Risarcimento del danno e vittimizzazione secondaria: in sede civile prevale la tutela della vittima. Corte d'Appello di Ancona, 12 ottobre 2021
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Un caso emblematico di valutazione in sede civile della violenza domestica nel giudizio di separazione, nel quale peraltro si evidenzia l'illogica attuale frammentazione delle competenze giurisdizionali.
Il soggetto violento, pur consapevole dei suoi agiti, non ha posto rimedio alla sua patologia (disturbo dell'adattamento).
I maltrattamenti verso la moglie e verso il figlio disabile risultano significativamente gravi in quanto provocano in quest'ultimo l'aggravarsi dei disturbi di personalità.
Irrilevante che i fatti siano stati oggetto di archiviazione in sede penale. Nel civile prevale la tutela della vittima, rileva anche la colpa nella condotta e la prova può attestarsi sulla maggiore probabilità secondo l'id quo plerumque accidit.
L’autore delle violenze va condannato al risarcimento del danno in favore delle vittime. La domanda che era stata ritualmente introdotta in giudizio, rigettata dal giudice di prime cure, ma giustamente coltivata in secondo grado e qui accolta.
Trattasi di azione di danno endofamiliare che la giurisprudenza maggioritaria considera inammissibile in sede di separazione per via del rito asseritamente speciale, ma che qui trova pieno accoglimento.
La trattazione unitaria della domanda di risarcimento danni nell'ambito della stessa causa di separazione risponde anche ad esigenze di economia e giusto processo, più che degne di considerazione, vertendosi nella fattispecie in situazioni di rilievo penale.
La domanda di danni è dunque fondata sia con riferimento alle condotte del coniuge lesive della incolumità psicofisica poste in essere nel corso della convivenza matrimoniale, sia con riferimento al danno all'onore e dignità di donna e madre.
Sussiste inoltre il danno conseguente alla vittimizzazione secondaria liquidato separatamente: le conseguenze che la vittima patisce nella violenza di genere o intramuraria nella fase successiva alla denuncia alle autorità, a causa della scarsa o nulla sensibilità e attenzione da parte degli operatori o delle Agenzie di controllo, determinando una condizione di ulteriore sofferenza psicologica.
Talvolta accade che le madri se non denunciano subito i padri violenti vengano considerate poco tutelanti e subiscano perfino delle limitazioni alla potestà; se denunciano tempestivamente i rapporti vengono catalogati come conflittuali con rinuncia aprioristica a verificare le ragioni di fondo.
Grave infine il travisamento della realtà emerso nelle valutazioni effettuate nelle relazioni degli assistenti sociali.
Rilevante anche il profilo della lealtà processuale: nell'ambito della propria attività difensiva, l'avvocato deve e può esporre le ragioni del proprio assistito con fermezza. Tuttavia il diritto della difesa incontra un limite insuperabile nella necessità di mantenere un rapporto improntato a dignità e civile convivenza, e nel diritto della controparte a non vedersi offeso o svilito, tanto più quando la controparte è il proprio coniuge.
Ci sono valori familiari da rispettare a tramandare, nell'interesse della prole.
Rif. Leg.: art. 2043 c.c. - 709-ter c.p.c.
* Si ringrazia l'avv. Valentina Lo Bartolo, associata Ondif sezione pesarese.
autore: Fossati Cesare
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