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I genitori rispondono dei danni cagionati dalla figlia incapace di intendere e volere se non provano di non avere potuto impedire il fatto. Tribunale di Brescia, sent. 4 marzo 2025

Domenica, 13 Aprile 2025
Giurisprudenza | Responsabilità | Minori | Merito Sezione Ondif di Brescia
Tribunale di Brescia, Est. De Leonardis, sentenza 4.03.25 per visualizzare l'allegato è necessario autenticarsi

In ordine alla responsabilità civile per fatto commesso da un minorenne, compete al giudice accertare se, in base al vizio di mente, all’età immatura o ad altra causa, esuli in concreto la capacità di intendere e volere, che deve essere accertata caso per caso, anche mediante presunzioni, quali il riferimento alla stessa età del minore (cfr. Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 565 del 30/01/1985). Peraltro, ai fini di cui all’art. 2047 c.c., per affermare o escludere la capacità di intendere e di volere di un minore d’età, autore di un fatto illecito, il giudice di merito non è tenuto a compiere un’indagine tecnica di tipo psicologico quando le modalità del fatto e l’età del minore siano tali da autorizzare una conclusione in un senso o nell'altro.

L’art. 2047 c.c. configura una forma di responsabilità diretta, fondata sull’inosservanza del dovere di vigilanza sul soggetto incapace, e incombe sul sorvegliante l’onere di provare di non aver potuto evitare il fatto.

Rif. Leg. Artt. 2043, 2047, 2048 c.c.

Lesione dell’onore e della reputazione – Minore età – Incapacità di intendere e di volere – Responsabilità dei genitori – Prova – Danno - Risarcimento

Il Tribunale di Brescia ritiene fondata la domanda di parte attrice che chiede l’accertamento e la declaratoria della lesione della propria reputazione personale, dell’onore e del decoro, a causa della condotta posta in essere, mediante l’uso di un noto social network, dalla figlia dei convenuti, all’epoca minorenne, con conseguente responsabilità ex artt. 2047 e/o 2048 c.c. dei genitori e condanna degli stessi in solido al risarcimento del danno.

Per i medesimi fatti contestati alla minore era già stato avviato un procedimento penale nanti il Tribunale per i Minorenni, nel corso del quale era stata accertata la sussistenza di problematiche comportamentali e psicologiche della minore, presa in carico dai Servizi Sociali competenti per territorio. 

Il Giudicante ritiene che la prova delle condotte illecite poste in essere dalla minore ai danni di parte attrice emerga dagli atti del procedimento penale, potendo la pronuncia del Tribunale per i Minorenni, ancorchè priva di efficacia di giudicato, essere utilizzata in giudizio, unitamente alle prove raccolte nel procedimento penale, quale fonte di convincimento.

Richiamati i criteri di imputazione fatti valere da parte attrice, l’unico concretamente valido nel caso in esame pare quello previsto dall’art. 2047 c.c., in quanto, secondo la giurisprudenza di legittimità, presupposto per l’applicazione dell’art. 2048 c.c. è che il minore sia capace di intendere e di volere, dovendo rispondere i genitori, in difetto di tale requisito, ai sensi dell’art. 2047 c.c.

Dal punto di vista del riparto dell’onere probatorio, in ragione della particolare natura della responsabilità prevista dalla norma, è il sorvegliante a dover  dimostrare di non aver potuto evitare il fatto, non potendo la prova liberatoria consistere nella dimostrazione della sufficiente diligenza nella vigilanza.

In punto liquidazione, si richiama la giurisprudenza di legittimità la quale ritiene che il danno da lesione dei diritti fondamentali possa essere provato anche tramite presunzioni semplici; quanto all’ammontare del pregiudizio, in assenza di criteri normativi, si procede alla sua liquidazione, considerato anche il mezzo utilizzato per perpetrare l’illecito, mediante l’applicazione delle cd. Tabelle di Milano, nella loro versione aggiornata all’epoca della decisione.

editor: Fossati Cesare