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Impedire lo sbarco dei migranti costituisce illegittima restrizione della libertà personale. Cass. Civ., SSUU, Ord. 6 marzo 2025, n. 5992

Cass. SSUU civ. 6.03.25 n.5992 per visualizzare l'allegato è necessario autenticarsi

L’insussistenza di un provvedimento giudiziario o di una successiva convalida delle scelte governative è di per sé sufficiente ad affermare l’arbitrarietà del trattenimento dei migranti ai sensi dell’art. 5 CEDU, atteso che l’art. 13 della Costituzione prescrive il cumulativo soddisfacimento di entrambe le riserve, di giurisdizione e di legge, affinché possa dirsi integrata una legittima restrizione della libertà personale.  Nè può risultare sufficiente ragione di scriminazione della condotta, sotto il profilo della colpa, l’incertezza normativa in ordine alla individuazione dello Stato competente, né la pure consentita flessibilità sulle determinazioni da adottare al momento di individuare il POS e autorizzare allo sbarco, non potendo tale flessibilità comunque risultare esente da ragionevoli limiti temporali senza altrimenti tradursi di fatto in una misura restrittiva della libertà personale, intollerabile per l’ordinamento costituzionale e sovranazionale

 

Rif. Leg. Artt. 2043 e 2059 c.c.; Artt. 13, 24, 111 e 117 Cost.; Art. 5 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo; Art. 6 Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea; Artt. 7 e 14 Direttiva 2008/115/CE

 

Responsabilità civile della P.A. - Soccorso in mare di imbarcazione in zona SAR ─ Mancata autorizzazione all’attracco ─ Restrizione della libertà personale ─ Danni non patrimoniali

Il caso oggi all’esame della Suprema Corte è relativo alla richiesta di risarcimento dei danni non patrimoniali patiti dai migranti eritrei in  conseguenza della restrizione della libertà personale avvenuta a bordo della nave della Guardia Costiera italiana “U. Diciotti” dal 16 al 25 agosto 2018: nei primi quattro giorni a causa del mancato consenso all’attracco della nave nei porti italiani; nei successivi sei giorni, permesso l’attracco nel porto di Catania, a causa del mancato consenso allo sbarco sulla terra ferma.

Mentre il Tribunale ha dichiarato l’assoluta carenza di giurisdizione, ritenendo che i comportamenti censurati avessero la natura di atti politici, la Corte d’Appello di Roma ha respinto nel merito la domanda degli appellanti in difetto della colpa della pubblica amministrazione e, comunque, in mancanza di allegazione e prova del danno conseguenza.

La Corte di Cassazione preliminarmente esclude che il rifiuto dell’autorizzazione allo sbarco dei migranti soccorsi in mare protratto per dieci giorni possa considerarsi quale atto politico sottratto al controllo giurisdizionale.

Non vi è difetto assoluto di giurisdizione, e nemmeno relativo, in favore del giudice amministrativo.  

 

Le circostanze fattuali e le argomentazioni poste a sostegno della domanda dei migranti privano di fondamento il rilievo dell’insufficiente allegazione dei profili di colpa dell’amministrazione 

Nella fattispecie, la Corte territoriale non ha in alcun modo valutato se, al netto della discrezionalità attribuita alla P.A. e della flessibilità delle procedure di sbarco, potesse considerarsi comunque ragionevole il forzato trattenimento a bordo della nave protratto per dieci giorni.

Correlativamente, sotto il profilo della colpa attribuibile all’amministrazione come apparato, si trattava di valutare se potesse considerarsi oppure no ascrivibile a criteri di normale prudenza e diligenza il convincimento della tollerabilità di un tale prolungamento del trattenimento dei migranti soccorsi a bordo della nave. Tanto non è avvenuto.

 

Sul piano civilistico la valutazione della ingiustizia del danno è comunque destinata ad annullarsi ove la lesione attenga, come nella specie, a diritti della persona inviolabili e come tali non comprimibili né suscettibili di minorata tutela.

Il ricorso principale merita accoglimento anche in relazione alla rilevata insussistenza di prova di un danno-conseguenza.

In particolare, in ipotesi, quale quella di specie, di restrizione della libertà personale, i margini di un ragionamento probatorio di tipo presuntivo risultano particolarmente netti, soprattutto in considerazione della dimensione sostanzialmente soggettiva e interiore del pregiudizio di cui si chiede il risarcimento (danno morale).

Accolto il ricorso principale e rigettato quello incidentale condizionato, la Suprema Corte cassa la sentenza e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, anche ai fini delle spese del giudizio di legittimità. 

editor: Fossati Cesare