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La revoca dell'assegnazione della casa coniugale non può essere mai automatica ma è subordinata ad un giudizio di conformità all'interesse del minore - Corte cost. 30 luglio 2008, n. 308

Mercoledì, 30 Luglio 2008
Giurisprudenza | Assegnazione della casa


La Corte costituzionale ha preso posizione su uno degli aspetti più controversi della riforma in tema di affidamento condiviso dei figli in sede di separazione e divorzio. L'art. 155 quater c.c. introdotto dall'art. 1 comma 2 della legge 8 febbraio 2006, n. 54 dopo aver ribadito che l'assegnazione della casa familiare è disposta "tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli" prevede quattro ipotesi in cui "il diritto al godimento della casa familiare viene meno" e cioè il caso in cui l'assegnatario non abiti stabilmente in casa, cessi del tutto di abitarvi o vi inizi a convivere con altro partner o contragga un nuovo matrimonio. Immediatamente dopo l'entrata in vigore della riforma la dottrina e i giudici si sono interrogati sulla plausibilità costituzionale delle ultime due ipotesi. Ci si è chiesti se per caso non fosse in contrasto con i principi costituzionali in tema di tutela della famiglia e dei figli (art. 30 cost.) la previsione del "venir meno" dell'assegnazione. Due sono state le interpretazioni di questa norma. La prima che il "venir meno" stesse a significare la revoca di diritto dell'assegnazione. La seconda interpretazione negava invece ogni automatismo e suggeriva di considerare le situazioni indicate (convivenza more uxorio nell'abitazione assegnata e nuovo matrimonio del genitore assegnatario) come presupposti possibili di un giudizio di revoca. Era prevalsa quest'ultima interpretazione sintetizzata molto bene da un provvedimento del Tribunale di Napoli del 9 novembre 2006 (in Foro It. 2007, I, 302) che aveva affermato il seguente principio: In tema di divorzio, la revoca dell'assegnazione della casa coniugale all'ex coniuge con cui convive il figlio maggiorenne, ma non economicamente autosufficiente, non va disposta automaticamente, anche qualora l'abitazione sia di proprietà esclusiva dell'altro coniuge, e l'assegnatario ivi conviva stabilmente more uxorio con altra persona, in quanto deve sempre valutarsi, in via preminente, l'interesse del figlio, in funzione del quale l'abitazione è stata assegnata". Avevo anch'io aderito a questa interpretazione commentando le norme sull'affidamento condiviso per le quali avevo suggerito una interpretazione ragionevole. E credo che questa fosse anche l'opinione dei giudici che hanno sollevato la questione di costituzionalità della norma anche se, per evidenti motivi, hanno aderito formalmente alla prima delle due interpretazioni per poter sollevare il problema in sede di giudizio di costituzionalità. La questione è stata sollevata davanti alla Corte costituzionale dalla Corte d'appello di Bologna (ordinanza 22 febbraio 2007), dal tribunale di Firenze (ordinanze 11 gennaio 2007 e 9 giugno 2007) e dal tribunale di Ragusa (ordinanza 15 maggio 2007). Ma anche da altri (es. Tribunale di Busto Arsizio, ordinanza 25 ottobre 2006). Queste ordinanze hanno chiesto alla Corte di dichiarare incostituzionale l'art. 155 quater c.c. nella parte in cui imporrebbe la revoca automatica dell'assegnazione al verificarsi di una delle due situazioni di cui si è detto. La Corte costituzionale ha richiamato il principio generale secondo cui la dichiarazione di illegittimità di una norma è giustificata solamente dalla constatazione che non ne è possibile una interpretazione conforme alla Costituzione e ha dato alla norma l'interpretazione costituzionale che è quella di interpretare l'indicazione normativa "nel senso che l'assegnazione della casa coniugale non venga meno di diritto al verificarsi degli eventi di cui si tratta (instaurazione di una convivenza di fatto , nuovo matrimonio) ma che la decadenza dalla stessa sia subordinata ad un giudizio di conformità all'interesse del minore".

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