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No alla “messa alla prova” per il minore non animato da autentica volontà di ravvedimento. Corte d’Appello di Milano, Sent. 26 giugno 2024

Venerdì, 13 Settembre 2024
Giurisprudenza | Minori | Diritto penale minorile | Merito
C.d.A. Milano, Est. Arceri, sent. 26.06.2024 per visualizzare l'allegato è necessario autenticarsi

Nel contesto di un progetto di intervento che il Giudice, con la collaborazione dei servizi minorili dell’amministrazione della giustizia e dei servizi socio-assistenziali, redige specificandone le modalità di attuazione, l'istituto della "messa alla prova" e la relativa sospensione del processo per controllarne l'esito non possono prescindere dall’effettivo e convinto impegno dell'incolpato nel percorso di recupero, occorrendo che sia possibile formulare una previsione per cui, per il tramite del virtuoso adempimento delle prescrizioni, l’imputato – aderendovi e comprendendone le ragioni -  riesca a modificare le proprie caratteristiche personologiche.

 

Conf. Cassazione penale sez. II, 18/03/2021, n.15588

 

Rif. Leg. Artt. 61,110, 133, 577, 582, 582,628; Art. 4, comma 2, Legge 110/1975; Art. 1209 c.c.

 

Rapina / Danneggiamento – Messa alla prova – Riparazione del danno – Trattamento sanzionatorio

 

Confermata la corretta qualifica del reato commesso dall’imputato in termini di rapina, piuttosto che di danneggiamento, in considerazione della corretta lettura della nozione di profitto come resa dalla giurisprudenza di legittimità, la Corte d’Appello di Milano rigetta anche il secondo profilo di gravame, ritenendo che, nel caso di specie, il Giudice di prime cure, lungi dall’avere acriticamente recepito le valutazioni negative espresse dai Servizi Sociali, abbia in modo logico e convincente motivato il proprio pensiero circa la non praticabilità di un percorso di “messa alla prova” nei confronti  dell’imputato, che mai, in effetti, ha aderito con reale convinzione al percorso propostogli, anzi percepito come una indebita intromissione del sistema nella propria vita privata, in ciò spalleggiato dalla famiglia di origine.

Difetta, nell’imputato, la capacità di rendersi conto del disvalore e delle conseguenze dei propri agiti e di percepire l’impegno richiesto come indispensabile passaggio per un recupero della devianza, anziché come un fastidioso incombente necessario per ottenere vantaggi personali. E ciò nonostante i rimandi, apparentemente favorevoli, rappresentati all’impegno lavorativo e scolastico del ragazzo.

Quanto poi all’offerta di risarcimento alla vittima, la Corte rileva che, nel caso che occupa, oltre a non essere intervenuta con le modalità previste dall’art. 1209 c.c., la somma offerta, palesemente incongrua, è stata legittimamente rifiutata dalla vittima. La doglianza pertanto risulta infondata.

Infine viene riscontrata effettivamente una non adeguatamente motivata disparità di trattamento sanzionatorio tra il coimputato, giudicato separatamente, e l’appellante, nonostante gli stessi siano stati concorrenti nelle medesime fattispecie di reato, senza che, ad alcuno di essi, sia stata attribuibile l’esclusiva ideazione della spedizione punitiva, e senza che il severo trattamento sanzionatorio riservato all’appellante sia ancorato a valutazioni in ordine ad un ruolo “egemone” ricoperto nell’aggressione, alla personalità o ad altre caratteristiche soggettive tali da giustificare una valutazione del fatto in termini di maggiore gravità della sua condotta concorsuale,  ex art. 133 c.p.

 

editor: Fossati Cesare