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Approvata in prima lettura dal Senato l'equiparazione tra figli legittimi e figli naturali

Lunedì, 18 Ottobre 2010
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Gianfranco Dosi

I figli sono tutti uguali. E' questo il senso della riforma che il Senato ha avviato il 6 ottobre scorso approvando in prima lettura l'equiparazione del regime giuridico tra figli legittimi e figli naturali e l'attribuzione al tribunale ordinario anche del contenzioso sui figli naturali. E non è fuori luogo rilevare che per un obiettivo di così grande significato sono stati sufficienti solo alcuni aggiustamenti nel codice civile, come da tempo molti sollecitavano. Dispiace che i senatori del partito democratico, sotto la pressione della magistratura minorile (alla quale la riforma toglie la competenza sui figli naturali che passa ai tribunali ordinari) abbiano votato contro le modifiche del codice, con la debole giustificazione che, piuttosto che una mini riforma, sarebbe necessaria una riforma generale della giustizia nel settore del diritto di famiglia. Una riforma generale è certamente necessaria, ma l'attesa di un riordino complessivo non giustifica certo il mantenimento di disuguaglianze a tutti evidentissime. La incomprensibile disparità di trattamento tra figli naturali e figli legittimi, che ancora i nostri codici prevedono, non era più tollerabile. Quindi bene ha fatto il Senato ad approvare la riforma e bene farà la Camera ad accelerare i tempi per l'approvazione definitiva della legge.

La riforma attribuisce quindi al tribunale ordinario (con una semplice modifica dell'art. 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile) la competenza su tutta la materia della filiazione, ad eccezione dei procedimenti di contrasto agli abusi della potestà e dei procedimenti di adozione che rimangono di competenza del tribunale per i minorenni. Quando anche l'aula di Montecitorio approverà la riforma, nessuno dovrà più sobbarcarsi viaggi lunghissimi fino al lontano tribunale per i minorenni della propria regione per ottenere un provvedimento che potrà essere richiesto al tribunale ordinario della propria città.

Sembra inverosimile che ancora oggi, per un contenzioso del tutto analogo a quello che i giudici ordinari affrontano ogni giorno quando decidono sull'affidamento e sul mantenimento dei figli legittimi in sede di separazione o divorzio, debbano esistere giudici e procedimenti differenziati per chi nasce nella famiglia legittima e per chi nasce al di fuori del matrimonio. Una differenza di competenze che è diventata nel tempo anche il simbolo di una disuguaglianza che era ora di abolire.

Il tribunale per i minorenni continuerà ad occuparsi in sede civile soltanto degli di abusi della potestà e di adozione, in attesa che la riforma dell'ordinamento individui le caratteristiche che dovrà avere il nuovo giudice della famiglia. Si discutono da tempo diverse prospettive di riforma dell'ordinamento. Quella più plausibile è senz'altro l'attribuzione di una competenza generalizzata nel settore del diritto delle persone e della famiglia ai tribunali ordinari, che dovranno costituire proprie sezioni specializzate (come già oggi esistono nelle città in cui il numero dei giudici lo consente). Altre soluzioni – quale quella di un tribunale unico nelle forme concentrate dell'attuale tribunale per i minorenni (in sostanza uno per regione) - appaiono del tutto inattuabili se non altro perché in contrasto con elementari esigenze di prossimità della giustizia ai cittadini.

Vediamo i punti principali della riforma approvata dal Senato.

Tralasciando l'abrogazione del feudale potere dei padri di decidere da soli in caso di urgenza (articolo 316, comma 4, del codice civile) che meritava di essere cancellato da decenni, il punto centrale della riforma sta nella modifica dell'articolo 317-bis del codice civile che viene adeguato alla normativa sulla bigenitorialità con l'indicazione che la potestà sul figlio naturale è esercitata di comune accordo da entrambi i genitori allorché siano conviventi, salvo il potere di ciascuno di rivolgersi al tribunale per la soluzione di eventuali contrasti. In caso, invece, di genitori che non convivono è richiamata la disciplina applicabile in caso di separazione. Una soluzione quindi molto lineare e del tutto ragionevole.

L'altro aspetto saliente della riforma sta – come già detto – nella attribuzione al tribunale ordinario della competenza per i procedimenti di affidamento e di mantenimento anche dei figli naturali. Con ciò – e adeguandosi in fondo all'articolo 4 della legge sull'affidamento condiviso che aveva già espressamente equiparato tutti i figli - si supera la giurisprudenza che aveva mantenuto due giudici diversi per le procedure di affidamento (tribunale per i minorenni) e di mantenimento (tribunale ordinario) lasciando al tribunale per i minorenni la competenza in caso di contestualità delle due domande (Cassazione 8362/2007; Corte costituzionale, ordinanza n. 185/2008).

La procedura davanti al tribunale ordinario – fatte salve le azioni di status contenziose - è quella camerale, analoga al procedimento usualmente utilizzato per la modifica delle condizioni di separazione (per questo, anche se superfluamente, viene richiamato l'articolo 710 del codice di procedura civile) mentre a tutti i decreti che definiscono queste e le altre procedure del tribunale ordinario indicate nell'articolo 38, viene attribuita finalmente efficacia immediata esecutiva. La riforma prevede che il tribunale ordinario mantenga la competenza anche quando sia promosso davanti al tribunale per i minorenni un procedimento per asserite condotte abusive nei confronti del figlio (limitatamente alle condotte cui fa riferimento l'articolo 333 del codice civile), risolvendo in tal modo un problema che ha sempre creato confusioni nella prassi.

Passano al tribunale ordinario – con il nuovo testo dell'articolo 38 delle disposizioni di attuazione – anche i procedimenti relativi allo status dei figli naturali e cioè l'opposizione di un genitore al riconoscimento tardivo da parte dell'altro genitore (articolo 250 del codice civile) e la dichiarazione giudiziale di paternità (articolo 269 del codice civile), oltre che le procedure per l'attribuzione del cognome (articolo 262 del codice civile) ed altre competenze minori. In altre parole, come sopra detto, al tribunale per i minorenni rimangono in sostanza solo le competenze in materia di provvedimenti di limitazione e di decadenza della potestà e tutto il settore dell'adozione.

La riforma, infine, ha colto l'occasione per risolvere anche un altro problema che la giurisprudenza non ha potuto risolvere, che riguarda i casi in cui la domanda di accertamento giudiziale della paternità naturale deve essere azionata nei confronti degli eredi del presunto padre naturale deceduto. Ove non vi siano eredi diretti del presunto genitore deceduto, la giurisprudenza ha escluso la possibilità di richiedere la nomina di un curatore speciale per l'esercizio dell'azione (Cassazione, Sezioni unite, 21287/2005; Corte costituzionale da ultimo 278/2009) frustrando così il diritto alla genitorialità. La riforma, prendendo spunto dagli inviti della Corte costituzionale, indica ora espressamente che in mancanza di eredi l'azione per l'accertamento della paternità naturale deve essere promossa nei confronti di un curatore speciale.


Testo vigente Testo riformato

Art. 316.
Esercizio della potestà dei genitori.

Il figlio è soggetto alla potestà dei genitori sino all'età maggiore o alla emancipazione.

La potestà è esercitata di comune accordo da entrambi i genitori.

In caso di contrasto su questioni di particolare importanza ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei.

Se sussiste un incombente pericolo di grave pregiudizio per il figlio, il padre può adottare i provvedimenti urgenti ed indifferibili.

Il giudice, sentiti i genitori ed il figlio, se maggiore degli anni quattordici, suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell 'interesse del figlio e dell'unità familiare. Se il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l'interesse del figlio.


Art. 316.
Esercizio della potestà dei genitori.

Il figlio è soggetto alla potestà dei genitori sino all'età maggiore o alla emancipazione.

La potestà è esercitata di comune accordo da entrambi i genitori.

In caso di contrasto su questioni di particolare importanza ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei.

abrogato



Il giudice, sentiti i genitori ed il figlio, se maggiore degli anni quattordici, suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell'interesse del figlio e dell'unità familiare. Se il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l'interesse del figlio.


Art. 317-bis.
Esercizio della potestà.

Al genitore che ha riconosciuto il figlio naturale spetta la potestà su di lui.

Se il riconoscimento è fatto da entrambi i genitori, l'esercizio della potestà spetta congiuntamente ad entrambi qualora siano conviventi. Si applicano le disposizioni dell'articolo 316. Se i genitori non convivono l'esercizio della potestà spetta al genitore col quale il figlio convive ovvero, se non convive con alcuno di essi, al primo che ha fatto il riconoscimento. Il giudice, nell'esclusivo interesse del figlio, può disporre diversamente; può anche escludere dall'esercizio della potestà entrambi i genitori, provvedendo alla nomina di un tutore.

Il genitore che non esercita la potestà ha il potere di vigilare sull 'istruzione, sull'educazione e sulle condizioni di vita del figlio minore.

Art. 317-bis.

Esercizio della potestà

Al genitore che ha riconosciuto il figlio naturale spetta la potestà su di lui.

Se il riconoscimento e` fatto da entrambi i genitori, l'esercizio della potestà spetta congiuntamente ad entrambi. Si applicano le disposizioni dell'articolo 316. Se i genitori non convivono, si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 155, 155-bis, 155-ter, 155-quater, 155-quinquies, 155-sexies e 156, commi quarto, quinto, sesto e settimo.


Disposizioni di attuazione del codice civile

Art. 38

Sono di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli artt. 84, 90, 171, 194, comma secondo, 250, 252, 262, 264, 316, 317 bis, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, nonché nel caso di minori dall'art. 269, primo comma, codice civile.

Sono emessi dal tribunale ordinario i provvedimenti per i quali non e espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria.

In ogni caso il tribunale provvede in camera di consiglio sentito il pubblico ministero.

Quando il provvedimento è emesso dal tribunale per i minorenni il reclamo si propone davanti alla sezione di corte di appello per i minorenni.


Disposizioni di attuazione del codice civile

Art. 38

Sono di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli artt. 84, 90, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma.. Per i procedimenti di cui all'articolo 333 resta esclusa l'ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell'articolo 316. In tale ipotesi e per tutta la durata del processo, la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle norme richiamate, spetta al giudice ordinario.

Sono emessi dal tribunale ordinario i provvedimenti per i quali non e espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria. Nei procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei minori si applica, in quanto compatibile, l'articolo 710 del codice di procedura civile. Fermo restando quanto previsto per le azioni di stato, il tribunale competente provvede in ogni caso in camera di consiglio sentito il pubblico ministero e i provvedimenti emessi sono immediatamente esecutivi, salvo che il giudice disponga diversamente.

Quando il provvedimento è emesso dal tribunale per i minorenni il reclamo si propone davanti alla sezione di corte di appello per i minorenni.


Art. 276.
Legittimazione passiva.

La domanda per la dichiarazione di paternità o di maternità naturale deve essere proposta nei confronti del presunto genitore o, in mancanza di lui, nei confronti dei suoi eredi.

Alla domanda può contraddire chiunque vi abbia interesse.


Art. 276.
Legittimazione passiva.

La domanda per la dichiarazione di paternità o di maternità naturale deve essere proposta nei confronti del presunto genitore o, in mancanza di lui, nei confronti dei suoi eredi. In loro mancanza, la domanda deve essere proposta nei confronti di un curatore nominato dal giudice davanti al quale il giudizio deve essere promosso.

Alla domanda può contraddire chiunque vi abbia interesse.



autore: Girotto Barbara