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Solo le sentenze definitive CEDU costituiscono presupposto per la revocazione. Cass. Civ., Sez. I, Ord. 24 dicembre 2024, n. 34315

Lunedì, 20 Gennaio 2025
Giurisprudenza | Processo civile | Legittimità
Cass. Civ., Sez. I, Ordinanza del 24.12.24, n. 34315 per visualizzare l'allegato è necessario autenticarsi

L'art. 391-quater c.p.c. richiede quale presupposto necessario, ma non sufficiente, per la revocazione di una decisione nazionale passata in giudicato che il contenuto di quest'ultima sia stato dichiarato contrario alla Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo da una sentenza definitiva di accertamento della violazione, resa dalla Corte Europea dei diritti dell'Uomo. Non è invece consentita la revocazione qualora la Corte Europea abbia assunto una decisione di cancellazione della causa dal ruolo ai sensi dell' art. 37 della Convenzione in relazione all'art. 62A del regolamento, meramente ricognitiva della presentazione di una dichiarazione di ammissione della avvenuta violazione da parte dello Stato italiano, e con la quale la Corte Europea si sia limitata a valutare la congruità del risarcimento offerto e a stabilire che non occorre proseguire l'esame del ricorso.

Rif. Leg. Art. 391-quater c.p.c; Artt. 6 e 8 CEDU

 

Revocazione per contrarietà alla Cedu – Diritto alla vita privata e familiare – Violazione - Decisorietà

 

Nel caso de quo, viene chiesta la revocazione di una sentenza della Corte di Cassazione che aveva respinto il ricorso avverso una decisione di merito, disattendendo tutte le censure del ricorrente relative tanto agli aspetti patrimoniali che a quelli del rapporto con la prole e in particolare quelle relative alla “delega in bianco” che sarebbe stata conferita ai Servizi Sociali, nonché disattendendo le altre censure relative alla utilizzabilità delle relazioni dei Servizi, non eseguite nel contraddittorio, e alle modalità con cui era stata eseguita la Consulenza Tecnica d'Ufficio.

Il ricorrente ha proposto ricorso anche alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo lamentando la violazione degli artt. 6 e 8 della Convenzione. Nel corso del giudizio, lo Stato italiano ha offerto un risarcimento oltre alle spese legali, rifiutato dal ricorrente. Lo Stato italiano ha quindi reso una dichiarazione unilaterale ai sensi dell'art. 62A del regolamento della Corte, che ha cancellato la causa dal ruolo ai sensi dell'art. 37 della Convenzione.

Oggi, la Suprema Corte, esaminando il testo dell'art 391-quater c.p.c., richiede, quale elemento indefettibile per il rimedio revocatorio, il requisito della decisorietà non soltanto con riferimento al provvedimento di cui si chiede la revocazione, ma anche con riferimento al provvedimento della Corte Europea che ne ha dichiarato la contrarietà alla Convenzione, ovvero  una sentenza (per di più definitiva) della Corte EDU che abbia accertato la violazione della Convenzione. 

Lo strumento processuale civile interno, così come disegnato dall'art. 391-quater c.p.c., non consente la revocazione di una decisione nazionale a seguito di cancellazione dal ruolo della causa promossa innanzi alla Corte EDU ai sensi dell'art. 37 della Convenzione in relazione all'art. 62A del regolamento, essendo presupposto necessario, ma non sufficiente, per la applicazione della norma in esame che la decisione nazionale sia stata dichiarata contraria alla Convenzione europea dei diritti dell'Uomo da una sentenza definitiva di accertamento della violazione.

Nel caso di specie, anche a voler prescindere dalla mancanza del requisito di base e cioè la sussistenza di una sentenza dichiarativa dell'avvenuta violazione della Convenzione, deve prendersi atto che non si tratta di causa attinente allo stato e capacità delle persone e che la somma riconosciuta a titolo di risarcimento del danno è stata ritenuta congrua in quanto pari a quella che in altri casi la Corte EDU ha accordato.

Al fine di dimostrare la sussistenza del requisito di cui al n.2 dell'art. 391 – quater c.p.c. la parte avrebbe dovuto allegare un pregiudizio idoneo a essere rimediato solo dalla revocazione della sentenza e non dall'indennizzo monetario. Inoltre, oggi una delle figlie è diventata maggiorenne (costituitasi con controricorso, e resistendo al ricorso del padre) e quindi un'eventuale riapertura del processo con riferimento all'affidamento e al diritto di visita non avrebbe alcun effetto per quanto riguarda la primogenita.

Ne consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

editor: Fossati Cesare