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Assegno di divorzio. Il punto di vista dell'Avv. Gianfranco Dosi.

Giovedì, 21 Settembre 2017
Notizie | Separazione e divorzio

Come reagire al fatto che ... La prima sezione della Corte di Cassazione fa quadrato intorno all'interpretazione dei presupposti per l'assegno di divorzio: una questione di particolare importanza su cui non intende richiedere l'intervento delle Sezioni Unite.


Contro l'ostinazione della prima sezione può essere utile ricordare il secondo e il terzo comma dell'art. 376 c.p.c. secondo cui

"La parte, che ritiene di competenza delle sezioni unite un ricorso assegnato a una sezione semplice, può proporre al primo presidente istanza di rimessione alle sezioni unite, fino a dieci giorni prima dell'udienza di discussione del ricorso.

All'udienza della sezione semplice, la rimessione può essere disposta soltanto su richiesta del pubblico ministero o d'ufficio, con ordinanza inserita nel processo verbale".

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La prima sezione della Cassazione ha deciso improvvisamente negli ultimi mesi di abbandonare per il divorzio il riferimento al pregresso tenore di vita quale parametro finalizzato all'attribuzione dell'assegno, agganciando il diritto del coniuge richiedente al parametro dell'indipendenza economica, suggestivamente definito "criterio dell'autoresponsabilità" (Cass. civ. Sez. I, 10 maggio 2017, n. 11504). Le posizioni espresse da questa sentenza erano ben note per essere comparse, a firma dello stesso relatore della sentenza, nella rivista Questione giustiziadell'11 marzo 2016, con il titolo "L'assegno divorzile e il dogma della conservazione del tenore di vita matrimoniale".

Nonostante la discutibilità della decisione e della motivazione – che ha suscitato solo perplessità e  dissensi nel foro e in dottrina -  la prima sezione della Cassazione ha insistito su questa linea interpretativa (Cass. civ. Sez. VI – 1, 29 agosto 2017, n. 20525 che ha ribadito gli stessi principi e Cass. civ. Sez. VI – 1, 9 agosto 2017, n. 19920 che ha rimesso alla prima sezione in seduta pubblica un ricorso che ripropone lo stesso tema).

L'interpretazione finora vivente dell'art. 5, comma 6, della legge sul divorzio secondo cui l'attribuzione del diritto all'assegno divorzile è subordinata al fatto di non avere redditi "adeguati a mantenere tendenzialmente il tenore di vita goduto nel corso della convivenza matrimoniale", si deve a Cass. civ. Sez. Unite, 29 novembre 1990, n. 11490. Si tratta dell'unica interpretazione ragionevole perché – a differenza di quella oggi proposta dalla prima Sezione (che propone uno sbarramento radicale nella fase preliminare dell'accertamento del diritto) – contiene in sé la possibilità di garantire che in fase di quantificazione dell'assegno siano eliminate le possibili storture e le possibili rendite parassitarie.

 Nonostante, però, la richiesta da più parti avanzata (anche dal Procuratore generale all'udienza pubblica) di rimettere la questione alle Sezioni Unite per una doverosa verifica (confermativa o modificativa) dei principi affermati su una così indubbia "questione di particolare importanza" (art. 374, secondo comma) - anche per i suoi incommensurabili riflessi sociali - la prima sezione dichiara (espressamente nella sentenza 11504/2017) che non intende confrontarsi con le Sezioni Unite, ostinandosi a condurre da sola una rivoluzione che i giudici di merito non possono esimersi dall'attuare in quanto alla Cassazione l'art. 65 dell'Ordinamento giudiziario attribuisce la funzione di assicurare l'uniforme interpretazione della legge.

L'ostinazione della prima Sezione è contra legem in quanto il secondo comma dell'art. 374 c.p.c. dopo aver affermato che "il primo presidente può disporre che la Corte pronunci a sezioni unite sui ricorsi che presentano una questione di diritto già decisa in senso difforme dalle sezioni semplici, e su quelli che presentano una questione di massima di particolare importanza" prescrive testualmente che "Se la sezione semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso".

Poiché la Prima Sezione della Cassazione non ha alcuna intenzione di adeguarsi al dettato normativo e non intende rimettere la questione alle Sezioni Unite, non resta che auspicare che siano gli avvocati a richiederlo.

La norma di riferimento è il secondo comma dell'art. 376 c.p.c. secondo cui  "La parte, che ritiene di competenza delle sezioni unite un ricorso assegnato a una sezione semplice, può proporre al primo presidente istanza di rimessione alle sezioni unite, fino a dieci giorni prima dell'udienza di discussione del ricorso"

Utilizziamo questa norma per vincere le resistenze della prima sezione della Cassazione.

avv. Gianfranco Dosi.

autore: Fossati Cesare