La convivenza dei coniugi per più di tre anni impedisce la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio. Corte d’Appello di Bari, sent. 4 dicembre 2024
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La convivenza “come coniugi”, protrattasi per almeno tre anni dalla data di celebrazione del matrimonio “concordatario” regolarmente trascritto è costitutiva di una situazione giuridica disciplinata da norme costituzionali, convenzionali ed ordinarie, di “ordine pubblico italiano” e, pertanto, anche in applicazione del principio supremo di laicità dello Stato, è ostativa – ai sensi dell’Accordo, con Protocollo addizionale, firmato a Roma il giorno 8.2.1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11.2.1929, tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede, reso esecutivo dalla legge 25 marzo 1985, n. 121 – alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica Italiana delle sentenze definitive di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, per qualsiasi vizio genetico del matrimonio accertato e dichiarato dal giudice ecclesiastico nell’“ordine canonico” nonostante la sussistenza di detta convivenza coniugale. In definitiva la convivenza dei coniugi, connotata dai suddetti caratteri e protrattasi per almeno tre anni dopo la celebrazione del matrimonio, in quanto costitutiva di una situazione giuridica disciplinata e tutelata da norme costituzionali, convenzionali ed ordinarie, di “ordine pubblico italiano”, osta alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica italiana delle sentenze canoniche di nullità del matrimonio concordatario.
Conf. Corte di Cass. S.U. 17 luglio 2014, n.16379
Rif. Leg. Art. 120 c.c.; Accordo, con Protocollo addizionale, firmato a Roma il giorno 8.2.984
Nullità del matrimonio – Delibazione sentenza ecclesiastica – Vizio del consenso al matrimonio
Davanti alla Corte d’Appello di Bari viene chiesta la delibazione della sentenza definitiva pronunciata dal Tribunale Ecclesiastico Regionale Pugliese che ha dichiarato la nullità del matrimonio per grave difetto di discrezione di giudizio da parte dell’attore (mancanza di libertà interna) circa i diritti e i doveri matrimoniali essenziali da dare e accettare reciprocamente (can. 1095 N. 2).
La domanda è ritenuta infondata e, pertanto, è stata respinta.
La Corte d’Appello si riporta alla giurispridenza della Corte di cassazione 27.5.2024 n. 14739, il cui contenuto e la cui motivazione vengono trascritti e condivisi in toto.
Nella fattispecie, il giudice ecclesiastico pugliese, svolta l’attività istruttoria, ha accertato la mancata costituzione di una comunione di vita e di amore tra i coniugi per via della forte conflittualità e della mancanza di armonia nella coppia.
Invero, la convivenza fra le parti, malgrado abbia registrato ciclici e contingenti situazioni di conflitto fra i coniugi si è, comunque, protratta per oltre otto anni di tempo e, in costanza di matrimonio, sono nati due figli, il secondo a distanza di quasi cinque anni dal primogenito, circostanza questa significativa di un rinnovato impegno all’incondizionata assunzione di un progetto di vita comune.
La prolungata convivenza ultratriennale dei coniugi integra una situazione giuridica di “ordine pubblico italiano”, ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal Tribunale ecclesiastico.
Peraltro, il vizio del consenso riscontrato in sede canonica (“forte livello di condizionamento emotivo e sociale”), così come il supposto disturbo post traumatico da stress conseguente all’infortunio stradale diagnosticato dal Ctp, non sono tali da essere sussumibili, “temporis celebrationis”, nella previsione di cui all’art. 120 c.c., ovvero non valgono ad integrare l’incapacità naturale del nubendo, la quale postula la prova che, a causa di un’infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo, nel momento in cui ha prestato il consenso all’assunzione dei diritti e dei doveri sponsali
Né, d’altra parte, risulta dimostrata l’esistenza di una riserva mentale, conosciuta o comunque oggettivamente conoscibile con l’uso dell’ordinaria diligenza dalla coniuge ovvero della quale la stessa moglie ha preso atto, circa l’altrui assunzione ed assolvimento degli obblighi derivanti dal matrimonio. Una pronunzia delibativa della sentenza ecclesiastica determinerebbe pertanto la lesione del principio fondamentale della buona fede e dell’affidamento incolpevole della convenuta, quale situazione ostativa alla delibazione per contrarietà all’ordine pubblico italiano.
editor: Fossati Cesare
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