracytoplasmatic sperm injection). Nella prima, i tre degli ovociti prelevati vengono posti su una piastra nella quale si versa una goccia di liquido seminale. Se gli ovociti si fecondano, gli embrioni ottenuti, fino a un massimo di tre, vengono trasferiti nell’utero. La seconda tecnica, quella dell’Icsi, è utilizzata nei casi in cui l’infertilità maschile è più grave e consiste nell’inserire un singolo spermatozoo direttamente, tramite una micro pipetta, nell’ovocita. La tecnica di “terzo livello” richiede l’anestesia totale della donna e prevede la fecondazione in vivo. E’ ormai quasi inutilizzata perché molto invasiva e poco ripetibile.
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