
Perché alcuni Tribunali continuano ad applicare l’interdizione? di Valeria Cianciolo
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La recente sentenza del Tribunale di Lagonegro lascia il sale in bocca.
Nel caso di specie l'esame della donna interdetta nel 2005, a dire del Tribunale “non consente certamente di ritenere che la condizione di incapacità fisio-psicologica che affligge…sia venuta meno. La stessa, infatti, si è manifestata non in grado di deambulare autonomamente, e non pienamente in grado di udire le domande postele (almeno dalla distanza di circa due metri alla quale l'ascolto si è svolto, in ossequio alle prescrizioni imposte dal distanziamento sociale dovuto alla pandemia da Covid-19 tuttora in corso); ha ricordato la propria data e il luogo di nascita, ma ha manifestato di non conoscere la data odierna, di non ricordare se è sposata - salvo poi dichiarare di esserlo stato, ma di essere attualmente vedova -, se ha figli oppure no…”.
Il Tribunale ha ritenuto di non considerare cessati i presupposti per l’applicazione dell’istituto dell’interdizione, non valutando, alla luce del mutato quadro normativo in materia di ‘‘misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia’’ e dei principi sanciti dalla legge 9 gennaio 2004 n. 6, la misura di tutela che sarebbe risultata certamente più opportuna nel caso, ossia la nomina di un amministratore di sostegno. Il provvedimento sembra confermare come sia marcato ancora l’ orientamento che ravvisa nella gravità dell’infermità, il criterio al fine di applicare l’interdizione giudiziale, in luogo dell’amministrazione di sostegno.
Valeria Cianciolo
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