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Michela Labriola. Processo nei confronti di Marco Cappato per il suicidio assistito di Dj Fabo

Giovedì, 15 Febbraio 2018
Dottrina | Testamento biologico | Merito Sezione Ondif di Bari

In attesa della decisione della Consulta della Corte Costituzionale che «determinerà un precedente giurisprudenziale importante per tutte le persone che nelle condizioni di Fabiano desiderano accedere al suicidio assistito e non vogliono giuridicamente coinvolgere i propri cari o altri che potrebbero aiutarli in questo percorso che li porterà in Svizzera» come afferma Filomena Gallo dell'Associazione Luca Coscioni, coordinatrice della difesa di Cappato, alcune considerazioni.

All'udienza penale del 14 febbraio 2018, tenutasi davanti alla Corte di Assise di Milano, Sez. I, nessun provvedimento di condanna o di assoluzione è stato emesso relativamente alla nota questione che ha visto coinvolto, in sede penale, il sig. Marco Cappato imputato del reato previsto dall'art. 580 cp che punisce severamente «Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione». La Procura della Repubblica ha, infatti, sollevato questione di legittimità costituzionale in relazione alla sola parte in cui l'art. 580 c.p.c. incrimina la condotta di partecipazione "fisica" o "materiale" al suicidio altrui senza escludere la rilevanza penale della condotta di chi aiuta il malato terminale o irreversibile a porre fine alla propria vita, quando il malato stesso ritenga le sue condizioni di vita fonte di una lesione al suo diritto alla dignità.

Come è noto, il Senato ha ultimato, in data 14 dicembre 2017, in Commissione, l'esame della proposta di legge sul c.d. testamento biologico, Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT), ma ha lasciato del tutto aperta la tematica relativa alla eutanasia o suicidio assistito. Prendere le distanze dal pensiero del dolore è la modalità più frequente per sentirsi non attinti dal senso di finitezza. Con un pensiero quasi rivoluzionario, visto il contesto, Papa Francesco ha affermato come il malato non vada mai abbandonato, ma le cure non devono sfociare nell'accanimento terapeutico, ed ha sollecitato chi amministra le cure ad un "supplemento di saggezza", in quanto è «moralmente lecito rinunciare all'applicazione di mezzi terapeutici, o sospenderli, quando il loro impiego non corrisponde a quel criterio etico e umanistico che verrà in seguito definito "proporzionalità delle cure"». Gli eccessivi interventi di medicalizzazione, che col tempo si sono dotati di strumentazione tecnologica sempre più perfezionata, non rispondono al bisogno di una cura umanizzata; al malato terminale dovrebbe potersi consentire un dialogo col medico, per affrontare con lui la realtà della malattia senza essere attinto dal terrore e dal senso di abbandono oltre a consentirgli la facoltà di scegliere di porre termine alla drammatica irreversibilità del dolore. Insomma un'autodeterminazione che consenta di scegliere liberamente una morte dignitosa. Le nozioni di cura e di sollievo della sofferenza hanno attraversato strade impervie prima di poter approdare ad una legislazione ed una giurisprudenza che autorizzasse una dispensa all'accanimento terapeutico, non solo sotto il profilo etico e deontologico, ma anche sotto l'aspetto della esclusione della responsabilità giuridica del medico. Tuttavia, la attuale legislazione vuole confortare i cittadini sul rischio che non vi sia una "ricaduta eutanasica" in senso stretto qualora si opti per l'astensione dall'accanimento terapeutico attraverso l'omissione delle cure o terapie utili al paziente, anticipando la morte naturale di una persona. Benché si voglia tacer d'altro e cioè su quanti compromessi siano presenti a monte di decisioni normative così delicate, non va dimenticato quanto l'ipotesi di accompagnamento alla morte sia rispettosa della previsione deontologica per cui "il medico non può abbandonare il malato ritenuto inguaribile, ma deve continuare ad assisterlo anche al solo fine di lenirne la sofferenza fisica e psichica". Non dissimili presupposti dovrebbe avere una auspicabile previsione legislativa nella diversa ipotesi del c.d. suicidio assistito che consiste nell'azione di un medico che aiuta una persona ad affrontare il suicidio, sulla base di una richiesta volontaria, procurandole i farmaci che la persona stessa si autosomministrerà. La Procura di Milano sottolinea come la compatibilità tra questi tre profili di intervento sul malato, quello medico, quello etico e di diritto, vada letta alla luce di principî costituzionali quali quelli dettati dagli articoli 2 «i diritti inviolabili dell'uomo singolo e in società», 3 la rimozione degli «ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana», 13 la inviolabilità della libertà e 32 per cui «[..] nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario se non per disposizione di legge (TSO). La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Di conseguenza, nulla dovrebbe distinguere le due ipotesi, quella della sospensione delle terapie, prevista dall'ultima legge e la possibilità concessa al malato di poter autodeterminare la propria fine attraverso la somministrazione di farmaci. L'eliminazione della sanzione penale per chi assista il malato sarebbe assolutamente conforme all'art. 1° della DU dei diritti dell'uomo per cui «tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti» e all'art. 3 «ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona». Benché la gestione delle end-of-decision ottiene, con questa legge sul c.d. biotestamento, un riconoscimento della volontà futura consentendo al malato di uscire dal cono d'ombra per assumere un ruolo di protagonista della sua salute, proprio la esclusione della legittimità delle pratiche eutanatistiche la rendono, per alcuni aspetti, contraria al dettato costituzionale. Si palesa come, attualmente, il coordinamento tra autonomia del paziente - sulla opzione di vita-morte - e sistema giuridico, sia, in realtà, improntato ad una visione della vita come bene indisponibile, il che comporta l'assunzione, da parte del medico, della posizione di garante della salute altrui. Il malato ha diritto ad una «morte naturale», ove possibile, anche se a causa della sospensione delle cure mediche la fine dovesse giungere prima del previsto. La pietra angolare, di origine costituzionale, ma anche comunitaria, su cui costruire un nuovo paradigma sull'autodeterminazione sulle scelta finale, è l'utilizzo adeguato delle parole dignità e libertà.

autore: Fossati Cesare