Convivenza e risarcimento del danno da uccisione (Cass. civ., sez. III, 16 giugno 2014, n. 13654).
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Il risarcimento del danno da uccisione di un prossimo congiunto spetta non solo ai membri della famiglia legittima, ma anche a quelli della c.d. famiglia naturale, a condizione che si dimostri l'esistenza di uno stabile e duraturo legame affettivo che, per la significativa comunanza di vita e di affetti, sia equiparabile al rapporto coniugale.
Cass. civ., sez. III, 16 giugno 2014, n. 13654
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE
TERZA CIVILE
Composta
dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott.
CARLEO Giovanni - Presidente
Dott.
AMBROSIO Annamaria - Consigliere
Dott.
D'AMICO Paolo - Consigliere
Dott.
SCRIMA Antonietta - Consigliere
Dott.
CIRILLO Francesco Maria - rel. Consigliere
ha
pronunciato la seguente:
SENTENZA
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
1.
(OMISSIS), in proprio e nella qualita' di rappresentante del proprio
figlio minore (OMISSIS), cito' a giudizio, davanti al Tribunale di
Milano, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e, sul
presupposto di essere stata convivente del noto stilista (OMISSIS),
chiese che tutti i convenuti, condannati in sede penale per il
delitto di omicidio premeditato del medesimo, fossero condannati in
suo favore al risarcimento dei danni conseguenti.
Si
costitui' in giudizio la sola (OMISSIS), chiedendo il rigetto della
domanda, mentre gli altri convenuti rimasero contumaci.
Il
Tribunale accolse la domanda e condanno' tutti i convenuti, in
solido, al pagamento in favore dell'attrice della somma di euro
692.758,30 in moneta attuale, di cui euro 200.000 per danni non
patrimoniali ed euro 492.758,30 per danni patrimoniali, oltre
interessi e con il carico delle spese; respinse l'analoga domanda
risarcitoria proposta dalla (OMISSIS) nella qualita' di legale
rappresentante del figlio.
2.
Proposto appello da (OMISSIS), nella qualita' di tutrice e legale
rappresentante della (OMISSIS), la Corte d'appello di Milano, con
sentenza del 17 marzo 2008, ha rigettato l'appello, ha confermato la
pronuncia di primo grado ed ha posto a carico dell'appellante le
ulteriori spese del grado.
Ha
osservato la Corte territoriale che la sentenza di primo grado
meritava conferma sia in ordine al riconoscimento, in astratto, del
diritto del convivente more uxorio al risarcimento dei danni
conseguenti all'uccisione del partner sia in ordine alla
dimostrazione, da parte della (OMISSIS), che il suo regime di
convivenza con (OMISSIS) fosse in tutto rispondente ai requisiti
individuati dalla giurisprudenza come indicatori di una convivenza di
tipo paraconiugale.
Allo
stesso modo, la sentenza meritava conferma in ordine alla sussistenza
della piena capacita' di intendere e di volere della (OMISSIS) nel
momento dell'omicidio, e cio' sulla base della copiosa consulenza
tecnica espletata in sede di processo penale; nonche' sotto il
profilo dell'entita' del danno risarcibile, dovendosi riconoscere
alla (OMISSIS) il diritto al risarcimento del danno sia patrimoniale
che non patrimoniale.
3.
Contro la sentenza della Corte d'appello di Milano propone ricorso
(OMISSIS), nella qualita' di tutrice e legale rappresentante della
(OMISSIS), con atto affidato a due motivi.
(OMISSIS)
non ha svolto attivita' difensiva in questa sede.
MOTIVI
DELLA DECISIONE
1.
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento
all'articolo 360
c.p.c.,
comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione degli
articoli 2727
e 2729 cod. civ.,
per avere erroneamente la Corte territoriale qualificato il rapporto
tra il (OMISSIS) e la (OMISSIS) come convivenza more uxorio, con
conseguente diritto al risarcimento del danno in favore della
(OMISSIS); nonche' per violazione dell'articolo 112
cod. proc. civ. e
per omessa o insufficiente motivazione su di un fatto controverso e
decisivo per il giudizio, non avendo il giudice d'appello pronunciato
sulla richiesta di prova contraria al fatto che si intendeva
dimostrare.
La
ricorrente premette di non avere intenzione di confutare le
considerazioni di carattere generale con le quali la Corte milanese
ha riconosciuto l'astratta legittimazione della convivente more
uxorio ad agire per il risarcimento dei danni patiti in conseguenza
dell'uccisione del proprio partner; tale questione deve intendersi
come rinunciata, atteso l'ormai consolidato orientamento della
giurisprudenza in ordine al riconoscimento di tale diritto.
Lamenta
la ricorrente, invece, l'errato utilizzo della prova presuntiva,
essendo la Corte d'appello in tal modo pervenuta ad un risultato
ritenuto aberrante, poiche' le prove raccolte non sarebbero dotate
del requisito della gravita, precisione e concordanza che la legge
richiede. Si rileva, inoltre, che la Corte di merito non avrebbe
fornito alcuna risposta in ordine alle richieste istruttorie
presentate con l'atto di appello.
1.1.
Nell'esame di questo motivo occorre prendere le mosse da una prima
constatazione generale, e cioe' che la stessa ricorrente ha
espressamente rinunciato, come si e' detto, alla contestazione di
quella parte della motivazione della sentenza nella quale la Corte
d'appello ha dichiarato di riconoscere, in astratto, la
legittimazione dei conviventi more uxorio al risarcimento dei danni
conseguenti all'uccisione del partner. Si tratta, come la stessa
ricorrente riconosce, di una legittimazione ormai pacificamente
ammessa dalla giurisprudenza di legittimita'; infatti, oltre alle
pronunce richiamate dalla Corte milanese, sono da citare le piu'
recenti sentenze di questa Corte con le quali si e' riconosciuto che
il risarcimento del danno da uccisione di un prossimo congiunto
spetta non solo ai membri della famiglia legittima, ma anche a quelli
della c.d. famiglia naturale, a condizione che si dimostri
l'esistenza di uno stabile e duraturo legame affettivo che, per la
significativa comunanza di vita e di affetti, sia equiparabile al
rapporto coniugale (cosi', piu' di recente, le sentenze
16 settembre 2008, n. 23725,
7 giugno 2011, n. 12278, e 21 marzo 2013, n. 7128).
Poiche'
questa Corte, quindi, non e' chiamata ad affrontare il problema della
legittimazione astratta della (OMISSIS), cio' comporta l'evidente
inammissibilita' della prima parte del quesito di diritto formulato
alle pp. 30-31 del ricorso a sostegno del motivo ora in esame (dica
la Corte cosa si debba intendere per famiglia di fatto e quali
caratteri tale formazione sociale debba presentare per poter
considerare il convivente more uxorio meritevole di tutela giuridica
verso i terzi autori di reati a danno dell'altro convivente).
L'accertamento che ivi si sollecita, infatti, per la parte in cui non
implica profili di carattere sociologico estranei all'argomentare
giuridico, e' stato gia' compiuto piu' volte da questa Corte, la
quale e' pervenuta alle menzionate conclusioni, che sono qui da
richiamare integralmente.
1.2.
Il problema che si pone, quindi, e' quello di decidere se, nella
specie, vi fosse la prova della sussistenza dei requisiti di una
stabile convivenza; sicche' lo scrutinio del motivo in esame si
risolve nello stabilire (seconda parte del quesito di diritto) se ci
sia stato o meno, da parte della Corte territoriale, un uso corretto
della prova presuntiva, in relazione alla ricostruzione della
qualita' del rapporto esistente tra (OMISSIS) ed il defunto stilista
(OMISSIS).
A
questo proposito, questa Corte ha affermato che la prova presuntiva
e' frutto di una valutazione complessiva delle prove da parte del
giudice di merito, il quale e' tenuto a seguire un procedimento che
si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo
luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per
scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare,
invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positivita'
parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria;
successivamente, e' doverosa una valutazione complessiva di tutti gli
elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e
se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova
presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza
considerando atomisticamente uno o alcuni di essi (sentenze
13 ottobre 2005, n. 19894,
e 6 giugno 2012, n. 9108). La prova presuntiva esige, per la sua
stessa natura, una valutazione globale dei fatti noti emersi nel
corso dell'istruzione (sentenza
9 marzo 2012, n. 3703);
valutazione che, se sorretta da motivazione immune da vizi logici e
giuridici, e' incensurabile in sede di legittimita' (sentenza
5 dicembre 2011, n. 26022).
1.3.
Alla luce di tali premesse, e' evidente che il motivo di ricorso in
esame e' privo di fondamento.
La
Corte d'appello di Milano, con una pronuncia assai bene argomentata e
supportata da logica impeccabile, ha ricostruito - richiamando, ove
del caso, la sentenza di primo grado - la natura e l'intensita' del
rapporto intercorso tra la (OMISSIS) ed il (OMISSIS) ed e' pervenuta
alla conclusione di ritenere dimostrati i requisiti necessari per
riconoscere l'esistenza di un rapporto more uxorio tra i due ed il
conseguente diritto al risarcimento in capo alla convivente. Ha
richiamato, al riguardo, il fatto che la convivenza fosse frutto di
una comune scelta di vita; che i conviventi, pur essendo andati a
vivere insieme solo pochi mesi prima dell'omicidio dello stilista,
avevano da molto tempo prima un rapporto serio e stabile, non
limitato alle sole frequenti occasioni mondane, tanto che avevano
coinvolto nel loro progetto anche i rispettivi figli, nati dai loro
precedenti matrimoni. La sentenza in esame, poi, ha avuto cura di
precisare come i caratteri di detta convivenza non potessero essere
indeboliti dal fatto che il (OMISSIS) avesse dichiarato e dimostrato
nei fatti di non volere ingerenze della (OMISSIS) nella gestione del
proprio patrimonio ed in genere dei propri rapporti economici,
essendo ben comprensibile che questi - titolare di un patrimonio di
notevolissime dimensioni - desiderasse tutelare le figlie avute
proprio dal matrimonio con la (OMISSIS). E la sentenza ha pure
dimostrato di aver valutato la presunta infedelta' della (OMISSIS) -
desumibile, a quanto pare, da una telefonata intercettata tra la
suddetta ed un altro uomo - non ritenendo simile dato idoneo a
modificare in modo significativo il quadro probatorio.
Si
tratta, cosi' e' evidente, di una valutazione di merito corretta e
completa, fondata anche su elementi presuntivi valutati nella loro
globalita'; ne', d'altra parte, puo' acquisire importanza il fatto
che la materiale convivenza sia durata pochi mesi, poiche' e'
pacifico che essa si interruppe per l'uccisione del (OMISSIS),
sicche' non puo' trarsi alcuna conclusione favorevole alla ricorrente
da un elemento del genere.
In
conclusione, quindi, il primo motivo di ricorso non e' fondato,
perche' si risolve nella sollecitazione di questa Corte a compiere un
nuovo e non consentito esame del merito della vicenda; il che
risulta, in modo ancora piu' evidente, anche dalle richieste
istruttorie di cui alle pp. 28-30 del ricorso, sulle quali la Corte
d'appello avrebbe immotivatamente disatteso la richiesta.
2.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento
all'articolo 360
c.p.c.,
comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione degli
articoli 2697,
2056, 1226 e 2059 cod. civ.,
oltre ad omessa o insufficiente motivazione su di un fatto
controverso e decisivo per il giudizio.
Osserva
la ricorrente che in ordine al danno non patrimoniale sarebbe mancata
qualsiasi prova, in concreto, del turbamento psichico e dei parimenti
asseritamente subiti dalla (OMISSIS); quanto al danno da perdita di
chances, la sentenza sarebbe errata per aver ricondotto l'insorgenza
del diritto ad una convivenza durata appena quattro mesi; e che,
quanto al danno patrimoniale, aver ancorato l'entita' del
risarcimento all'importo mensile dei costi dell'appartamento della
coppia, proiettato nel futuro sulla base dell'eta' del defunto,
sarebbe frutto di una previsione del tutto arbitraria, mancando la
prova che il rapporto tra i due si sarebbe realmente protratto nel
tempo.
2.1.
Il motivo non e' fondato.
La
Corte osserva, innanzitutto, che il quesito di diritto formulato alle
pp. 39-40 del ricorso, col quale si conclude il motivo in esame,
contiene una prima parte che e' inammissibile. Si chiede alla Corte,
infatti, se sia onere della parte asseritamente danneggiata, ai sensi
dell'articolo 2697
cod. civ.,
fornire dimostrazione non soltanto dei presupposti fondanti la
richiesta risarcitoria, ma anche degli specifici danni in concreto
patiti, con la conseguenza che, in assenza di tale dimostrazione, al
giudice non e' consentito procedere alla richiesta liquidazione. E'
palese che il quesito si risolve nella proposizione di una domanda la
cui risposta e' affermativa, ma del tutto priva di utilita' ai fini
della decisione; il punto non e', infatti, stabilire quale sia il
riparto dell'onere della prova, bensi' verificare se la sentenza
abbia correttamente proceduto nella liquidazione del danno in favore
della (OMISSIS). Questo aspetto e' contenuto nella seconda parte del
quesito, che va esaminata nel merito.
Al
riguardo, tuttavia, va fatta una prima considerazione, e cioe' che le
censure proposte sono, almeno in parte, ripetitive di quelle del
primo motivo, perche' la parte ricorrente torna ad affermare che nel
caso in esame non sarebbe stata raggiunta la prova della convivenza
tra la (OMISSIS) e il (OMISSIS). Tali aspetti sono stati gia'
scrutinati; sicche' resta il solo profilo quantitativo.
La
Corte d'appello, pero', anche su questo punto ha fornito una
motivazione ampia, convincente e priva di vizi logici. Essa ha
evidenziato, da un lato, la sussistenza del danno non patrimoniale,
desumibile anche tramite presunzioni, affermandone la risarcibilita'
in considerazione del forte legame affettivo esistente tra la vittima
e la (OMISSIS); quanto, poi, al danno patrimoniale, la pronuncia ha
dato conto che la relativa prova era stata offerta anche sotto il
profilo dell'entita' delle erogazioni di denaro (definite ingenti, ma
comunque rispondenti all'elevatissimo tenore di vita sociale proprio
di una persona ricchissima, quale era il (OMISSIS)); precisando,
quanto alla liquidazione del danno, che si trattava di un danno
potenziale, fondato sulla ragionevole aspettativa della prosecuzione
del rapporto paraconiugale. Il rischio insito in simile calcolo e'
stato tenuto in opportuna considerazione dalla Corte d'appello, la
quale - facendo proprio il conteggio del Tribunale - dopo aver
determinato l'entita' del risarcimento, ha ridotto di un terzo la
somma concretamente liquidata, proprio per le ragioni ora
evidenziate.
A
fronte di simile valutazione, si rivelano infondate sia le censure di
violazione di legge - perche' la sentenza ha rispettato le regole in
tema di onere della prova e di criteri di liquidazione del danno -
sia quelle di vizio di motivazione; e' piuttosto il motivo di ricorso
ora in esame, come gia' si e' detto a proposito del primo, a tendere
verso la sollecitazione di questa Corte ad un nuovo e non consentito
esame del merito.
3.
In conclusione, il ricorso e' rigettato.
Non
occorre provvedere sulle spese, atteso il mancato svolgimento di
attivita' difensiva da parte dell'intimata.
P.Q.M.
La
Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
autore: Campione Francesco
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