Assegno divorzile. Non sindacabili in Cassazione censure sul merito del giudizio - Cass. Civ. Sez. I, ord. 14 dicembre 2022 n. 36559
La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando pur se graficamente esistente ed, eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull'esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111 comma 6 Cost.
In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell'art. 2697 c.c. si configura soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell'art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall'art. 116 c.p.c.
Nel quantificare l'assegno di divorzio, il giudice non è tenuto prendere in considerazione tutti, e contemporaneamente, i parametri di riferimento indicati dall'art. 5 della l. n. 898 del 1970, ma può anche prescindere da alcuni di essi, dando adeguata giustificazione delle sue valutazioni, con una scelta discrezionale non sindacabile in sede di legittimità. (VC)
Processo civile – Assegno di divorzio – Rif. Leg. art. 2697 cod. civ.; artt. 115, 116 e 360, comma 1 n. 5 cod. proc. civ.; art. 111 Cost.; art. 5 Legge 1 dicembre 1970 n. 898.
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editor: Cianciolo Valeria
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