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L'assegno di divorzio decorre dal passaggio in giudicato della sentenza ma il giudice può farlo decorrere dalla domanda a differenza dell'assegno per i figli che decorre dalla domanda. - Cass. sez. I, 25 giugno 2004, n. 11863

Venerdì, 25 Giugno 2004
Giurisprudenza | Separazione e divorzio | Legittimità

- Decorrenza -
L'assegno di divorzio, trovando la propria fonte nel nuovo status delle parti, rispetto al quale la pronuncia del giudice ha efficacia costitutiva, decorre dal passaggio in giudicato della statuizione di risoluzione del vincolo coniugale, con il temperamento, tuttavia, introdotto dall'articolo 4, comma 10. della legge 898/1970, così come sostituito dall'articolo 8 della legge 74/1987, che conferisce al giudice il potere di disporre, in relazione alle circostanze del caso concreto e anche in assenza di specifica richiesta, la decorrenza dello stesso assegno dalla data della domanda, senza peraltro escludere che, ove le condizioni per l'attribuzione siano maturate in un momento successivo, la decorrenza dell'assegno possa essere fissata a partire da tale momento, ferma restando la necessità, in una siffatta ipotesi, che il giudice motivi adeguatamente la propria decisione. La sentenza di divorzio, mentre ha importanza costitutiva rispetto all'assegno che uno degli ex coniugi debba all'altro per le esigenze proprie di quest'ultimo, è irrilevante rispetto all'obbligo di mantenere i figli, nel senso che i doveri ed i diritti dei genitori verso questi ultimi, impregiudicate le modifiche conseguenti ai provvedimenti relativi al loro affidamento, non subiscono alcuna alterazione sostanziale, rimanendo identico, sia prima sia dopo la pronuncia del divorzio, l'obbligo di entrambi i genitori di contribuire, in proporzione alle loro capacità, all'assistenza, all'educazione e al mantenimento della prole, onde, se in sede di giudizio di divorzio uno dei coniugi abbia richiesto un assegno di mantenimento per i figli o l'adeguamento di esso, la domanda, se ritenuta fondata, deve essere accolta, in mancanza di espresse limitazioni, dalla data stessa della sua proposizione, ovvero dalla data dei fatti che ne impongono il riequilibrio, se successivi.

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