Il convivente superstite non ha titolo per occupare l'abitazione. Cassazione 27 aprile 2017 n. 10377
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Alla morte del convivente proprietario della casa, la compagna chiede il riconoscimento del suo diritto a conservare il godimento dell'abitazione nei confronti degli eredi.Sostiene la ricorrente che l'evoluzione sociale, in uno con quella giurisprudenziale e legislativa, abbia condotto al riconoscimento al convivente, non titolare di diritti reali o relativi sull'immobile
destinato ad abitazione della coppia, della titolarità di una relazione
con il bene qualificata come detenzione autonoma, tale da legittimare
il godimento del bene anche dopo il decesso del convivente.Invero la
convivenza "more uxorio", quale formazione sociale che dà
vita ad un autentico consorzio familiare, può al più assumere
i connotati tipici di una detenzione qualificata e consentire di esperire
l'azione di spoglio contro una estromissione
violenta o clandestina dell'unità abitativa, compiuta da terzi e
finanche dal convivente proprietario in danno del convivente non
proprietario.Tale tutela sussiste solo in quanto e finché duri il titolo dal quale proviene, vale a dire la convivenza more uxorio. Venendo a cessare quest'ultima, anche per morte del convivente, si
estingue anche il diritto avente ad oggetto la detenzione qualificata
sull'immobile.Una protrazione della relazione di fatto tra
il bene ed il convivente (già detentore qualificato) superstite,
potrà ritenersi legittima soltanto in base: a) alla eventuale
istituzione del convivente superstite come coerede o legatario
dell'immobile in virtù di disposizione testamentaria; b) alla
costituzione di un nuovo e diverso titolo di detenzione da parte
degli eredi del convivente proprietario. La rilevanza sociale della convivenza non può incidere sui legittimi diritti spettanti ai terzi sull'immobile, salvo espressa previsione legislativa (vedi legge unioni civili e convivenze, non applicabile ratione temporis al caso di specie).
autore: Fossati Cesare
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