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Ai fini della ripartizione della pensione di reversibilità tra ex coniuge e coniuge superstite può tenersi conto anche di elementi diversi dalla semplice durata del matrimonio. - Cass. sez. I, 9 maggio 2007, n. 10638

Mercoledì, 9 Maggio 2007
Giurisprudenza | Successioni | Legittimità

- Ripartizione tra coniuge superstite ed ex coniuge -
A norma dell'art. 9, comma 3, della legge n. 898 del 1970, nel testo novellato dall'art. 13 l. n. 74 del 1987, la ripartizione della pensione di reversibilità tra il coniuge superstite e l'ex coniuge devo essere compiuta "tenendo conto della durata del rapporto" matrimoniale di ciascun coniuge. Tale criterio, sulla base degli elementi interpretativi individuati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 419 del 1999, deve ritenersi non si ponga come. unico ed esclusivo parametro al quale conformarsi automaticamente ed in base ad un mero calcolo matematico, potendo essere corretto da altri criteri, da individuare nell'ambito dell'art. 5 della legge n. 898 del 1970 (Caso. 29 gennaio 2002, n. 1057), tenuto conto del carattere solidaristico proprio della pensione di reversibilità e in relazione alle particolarità del caso concreto (Case. 10 ottobre 2003, n. 15164), fermo restando che alla durata del matrimonio "può essere riconosciuto valore preponderante e il più delle volte decisivo" (Corte cost., sentenza n. 419 del 1999) nella ripartizione della pensione. Deve quindi tenersi anche conto delle condizioni economiche di entrambi gli ex coniugi (Casa. 9 marzo 2006, n. 5060), dell'assegno goduto dal coniuge divorziato (Cass. 16 dicembre 2004, n. 23379; 5 maggio 2004, n. 8554; 19 febbraio 2003, n. 2471), dei periodi di convivenza prematrimoniale (Cass. 7 marzo 2006, n. 4867; 22 dicembre 2005, n. 28478; 16 dicembre 2004, n. 23379; 10 ottobre 2003, n. 15148), e di ogni altro elemento desumibile dall'art. 5 della legge n. 898 del 1970, ivi compreso il contributo dato da ciascun coniuge, durante i rispettivi matrimoni, alla famiglia. Non tutti tali elementi, peraltro, debbono necessariamente essere valutati in uguale misura, rientrando nella valutazione del giudice di merito la determinazione della loro rilevanza in concreto (Cass. 14 settembre 2004, n. 6272; 30 marzo 2004, n. 6272). La correzione del criterio di massima, dettato dal legislatore, della durata del matrimonio, peraltro, può essere compiuta unicamente e nei limiti necessari per evitare che il coniuge divorziato sia privato dei mezzi necessari a mantenere il tenore di vita che gli avrebbe dovuto assicurare (o contribuire ad assicurare) nel tempo l'assegno di divorzio, ed il secondo coniuge del tenore di vita che il "de cuius" gli assicurava (o contribuiva ad assicurargli) in vita (Cass. 10 gennaio 2001, n. 282). E ciò, comunque, non con carattere di assolutezza, costituendo gli elementi desumibili dall'art. 5 anche il limite giuridico a tale aspettativa,che potrà restare parzialmente insoddisfatta a causa del concreto ammontare della pensione di reversibilità - rimanendo garantito a uno dei coniugi solo il soddisfacimento di minori esigenze di vita, sia in relazione alla del tutto esigua durata del suo matrimonio rispetto al matrimonio dell'altro coniuge, sia sulla base degli elementi di valutazione complessiva, fra i quali il contributo dato da un coniuge rispetto all'altro alla conduzione familiare, con particolare riferimento alla crescita ed educazione dei figli a lui affidati in regime di separazione e di divorzio.

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