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Minori binazionali e sistema tedesco di diritto di famiglia: un’anomalia tutta europea. Note a margine dell’evento del 29 maggio 2018 al Parlamento Europeo di Strasburgo Jugendamt’s practices in cross-border cases of child custody

Sommario: 1. L’evento ed il tema. - 2. Il sistema tedesco di diritto di famiglia: lo Jugendamt, natura e poteri. - 3. L’abuso dei regolamenti europei. - 4. Le proporzioni dell’anomalia. - 5. La lesione dei diritti fondamentali. - 6. L’indifferenza (o l’opposizione): la Germania, la Commissione Europea. - 7. L’anomalia ed il cittadino europeo. - 8. Conclusione (aperta).



1. L’evento ed il tema



L’evento intitolato Jugendamt’s practices in cross-border cases of child custody, tenutosi in data 29 maggio 2018 presso il Parlamento Europeo di Strasburgo, ha avuto il grande merito di sollecitare l’attenzione dei parlamentari europei e della società civile su una problematica che sta raggiungendo dimensioni allarmanti: le disfunzioni e le discriminazioni create nel contesto comunitario dal sistema di diritto di famiglia dei Paesi di lingua tedesca, ed in particolare dallo Jugendamt, nei casi inerenti minori figli di genitori aventi diversa nazionalità. Siamo dunque nell’ambito della crisi della famiglia binazionale, che troppo frequentemente porta con sé un problema di trasferimento illecito e/o di trattenimento illecito del minore, da parte di uno dei genitori, in un Paese diverso da quello in cui il figlio risiedeva abitualmente, a discapito dei diritti dell’altro genitore e naturalmente del minore stesso. Dal punto di vista normativo, com’è noto, l’Unione Europea ha predisposto un quadro giuridico uniforme in materia, tramite, in particolare, il regolamento del Consiglio 27 novembre 2003, n. 2201 su competenza, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale, ed il regolamento del Consiglio 18 dicembre 2008, n. 4 (n. 4/2009), relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari; tale lodevole intento, tuttavia, si è trovato a collidere con l’anomalia costituita dal sistema tedesco di giustizia familiare, foriera – paradossalmente grazie proprio al contesto normativo unitario – di eclatanti discriminazioni fondate sulla nazionalità. La descritta situazione, denunciata da un numero impressionante di cittadini comunitari, ha attirato l’attenzione del Parlamento Europeo, fino a condurlo ad adottare la risoluzione del 29 novembre 20181 , e pertanto necessita di essere adeguatamente compresa ed approfondita2 .



2. Il sistema tedesco di diritto di famiglia: lo Jugendamt, natura e poteri



Al fine di comprendere cosa caratterizza il sistema tedesco di diritto di famiglia rispetto a quello degli altri Paesi europei, rendendolo anomalo e problematico nel contesto comunitario, occorre analizzarlo a partire dallo Jugendamt, in lingua italiana letteralmente “amministrazione della gioventù”, entità amministrativa molto complessa e peculiare, assolutamente priva di omologhi fuori dai Paesi di lingua tedesca3 . Operando nell’ambito dell’autonomia dei comuni, lo Jugendamt non è sottoposto ad alcun potere da parte del governo federale4 : pertanto, si può certamente affermare che detto ente, preposto al “controllo” della famiglia, nel senso e con le modalità che si andranno in appresso a specificare, si autocontrolla5 . Compito principale dello Jugendamt è vigilare sulle famiglie e sull’educazione che queste impartiscono ai bambini, in conformità al Kindeswohl, il quale è un concetto peculiare della realtà dei Paesi di lingua tedesca, privo di definizione normativa6 , che deve essere adeguatamente compreso: difatti, ben lungi dall’essere assimilabile al concetto di interesse o bene superiore del fanciullo, esso consiste nell’interesse sul bambino o attuato attraverso il bambino, che coincide in definitiva con l’interesse della nazione tedesca o del popolo tedesco, perseguito sul o attraverso il minore7 . Le molteplici e pesanti interferenze che lo Jugendamt pone in essere con le vicende familiari, soprattutto in caso di crisi della coppia, mostrano con tutta evidenza gli enormi poteri di cui detta agenzia è dotata, poteri caratterizzati da una profonda arbitrarietà, che si manifesta in modo particolare nelle fattispecie che concernono le coppie di genitori aventi diversa nazionalità, e nell’ambito delle quali uno solo dei genitori sia tedesco o residente in Germania.

Per avere un’idea dei poteri che lo Jugendamt possiede, si consideri in primo luogo che detto ente è, d’ufficio, parte in ogni procedimento giudiziario nel quale sono implicati dei bambini, quasi si trattasse del “terzo genitore di Stato”, ed opera in detto contesto al manifesto scopo di proteggere la relazione Stato tedesco – bambino, anche, eventualmente, a spese della relazione genitore – bambino. Ma v’è di più. Il giudice tedesco non può prendere provvedimenti in materia familiare senza l’intervento e la cosiddetta “raccomandazione” dello Jugendamt8 , la quale – ovviamente guidata dal menzionato principio del Kindeswohl – si sostanzia in una vera e propria decisione, che il tribunale è tenuto semplicemente a recepire, corredandola di argomenti giuridici. È lo Jugendamt, dunque, operando sulla base del suesposto peculiare concetto di interesse sul o attraverso il minore e nel più totale arbitrio e assenza di controllo, ad indirizzare le decisioni giudiziarie, peraltro coadiuvato nell’ambito del procedimento da ulteriori figure, sconosciute agli ordinamenti degli altri Paesi europei – e tra le quali si può citare il Verfahrensbeistand, letteralmente il “controllore del procedimento” – e, per quanto formalmente nominate dal tribunale, riconducibili in definitiva allo Jugendamt stesso. Ciò spiega come sia possibile che i provvedimenti in materia familiare siano emessi senza instaurare un contraddittorio con il genitore non tedesco o non residente in Germania, che vengano depositate relazioni sul predetto genitore senza aver mai proceduto ad un’audizione dello stesso, che non siano effettuate registrazioni e/o fonoregistrazioni delle audizioni dei minori, che il genitore non tedesco/non residente in Germania appaia costantemente come non idoneo alla crescita del figlio e/o dannoso per il minore stesso, e che in definitiva emerga regolarmente come, per il citato Kindeswohl, il minore debba restare o tornare in Germania9 . Inoltre, è sempre lo Jugendamt a stabilire e regolare le modalità di visita ai figli del genitore non tedesco o non residente in Germania; il punto è che lo fa in modo fortemente discriminatorio, ad esempio imponendo la propria presenza attraverso i c.d. “supervisori”, ossia funzionari del medesimo ente che controllano sistematicamente, tra l’altro, che il genitore parli alla prole esclusivamente in lingua tedesca, provvedendo in caso contrario ad interrompere bruscamente la comunicazione e ad allontanarlo. Ma non si può comprendere a fondo l’essenza dello Jugendamt senza considerare un’altra eclatante manifestazione del potere di detto ente, ossia l’emissione della Beistandschaft, istituto che identifica delle misure amministrative10 consistenti nel mettere in mora, generalmente prima ancora di un provvedimento giudiziario, il genitore non tedesco e/o non residente in Germania, per il pagamento del sostegno alimentare per il figlio che vive con l’altro genitore in Germania. Lo Jugendamt anticipa dunque una somma – che esso stesso arbitrariamente ed unilateralmente, senza tenere conto di elementi oggettivi quali reddito, tenore di vita, situazione familiare, stabilisce come congrua – al genitore che vive di fatto in Germania con il minore, e dopodiché richiede, con la prerogativa e la forza esecutiva di un organismo pubblico, la predetta somma all’altro genitore11. Il provvedimento di Beistandschaft è, dunque, una misura puramente amministrativa, indipendente da decisioni giuridiche, le quali seguiranno solo successivamente, quando naturalmente questo provvedimento avrà già creato dei fatti compiuti12. Appare quasi superfluo evidenziare che in relazione alla misura amministrativa in parola non è previsto alcun tipo di contraddittorio, anzi spesso la parte “debitrice” ne apprende l’esistenza soltanto con il pignoramento in suo danno, e non esiste alcuna possibilità di ricorso effettivo per il genitore non beneficiario13; la Beistandschaft, invero, potrebbe essere sospesa soltanto su richiesta del beneficiario, cioè di colui che non ha nessun interesse a farlo, anche perché, ove lo facesse, perderebbe il sostegno unilaterale che gli accorda lo Jugendamt o rischierebbe esso stesso la perdita dei diritti genitoriali per non aver adeguatamente collaborato con detto ente14. Evitando in questa sede di addentrarsi nel funzionamento della Beistandschaft15, preme sottolineare che la concessione della misura in parola interviene ben prima di un provvedimento giudiziario relativo alla responsabilità genitoriale, all’affidamento ed al diritto di visita, venendo contraddittorizzata formalmente dal giudice familiare solo a posteriori, in occasione di un procedimento nell’ambito del quale lo Jugendamt si costituisce esso stesso terza parte in causa, al fine di raccomandare al giudice di trattenere il minore presso il genitore beneficiario di detta misura; in tal modo, viene giustificato a posteriori il trattenimento fisico del minore presso il genitore tedesco o residente in Germania, così come imposto dalla Beistandschaft, e, di conseguenza, anche il debito creato nell’ambito di questa misura. A tutto ciò si aggiunga che la Beistandschaft viene concessa sulla base della mera domiciliazione amministrativa del minore nel registro dei residenti del luogo in cui si trova, e che detta domiciliazione amministrativa può essere semplicemente effettuata a favore del genitore che trattiene fisicamente il minore nella giurisdizione tedesca, all’insaputa del genitore non tedesco e/o che non risiede in Germania e senza che quest’ultimo ne venga neppure informato, e ciò anche se i genitori sono ancora sposati. Ne consegue che vengono sostanzialmente imposti l’affidamento e la collocazione del minore presso il genitore beneficiario della Beistandschaft, nonché il trattenimento del minore in Germania, imponendo di fatto l’esclusione dell’altro genitore da un contatto effettivo e libero con il proprio figlio, prima ancora di qualsivoglia decisione giudiziaria16.



3. L’abuso dei regolamenti europei



La Beistandschaft, invero, permette alle autorità tedesche di abusare dei regolamenti europei al fine di esigere dalle autorità straniere l’esecuzione di una decisione amministrativa, che sarebbe in quanto tale inapplicabile negli altri Paesi; difatti, si sono uniformati i procedimenti per l’esecuzione dei provvedimenti, ma non sono state uniformate le modalità con cui viene costituito il debito alimentare. È invero evidente l’anomalia creata nel contesto europeo dalla misura in parola nella vigenza del poc’anzi accennato regolamento CE n. 4/2009, il quale, com’è noto, garantisce il riconoscimento e l’esecutività della decisione in materia di obbligazioni alimentari emessa in uno Stato membro, intendendo come “decisione” la decisione in materia di obbligazioni alimentari emessa da un’autorità giurisdizionale (art. 2 comma 1, n. 1). Pertanto, desta grandi perplessità il riconoscimento e l’esecutività, ai sensi del predetto regolamento, dei provvedimenti di Beistandschaft, essendo questi sì giuridicizzati nella forma, ma in un momento successivo alla loro emissione e comunque mantenendo nella sostanza la natura amministrativa assunta con l’emissione da parte dello Jugendamt, entità amministrativa e, per le proprie modalità di funzionamento e di azione, certamente priva dei requisiti richiesti dal citato regolamento ai fini del riconoscimento e della esecutività delle decisioni17. La stessa Commissione Europea, che pure tiene sempre a puntualizzare come, a suo avviso, la materia alimentare sia riservata alla normativa nazionale, ha riconosciuto che, ai fini degli strumenti di diritto europeo sulle obbligazioni alimentari, lo Jugendamt non è equiparabile ad un tribunale e che pertanto, se lo Jugendamt adotta qualsiasi “decisione unilaterale”, essa non potrebbe beneficiare delle norme del diritto europeo sul riconoscimento e sull’attuazione delle decisioni in materia di alimenti prese dai tribunali degli Stati membri18.



4. Le proporzioni dell’anomalia



Già in apertura del menzionato evento del 29 maggio 2018 sono state ben chiarite19 le proporzioni del problema creato a livello europeo dal sistema di giustizia familiare tedesco: in Germania, nel solo anno 2016, sono stati tolti ai genitori 84.000 bambini – dei quali solo il 5% sono in seguito tornati in famiglia – e dei predetti 84.000 minori ben il 72% sono figli di coppie miste (bambini binazionali).

Il suesposto dato, assieme al gran numero di istanze di privati cittadini giunte alle istituzioni europee, impone di analizzare e comprendere le problematiche inerenti al sistema tedesco di diritto di famiglia; proprio per questo motivo, la Commissione Petizioni del Parlamento Europeo ha dato vita al Gruppo di lavoro sul benessere dei minori, attivo dall’ottobre 2015 al marzo 2017 sotto la presidenza dell’eurodeputato Eleonora Evi20 ed incentrato, in definitiva, sul problema creato dal modus operandi dello Jugendamt, denunciato, oltre che dai dati statistici poc’anzi menzionati, dalle numerosissime petizioni di cittadini europei – oltre 300 a partire dal 2007 – che hanno evidenziato, relativamente ai casi di minori aventi genitori di diversa nazionalità, gravi criticità sistemiche nel peculiare sistema di diritto familiare dei Paesi di lingua tedesca, come detto privo di omologhi21.



5. La lesione dei diritti fondamentali



Tanto più necessaria si presenta l’analisi del problema, se si considera che l’azione dello Jugendamt e del sistema tedesco di diritto di famiglia in generale comporta una palese lesione dei diritti fondamentali dei cittadini comunitari, com’è invero evidente, trattandosi di un sistema in cui: un ente amministrativo, lo Jugendamt, è sempre parte in causa nei procedimenti giudiziari che coinvolgono minori, fornisce raccomandazioni al giudice sulle decisioni da prendere e, ove il giudice si discosti da dette raccomandazioni, ha il diritto di presentare impugnazione, prende misure temporanee vincolanti sul minore ancora prima e a prescindere dall’intervento del giudice ed è competente per l’esecuzione delle decisioni dei tribunali; il Verfahrensbeistand, ossia il “controllore del procedimento”, partecipa ai procedimenti giudiziari con funzioni di rappresentante degli interessi dello Stato tedesco, con obiettivi che contraddicono la tutela dell’interesse del minore; sussiste un concetto così deviato e snaturato di interesse del bambino (Kindeswhol), che viene fatto sistematicamente coincidere con la sua permanenza in Germania e con l’affidamento al genitore tedesco, e ciò, si noti, anche in caso di comprovate violenze domestiche; le autorità tedesche possono effettuare audizioni del minore in assenza dei genitori e dei legali e senza registrazioni, ma solo con una breve sintesi come risultato, così che non si ha contezza di cosa sia realmente avvenuto22; viene attuata una costante discriminazione e criminalizzazione del genitore non tedesco. In primo luogo, a venire leso è certamente il diritto ad un equo processo ai sensi dell’art. 6 CEDU, il quale comprende anche il diritto ad un processo in contraddittorio, ove le parti possano prendere visione di ogni atto, con facoltà di sottoporlo a discussione23. Ebbene, detto articolo viene sistematicamente violato dalle autorità dei Paesi di lingua tedesca in tutte le occasioni in cui i minori, come anticipato, vengono ascoltati senza adeguata documentazione; in tal modo, non viene garantita l’equità, l’imparzialità e l’indipendenza del giudizio, e diviene semplice – oltre che di fatto una costante – affermare apoditticamente che il minore sottratto non intende rientrare nel Paese da cui era stato portato via. Invero, anche la frequente mancata audizione del genitore non tedesco nell’ambito di procedimenti così delicati vìola il principio dell’equo processo, così come il puntuale mancato riconoscimento, da parte delle autorità tedesche, dei certificati emessi dall’autorità giudiziaria italiana sulla base dei regolamenti europei per l’esecuzione dei propri provvedimenti, i quali spesso vengono rifiutati per svariate volte e per motivi formali; tale comportamento provoca un allungamento ingiustificato dei tempi, che aggrava le perpetrate lesioni dei diritti del genitore e dell’interesse del minore, e si pone in contrasto con l’art. 6 CEDU nella parte in cui questa norma prescrive un termine ragionevole per l’esame delle cause24. Il sistema tedesco di diritto di famiglia comporta rilevanti violazioni anche dell’art. 8 CEDU, a norma del quale ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, con esclusione di ingerenze indebite dell’autorità pubblica25, come avviene, in primo luogo, quando le autorità del Paese di lingua tedesca in cui il minore è trattenuto illecitamente, pur consapevoli dell’esistenza di un provvedimento dello Stato di provenienza che attribuisce al genitore richiedente il rientro l’affido condiviso o esclusivo, persistono nel negare il rimpatrio e persino nell’impedire ogni contatto del minore con il genitore cui è stato sottratto26. Inoltre, può accadere, nei casi di coppie non sposate, che nei Paesi di lingua tedesca ai bambini sottratti venga cambiato il cognome paterno, facendo loro assumere quello della madre su semplice richiesta della stessa, senza che sia stato dato alcun consenso da parte del padre27. Altresì, la costante discriminazione e criminalizzazione del genitore non tedesco attuata dal sistema in parola vìola macroscopicamente l’art. 14 CEDU, il quale vieta ogni discriminazione, naturalmente anche quella fondata sull’origine nazionale. Infine, è quasi superfluo sottolineare che il modus operandi dei soggetti del sistema tedesco di giustizia familiare contrasta con il superiore interesse del fanciullo, tutelato peraltro dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 20 novembre 1989 (in particolare, artt. 3, 8, 9, 11 e 12) e con i principi stessi che reggono l’Unione Europea, ad esempio in tema di cooperazione tra i Paesi membri28.



6. L’indifferenza (o l’opposizione): la Germania, la Commissione Europea



Ciononostante, le autorità tedesche continuano a mostrare per la questione un chiaro atteggiamento di opposizione, culminato nel rifiuto di partecipare ai lavori della Commissione Petizioni e del Gruppo di lavoro sopra menzionati, nonché nel diniego alla richiesta di fornire statistiche e dati in relazione al ruolo dello Jugendamt29. Certamente non aiuta ad individuare modalità di risoluzione o contenimento del problema creato dal sistema tedesco nel contesto comunitario l’ostinato, quanto formalistico, rifiuto di intervento opposto dalla Commissione Europea, la quale in ogni occasione tiene a ricondurre la materia in oggetto alla normativa nazionale30. Tuttavia, lo si ribadisce, la Commissione stessa ha dovuto ammettere che, ai fini degli strumenti di diritto europeo sulle obbligazioni alimentari, lo Jugendamt non è equiparabile ad un tribunale e che pertanto, le sue “decisioni unilaterali” non dovrebbero beneficiare delle norme del diritto europeo sul riconoscimento e sull’attuazione delle decisioni in materia di alimenti adottate dai tribunali degli Stati membri31; a dette affermazioni, però, non sono seguite sostanziali prese di posizione.



7. L’anomalia ed il cittadino europeo



È quasi superfluo evidenziare come la descritta situazione, anomala ed inaccettabile a livello comunitario, rischia di minare alla base qualsiasi progetto di reale unione europea, ma mentre si continuano ad attendere risposte soddisfacenti dalle istituzioni comunitarie e dai governi nazionali al problema rappresentato dal sistema tedesco di diritto di famiglia, e dallo Jugendamt in particolare, il cittadino europeo non tedesco, e segnatamente italiano, rischia di essere fagocitato – assieme ai propri diritti ed a quelli dei figli – dal sistema in parola, il quale, muovendosi costantemente sulla base del medesimo copione ed alla luce del distorto illustrato concetto di Kindeswohl, lo emargina e criminalizza ed in definitiva lo priva della relazione genitore/figlio. Trovandosi dinanzi al complesso ed estraneo apparato della giustizia familiare tedesca, il genitore italiano è, peraltro, pregiudicato dal divario esistente, quanto ad impostazione e poteri, tra le autorità centrali dei diversi Paesi europei, ed in particolare tra le autorità centrali italiana e tedesca32: mentre quest’ultima ha assunto un ruolo incisivo, ponendosi come filtro alle richieste di rimpatrio in arrivo e verificandone la correttezza formale e le motivazioni, l’autorità centrale italiana non si è resa parimenti protagonista. Tale diverso modo di procedere delle autorità centrali costituisce, pertanto, un rilevante elemento di discriminazione del genitore cittadino italiano che avanzi all’estero una richiesta di rimpatrio, rispetto a quello di altra nazionalità che avanzi la medesima richiesta nei confronti dell’Italia. Inoltre, la mancanza di un ruolo attivo dell’autorità centrale italiana nella verifica delle istanze di rimpatrio in arrivo in Italia comporta la trasmissione automatica delle stesse ai tribunali per i minorenni competenti a decidere, senza un preliminare controllo sull’autenticità e sulla veridicità delle traduzioni e sugli elementi posti alla base delle stesse, nonché sull’adempimento delle formalità di presentazione. A ciò si aggiunga l’assetto creato dalla legge 15 gennaio 1994 n. 64, con cui la Repubblica Italiana ha ratificato la Convenzione de L’Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, ed in particolare dall’art. 7, comma 4 della stessa. Prevedere, come fa detta norma, l’immediata esecutività del decreto pronunciato dai tribunali per i minorenni sulle richieste tendenti ad ottenere il ritorno del minore presso il genitore esercente di fatto l’affido, e l’impossibilità di sospendere la stessa tramite ricorso, comportano un immediato rimpatrio forzato del minore nel Paese richiedente, con le conseguenti difficoltà, e generalmente con l’impossibilità, pur in caso di ricorso vittorioso in Cassazione, nel ripristinare la situazione precedente alla pronuncia del decreto di rimpatrio, e dunque con il rischio di rendere ineffettiva la pronuncia della Corte di Cassazione. Inoltre, la previsione, quale mezzo di impugnazione, del solo ricorso per Cassazione, oltre a limitare l’accesso alla giustizia nei confronti di chi non sia in grado di affrontare le spese di tale dispendioso mezzo, ed a provocare un allungamento dei tempi di giudizio, non consente neppure un riesame nel merito della vicenda. Dal momento che la Convenzione de L’Aja non impone e non suggerisce né l’immediata esecutività del decreto né la possibilità di impugnarlo solo tramite ricorso in Cassazione né l’impossibilità di sospendere l’esecuzione del decreto in caso di presentazione del menzionato ricorso, e visto che gli altri Paesi firmatari, ed in particolare i Paesi di lingua tedesca, non hanno previsto condizioni parimenti restrittive, si è venuta così a creare una situazione iniqua nell’attuazione della Convenzione per i cittadini italiani rispetto ai cittadini non italiani, che certo non è tutelante nei confronti del minore ed è causa di discriminazione tra le richieste ricevute dall’Italia e quelle ricevute dagli altri Paesi firmatari33. Nel frattempo che, anche grazie ad eventi divulgativi come quello tenutosi lo scorso maggio, ma soprattutto tramite la sollecitazione a livello politico di prese di posizione incisive, l’opinione pubblica e gli addetti ai lavori prendono coscienza della necessità di interventi a protezione dei cittadini europei che si trovano a fronteggiare il sistema tedesco di diritto di famiglia, deve essere valorizzata la traduzione specializzata, la quale assurge a vero e proprio strumento di tutela34. Occorre, difatti, prendere consapevolezza dell’estrema diversità e peculiarità del sistema di giustizia familiare dei Paesi di lingua tedesca e la sua assenza di omologhi negli altri ordinamenti europei, ciò che comporta, ovviamente, la presenza in esso di concetti delineati da vocaboli la cui traduzione letterale in altre lingue non solo è inesatta ma foriera di fraintendimenti ed in definitiva di pesanti lesioni dei diritti dei cittadini non tedeschi. Difatti, attraverso traduzioni inadeguate, si finisce per sovrapporre ad istituzioni peculiari del sistema tedesco gli istituti presenti in altri ordinamenti, non comprendendo come il sistema tedesco sia strutturato in modo formale, preciso ed efficace al fine di attuare uno scopo che di lecito e ordinario non ha niente: favorire il trattenimento, in ogni caso, del minore in Germania, emarginando, criminalizzando ed impoverendo economicamente il genitore non tedesco o che non risiede in tale Paese35.



8. Conclusione (aperta)



Da tutto quanto sopra illustrato, discende che il sistema di giustizia familiare dei Paesi di lingua tedesca, ben lungi dall’essere frutto del caso o di stratificazioni normative, è stato consapevolmente e dettagliatamente strutturato in modo tale da perseguire le descritte finalità. Pertanto, ogni attesa di una riforma dall’interno del predetto sistema rischia di rivelarsi completamente vana. Occorre, invece, che il sistema tedesco di diritto di famiglia sia conosciuto dalla società civile e studiato a fondo dai giuristi e che le istituzioni comunitarie, ma anche i governi degli altri Paesi, si indirizzino verso prese di posizione incisive ed azioni effettive, allo scopo di fornire ai cittadini europei una protezione reale e non discriminatoria in materie di simile delicatezza. Ed in questo senso, un evento come quello che ha ispirato il presente scritto non può che essere accolto con favore, con l’auspicio e la convinzione che non rimarrà un’esperienza isolata, anche in considerazione del fatto che, successivamente allo stesso, il Parlamento Europeo ha adottato la risoluzione del 29 novembre 2018, menzionata in apertura del contributo. 34 Come evidenziato all’evento del 29 m

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