
La reversibilità all'ex coniuge deve essere riconosciuta con gli stessi criteri definiti dall'art. 5 l. 898/1970. Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 28 settembre 2020, n. 20477
Il presupposto per l'attribuzione del trattamento di reversibilità a favore del coniuge divorziato si rinviene nel venir meno del sostegno economico apportato in vita dall'ex coniuge scomparso e la sua finalità nel sopperire a tale perdita economica, così identificando la "titolarità" dell'assegno nella fruizione attuale, da parte del coniuge divorziato, di una somma periodicamente versata dall'ex coniuge come contributo al suo mantenimento. Appare evidente che, se la ratio dell'attribuzione del trattamento di reversibilità al coniuge divorziato è da rinvenirsi nella continuazione del sostegno economico prestato in vita all'ex coniuge, non può considerarsi all'uopo decisivo un trattamento determinato in misura minima o anche meramente simbolica. E' necessario piuttosto che il trattamento attribuito al coniuge divorziato possieda i requisiti tipici previsti dall'art. 5 della legge n. 898/1970, ovvero, e più precisamente, che esso sia idoneo ad assolvere alle finalità di tipo assistenziale e perequativo-compensativa che gli sono proprie, di talché, pur non mettendo necessariamente capo ad un contributo volto al conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, consenta tuttavia all'ex coniuge il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, riconoscendogli in specie il ruolo prestato nella formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.
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Il presupposto per l'attribuzione del trattamento di reversibilità a favore del coniuge divorziato si rinviene nel venir meno del sostegno economico apportato in vita dall'ex coniuge scomparso e la sua finalità nel sopperire a tale perdita economica, così identificando la "titolarità" dell'assegno nella fruizione attuale, da parte del coniuge divorziato, di una somma periodicamente versata dall'ex coniuge come contributo al suo mantenimento. Appare evidente che, se la ratio dell'attribuzione del trattamento di reversibilità al coniuge divorziato è da rinvenirsi nella continuazione del sostegno economico prestato in vita all'ex coniuge, non può considerarsi all'uopo decisivo un trattamento determinato in misura minima o anche meramente simbolica. E' necessario piuttosto che il trattamento attribuito al coniuge divorziato possieda i requisiti tipici previsti dall'art. 5 della legge n. 898/1970, ovvero, e più precisamente, che esso sia idoneo ad assolvere alle finalità di tipo assistenziale e perequativo-compensativa che gli sono proprie, di talché, pur non mettendo necessariamente capo ad un contributo volto al conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, consenta tuttavia all'ex coniuge il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, riconoscendogli in specie il ruolo prestato nella formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.
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