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Non c'è risarcimento del danno per mancato versamento del mantenimento, se non è la figlia ad intraprendere l'azione in proprio. Cassazione sentenza n° 32478 del 26 luglio 2016.

Giovedì, 28 Luglio 2016
Giurisprudenza | Separazione e divorzio | Legittimità
Cassazione sentenza n° 32478 del 26 luglio 2016. per visualizzare l'allegato è necessario autenticarsi

Condanna in sede di merito per il reato di cui all'art. 570 c.p.per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza alla figlia minore, nata dalla relazione con una donna straniera con cui non era sposato, omettendo di corrispondere alla di lei madre l'assegno a titolo di alimenti stabilito da due sentenze dell'autorità giudiziaria tedesca, riconosciute in Italia.
 
La donna, si era costituita parte civile nel processo in cui l'uomo era stato condannato, lamentando danni morali e materiali a causa della sua condotta, in particolare per lo stress derivato dal turbamento e dal rifiuto nei confronti della figlia, tali da incidere nella sfera della vita sociale della stessa.
 
Per gli Ermellini è fondato il motivo di ricorso teso a far rilevare l'intervenuta prescrizione del reato ascritto, effettivamente e da lungo tempo maturata stante il riferimento compiuto dalle sentenze tedesche al raggiungimento della maggiore età della figlia, con termine finale dell'obbligo alimentare fissato al 17 agosto 2007 da cui sarebbe iniziato a decorrere il termine di prescrizione spirato il 16 febbraio 2015, dunque prima della sentenza impugnata.
 
Inoltre, l'atto di costituzione quale parte civile della donna quale persona offesa dal reato, in quanto soggetto cui è mancato il sostentamento della legge, evidenzia come la madre abbia agito in proprio e non certo in nome e per conto della figlia, che del resto, in quanto all'epoca già maggiorenne avrebbe dovuto conferirle procura ad hoc di cui non vi è traccia in atti.
 
In sostanza, la donna avrebbe agito allo scopo di far valere le conseguenze per sé pregiudizievoli derivatele, peraltro, non già dal mancato adempimento dell'obbligo economico posto a carico dell'imputato, alla base della condotta penalmente rilevante della quale lo stesso è stato chiamato a rispondere in seno al processo, bensì "dal turbamento e dal rifiuto nei confronti della figlia tali da incidere nella sfera della vita sociale della stessa".
 
Per gli Ermellini, questa rappresenta una domanda risarcitoria che, in quanto avulsa dalla contestata condotta di reato, si connota come affetta da inammissibilità che può essere dichiarata anche con la sentenza che definisce il giudizio, essendo sempre consentito al giudice il controllo si presupposti di legittimità formale e sostanziale per l'esercizio dell'azione civile in sede penale.

autore: Zadnik Francesca