Pubblichiamo la
proposta per un codice deontologico dell'avvocato di famiglia che verrà presentata al prossimo Forum
Nazionale dell'associazione forense "Osservatorio Nazionale sul Diritto di Famiglia" a Roma il 20 e
21 novembre 2009.
Diritti delle persone e della famiglia. Le
responsabilità dell'avvocato.
Gli avvocati aderenti all'Osservatorio nazionale
sul diritto di famiglia riuniti in assemblea a Roma il 21 novembre 2009 in occasione del loro VIII
Forum nazionale, ritengono necessario richiamare l'attenzione di tutti i professionisti impegnati
nella cause di diritto di famiglia sulla necessità di ispirare il proprio comportamento a principi
rigorosi a salvaguardia dei diritti delle persone e della famiglia ed auspicano che un impegno in
questa direzione possa essere l'obiettivo congiunto di tutte le associazioni di avvocati
familiaristi. La fonte principale della deontologia in ambito forense è sempre stata soprattutto la
giurisprudenza disciplinare che circoscrivendo nel tempo i comportamenti commessi in violazione del
dovere generale di probità, dignità e decoro (art. 12 legge professionale) ha ispirato le norme
deontologiche codificate nel 1997 (e nelle successive modifiche). In questo lento processo di
codificazione della deontologia in ambito forense l'avvocatura ha avuto finora soprattutto una
funzione passiva. Le norme deontologiche si sono cioè andate precisando e costruendo come risposta
sanzionatoria a comportamenti dei professionisti contrari a dignità e decoro. I tempi sono maturi
per pensare anche ad una funzione attiva dell'avvocatura soprattutto nei settori sensibili, come
quello del diritto delle persone e della famiglia. Gli avvocati e le loro articolazioni associative
possono essere in grado di sollecitare la condivisione di comportamenti professionali (attivi od
omissivi) ai quali potrebbe essere attribuita oggi o nel tempo anche valenza di un dovere
deontologico. In tal modo il comportamento degli avvocati può influire attivamente sulla costruzione
di regole condivise e di norme deontologiche. Un esempio di questa possibile linea di sviluppo
delle regole deontologiche è costituito dal tema dell'audizione del minore. Alla domanda se un
avvocato possa avere colloqui con il figlio minore del proprio assistito senza l'autorizzazione
dell'altro genitore la legge, in verità, contiene già una regola (contenuta nell'art. 316 c.c.) che
consentirebbe di dare una risposta negativa ma nella prassi l'audizione del minore da parte dell
'avvocato di uno dei genitori nelle cause di separazione è un comportamento molto diffuso. E'
piuttosto evidente il rischio di strumentalizzazione insito in questo comportamento. Per questo è
giusto che sia stata in passato più volte indicata come regola comportamentale quella che l'ascolto
del minore da parte dell'avvocato di uno dei genitori è accettabile solo se avviene con l
'autorizzazione di entrambi i titolari della potestà sul minore. Altrimenti deve essere esclusa. Il
sistema disciplinare comincia a recepire questa indicazione (Cass. Sez. un. 4 febbraio 2009, n.
2637).
Gli avvocati aderenti all'Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia si atterranno
nell'esercizio della loro professione al rispetto di alcune regole comportamentali ed auspicano che in
futuro possa essere attribuita a molte di queste regole anche natura giuridica deontologica. Il
rapporto fiduciario che nel tempo si costruisce tra professionista e cliente ha certamente anche una
valenza deontologica (l'art. 7 del Codice prescrive infatti il dovere di fedeltà sanzionato anche con
una norma penale quale l'art. 380 c.p.) ma potrebbe porsi in potenziale dissonanza con altri doveri
anche previsti nel codice deontologico quale quello di indipendenza (art. 10) e quello di autonomia
(art. 36). E proprio nell'equilibrio tra questi doveri che è possibile individuare il comportamento
professionale più adeguato rispetto alle esigenze complessive poste da una causa di diritto di
famiglia. La prima regola da osservare per un buon equilibrio tra fedeltà ed autonomia è certamente
il dovere di competenza cui fa già ampio riferimento il codice deontologico. Non è accettabile che un
avvocato che intenda occuparsi di una causa di diritto di famiglia possa farlo senza avere competenza
adeguata. Non essere in grado di documentare l'acquisizione di competenze adeguate può essere
senz'altro considerata una violazione deontologica cui potrà collegarsi anche una responsabilità
civile ove il mandato abbia cagionato danno all'interessato o a terzi. Non può non
auspicarsi che tutti gli ordini forensi (non solo quelli distrettuali), con l'obiettivo di garantire
la formazione nel settore della difesa in ambito familiare e minorile, mettano in atto specifici
programmi di formazione per difensori curando la tenuta e l'aggiornamento degli elenchi di avvocati
anche d'ufficio cui attingere per la nomina. Diversa è, naturalmente la questione della
specializzazione che riguarda i criteri suppletivi che, rispetto alle competenze professionali
adeguate per assumere l'incarico, devono essere garantiti per poter assumere la qualifica di
specialista. E' importante che gli avvocati impegnati in una causa di diritto di famiglia sappiano
mantenere sempre alta la capacità di ridefinizione delle richieste del proprio cliente. Gli avvocati
partecipano alla giurisdizione a quella "attuazione dei fini di giustizia" di cui si parla nel
preambolo del codice deontologico. Si tratta di una funzione che va al di là di quella tradizionale di
"esperti". La capacità di ridefinizione è la capacità di valutazione della plausibilità e della
congruità di una domanda rispetto al contesto giuridico e giudiziario in cui deve essere proposta. La
violazione di questa norma comportamentale non è oggi considerata sanzionata come violazione
deontologica, ma è auspicabile che la sensibilità dell'avvocatura specialistica possa un giorno
consentire di leggerla come una violazione della regola generale di decoro e dignità del
professionista. E' necessario che nelle cause di diritto di famiglia gli avvocati tengano in
massima considerazione i legami familiari. Il contenzioso nel diritto di famiglia si ripercuote sui
legami familiari e parentali. Il sistema famiglia è una rete di scambi, legami e relazioni da cui
dipende l'equilibrio delle persone. Anche quando i legami sono patologici il problema è sempre quello
di passare da un equilibrio ad un altro. L'obiettivo è superare i legami non distruggerli. La
distruzione dei legami familiari è contraria agli interessi del proprio assistito e a quello dei
figli. Si possono distruggere legami familiari con una denuncia falsa di abusi sessuali, con
l'annientamento economico dell'altro, con comportamenti di alienazione genitoriale. La mancanza di
documentazione delle dichiarazioni del proprio assistito può certamente costituire violazione del
dovere deontologico di dignità, decoro e probità del professionista. Un avvocato non è mero portavoce
delle affermazioni del proprio cliente. In questa direzione l'illecito disciplinare deriverà dalla
semplice constatazione di un "difetto di documentazione", cioè che il difensore non ha a propria
disposizione nessuna documentazione che sorregga la tesi del proprio cliente. L'avvocato impegnato
in una causa di diritto di famiglia dovrebbe assumere un paradigma professionale interattivo al posto
di quello tradizionalmente contrappositivo. Se si assume questo punto di vista molti comportamenti
diventano quasi doverosi, anche se la violazione di questi comportamenti in assenza di norme che li
prevedano come dovuti non possono che restare nel campo delle scelte del professionista. Si
tratta quindi di semplici linee guida. La capacità di interagire con la controparte è in grado di
facilitare, ove possibile, la conciliazione, la consensualizzazione, la mediazione, anche nella
direzione auspicata dalle attuali deleghe legislative in materia di conciliazione delle controversie
civili. L'interazione con altri saperi professionali e con i servizi del territorio è un
obbligo per il giurista nel diritto di famiglia. L'avvocato del minore dovrà avere capacità di
interazione con il minore, con i suoi genitori, con i servizi del territorio.
Del tutto
lacunosa si presenta la deontologia nell'area del rapporto tra l'avvocato e il minore. Finora i minori
di età non sono stati oggetto diretto di tutela perché terzi rispetto al rapporto tra il
professionista e il cliente al quale la potestà disciplinare e il codice deontologico si sono sempre
riferiti e fermati. Di fronte a queste lacune è necessario suggerire il rispetto di alcune regole
alcune delle quali potrebbero fin da subito integrare le norme vigenti del codice deontologico come
canoni complementari, soprattutto dopo l'entrata a pieno regime delle norme sull'obbligo di nomina di
un avvocato al minore nei procedimenti civili sulla potestà e in materia di adottabilità con le quali
ha fatto ingresso nell'area civile la figura per certi versi inedita di difensore del minore. I
tempi sono maturi perché a queste regole si attribuisca fin da subito valenza di norme deontologiche.
Art. 6. Dovere di lealtà e correttezza I. In tutti i procedimenti civili o penali
concernenti la famiglia l'avvocato tiene in considerazione i legami familiari e il benessere fisico e
psicologico del proprio cliente e dei minori coinvolti nel procedimento. II. L'avvocato è tenuto
nelle procedure di affidamento di minori a rispettare sia il diritto del minore a mantenere rapporti
con entrambi i genitori dopo la separazione sia il diritto dei genitori a condividere le rispettive
responsabilità genitoriali . III. In tutti i procedimenti civili concernenti la famiglia o i minori
ove possibile l'avvocato è chiamato a tentare una soluzione concordata della vertenza, fermi restando
i vincoli deontologici relativi alla non utilizzabilità in giudizio della documentazione concernente
le trattative. Se il proprio assistito e la controparte acconsentono l'avvocato favorisce, anche
nel corso del giudizio, l'accesso del proprio assistito o dei propri assistiti a procedure di
conciliazione o di mediazione familiare delle situazioni conflittuali.
Art. 37. Conflitto di
interessi. Art. IV. L'avvocato del minore dovrà astenersi dall'assumere la difesa in successivi
procedimenti di diritto di famiglia di uno dei genitori del minore.
Art. 10. Dovere di
indipendenza Art. V. L'avvocato del minore può prendere contatto con i genitori del minore per
acquisire informazioni utili alla difesa del minore ma manterrà piena indipendenza rispetto ad
essi.
Inserire art. 52 bis. Rapporti con soggetti minori di età VI. L'avvocato di fiducia o
di ufficio del minorenne nei procedimenti penali o civili procede all'audizione del minore,
personalmente o avvalendosi di un esperto, previo consenso manifestato dal minore. Nel corso o in
occasione delle procedure di separazione, di divorzio o aventi ad oggetto l'affidamento dei figli
minori, all'eventuale audizione del minore che abbia sufficiente discernimento e che non manifesti
dissenso rispetto a tale adempimento possono procedere solo esperti incaricati dall'avvocato dei
genitori, dopo aver acquisito il consenso anche dell'altro genitore o dell'avvocato che lo
rappresenta. All'audizione del minore, se richiesto, procedono congiuntamente gli esperti
incaricati dai rispettivi avvocati. L'audizione è finalizzata al solo obiettivo della necessaria
conoscenza del vissuto del minore e delle sue aspirazioni complessive. Quando nel corso di una
procedura di separazione o di divorzio è disposta una consulenza tecnica d'ufficio sulla
regolamentazione dell'affidamento di un minore, il consulente tecnico di parte, senza il consenso
della controparte o del rispettivo legale, non potrà procedere all'audizione del minore prima
dell'audizione da parte del consulente tecnico d'ufficio. VII. L'avvocato non può produrre o
esibire in giudizio scritti o disegni del minore, salvo che l'autorità giudiziaria autorizzi la parte
che ne abbia fatto personale richiesta. È sempre possibile la produzione di scritti o disegni
provenienti dal minore quando la produzione è necessaria per avviare un procedimento penale o civile a
protezione del minore. VIII. L'avvocato non può comunicare il contenuto degli atti del giudizio al
minore ed è tenuto a richiedere al proprio assistito di astenersi dal rendere noti gli atti stessi al
proprio figlio minore.
Art. 56. Rapporti con i terzi IX. Nel corso di un procedimento
concernente minori l'avvocato si asterrà dall'esprimere pubblicamente o rilasciare interviste
relative al procedimento e al comportamento dell'autorità giudiziaria o degli operatori istituzionali
chiamati a collaborarvi.
autore: cesare fossati
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