Potestà genitoriale e giurisdizione (Cass. Sez. Un., 28 maggio 2014, n. 11915)
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I provvedimenti diretti ad intervenire sulla potestà genitoriale secondo le previsioni degli artt. 330 e segg. c.c. e per quelli in tema di giurisdizione sui provvedimenti "de potestate" rileva il criterio della residenza abituale del minore al momento della proposizione della domanda
Cass. Sez. Un., 28 maggio 2014, n. 11915
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con decreto del 18.7.2013 il Tribunale per i Minorenni di Genova
disponeva che il minore F.F.L., figlio di F.M. e Fe.Pe.Ya. (il primo
cittadino italiano, la seconda cubana), fosse affidato
congiuntamente ad entrambi i genitori con collocazione presso
l'abitazione del padre ubicata in Cogorno, prevedendo altresì
l'accompagnamento del minore a Cuba, secondo modalità da
concordare, per la visita ai parenti ivi residenti.
2. Il provvedimento, impugnato dalla Fe.Pa., veniva riformato dalla
Corte di Appello di Genova, sezione minorenni, che segnatamente
riteneva fondata l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice
italiano sollevata dalla reclamante.
In particolare la Corte territoriale rilevava che l'individuazione
del giudice deputato a disporre l'affidamento dei figli nati da
genitori non coniugati doveva essere effettuata in ragione del luogo
di residenza effettiva ed abituale del minore nel momento di
proposizione della relativa domanda; che nella specie il minore era
nato a Cuba, era sempre vissuto presso la famiglia della madre con i
nonni ed il fratellino di tre anni, era giunto in Italia con la
madre assistita da un semplice visto turistico, e quindi senza avere
l'intenzione di trasferire la residenza in Italia; che sulla base
della indicata situazione in punto di fatto il tribunale adito non
sarebbe stato competente a decidere al riguardo, non essendo in
Italia la residenza del minore; che l'art. 1 della Convenzione
dell'Aja del 5.10.1961, resa esecutiva con la L. 24 ottobre 1980, n.
742, avrebbe dato rilievo unicamente al criterio della residenza
abituale del minore, quale ravvisabile al momento dell'introduzione
del giudizio, sicchè non sarebbe stato correttamente evocabile il
principio della "prossimità", basato sulla vicinanza del
giudice minorile; che il luogo di residenza abituale non avrebbe
potuto neppure essere identificato con quello in cui il minore aveva
vissuto più a lungo; che infine sarebbe stato irrilevante, per
quanto di interesse nella vicenda oggetto di esame, il fatto che il
minore beneficiasse della doppia cittadinanza, e quindi anche di
quella italiana, non essendo quest'ultimo aspetto idoneo a mutare i
generali criteri di identificazione del giudice in tema di
affidamento e collocazione di minori, determinati in ragione
dell'avvertita necessità di assicurare loro la più adeguata tutela
per la vita futura ed il corretto sviluppo psicologico.
3. Avverso la decisione F. ha proposto ricorso per cassazione
affidato a tre motivi, cui ha resistito l'intimata con
controricorso.
Entrambe le parti hanno poi depositato memoria.
La controversia veniva infine decisa all'esito dell'udienza pubblica
del 29.4.2014.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
4. Con i motivi di impugnazione il ricorrente ha rispettivamente
denunciato:
1) violazione dell'art. 111 Cost. "sotto il profilo del diritto
di difesa e/o della condizione di parità garantita alle parti"
e dell'art. 738 c.p.c., per le seguenti ragioni: il giudizio davanti
alla Corte di appello era stato promosso dalla Fe.Pe., mentre con la
comparsa di costituzione di esso ricorrente era stato proposto
reclamo incidentale; il relatore designato ed il Procuratore
Generale avevano tuttavia omesso di riferire a quest'ultimo
riguardo, motivando la detta omissione con la mancata consegna della
relativa documentazione; la relazione era stata conseguentemente
affidata alla difesa di esso ricorrente reclamante incidentale, che
tuttavia era "stata costretta a riassumere una memoria di ben
settanta pagine in soli dieci minuti", a differenza di quanto
verificatosi per il reclamante principale, i cui argomenti difensivi
erano "stati esaustivamente illustrati dal giudice relatore,
che ritualmente ne aveva preso visione";
2) vizio di motivazione e violazione dell'art. 1 della Convenzione
dell'Aja 1961, nonchè delle norme che attribuiscono giurisdizione
al giudice del luogo in cui il minore ha la residenza abituale.
La Corte territoriale avrebbe infatti errato, innanzitutto, da un
punto di vista metodologico, per non aver preventivamente
individuato la norma ritenuta applicabile ed aver invece richiamato
principi desunti dalla giurisprudenza di questa Corte, che peraltro
non sarebbe stata correttamente interpretata.
Secondo il ricorrente, il principio di prossimità del minore
all'ufficio giudiziario ai fini dell'individuazione del giudice
della controversia, risultante dal parametro normativo del luogo
della sua residenza effettiva ed abituale, sarebbe invero
astrattamente del tutto condivisibile. Tuttavia non altrettanto
potrebbe dirsi per l'applicazione effettuata nel concreto dalla
Corte di appello, che infatti ne aveva limitato l'operatività
soltanto alle ipotesi di individuazione della competenza interna, e
non anche quindi a quelle concernenti la ripartizione della
giurisdizione.
Nella contestata decisione della Corte di appello sarebbero inoltre
apprezzabili anche due ulteriori profili di erroneità, consistenti
rispettivamente: a) nel fatto che la cognizione del giudice non
potrebbe arrestarsi agli aspetti cristallizzati alla data di
proposizione della domanda, ma dovrebbe estendersi a quelli
potenzialmente realizzabili in un quadro prospettico; b) nella
acquiescenza che la Fe.Pe. avrebbe implicitamente manifestato alle
iniziative adottate dal ricorrente nei suoi confronti;
3) vizio di motivazione e violazione degli artt. 3, 4 e 5, 3
capoverso, della Convenzione dell'Aja 1961 - in relazione all'art. 3
Convenzione di New York -, L. n. 218 del 1995, art. 19, comma 2, e
della normativa attributiva della giurisdizione al giudice dello
stato di cui il minore è cittadino. Dal complesso delle
disposizioni richiamate si evincerebbe infatti il principio della
prevalenza della giurisdizione del giudice nazionale rispetto a
quello di abituale residenza del minore. Nel caso poi di doppia
nazionalità, come quello in oggetto, dovrebbe comunque prevalere la
cittadinanza italiana, e da ciò discenderebbe l'attribuzione della
giurisdizione al giudice italiano e la conseguente erroneità del
contestato provvedimento adottato.
5. E' infondato il primo motivo di ricorso, risultando all'evidenza
insussistente la denunciata violazione del diritto di difesa e della
condizione di parità delle parti, asseritamente derivante
dall'omessa relazione in udienza sul ricorso incidentale, da parte
del giudice nominato come relatore.
Stando a quanto rappresentato dallo stesso ricorrente, l'omissione
sarebbe stata imputabile ad un semplice disguido interno
dell'ufficio (mancata consegna della documentazione al giudice
designato per la relazione), e non già all'esecuzione di
provvedimenti irritualmente emessi.
In ogni modo è certo che non vi è stata alcuna lesione dei due
diritti di difesa e di rispetto della parità delle parti, posto che
è stato espressamente consentito al difensore del F. di illustrare
direttamente le proprie ragioni e non risulta che, per l'esercizio
del relativo diritto, sia stato assegnato un tempo limitato ed
inadeguato (circostanza adombrata, con notazioni peraltro del tutto
generiche nella illustrazione del motivo), come pure indirettamente
si desume dalla mancata indicazione delle questioni che, ove non si
fosse verificato il disguido segnalato, avrebbero potuto essere
oggetto di una trattazione più adeguata, in grado cioè di poter in
astratto più convenientemente incidere sul merito della decisione.
6. E' ugualmente infondato il secondo motivo di impugnazione, con il
quale il ricorrente ha censurato la statuizione in tema di
giurisdizione denunciandone l'erroneità sotto diversi aspetti.
6.1 Ed infatti è insussistente, o comunque irrilevante, il preteso
errore di metodo (consistente nella mancata preventiva
individuazione della norma applicabile), perchè la Corte di appello
ha invece fatto esplicito riferimento all'art. 1 della Convenzione
dell'Aja del 5.10.1961 (quarta pagine della sentenza), ed in ogni
modo la denunciata violazione sarebbe configurabile ove erroneamente
applicata la normativa vigente, ipotesi dunque che prescinde dalla
correttezza metodologica seguita.
6.2 E' privo di pregio anche il rilievo secondo cui dal complesso
delle iniziative adottate dalla Fe.Pe. dovrebbe desumersi una sua
acquiescenza rispetto alle iniziative del F., e ciò sotto il
duplice aspetto che la questione appare nuova, non risultando essere
stata prospettata in precedenza, e che la sua eventuale delibazione
presupporrebbe una valutazione di merito, non consentita in questa
sede di legittimità.
6.3 Resta infine l'ultimo aspetto considerato nella trattazione del
motivo, vale a dire quello relativo alla determinazione del
parametro utilizzabile al fine della individuazione del giudice
chiamato a decidere, individuazione che sarebbe errata, sia perchè
non si sarebbe tenuto debito conto del fatto che il criterio della
"residenza abituale" del minore (incontestabilmente
applicabile nella specie) sarebbe espressione del "criterio di
prossimità/vicinanza ", al quale sarebbe funzionalmente
collegato, sia perchè l'accertamento della residenza abituale
dovrebbe essere effettuato privilegiando una prognosi prospettica
per il più compiuto soddisfacimento degli interessi del minore,
anzichè sulla base di una interpretazione statica dei dati
esistenti al momento del giudizio. 6.3 a) Invero al riguardo va
osservato che, come correttamente evidenziato dalla Corte di
appello, trova applicazione nella specie l'art. 1 della già citata
Convenzione dell'Aja del 5.10.1961, che attribuisce al giudice del
luogo di residenza abituale del minore la competenza ad adottare le
misure tendenti alla protezione della sua persona e dei suoi beni.
La stessa Corte ha poi ritenuto che la determinazione del luogo di
residenza abituale, individuabile quale centro dei legami affettivi
del minore, dovesse essere effettuata sulla base della situazione
oggettiva esistente all'atto di introduzione del giudizio e, in
applicazione dei detti criteri, ha poi stabilito che il luogo di
residenza abituale del piccolo F.F.L. fosse a (OMISSIS), nella città
di (OMISSIS).
La soluzione appare corretta e quindi condivisibile, alla luce delle
seguenti considerazioni: è principio assolutamente consolidato
nella giurisprudenza di questa Corte, in sintonia fra l'altro con
quanto affermato nel Regolamento CE n. 2201/2003 (art. 8) e nella
Convenzione dell'Aja del 25.10.1980 (art. 8), che per i
provvedimenti diretti ad intervenire sulla potestà genitoriale
secondo le previsioni dell'art. 330 c.c. e segg., e per quelli in
tema di giurisdizione sui provvedimenti "de potestate"
rileva il criterio della residenza abituale del minore al momento
della proposizione della domanda (per i primi C. 13/17746, C.
12/1984, C. 06/2171, C. 05/2877, C. 03/1058, C. 01/9266, C. 99/1238,
per i secondi C. 12/1984, C. 11/16864); il minore è nato a
(OMISSIS) l'(OMISSIS), ivi aveva vissuto fino al 23.4.2012 (data di
ingresso in Italia) nella famiglia della madre con i nonni ed il
fratellino di tre anni e quindi, tenuto conto che per la tenera età
del bambino per il quale è sorta controversia la madre
inevitabilmente "rappresentava la sua figura essenziale di
riferimento", il luogo della sua residenza è stato esattamente
identificato con quello dell'abitazione dei parenti cubani, presso
la quale era collocato; il ricorso del F. al Tribunale dei
Minorenni, la cui decisione ha dato luogo al decreto impugnato, è
stato proposto il 14.6.2012, vale a dire quando il bambino aveva
compiuto da poco sette mesi.
Il breve intervallo di tempo intercorso tra l'arrivo del minore in
Italia e la proposizione della domanda del padre, da una parte, e
l'età del bambino al momento dell'inizio del giudizio - che esclude
in radice la possibilità della creazione di un effettivo e stabile
centro di interessi diverso da quello originario -, dall'altra,
danno dunque conferma dell'esattezza del giudizio formulato dalla
Corte di appello.
Nè a diverse conclusioni possono indurre i rilievi formulati dal
F., che dopo aver invocato l'applicazione del principio di
prossimità (basato sulla vicinanza del giudice minorile) e di
quello, affermato in via giurisprudenziale, secondo il quale il
luogo di residenza non è quello risultante da un calcolo puramente
aritmetico del vissuto, ha pure sostenuto la necessità di "una
valutazione in prospettiva per stabilire se il cambiamento di
abitazione.. presenti rilevante probabilità di tradursi in una
nuova effettiva e stabile collocazione del centro della vita e
d'interessi del minore".
Quanto al primo aspetto, il criterio stabilito dalla citata
convenzione dell'Aja esclude la possibilità di applicazione di
altri criteri da esso divergenti; quanto al secondo, il principio
giurisprudenziale evocato è quello espressamente affermato dalla
Corte di appello (quarta pagina); quanto al terzo, la sollecitata
valutazione prospettica contrasta con il criterio della residenza
abituale, interpretato nel senso sopra delineato.
7. E' infine infondato anche il terzo motivo, con il quale F. ha
sostenuto che, essendo il figlio Lorenzo cittadino italiano, il
criterio della cittadinanza avrebbe dovuto prevalere, ai fini della
determinazione della giurisdizione, su quello della residenza
abituale.
La prospettazione è innanzitutto basata sul fatto che l'art. 1
della citata Convenzione dell'Aja, pur fissando il criterio della
residenza abituale del minore per l'individuazione del giudice
competente, precisa anche che il principio è applicabile, "salve
le disposizioni degli artt. 3, 4 e 5, terzo capoverso".
Nella specie tuttavia il richiamo risulta del tutto irrilevante, non
rientrano il caso oggetto di esame in alcuna delle ipotesi delineate
nei citati articoli, consistenti: nel riconoscimento, negli Stati
contraenti, di un rapporto di autorità risultante dalla
legislazione interna dello Stato; nella possibilità, per lo Stato
di cui il minore è cittadino, di adottare misure a tutela del
minore, ove le circostanze lo esigano; nella persistente efficacia
delle misure adottate dallo Stato in cui era la precedente residenza
abituale, nell'ipotesi di trasferimento della stessa.
Il ricorrente ha però sostenuto l'erroneità della decisione
impugnata anche sotto altro profilo, e cioè in ragione del disposto
della L. n. 218 del 1995art. 19, comma 2, (il riferimento alla
Convenzione di New York è stato invero effettuato soltanto per un
richiamo ai principi ivi stabiliti, che costituirebbero una chiave
interpretativa della normativa nel senso suggerito), che più
precisamente recita che se la persona ha più cittadinanze e fra
queste vi è quella italiana (è appunto il caso del figlio del
ricorrente), quest'ultima prevale.
Anche quest'ultima notazione risulta tuttavia inconsistente,
innanzitutto, perchè il secondo comma dell'art. 19 in questione va
interpretato alla luce del primo comma, di cui costituisce una
ulteriore specificazione, che subordina l'applicazione della norma
al fatto che le disposizioni della legge n. 218 richiamino la legge
nazionale di una persona, ipotesi certamente non ricorrente nella
specie.
In ogni modo l'art. 42 della stessa legge stabilisce che la
protezione dei minori è regolata dalla più volte menzionata
Convenzione dell'Aja che impone, come criterio determinativo della
competenza nella regolamentazione della relativa materia, quello
della loro residenza abituale.
Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con condanna del
ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità, liquidate in dispositivo.
PQM
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.700,
di cui Euro 4.500 per compenso, oltre agli accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le
generalità ed i dati identificativi dei soggetti indicati. Rileva
infine l'inapplicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma
1 quater, poichè il processo risulta esente dal contributo.
Così deciso in Roma, il 29 aprile 2014.
Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2014
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con decreto del 18.7.2013 il Tribunale per i Minorenni di Genova disponeva che il minore F.F.L., figlio di F.M. e Fe.Pe.Ya. (il primo cittadino italiano, la seconda cubana), fosse affidato congiuntamente ad entrambi i genitori con collocazione presso l'abitazione del padre ubicata in Cogorno, prevedendo altresì l'accompagnamento del minore a Cuba, secondo modalità da concordare, per la visita ai parenti ivi residenti.
2. Il provvedimento, impugnato dalla Fe.Pa., veniva riformato dalla Corte di Appello di Genova, sezione minorenni, che segnatamente riteneva fondata l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice italiano sollevata dalla reclamante.
In particolare la Corte territoriale rilevava che l'individuazione del giudice deputato a disporre l'affidamento dei figli nati da genitori non coniugati doveva essere effettuata in ragione del luogo di residenza effettiva ed abituale del minore nel momento di proposizione della relativa domanda; che nella specie il minore era nato a Cuba, era sempre vissuto presso la famiglia della madre con i nonni ed il fratellino di tre anni, era giunto in Italia con la madre assistita da un semplice visto turistico, e quindi senza avere l'intenzione di trasferire la residenza in Italia; che sulla base della indicata situazione in punto di fatto il tribunale adito non sarebbe stato competente a decidere al riguardo, non essendo in Italia la residenza del minore; che l'art. 1 della Convenzione dell'Aja del 5.10.1961, resa esecutiva con la L. 24 ottobre 1980, n. 742, avrebbe dato rilievo unicamente al criterio della residenza abituale del minore, quale ravvisabile al momento dell'introduzione del giudizio, sicchè non sarebbe stato correttamente evocabile il principio della "prossimità", basato sulla vicinanza del giudice minorile; che il luogo di residenza abituale non avrebbe potuto neppure essere identificato con quello in cui il minore aveva vissuto più a lungo; che infine sarebbe stato irrilevante, per quanto di interesse nella vicenda oggetto di esame, il fatto che il minore beneficiasse della doppia cittadinanza, e quindi anche di quella italiana, non essendo quest'ultimo aspetto idoneo a mutare i generali criteri di identificazione del giudice in tema di affidamento e collocazione di minori, determinati in ragione dell'avvertita necessità di assicurare loro la più adeguata tutela per la vita futura ed il corretto sviluppo psicologico.
3. Avverso la decisione F. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui ha resistito l'intimata con controricorso.
Entrambe le parti hanno poi depositato memoria.
La controversia veniva infine decisa all'esito dell'udienza pubblica del 29.4.2014.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
4. Con i motivi di impugnazione il ricorrente ha rispettivamente denunciato:
1) violazione dell'art. 111 Cost. "sotto il profilo del diritto di difesa e/o della condizione di parità garantita alle parti" e dell'art. 738 c.p.c., per le seguenti ragioni: il giudizio davanti alla Corte di appello era stato promosso dalla Fe.Pe., mentre con la comparsa di costituzione di esso ricorrente era stato proposto reclamo incidentale; il relatore designato ed il Procuratore Generale avevano tuttavia omesso di riferire a quest'ultimo riguardo, motivando la detta omissione con la mancata consegna della relativa documentazione; la relazione era stata conseguentemente affidata alla difesa di esso ricorrente reclamante incidentale, che tuttavia era "stata costretta a riassumere una memoria di ben settanta pagine in soli dieci minuti", a differenza di quanto verificatosi per il reclamante principale, i cui argomenti difensivi erano "stati esaustivamente illustrati dal giudice relatore, che ritualmente ne aveva preso visione";
2) vizio di motivazione e violazione dell'art. 1 della Convenzione dell'Aja 1961, nonchè delle norme che attribuiscono giurisdizione al giudice del luogo in cui il minore ha la residenza abituale.
La Corte territoriale avrebbe infatti errato, innanzitutto, da un punto di vista metodologico, per non aver preventivamente individuato la norma ritenuta applicabile ed aver invece richiamato principi desunti dalla giurisprudenza di questa Corte, che peraltro non sarebbe stata correttamente interpretata.
Secondo il ricorrente, il principio di prossimità del minore all'ufficio giudiziario ai fini dell'individuazione del giudice della controversia, risultante dal parametro normativo del luogo della sua residenza effettiva ed abituale, sarebbe invero astrattamente del tutto condivisibile. Tuttavia non altrettanto potrebbe dirsi per l'applicazione effettuata nel concreto dalla Corte di appello, che infatti ne aveva limitato l'operatività soltanto alle ipotesi di individuazione della competenza interna, e non anche quindi a quelle concernenti la ripartizione della giurisdizione.
Nella contestata decisione della Corte di appello sarebbero inoltre apprezzabili anche due ulteriori profili di erroneità, consistenti rispettivamente: a) nel fatto che la cognizione del giudice non potrebbe arrestarsi agli aspetti cristallizzati alla data di proposizione della domanda, ma dovrebbe estendersi a quelli potenzialmente realizzabili in un quadro prospettico; b) nella acquiescenza che la Fe.Pe. avrebbe implicitamente manifestato alle iniziative adottate dal ricorrente nei suoi confronti;
3) vizio di motivazione e violazione degli artt. 3, 4 e 5, 3 capoverso, della Convenzione dell'Aja 1961 - in relazione all'art. 3 Convenzione di New York -, L. n. 218 del 1995, art. 19, comma 2, e della normativa attributiva della giurisdizione al giudice dello stato di cui il minore è cittadino. Dal complesso delle disposizioni richiamate si evincerebbe infatti il principio della prevalenza della giurisdizione del giudice nazionale rispetto a quello di abituale residenza del minore. Nel caso poi di doppia nazionalità, come quello in oggetto, dovrebbe comunque prevalere la cittadinanza italiana, e da ciò discenderebbe l'attribuzione della giurisdizione al giudice italiano e la conseguente erroneità del contestato provvedimento adottato.
5. E' infondato il primo motivo di ricorso, risultando all'evidenza insussistente la denunciata violazione del diritto di difesa e della condizione di parità delle parti, asseritamente derivante dall'omessa relazione in udienza sul ricorso incidentale, da parte del giudice nominato come relatore.
Stando a quanto rappresentato dallo stesso ricorrente, l'omissione sarebbe stata imputabile ad un semplice disguido interno dell'ufficio (mancata consegna della documentazione al giudice designato per la relazione), e non già all'esecuzione di provvedimenti irritualmente emessi.
In ogni modo è certo che non vi è stata alcuna lesione dei due diritti di difesa e di rispetto della parità delle parti, posto che è stato espressamente consentito al difensore del F. di illustrare direttamente le proprie ragioni e non risulta che, per l'esercizio del relativo diritto, sia stato assegnato un tempo limitato ed inadeguato (circostanza adombrata, con notazioni peraltro del tutto generiche nella illustrazione del motivo), come pure indirettamente si desume dalla mancata indicazione delle questioni che, ove non si fosse verificato il disguido segnalato, avrebbero potuto essere oggetto di una trattazione più adeguata, in grado cioè di poter in astratto più convenientemente incidere sul merito della decisione.
6. E' ugualmente infondato il secondo motivo di impugnazione, con il quale il ricorrente ha censurato la statuizione in tema di giurisdizione denunciandone l'erroneità sotto diversi aspetti.
6.1 Ed infatti è insussistente, o comunque irrilevante, il preteso errore di metodo (consistente nella mancata preventiva individuazione della norma applicabile), perchè la Corte di appello ha invece fatto esplicito riferimento all'art. 1 della Convenzione dell'Aja del 5.10.1961 (quarta pagine della sentenza), ed in ogni modo la denunciata violazione sarebbe configurabile ove erroneamente applicata la normativa vigente, ipotesi dunque che prescinde dalla correttezza metodologica seguita.
6.2 E' privo di pregio anche il rilievo secondo cui dal complesso delle iniziative adottate dalla Fe.Pe. dovrebbe desumersi una sua acquiescenza rispetto alle iniziative del F., e ciò sotto il duplice aspetto che la questione appare nuova, non risultando essere stata prospettata in precedenza, e che la sua eventuale delibazione presupporrebbe una valutazione di merito, non consentita in questa sede di legittimità.
6.3 Resta infine l'ultimo aspetto considerato nella trattazione del motivo, vale a dire quello relativo alla determinazione del parametro utilizzabile al fine della individuazione del giudice chiamato a decidere, individuazione che sarebbe errata, sia perchè non si sarebbe tenuto debito conto del fatto che il criterio della "residenza abituale" del minore (incontestabilmente applicabile nella specie) sarebbe espressione del "criterio di prossimità/vicinanza ", al quale sarebbe funzionalmente collegato, sia perchè l'accertamento della residenza abituale dovrebbe essere effettuato privilegiando una prognosi prospettica per il più compiuto soddisfacimento degli interessi del minore, anzichè sulla base di una interpretazione statica dei dati esistenti al momento del giudizio. 6.3 a) Invero al riguardo va osservato che, come correttamente evidenziato dalla Corte di appello, trova applicazione nella specie l'art. 1 della già citata Convenzione dell'Aja del 5.10.1961, che attribuisce al giudice del luogo di residenza abituale del minore la competenza ad adottare le misure tendenti alla protezione della sua persona e dei suoi beni.
La stessa Corte ha poi ritenuto che la determinazione del luogo di residenza abituale, individuabile quale centro dei legami affettivi del minore, dovesse essere effettuata sulla base della situazione oggettiva esistente all'atto di introduzione del giudizio e, in applicazione dei detti criteri, ha poi stabilito che il luogo di residenza abituale del piccolo F.F.L. fosse a (OMISSIS), nella città di (OMISSIS).
La soluzione appare corretta e quindi condivisibile, alla luce delle seguenti considerazioni: è principio assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, in sintonia fra l'altro con quanto affermato nel Regolamento CE n. 2201/2003 (art. 8) e nella Convenzione dell'Aja del 25.10.1980 (art. 8), che per i provvedimenti diretti ad intervenire sulla potestà genitoriale secondo le previsioni dell'art. 330 c.c. e segg., e per quelli in tema di giurisdizione sui provvedimenti "de potestate" rileva il criterio della residenza abituale del minore al momento della proposizione della domanda (per i primi C. 13/17746, C. 12/1984, C. 06/2171, C. 05/2877, C. 03/1058, C. 01/9266, C. 99/1238, per i secondi C. 12/1984, C. 11/16864); il minore è nato a (OMISSIS) l'(OMISSIS), ivi aveva vissuto fino al 23.4.2012 (data di ingresso in Italia) nella famiglia della madre con i nonni ed il fratellino di tre anni e quindi, tenuto conto che per la tenera età del bambino per il quale è sorta controversia la madre inevitabilmente "rappresentava la sua figura essenziale di riferimento", il luogo della sua residenza è stato esattamente identificato con quello dell'abitazione dei parenti cubani, presso la quale era collocato; il ricorso del F. al Tribunale dei Minorenni, la cui decisione ha dato luogo al decreto impugnato, è stato proposto il 14.6.2012, vale a dire quando il bambino aveva compiuto da poco sette mesi.
Il breve intervallo di tempo intercorso tra l'arrivo del minore in Italia e la proposizione della domanda del padre, da una parte, e l'età del bambino al momento dell'inizio del giudizio - che esclude in radice la possibilità della creazione di un effettivo e stabile centro di interessi diverso da quello originario -, dall'altra, danno dunque conferma dell'esattezza del giudizio formulato dalla Corte di appello.
Nè a diverse conclusioni possono indurre i rilievi formulati dal F., che dopo aver invocato l'applicazione del principio di prossimità (basato sulla vicinanza del giudice minorile) e di quello, affermato in via giurisprudenziale, secondo il quale il luogo di residenza non è quello risultante da un calcolo puramente aritmetico del vissuto, ha pure sostenuto la necessità di "una valutazione in prospettiva per stabilire se il cambiamento di abitazione.. presenti rilevante probabilità di tradursi in una nuova effettiva e stabile collocazione del centro della vita e d'interessi del minore".
Quanto al primo aspetto, il criterio stabilito dalla citata convenzione dell'Aja esclude la possibilità di applicazione di altri criteri da esso divergenti; quanto al secondo, il principio giurisprudenziale evocato è quello espressamente affermato dalla Corte di appello (quarta pagina); quanto al terzo, la sollecitata valutazione prospettica contrasta con il criterio della residenza abituale, interpretato nel senso sopra delineato.
7. E' infine infondato anche il terzo motivo, con il quale F. ha sostenuto che, essendo il figlio Lorenzo cittadino italiano, il criterio della cittadinanza avrebbe dovuto prevalere, ai fini della determinazione della giurisdizione, su quello della residenza abituale.
La prospettazione è innanzitutto basata sul fatto che l'art. 1 della citata Convenzione dell'Aja, pur fissando il criterio della residenza abituale del minore per l'individuazione del giudice competente, precisa anche che il principio è applicabile, "salve le disposizioni degli artt. 3, 4 e 5, terzo capoverso".
Nella specie tuttavia il richiamo risulta del tutto irrilevante, non rientrano il caso oggetto di esame in alcuna delle ipotesi delineate nei citati articoli, consistenti: nel riconoscimento, negli Stati contraenti, di un rapporto di autorità risultante dalla legislazione interna dello Stato; nella possibilità, per lo Stato di cui il minore è cittadino, di adottare misure a tutela del minore, ove le circostanze lo esigano; nella persistente efficacia delle misure adottate dallo Stato in cui era la precedente residenza abituale, nell'ipotesi di trasferimento della stessa.
Il ricorrente ha però sostenuto l'erroneità della decisione impugnata anche sotto altro profilo, e cioè in ragione del disposto della L. n. 218 del 1995art. 19, comma 2, (il riferimento alla Convenzione di New York è stato invero effettuato soltanto per un richiamo ai principi ivi stabiliti, che costituirebbero una chiave interpretativa della normativa nel senso suggerito), che più precisamente recita che se la persona ha più cittadinanze e fra queste vi è quella italiana (è appunto il caso del figlio del ricorrente), quest'ultima prevale.
Anche quest'ultima notazione risulta tuttavia inconsistente, innanzitutto, perchè il secondo comma dell'art. 19 in questione va interpretato alla luce del primo comma, di cui costituisce una ulteriore specificazione, che subordina l'applicazione della norma al fatto che le disposizioni della legge n. 218 richiamino la legge nazionale di una persona, ipotesi certamente non ricorrente nella specie.
In ogni modo l'art. 42 della stessa legge stabilisce che la protezione dei minori è regolata dalla più volte menzionata Convenzione dell'Aja che impone, come criterio determinativo della competenza nella regolamentazione della relativa materia, quello della loro residenza abituale.
Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.
PQM
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.700, di cui Euro 4.500 per compenso, oltre agli accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità ed i dati identificativi dei soggetti indicati. Rileva infine l'inapplicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il processo risulta esente dal contributo.
Così deciso in Roma, il 29 aprile 2014.
Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2014
autore: Campione Francesco
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