L’assegnazione della casa familiare presuppone la stabile dimora del figlio maggiorenne non economicamente indipendente. Cass. Civ., Sez. I, Ord. 30 maggio 2025, n. 14458
La nozione di convivenza rilevante ai fini dell'assegnazione della casa familiare ex art. 337-sexies c.c. comporta la stabile dimora del figlio maggiorenne presso la stessa, sia pure con eventuali sporadici allontanamenti per brevi periodi e con esclusione, quindi, dell'ipotesi di rarità dei ritorni, ancorché regolari, che configura in tal caso, invece, un rapporto di mera ospitalità; deve pertanto sussistere un collegamento stabile con l'abitazione del genitore, caratterizzato da coabitazione che, ancorché non quotidiana, sia compatibile con l'assenza del figlio anche per periodi non brevi per motivi di studio o di lavoro, purché questi vi faccia ritorno appena possibile e l'effettiva presenza sia temporalmente prevalente in relazione ad una determinata unità di tempo (anno, semestre, mese).
Rif. Leg. Art. 151, 156, 337-ter, 337-sexies c.c.
Assegnazione casa familiare – Mantenimento del figlio maggiorenne economicamente non indipendente – Addebito della separazione coniugale – Violazione obblighi di matrimonio – Crisi coniugale – Nesso causale – Prova
Nella fattispecie, viene impugnata la sentenza della Corte d’Appello che conferma la pronuncia di separazione coniugale con accoglimento della domanda di addebito proposta dal marito e con assegnazione della casa familiare alla moglie, nonostante il figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente risieda fuori regione per ragioni di studio in un appartamento reso disponibile dal padre il quale, peraltro, versa direttamente al figlio l'assegno di mantenimento.
La censura viene accolta e la decisione impugnata cassata sul punto in quanto la Corte di merito non ha dato rilievo ai tempi di effettiva presenza del figlio, anche tralasciando l'esame della documentazione versata in atti dal padre da cui avrebbe potuto trarre elementi per accertare se effettivamente la casa familiare fosse ancora un punto di riferimento stabile per il figlio al quale fare ritorno.
Quanto all’addebito, la Corte richiamando la giurisprudenza sul punto, ribadisce che grava sul richiedente l'onere di provare sia la contrarietà del comportamento del coniuge ai doveri che derivano dal matrimonio, sia l'efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza.
La violazione dell'obbligo di fedeltà coniugale determina normalmente l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza e costituisce, di regola, causa della separazione personale, addebitabile al coniuge che ne è responsabile, sempre che non si constati, mediante un accertamento rigoroso, la mancanza di un nesso di causalità tra l'infedeltà e la crisi coniugale.
Ai fini dell'esclusione del nesso causale tra la condotta violativa degli obblighi derivanti dal matrimonio e l'impossibilità della prosecuzione della convivenza, non assume rilievo la tolleranza dell'altro coniuge, anche se la sopportazione delle condotte altrui può essere assunta quale indice rivelatore del fatto che l'affectio coniugalis fosse già venuta meno da tempo.
La statuizione impugnata è conforme ai principi delineati e la censura viene disattesa perché sollecita la rivalutazione del merito inammissibile in sede di legittimità.
editor: Fossati Cesare
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