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L'avvocatura svolge un ruolo fondamentale per riformare la giustizia

Pubblichiamo l'intervista effettuata dal quotidiano Il Dubbio a Claudio Cecchella, ordinario di diritto processuale civile Università di Pisa e Presidente dell’Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia

Lunedì, 3 Gennaio 2022
Riforma del processo civile | Processo civile | Procedimento civile minorile Sezione Ondif di SEDE NAZIONALE

Le riforme della giustizia non possono prescindere da un coinvolgimento totale dell’avvocatura.
Claudio Cecchella, ordinario di diritto processuale civile dell’Università di Pisa e presidente dell’Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia (Ondif) sottolinea con chiarezza questo concetto. «Penso – dice l’accademico – che l’esecutivo nel laboratorio destinato alla elaborazione delle soluzioni di riforma non possa rinunciare all’apporto dell’avvocatura e soprattutto di quella specialistica, la quale è in grado, alla pari della magistratura, di esprimere modelli ed esperienze collaudate nella direzione di un apporto condiviso sul piano tecnico, in un dialogo continuo tra gli operatori. Questo apporto manca troppo spesso e lo è stato anche in questo episodio».

Professor Cecchella, la riforma sarà in grado di rivitalizzare il processo civile?
«Come ho cercato di evidenziare nelle numerose occasioni di dibattito presso le associazioni specialistiche, con i colleghi e sulle pagine di Politica del diritto, il legislatore e l’esecutivo delegato da oltre trent’anni perseverano ad intervenire sui riti, in particolare sulla disciplina delle forme di espressione delle difese: le domande, le eccezioni e le prove, ponendo rigide preclusioni e riducendone gli spazi di svolgimento, anche in sede di riaperture dovute al contraddittorio, allo ius poenitendi e alla remissione in termini, allontanando sempre più la verità formale da quella sostanziale e non raggiungendo gli obiettivi di celerità e di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti, anzi allontanandola con la diaspora dei riti e delle regole che induce il processo a ripiegarsi su sé stesso mai giungendo al merito. Questo episodio, che pure ha, in alcuni aspetti, particolari soluzioni pregevoli, non manca dello stesso errore e tocca con troppa timidezza gli aspetti autentici di una riforma della giustizia civile che riguardano la digitalizzazione, l’uso della intelligenza artificiale, con i limiti che la tengano allineata alla Costituzione, che impone un giudizio di uomini e non di algoritmi, l’organizzazione degli uffici, il numero dei giudici togati e il ruolo dei giudici onorari e infine l’auto- responsabilità delle parti, che non può essere ricondotta alla vuota formula della sintesi e chiarezza».

Grandi aspettative provengono dagli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie. Saranno davvero d’aiuto?

«Sono perplesso sull’idea che la giurisdizione possa essere guarita dal male della lentezza attraverso il potenziamento delle forme alternative di risoluzione della controversia, soprattutto con l’ampiamento delle ipotesi obbligatorie, che precedono l’azione. Le vie alternative e, in particolare, la negoziazione nelle mani degli avvocati, devono essere certamente incentivate, ma non è attraverso tale soluzione che la giurisdizione possa superare le gravi difficoltà vissute, le quali devono essere risolte al suo interno, sul piano organizzativo e degli uomini impiegati».

La diversa regolamentazione delle preclusioni e decadenze alle difese delle parti cambia il volto del processo civile ed è uno degli aspetti più controversi. Cosa ne pensa?

«La soluzione è stata per buona sorte, e grazie alle reazioni dell’avvocatura espresse anche dalle pagine del Dubbio, attenuata dalla Commissione del Senato che ha riproposto la gradualità delle preclusioni che contraddistingueva il rito ordinario, senza cadere nel fascino del rito del lavoro, il tutto preceduto dalla udienza a cui dovrà giungere il giudice con le difese integralmente rovesciate sul suo tavolo con l’auspicio che legga gli atti precedentemente resi dalle parti. Purtroppo, lo stesso non deve dirsi per il processo familiare, quello minorile per avere ad oggetto diritti indisponibili è esente da preclusioni, dove è rilanciato il vecchio modello del rito del lavoro. Ciò che è ancora più deleterio in una materia in cui dire tutto subito vuol dire allontanare la prospettiva di una ricomposizione del conflitto e della crisi».

Dopo quasi un secolo, il processo della famiglia e dei minori subisce importanti modifiche. È un segno dei tempi?
«Questo è senz’altro l’aspetto pregevole. Bisogna dare atto alla ministra Cartabia e alla Commissione senatoriale di avere avuto il coraggio di superare un modello nato nel ventennio, quello ispirato dallo iato tra Tribunale per i minorenni, istituito nel 1934, e Tribunale ordinario, con l’articolo 38 delle disposizioni per l’attuazione del Codice civile del 1942, il primo nel quale la consulenza tecnica viene celebrata all’interno della camera di consiglio, senza il contraddittorio delle parti, per la presenza del giudice laico nel collegio paritetico che pronuncia il giudizio, in gravissima violazione dell’articolo 111 della Costituzione che lo impone, e il secondo che ha sempre operato con una consulenza tecnica sottoposta alla previa valutazione dei consulenti di parte e degli avvocati. Inoltre, si è finalmente scritto un processo, destinato alle lacune del rito camerale riempite da regole giurisprudenziali, in piena linea con l’altro principio che è la riserva di legge nella regolamentazione del giusto processo, con la previsione di un difensore- curatore del minore che finalmente ha voce tecnica nel processo e non è relegato a quella autodifesa, che è l’ascolto innanzi al giudice».

Le tecnologie supporteranno sempre di più gli operatori del diritto. Saranno utili per svoltare una volta per tutte e dare anche al processo civile un volto più umano e tempi più ragionevoli?

«Ne sono assolutamente convinto. Va conclusa la digitalizzazione della Suprema Corte, del giudice di pace e del Tribunale per i minorenni. Va migliorato sul piano informatico un sistema che risale agli anni Novanta del secolo scorso. L’ufficio del processo non può perdere l’occasione degli strumenti di intelligenza artificiale, che deve essere messa a disposizione di tutti gli operatori, ivi compresi gli avvocati e non destinato alle iniziative private degli editori».

Il nuovo anno si apre con gli investimenti del Pnrr. Per la giustizia civile inizia definitivamente una nuova epoca?

«Temo che la loro destinazione possa essere sottratta in larga parte alla funzione giurisdizionale. Certo, sarà comunque una occasione immancabile, che non possiamo perdere, in modo che le future generazioni di avvocati di magistrati possano fruire di un sistema giustizia veramente in linea con i principi costituzionali e della Cedu».


Di seguito il link all'edizione online del quotidiano Il Dubbio

autore: Fossati Cesare