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L’ascolto del minore-vittima nel processo penale

autore: B. Giangiacomo

SOMMARIO: 1. Il minore persona offesa di un reato sessuale quale vittima vulnerabile - 2. La complessità dei procedimenti in tema di reati sessuali ai danni di minori. - 3. L’audizione del minore. - 4. L’audizione del minore, una testimonianza debole o vulnerabile. - 5. Aspetti normativi dell’audi- zione dibattimentale del minore. La capacità di testimoniare (art. 196 c.p.p.). - 6. La testimonianza del minore tra dovere di verità e possibilità di un’assistenza psicologica. - 7. Le modalità di conduzione dell’esame del minore nell’incidente probatorio e nell’esame dibattimentale. - 8. L’esame del minore e le domande suggestive. - 9. L’audizione del minore e le indagini difensive. La rinnovazione dell’audizione del minore in appello.



1. Il minore persona offesa di un reato sessuale quale vittima vulnerabile





La figura del minore vittima di un reato ha ormai da diversi anni trovato la sua consacrazione all’interno del c.p.p. con interventi massicci e significativi. Si tratta di una vittima particolare con specifici aspetti di vulnerabilità che solo in parte hanno a che vedere con il reato subito ed il pregiudizio patito, poiché si tratta di una condizione strettamente legata all’età, all’essere una personalità fragile, con evidente forte di tasso di difficoltà a far fronte positivamente o anche solo adeguatamente ad eventi dolorosi e traumatici (c.d. resilienza).

Il d.lgs. 15 dicembre 2015 n. 2012 ha recepito la direttiva sulla tutela delle vittime di reato, la n. 29 del 2012del Par- lamento europeo e del Consiglio d’Europa (sostitutiva della decisione quadro 2001/220/GAI) ed ha introdotto l’art. 90-quater c.p.p. che istituisce la figura della vittima vulnerabile(non necessariamente minorenne) che così assume un vero e proprio status particolare all’interno del processo. Lo stato di vulnerabilità è desunto da elementi specifici: caratteristiche della vittima (età, stato di infermità o di deficienza psichica), natura del reato, rapporto della vittima con l’autore del reato e danno patito. È uno stato che tra l’altro da diritto alla protezione dai c.d. rischi di vittimizzazione secondaria nella fase delle indagini e in tutte le altre fasi del processo1.

L’introduzione dell’art. 90-quater c.p.p. dal punto di vista processuale evidenzia la continuità della progressiva introduzione della vittima o p.o. del reato nel processo penale con una parte sempre più da protagonista, non più meramente eventuale; laddove la persona offesa ha caratteristiche particolari si apprestano cautele e diritti. È una stagione iniziata con la legge c.d. sul femminicidio, d.l. 93/2013 conv. nella l. 119/2013, nella quale persino nelle modifiche delle misure cautelari talune persone offese sono chiamate ad interloquire, una vera e propria rivoluzione del ruolo della persona offesa nel processo penale, proseguita sino alla più recente approvazione della legge sul c.d. Codice Rosso.

Questa particolare condizione ha determinato la necessità di dover specializzare i soggetti che partecipano a vario titolo a questo tipo di processo che di soggetti specializzati si arricchisce inevitabilmente (psicologi, educatori, assistenti sociali, ecc.); ne derivano una peculiarità e difficoltà dell’indagine ed aspetti processuali particolari con scelte delicate che hanno determinato tutti i protagonisti di questo tipo di processi a predisporre spesso Protocolli d’indagine.



2. La complessità dei procedimenti in tema di reati sessuali ai danni di minori



La complessità dei procedimenti in tema di reati sessuali ai danni di minori è essenzialmente di carattere probatorio e deriva in linea di massima da due aspetti: le difficoltà tipiche nelle indagini in materia di violenza sessuale, nelle quali molto spesso l’unica fonte di prova (o comunque quella determinante) è di tipo dichiarativo e risiede nelle dichiarazioni della per- sona offesa; le peculiarità connesse al fatto che il dichiarante è un minore, che versa in condizioni psico-evolutive derivanti dall’età che aprono problemi di non scontata soluzione.

Nella maggior parte dei casi di violenza sessuale non esiste la possibilità di acquisire riscontri esterni obiettivi e specifici, essendo la vittima, per lo più sola al momento del fatto.

Inoltre, attesa l’ampia nozione di atti sessuali accolta dalla giurisprudenza in sede di identificazione della nozione introdotta nel codice (art. 609-bis c.p.) con la novella del 1996, i reati sessuali sono reati a condotta non vincolata che possono avere nella realtà diversissime forme di attuazione; accanto agli episodi che presentano grande impiego di violenza ed elevata invasività fisica, possono sussistere casi di bassissimo coinvolgimento della fisicità dell’autore e della vittima, talvolta subdoli e repentini, ma ugualmente carichi di antigiuridicità, pur con la possibilità di applicare il fatto di lieve entità.

L’esame del minore spesso resta l’unica e comunque fondamentale forma di investigazione, con le difficoltà specifiche, che si acuiscono quando il minore deve essere sentito in relazione a reati di tipo sessuale per le evidenti implicazioni emotive connesse alla materia.

È pertanto necessario che il magistrato (p.m. o giudice che sia) cerchi in ogni modo di allargare l’ambito della sua attività all’interno del processo alla ricerca di elementi che, anche indirettamente, possano fornire elementi di conoscenza ulteriori rispetto a quelli che deriveranno dell’audizione della persona offesa.



3. L’audizione del minore





Con riferimento alla struttura, la testimonianza in genere si presenta come operazione complessa che si snoda in due momenti: quello della conoscenza e quello della dichiarazione.

Nel primo momento un teste conosce un fatto, ne vive l’esperienza e, sulla base delle proprie competenze, interpreta, comprendendolo, il fatto medesimo. Il momento conoscitivo è, quindi, un’esperienza sensoriale e, di conseguenza, psicologica. Il momento dichiarativo (la deposizione o la ricognizione) è, analogamente, un processo psichico di rielaborazione di

quell’esperienza.

Il testimone non è soltanto lo spettatore del verificarsi di un fatto, ma è colui che l’ha memorizzato ed è chiamato a riattualizzare quell’esperienza, cioè a compiere una riproduzione mnemonica degli avvenimenti, con tutto quello che ciò comporta per il rivissuto di un’esperienza negativa, quando non più spesso traumatica.

La disciplina della testimonianza (e della ricognizione di persone, di cose ecc.) del minore consente di distinguere due piani: il primo è quello basato sul rispetto dei dati normativo-strutturali dell’istituto, che disciplinano la procedura e conducono al compimento di una prova valida ed utilizzabile processualmente; il secondo è il piano su cui operano invece i criteri metodologici, il cui mancato rispetto, lungi dall’incidere sulla validità della prova, può però inficiare il contenuto della stessa, quindi il valore probatorio del risultato e la sua idoneità a formare un convincimento del giudice che vada al di là di ogni ragionevole dubbio. Va, peraltro, sottolineato che alcuni dei criteri metodologici sono diventati dato normativo, per cui sono ormai riscontrabili nel c.p.p.

L’errata conduzione dell’atto, da un punto di vista metodologico, potendo risolversi in una forma di interferenza sulla memoria del teste, finisce per inficiare la genuinità della prova, rendendola attaccabile non già sotto il profilo della utilizzabilità, ma sotto quello della sua attendibilità.

Anche nel caso del minore persona offesa di un reato sessuale, la fonte probatoria conserva la sua natura esclusivamente testimoniale rispetto alla quale non è astrattamente indispensabile l’individuazione dei riscontri esterni per pervenire ad un giudizio di attendibilità.

La conduzione dell’esame testimoniale di un minore richiede l’adozione di modalità particolari, finalizzate a consentirne la buona riuscita per ottenere un soddisfacente contenuto dichiarativo, a non alterare il corretto svolgimento dello stesso, a preservarlo da possibili critiche metodologiche in grado di attenuare od annullare il valore probatorio stesso e a ridurre i possibili effetti negativi di un atto giudiziario sulla psiche del minore.



4. L’audizione del minore, una testimonianza debole o vulnerabile





La testimonianza del minore, ancorché ontologicamente non dissimile da ogni altra testimonianza, può però essere considerata una testimonianza debole, perché il soggetto che la rende è un soggetto debole.

Come i loro autori, anche le dichiarazioni di soggetti deboli sono facilmente attaccabili e si prestano ad una facile opera di decostruzione critica in sede di contraddittorio dibattimentale e di incidente probatorio.

La debolezza dei minori è intrinseca per la debolezza delle loro condizioni psicologiche, per la loro facile influenzabilità, per la possibile non conclusa maturazione dei meccanismi di conoscenza del mondo e di esposizione verbale e, spesso, per il loro vissuto di persone offese di reati gravi. Da questa debolezza di categoria, discende la facilità con cui ogni dichiarazione resa possa essere messa in dubbio, se collegata ai generali aspetti di fragilità.

Da qui deriva la necessità che la testimonianza del minore sia protetta sia dalle incapacità di chi la assume sia dalle argomentazioni dei difensori che fanno il loro mestiere investigando la bontà del teste. Bisogna sempre, infatti, contemperare le garanzie di tutti all’interno del processo; non perché vi è un minore le garanzie s’indeboliscono e questo è il compito del giudice.

Questa duplice protezione del minore si ottiene attraverso l’assunzione della testimonianza in maniera altamente professionale, secondo una metodologia consapevole dei rischi in campo ed in grado di condurre il minore verso dichiarazioni genuine, i cui contenuti emergano per il loro reale valore, in quanto inattaccabili sotto il profilo metodologico.

Ma non va sottovalutata neanche l’esigenza di proteggere anche il minore stesso da un momento che si presenta comunque traumatico per la propria personalità.

Questi aspetti sono stati tenuti presenti dal legislatore che con una pluralità di interventi in progressione ha dettato norme speciali per l’audizione del minore, la cui validità è stata avallata dalla Corte Costituzionale sin dall’ord. 1 aprile 2003 n. 108, che ha riconosciuto “l’esigenza, costituzionalmente rilevante, di assicurare, nella assunzione della testimonianza di soggetti ‘fragili’ – come i minori e gli infermi di mente – modalità che garantiscano la tutela della personalità del teste e la genuinità della prova”. La l. 1 ottobre 2012, n. 172 “Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei mi- nori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno” entrata in vigore il 23 ottobre 2012, ha specificamen- te affrontato il tema prevalentemente sotto la prospettiva dei reati sessuali.



5. Aspetti normativi dell’audizione dibattimentale del minore. La capacità di testimoniare (art. 196 c.p.p.)





La capacità di testimoniare è un accertamento che consente di approfondire lo stato psichico del testimone ed è regolata dall’art. 196 c.p.p. Nell’assunzione della testimonianza, è opportuno che il Giudice demandi ad un perito esperto in discipline psichiatriche o psicologiche il relativo accertamento, come previsto dall’art. 196, comma 2, c.p.p.

Per idoneità fisica e mentale si intende non necessaria- mente o comunque non solo la possibile esistenza di patologie psico-fisiche, ma in generale, la presenza di elementi personologici, in grado di alterare l’esposizione dei fatti. Un bambino non ha eguale capacità strutturale rispetto alle due componenti prima individuate: cognizione e dichiarazione. In questi casi al perito viene demandata l’indagine sulla personalità del teste per verificarne l’attitudine psico-fisica a rendere testimonianza, intesa come “capacità a recepire le informazioni, di raccordarle con altre, di ricordarle ed esprimerle in una visione complessa, da considerare in relazione all’età, alle condizioni emozionali che regolano le sue relazioni con il mondo esterno, alla qualità e natura dei rapporti familiari e dei processi di rielaborazione delle vicende vissute, con particolare attenzione a certe naturali e tendenziose affabulazioni”2. Gli esperti parlano di “competenza a testimoniare”, la cui valutazione comporta l’esame delle funzioni psichiche di base legate alla capacità di rendere la testimonianza: competenze di percezione, memoria, riconoscimento di persone, coerenza, continuità del pensiero, condizioni dell’affettività e delle capacità di relazione, presenza di eventuali aspetti psicopatologici3.

L’accertamento dell’idoneità psico-fisica del teste può essere compiuto in una qualsiasi fase processuale, sia prima del compimento dell’audizione, sia in seguito alla stessa4. Esso, infatti, può prescindere dall’esame delle dichiarazioni specifiche, potendo essere fatto attraverso dati anamnestici indipendenti da quelli oggetto di valutazione specifica, purché di epoca essenzialmente coeva al compimento dell’accertamento. L’opportunità del quando compiere l’accertamento è questione rimessa all’apprezzamento del giudice, fatti salvi i casi in cui la richiesta sia specificamente fatta dal p.m. con l’incidente probatorio, poiché in questo caso il giudice per le indagini preliminari deve seguire il percorso delle richieste del p.m.; se lo accetta egli deve espletare l’accertamento quando lo ha richiesto il p.m. (prima o dopo l’assunzione della testimonianza del minore), se invece non ritiene di accedere alle richieste è discutibile se egli possa accettarle in parte, invertendo l’accertamento rispetto all’ordine della richiesta oppure non accedendo proprio alla richiesta di accertamento, ma procedendo all’esame del minore. La lettera dell’art. 398

c.p.p. esclude che vi possa essere un accoglimento parziale della richiesta di incidente probatorio, anche se non è espressamente precluso. La giurisprudenza di legittimità non si è mai espressa specificamente sul punto, ma è consolidato il principio secondo cui il provvedimento con cui il GIP accoglie o respinge la richiesta di incidente probatorio, è sottratto ad ogni impugnazione per non sacrificare la speditezza del procedimento penale già nella fase preliminare, e per non appesantire oltre modo una parentesi istruttoria che si voleva quanto più possibile snella, vista l’originaria eccezionalità; tutto questo sempre affermando che l’art. 398, comma 1, c.p.p. contempla, unicamente che la richiesta di incidente probatorio possa essere accolta, dichiarata inammissibile o rigettata dal GIP5.

Fuori dal caso della richiesta di incidente probatorio è il giudice che deve compiere la valutazione. In linea di massima si ritiene che, se non vi sono dati che possono far pensare per età o condizioni generali a problemi particolari, è più opportuno riservare all’esito dell’esame stesso la valutazione della capacità a testimoniare che riguarderà anche la valutazione specifica proprio di quell’esame. Se, invece, le condizioni concrete depongono in senso difforme, come ad es. nel caso di minore al di sotto dei dieci anni o di minore con problemi psicologici o di ritardo nello sviluppo, allora è più opportuno agire in prevenzione, anche per comprendere da subito qual è la personalità del dichiarante e sino a che punto ci si può spingere nell’esame.

Va comunque sempre tenuto presente che, qualora l’accertamento sulla capacità di testimoniare dovesse concludersi in termini negativi, ossia di mancanza di capacità, ciò non precluderebbe l’assunzione della testimonianza; così, infatti recita l’ultimo comma dell’art. 196 c.p.p.: “I risultati degli accertamenti che, a norma del comma 2, siano stati disposti prima dell’esame testimoniale non precludono l’assunzione della testimonianza”. Va infatti precisato come l’indagine sulla capacità a testimoniare non è volta a escludere un teste dal compendio probatorio, ma ad offrire al giudice elementi di valutazione della testimonianza, alla quale comunque deve farsi ingresso (fatta salva la rituale rinuncia delle parti).

La regola di cui all’art. 196 c.p.p. infatti, funziona in maniera diversa da quelle di cui agli artt. 197 e 197-bis c.p.p. che, invece, dettando casi di incompatibilità con l’ufficio di testimone comportano la radicale esclusione del teste dall’istruzione probatoria. Dal riconoscimento a ciascun teste della capacità a testimoniare e dalla previsione del vaglio sull’idoneità del teste deriva anche il principio per cui anche una sola testimonianza è mezzo idoneo a fondare il convincimento del giudice e, quindi, a sostenere una pronuncia di condanna, mentre la ricerca di riscontri, secondo il nostro codice, è resa necessaria solo con riferimento alle dichiarazioni degli imputati ex art. 192, commi 3 e 4, c.p.p., per il quale le dichiarazioni “sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità”.

Sinora, si è parlato dell’accertamento della capacità di testimoniare in termini di opportunità dell’esperimento peritale, occorre dare atto, però, di un orientamento della Corte di Cassazione che tende a richiedere necessariamente, per le audizioni dei minori, l’espletamento di perizia sulla capacità di testimoniare, con ciò andando in contrario avviso rispetto all’orientamento maggioritario che escludeva il ricorso necessario all’accertamento peritale se non in presenza di specifici aspetti patologici6. In questo caso, in particolare viene censurato l’omesso compimento di una perizia in contraddittorio, a fronte di accertamenti svolti solo dalla parte pubblica nella fase delle indagini, ma si trattava di una caso in cui si era proceduto col rito abbreviato che aveva cristallizzato e fissato la rilevanza assoluta della consulenza tecnica esperita dal p.m. in sede di indagini preliminari e in questo caso solo il giudice poteva disporre in via officiosa una perizia; si tratta quindi di un caso particolare che può rendere altrettanto particolare la decisione resa. L’orientamento assolutamente prevalente afferma che, in tema di reati sessuali nei confronti di minori, il mancato espletamento della perizia in ordine alla capacità a testimoniare non rende per ciò stesso inattendibile la testimonianza della persona offesa, giacché un tale accertamento, seppure utile laddove si tratti di minori di età assai ridotta, non è tuttavia un presupposto indispensabile per la valutazione dell’attendibilità, ove non emergano elementi patologici che possano far dubitare della predetta capacità7. Al riguardo, si è sottolineato che, in tema di dichiarazioni rese dal teste minore vittima di reati sessuali, la valutazione della sua attendibilità è compito esclusivo del giudice, che deve procedere direttamente all’analisi della condotta del dichiarante, della linearità del suo racconto e dell’esistenza di riscontri esterni allo stesso, non potendo limitarsi a richiamare il giudizio al riguardo espresso da periti e consulenti tecnici cui non è delegabile tale verifica, ma solo l’accertamento della idoneità mentale del teste, diretta ad appurare se questi sia stato capace di rendersi conto dei comportamenti subiti, e se sia attualmente in grado di riferirne senza influenze dovute ad alterazioni psichiche8.



6. La testimonianza del minore tra dovere di verità e possibilità di un’assistenza psicologica





I minori testimoni, come qualsiasi testimone, sono tenuti a dire la verità ai sensi dell’art. 198 c.p.p., che si applica anche all’audizione delle persone informate sui fatti compiuta dal Pubblico Ministero di cui all’art. 362 c.p.p., in forza dell’esplicito rinvio dell’ultimo periodo.

Con riferimento alla fase dibattimentale o all’incidente probatorio (ex art. 401, comma 5, c.p.p. che richiama le norme dibattimentali) la legge impone al Giudice di istruire su questo ciascun testimone, prima della sua assunzione. L’art. 497, comma 2, c.p.p. prevede per tutti i testimoni minorenni che il presidente o il giudice li avverte che devono dire la verità; ma poi la norma distingue tra minori infraquattordicenni e ultraquattordicenni e solo a questi ultimi impone l’avvertimento delle conseguenze penali per i testi falsi e reticenti e la lettura della dichiarazione d’impegno a dire la verità; in buona sostanza il teste che ha compiuto i quattordici anni viene trattato come un qualsiasi testimone e, pertanto, ad es., in caso di falsa testimonianza, essendo imputabile, potrà essere perseguito e punito per detto reato.

L’art. 609-decies c.p., come modificato dalla l. 172/2012, prevede una forma di assistenza psicologica del minore, garantendo la presenza agli atti del procedimento giudiziario dei genitori o di altre persone indicate dal minorenne. L’ampliamento della platea dei soggetti abilitati a fornire assistenza voluto dalla l. 172/2012, includendovi soggetti non legati da un qualificato rapporto con il minore, è destinato ad operare nei casi di minori privi di riferimenti familiari o offesi da reati avvenuti nello stesso contesto familiare; in questo senso è positiva la richiesta di una specifica abilitazione del soggetto deputato a prestare il proprio ruolo di sostegno.

La modifica legislativa del 2012 ha anche previsto l’espresso consenso del minore, che appare significativo alla luce dell’ampliamento della platea dei soggetti estranei al minore che potrebbero partecipare ai vari momenti processuali, ma è un dato più che altro formale, soprattutto per i bambini.

L’esame testimoniale del minore psicologicamente assistito è imposto dalla legge sin dalla fase delle indagini preliminari per certi tipi di reato, tra cui quelli di violenza sessuale (vedi art. 362, comma 1-bis c.p.p., come modificato dal d.lgs. 212/2015), ma per l’inottemperanza di questa disposizione non è prevista alcuna sanzione processuale: la mancanza di assistenza, per il principio di tassatività che regola la materia, non è causa di nullità, non rientrando neanche nelle nullità generali di cui all’art. 178 c.p.p.

Non è neppure causa di inutilizzabilità della prova testimoniale, giacché la sanzione di inutilizzabilità di cui all’art. 191

c.p.p. colpisce solo quelle prove che siano in se stesse vietate dalla legge e tale non è, come appena detto, l’esame testimoniale di minore psicologicamente non assistito.

Quale debba essere, in concreto, il tipo di assistenza fornito dall’ausiliario non trova indicazione nella norma, ma, anche in presenza di un ausiliario, dominus dell’atto resta il giudice, che non abdica al proprio ruolo per il solo fatto di avvalersene. In sede di incidente probatorio vi sono prassi diverse, nel senso che vi sono giudici che conducono l’esame, avvalendosi volta per volta dell’ausiliario (o su richiesta dello stesso giudice o su intervento dell’ausiliario stesso) oppure vi sono giudici che demandano all’ausiliario la conduzione dell’esame, riservando interventi marginali e mirati a garantire la finalità probatoria dell’atto. Personalmente ho sempre adottato la prima soluzione ritenendo che l’esame del teste minorenne persona offesa sia un atto del giudice che non ammette deleghe sia in incidente probatorio che nel corso del dibattimento, nel corso del quale comunque non conosco ipotesi di delega della conduzione dell’esame all’ausiliario da parte del presidente del collegio.

Qualunque soluzione si scelga, la doppia presenza assolve al perseguimento di due finalità coessenziali quelle della bontà tecnico-giuridica e metodologica dell’esame: la prima è la pertinenza e completezza probatoria dell’atto (finalità assecondata dal giudice); la seconda è la corretta conduzione metodologica dell’atto, secondo criteri della scienza di settore e soprattutto evitando suggestioni (tema su cui si tornerà oltre ed è finalità assecondata dall’esperto)9.



7. Le modalità di conduzione dell’esame del minore nell’incidente probatorio e nell’esame dibattimentale





Il codice di procedura penale detta regole specifiche per l’esame dibattimentale e nell’incidente probatorio del testimone infradiciottenne, indicando modalità particolari, dettate dall’art. 498 commi 4, 4-bis, 4-ter e 4-quater c.p.p., richiamate in parte anche dalle norme sull’incidente probatorio (esse non disciplinano, quindi, l’audizione del minore nella fase delle indagini condotte dal p.m. e dalla p.g.). La norma concerne tutti i testimoni minorenni e tutti i procedimenti, indipendentemente dalla fattispecie di reato per cui si procede.

La prima regola è quella che prevede la sottrazione del minore all’esame diretto ed al controesame (art. 498 comma 4): l’esame è condotto dal giudice. Questa norma persegue il fine di preservare i minori dal pericolo di domande nocive e suggestive (art. 499 c.p.p.), particolarmente presenti proprio nell’esame dei minori, più esposti anche alla suggestionabilità (vedi oltre).

Il modus procedendi di cui all’art. 498, comma 4, c.p.p. è però derogabile dal presidente o dal giudice che, valutato il caso specifico e sentite le parti, quando ritiene che l’esame diretto del minore non possa nuocere alla serenità del teste, può disporre con ordinanza sempre revocabile che la deposizione avvenga nelle forme ordinarie; è una facoltà che viene soven- te utilizzata in ragione dell’età del minore, che non presenti problemi di condizioni psico-fisiche: quanto più il minore è vicino alla maggiore età, tanto più ci si avvale di questa disposizione. In questi casi l’audizione viene condotta dalle parti e, con riferimento alle parti private, dai difensori10.

L’art. 498, commi 4-ter e 4-quater, c.p.p. prevede che l’esa- me del minore venga effettuato dal giudice attraverso l’uso di un vetro specchio unitamente ad un impianto citofonico o di modalità protette quando si procede per i reati di cui agli artt. 572, 600, 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-ter, 609-quater e 609-octies e 612- bis c.p. L’uso di queste modalità presuppone una richiesta di parte, del minore o del suo difensore, ma anche, pur se non previsto, del p.m. ed è un caso ricorrente, ma di solito viene sempre fatta nel corso dell’incidente probatorio, mai nel corso del dibattimento, dove le parti non lo chiedono praticamente mai.

L’impiego della strumentazione tecnologica è atto a proteggere il minore e ad evitare contatti diretti con il presunto abusante, oltre che a ridurre gli effetti dell’affollamento del luogo in cui si svolge l’audizione. Sono modalità che consentono lo svolgimento dell’atto attraverso lo sdoppiamento dei locali impiegati: un locale ospiterà il minore, il giudice e l’ausiliario, l’altro locale ospiterà le parti che assistono al processo e che potranno continuare a farlo attraverso un vetro unidirezionale od altra strumentazione tecnica idonea allo scopo (videoconferenza). L’aula, quindi, dovrà avere delle caratteristiche specifiche, soprattutto per esigenze di carattere tecnico.

Ulteriori regole sono quelle espressamente dettate per l’in- cidente probatorio in deroga per i minorenni di cui all’art. 398, comma 5-bis c.p.p.; anch’esse trovano applicazione per i testimoni minorenni quando vi sia una richiesta di parte o, comunque, su espressa decisione del giudice, secondo il dettato di cui all’art. 498 comma 4-bis c.p.p.

L’esame del minore deve essere obbligatoriamente ripreso con impiego di mezzi di produzione fonografica o audiovisiva, se necessario anche previo incarico ad un tecnico specializzato, secondo le forme dettate dall’art. 398, comma 5-bis,

c.p.p. per l’incidente probatorio.

La documentazione audiovisiva non sostituisce la necessità del verbale scritto, in forma riassuntiva. Mentre la trascrizione della riproduzione è disposta solo su richiesta dalle parti.

Le regole ora viste hanno essenzialmente un significato metodologico, funzionale alla corretta escussione del teste minorenne in sede dibattimentale e di incidente probatorio, ma anche in questo caso l’inosservanza delle stesse non comporta inutilizzabilità né nullità dell’atto.

Le forme dell’incidente probatorio comunque costituiscono la forma privilegiata di audizione del minore. Il legislatore con vari interventi (che vanno dal 1996 al 2015 passando per il 2012) ha esteso la possibilità di ricorrere a questo strumento, introducendo l’art. 392, comma 1-bis, c.p.p. in forza del quale il ricorso all’anticipata assunzione della testimonianza di persona minorenne è possibile in via autonoma, anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1, nei procedimenti aventi ad oggetto determinati reati riguardanti soprattutto gli abusi di natura sessuale11.

Va sottolineato che l’estensione non è specifica per i minorenni, ma è prevista anche per i maggiorenni, purché rivestano la qualifica di persona offesa dei reati in questione nonché alle persone offese che versano nella condizione di particolare vulnerabilità.

Il valore di questo tipo accertamento discende dal contraddittorio, che in esso si realizza, dalla possibilità di procedere in tal modo all’audizione del minore solo una volta, senza ricorrervi in seguito così tutelandone la dignità, riservatezza ed integrità, dalle suddette condizioni costituenti le migliori modalità per procedere all’esame e dalla relativa vicinanza ai fatti su cui si indaga.

Vi è però da considerare che l’incidente probatorio deroga sostanzialmente al principio di cui all’art. 525, comma 2, c.p.p., poiché generalmente il giudice che assume la prova non è il giudice che delibera sul merito del processo; quindi qui vi è un’eccezione all’art. 525, comma 2, c.p.p., che diventa regola, dettata dalla particolare caratteristica di questo testimone ancorché non necessariamente minorenne12. Per altro verso va ricordato che gli artt. 393, comma 2-bis, e 398, comma 3-bis, c.p.p. richiedono una discovery completa degli atti ed una conseguente possibilità delle parti di ottenere copia degli atti così depositati dal Pubblico Ministero. Questa norma, oltre ad eliminare la discrezionalità del Pubblico Ministero circa la selezione degli atti, si contrappone anche alla regola della fase dibattimentale ordinaria, nella quale il giudice è ignaro degli atti del fascicolo del p.m. (e segnatamente delle precedenti dichiarazioni dei testi) e quindi il giudice può condurre l’esame in modo decisamente più consapevole ed avvertito rispetto al presidente o al giudice del dibattimento. Per altro verso il fatto che la richiesta di incidente probatorio comporta una discovery completa può indurre il p.m. a ritardare il momento della richiesta affinché la discovery non possa arrecare pregiudizio ad eventuali indagini in corso; senza considerare che comunque può essere sempre opportuno che l’audizione si compia in presenza di un quadro sufficientemente completo dei fatti, onde evitare che la sopravvenienza di elementi nuovi comporti l’insorgere dell’esigenza di richiedere un supplemento di incidente probatorio o di disporre l’audizione del minore nella fase dibattimentale in presenza di “fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni” o “specifiche esigenze” rilevanti ai sensi dell’art.

190-bis c.p.p.

Ciò si riconnette perfettamente al fine delle suddette disposizioni che è quello di rendere accessibile il maggior numero di dati possibile, sia per agevolare l’audizione del minore sotto il profilo della preparazione dell’atto stesso e quindi assicurare un pieno contraddittorio (seppure mediato dal giudice che conduce l’esame), sia per consentire l’inquadramento delle dichiarazioni nel contesto complessivo della situazione soggettiva del minore.

Nel caso di istanza proveniente dall’indagato vi è invece solo l’obbligo di deposito degli atti contenenti le dichiarazioni precedenti rese dal minore; non vi è quindi la possibilità di effettuare la discovery da parte dell’indagato.

La raccolta delle dell’esame del minore o del maggiorenne persona offesa dei reati suddetti cristallizza la prova in modo forte, dal momento che l’art. 190-bis, comma 1-bis, c.p.p. prevede come del tutto residuale la successiva audizione del minore in sede dibattimentale o di una persona offesa in condizioni di particolare vulnerabilità. Questa norma rafforza l’esigenza di sottrarre il minore o la persona offesa in condizioni di particolare vulnerabilità a plurime audizioni, proprio per ridurre al massimo il rischio di vittimizzazione secondaria.

Del resto la norma di cui all’art. art. 398, comma 5-bis che prevede l’integrale documentazione dell’atto (fonografica) riduce gli effetti della limitazione di cui all’art. 190-bis, com- ma 1-bis, c.p.p., consentendo comunque un ampio controllo sulla prova a suo tempo assunta, ma va segnalato che tra le due norme non vi è una precisa identità dei reati; infatti, l’art. 190-bis, comma 1-bis, c.p.p. si applica ad un numero più ridotto di reati, risultando in esso omesso ogni riferimento a quelli di cui agli artt. 572, 600, 601, 602, 609-undecies e 612-bis c.p.

Per questo l’incidente probatorio rivela tutta la sua maggiore efficacia, non dimenticando quanto già più sopra detto e che va un momento ripreso: l’audizione giudiziaria del minore è tanto più valida quanto più prossima ai fatti di sospetto abuso, cosa che può andare in contrasto con il raggiungimento di un quadro sufficientemente completo dei fatti. Gli studi di neuropsichiatria infantile hanno evidenziato come il passare del tempo incida negativamente sui meccanismi psicologici del minore, attraverso un serie di fenomeni alquanto diffusi sia esterni che interni. Nel caso del minorenne ancora bambino il trascorrere del tempo lo espone ad influenze esterne, in grado di modificare la memoria del fatto, come le reiterate audizioni condotte in maniera scorretta e/o suggestiva. La

c.d. memoria post-traumatica è soggetta a meccanismi difensivi (blocchi dissociativi, incapacità di ricordare particolari di un evento, ecc.) in grado di rendere possibile una progressiva liberazione di materiale mnestico con l’attenuarsi dei sintomi post-traumatici clinicamente rilevabili13.

Per questo l’audizione del minore è tanto più valida quanto concentrata in un unico momento. La qualità e l’accuratezza delle dichiarazioni tendono a diminuire parallelamente alla quantità ed alla eterogeneità delle occasioni in cui esse sono raccolte o, al contrario, ad arricchirsi di dettagli posticci e indotti; ciò non toglie che saranno sempre le specifiche circostanze di fatto a rendere necessaria o meno la valutazione del ripetere un’audizione del minore.



8. L’esame del minore e le domande suggestive





Il codice di rito per l’audizione dei testimoni pone il divieto assoluto di porre domande nocive e quello (relativo) di porre domande suggestive al teste nell’esame diretto. I divieti di domande nocive e suggestive trovano sede nell’articolo 499 c.p.p., che sotto la rubrica “Regole per l’esame testimoniale”, dopo aver vietato in generale “le domande che possono nuocere alla sincerità delle risposte” (comma 2) scende nella specificazione, vietando “le domande che tendono a suggerire le risposte”, con limitato riferimento alle domande poste dalla parte ai testi di cui essa stessa ha chiesto la citazione nonché poste dalla parte che ha un interesse comune (“dalla parte che ha chiesto la citazione del testimone e da quella che ha un interesse comune”).

Il divieto di domande suggestive non si pone, quindi, per chi conduce il controesame del teste, il quale anzi è opportuno che sia lasciato libero di saggiare l’attendibilità del teste anche con domande provocatorie e suggestive ed al quale neppure il potere presidenziale di controllare l’escussione può inibire domande che tendono a suggerire le risposte14.

Il divieto, inoltre, è previsto solo per la fase dell’istruttoria dibattimentale, non anche per le dichiarazioni assunte dal Pubblico Ministero durante le indagini preliminari, ove non si escutono testimoni, ma si procede all’audizione di “persone informate sui fatti”15.

Il controllo sull’andamento dell’esame è affidato al giudice, secondo quanto stabilito dall’art. 499, comma 6, c.p.p. in forza del quale “Durante l’esame, il presidente, anche di ufficio, interviene per assicurare la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell’esame e la correttezza delle contestazioni…”.

Il tema che si pone è se nell’audizione dei minori si debba ritenere consentita, entro certi limiti, la proposizione di domande suggestive anche da parte del giudice. Questa posizione è stata sostenuta da alcune sentenze di legittimità, basate sul tenore letterale delle norme. Non deve dimenticarsi infatti che la norma di cui all’art. 499, comma 3, c.p.p. nel caso dei minori trova applicazione casistica più limitata, posto che, come spesso accade nel rispetto dell’art. 498, comma 4, c.p.p., è lo stesso giudice che consente alla parte di condurre direttamente l’esame.

Da qui una certa libertà di azione nel porre le domande da parte del giudice, che verrà sottoposta ad un vaglio critico a posteriori, in sede di valutazione della prova, mentre, in costanza dell’esame, elimina l’applicazione della microprocedura di cui all’art. 504 c.p.p. (opposizione formulata nel corso dell’esame e decisione immediata de plano del giudice).

In giurisprudenza si è sostenuto senza contrasti per molto tempo che “il divieto di porre domande suggestive nell’esame testimoniale non opera con riguardo al giudice, il quale, agendo in una ottica di terzietà, può rivolgere al testimone tutte le domande ritenute utili a fornire un contributo per l’accertamento della verità, ad esclusione di quelle nocive”16. Agendo il giudice in un’ottica di terzietà, infatti, non sarebbe in tal caso configurabile alcun rischio di intese occulte tra il soggetto che rivolge le domande ed il testimone17; a sostegno di tale argomentazione si sostiene che la ratio della norma, ossia il divieto di porre domande nocive o suggestive, risiede nel particolare rapporto di prossimità che potrebbe intercorrere tra il testimone e la parte processuale che lo ha citato, al contrario per il giudice non vi è il rischio di un precedente accordo tra testimone ed esaminante, perché essendo esso per definizione terzo e imparziale, il divieto non avrebbe alcuna ragione d’essere.

Ad infrangere questa interpretazione consolidata giunge una prima pronuncia della Cassazione che ha sottolineato come la regola del divieto di domande suggestive valga anche per il giudice: “il giudice che procede all’esame diretto del testimone minorenne non può formulare domande suggestive, precisando che, ove si ritenesse diversamente, si arriverebbe all’assurda conclusione che le regole fondamentali per assicurare una testimonianza corretta verrebbero meno laddove, per la fragilità la suggestionabilità del dichiarante, sono più necessarie”18. Più di recente altra pronuncia della Corte di Cassazione stabilisce che “il divieto di formulare domande che possano nuocere alla sincerità delle risposte, nel duplice senso delle domande suggestive – nel significato che il termine assume nel linguaggio giudiziario di domande che tendono a suggerire la risposta al teste ovvero forniscono le informazioni necessarie per rispondere secondo quanto desiderato dall’esaminatore, anche attraverso una semplice conferma – e delle domande nocive – finalizzate a manipolare il teste, fuorviandone la memoria, poiché gli forniscono informazioni errate e falsi presupposti tali da minare la stessa genuinità della

risposta – è espressamente previsto con riferimento alla parte che ha chiesto la citazione del teste, in quanto tale parte è ritenuta dal legislatore interessata a suggerire al teste risposte utili per la sua difesa. A maggior ragione, detto divieto deve applicarsi al giudice al quale spetta il compito di assicurare, in ogni caso, la genuinità delle risposte”19.

Sempre tenendo presente che l’affermazione del principio di diritto va contestualizzato rispetto al caso specifico, questa impostazione interpretativa (che resta comunque minoritaria) muove da un presupposto interpretativo e cioè che la domanda suggestiva sia in sé vietata, cosa quanto meno opinabile e che determina comunque un risultato incongruo, se non contraddittorio: il giudice non può porre domande che alcune parti possono porre, fatta salva la valutazione di esse. Un risultato inaccettabile che contrasta con tutto il sistema di acquisizione della prova orale delineato dal codice di rito.

Va fatta inoltre attenzione a non confondere le domande suggestive con la suggestionabilità20.

Un certo stile di domande, più che suggerire le risposte, può portare a creare un rapporto col minore che lo indurrà a conformarsi ad uno stereotipo o, al contrario, a chiudersi in uno spazio impenetrabile, così pregiudicando in maniera spesso irreversibile l’audizione. Nel caso del minore alla suggestione, cioè all’indursi di una persona ad accettare in assenza di validi elementi quanto gli viene suggerito, può accompagnarsi la suggestionabilità, cioè la tendenza del soggetto a rispondere in un certo modo alla suggestione e ad un contesto; la suggestione è individuata dalle caratteristiche di uno stimolo (dato oggettivo), la suggestionabilità dalle caratteristiche di una persona (dato soggettivo). La variabilità del grado di suggestionabilità è fortemente correlato all’età del minore ed al suo livello di sviluppo cognitivo.

Altro elemento della suggestionabilità è il senso di autorevolezza verso la persona che interroga, il giudice; da qui la tendenza degli psicologi a ritenere assolutamente da evitare qualsiasi domanda suggestiva da parte di chiunque la ponga e comunque ad evitare nell’interrogatorio di fornire informazioni o dettagli che il minore non ha riferito e l’importanza di fare domande il più possibile aperte.

La giurisprudenza, per descrivere un acuto fenomeno degenerativo che può derivare da tale situazione, ha coniato il termine contagio dichiarativo che si realizza soprattutto negli abusi collettivi attraverso lo scambio di informazioni e notizie da parte dei dichiaranti21. Ma vi è un altro aspetto che si rifà al contesto: tante persone si muovono intorno alla vittima minore dentro e fuori il processo con intenti protettivi (familiari, consulenti, esperti, insegnanti, forze di Polizia, A.G., ecc.); questi soggetti tendono inevitabilmente a sollecitare i contenuti di un ricordo traumatico per svariati motivi (e come tali non tutti sono contenibili), ciascuno rispondente alla professionalità richiesta per quel caso o alla veste processuale che essi devono assumere; ma è indubbio che questo può deter- minare un duplice effetto sinergicamente negativo: di tipo psicologico con la riacutizzazione degli effetti del doloroso vissuto e di tipo giudiziario che porta a confondere il dichiarante, inducendo falsi ricordi, stravolgendo la realtà, a tutto scapito dell’accertamento e ricerca di una corretta verità, che è sempre processuale.

L’ordinamento cerca di porre limiti per contenere questo fenomeno. L’art. 472, comma 3-bis, c.p.p. pone il divieto di fare domande sulla vita privata o sulla sessualità della persona offesa se non sono necessarie alla ricostruzione del fatto nei dibattimenti relativi ai reati indicati nell’art. 472 c.p.p., tra cui la violenza sessuale. La stessa norma stabilisce che nel dibattimento si procede sempre a porte chiuse quando la parte offesa è minorenne e ai sensi dell’art. 472, comma 4, c.p.p. che l’esame dei testimoni minori può, facoltativamente, secondo la discrezionalità del giudice, essere condotto a porte chiuse.



9. L’audizione del minore e le indagini difensive. La rinnovazione dell’audizione del minore in appello



Fino all’introduzione del comma 5-bis dell’art. 391-bis c.p.p. ad opera della l. 172/2012 l’audizione del minore ad opera del difensore in sede di investigazioni difensive era priva di indicazioni normative. La suddetta legge ha stabilito le regole per l’attività di assunzione di informazioni da parte della Polizia Giudiziaria, del Pubblico Ministero ed anche del difensore. L’art. 391-bis, comma 5-bis, ricalca le previsioni dettate per la parte pubblica, prevedendo analogamente il necessario ausilio di professionista esperto22.

A questa possibilità l’inquirente può opporsi con rimedi generali.

Una prima possibilità tecnica risiede nel potere del Pubblico Ministero di vietare ai sensi dell’art. 391-quinquies c.p.p., con decreto motivato, alle persone sentite, tra cui eventualmente anche al minore che sia stato già ascoltato, di comunicare i fatti e le circostanze oggetto dell’indagine di cui hanno conoscenza per un termine massimo di due mesi; l’art. 379-bis c.p. punisce, fra l’altro, la condotta di chi non osserva il divieto di segretazione imposto dal Pubblico Ministero.

La persona che viene sentita dal difensore (o investigatore privato o consulente tecnico) ha comunque la facoltà di non rispondere e di non rendere la dichiarazione ai sensi dell’art. 391-bis, comma 3 lett. d.) c.p.p., facoltà della quale deve essere avvertito l’audito. Qualora questa facoltà venga esercitata, il difensore può richiedere al Pubblico Ministero l’audizione, che deve essere compiuta entro sette giorni dalla richiesta stessa ai sensi dell’art. 391-bis, comma 10, c.p.p. alla presenza del difensore che per primo formula le domande. L’art. 391- bis, comma 11, c.p.p. prevede espressamente che il difensore, in alternativa all’audizione di cui al comma 10, possa chiedere che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza o all’esame della persona che abbia esercitato la facoltà di cui alla lettera d) del comma 3, anche al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 392 comma 1 c.p.p., ma in linea di massima la possibilità che la difesa si induca ad avanzare una simile richiestasi riscontra come ipotesi rara, anche perché il p.m. può sempre richiedere egli l’incidente probatorio per procedere all’audizione del minore persona offesa.

Proprio a quest’ultimo riguardo va segnalata la problematica della rinnovazione delle prove in appello che ha visto l’introduzione di nuove specifiche disposizioni come quella di cui all’art. 603, comma 3-bis, c.p.p. che la impone a certe condizioni. Come si pone la tutela della vittima vulnerabile a questo riguardo?23

La Corte Costituzionale ha respinto la supposta violazione dell’art. 20 della Direttiva 12/29/UE che richiede che il numero delle audizioni della vittima sia limitato al minimo poiché quella Direttiva non si estende alla fase del processo, ma riguarda solo la fase delle indagini preliminari e fa comunque salvi i diritti della difesa, tra cui vi è il diritto al contraddittorio nella formazione della prova, così ribadendo la prevalenza del principio del contraddittorio sulla tutela del teste vulnerabile24. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato il principio che il rinnovo dell’audizione del teste vulnerabile in sede d’appello determina che vi debba essere una previa valutazione della “indefettibile necessità di sottoporre il soggetto debole, sia pure con le opportune cautele, a un ulteriore stress al fine di saggiare la fondatezza dell’impugnazione proposta avverso la sentenza assolutoria” e, se questa valutazione escludesse quella necessità, il giudice non potrebbe rivalutare la prova precedentemente assunta e gli sarebbe quindi precluso il ribaltamento della sentenza di assoluzione25.







































NOTE

1 Il riferimento è in particolare in ordine alle modalità di audizione, ad es.

sempre con un esperto anche quando viene sentito a sommarie informazioni dalla p.g., l’obbligo di video registrazione e di esame con incidente probatorio e con particolari modalità, diritti d’avviso, ecc. (vedi infra).

Vedi nella giurisprudenza di legittimità più risalente Cass. pen., sez. III, 3 ottobre 1997, n. 8962, CED n. 208447; successivamente Cass. pen., sez. III, 5 maggio 2010, n. 29612, CED n. 247740.

3 G. MAzzONI (a cura di), La testimonianza nei casi di abuso sessuale sui minori. La memoria, l’intervista e la validazione della deposizione, Milano, 2000.

4 G. GULOTTA, Guida alla perizia in tema di abuso sessuale e alla sua critica, Collana di Psicologia Giuridica e Criminale, Milano, 2004.

5 Nulla aggiunge sulla impugnabilità del provvedimento del GIP che, per- tanto, per il principio della tassatività dei mezzi di impugnazione, deve essere esclusa, vedi tra le altre Cass. pen., sez. IV, 21 gennaio 2021, n. 3982, in Guida al diritto, 2021, 7, 21 ss.

6 Espressione di questo orientamento è la sentenza della Cass. pen., Sez. III, 23 febbraio/7 luglio 2011, n. 26692, rv. 250629.

7 Cass. pen., sez. III, 1 luglio 2015 n. 25800/16, rv. 267323; Cass. pen., 7 luglio 2011, n. 38211, rv. 251381.

8 Cass. pen., sez. III, 12 novembre 2020, n. 189, rv. 280824-01; 18 settembre 2015, n. 47033, rv. 265528.

9 La Cassazione ha ritenuto non sussistente l’incompatibilità tra l’avere svol- to il ruolo di perito del GIP e la funzione di mero ausiliario del Giudice in sede di audizione dibattimentale.

10 La Cassazione esclude che l’imputato possa porre domande direttamente. A maggior ragione il divieto opera in questi casi. L’art. 111 Cost., secondo cui la persona accusata di un reato ha facoltà di interrogare o far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, esprime un principio di garanzia le cui modalità concrete di attuazione sono rimesse al legislatore ordinario, che è lasciato libero di scegliere tra le due possibilità in funzione del modello di difesa previsto nei diversi procedimenti. Ne consegue che nell’attuale ordinamento, riservando l’art. 498 al solo difensore la suddetta facoltà, l’imputato non è au-

torizzato a condurre personalmente l’esame testimoniale (vedi Cass. pen., sez. I, 9 dicembre 2010, n. 43474, rv. 249007; Cass., sez. III, 25 marzo 2010, n.

11534, rv. 246445).

11 I reati sono più dettagliatamente quelli di cui agli artt. 572, 600, 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-quater, 609-quin- quies, 609-octies, 609-undecies e 612-bis c.p.

12 Va anche detto che l’interpretazione data dalla sentenza delle SS.UU. della Corte di Cassazione 10 ottobre 2019 n. 41736 (vedi Cass. Pen. 2020, 1031 ss.) all’art. 525, comma 2, c.p.p. ridimensiona molto la problematica evidenziata.

13 Vedi Linee Guida SINPIA, Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzi e dell’Adolescenza Raccomandazione 6.7.9.

14 Vedi Cass. pen., sez. III., 3 giugno 1993, n. 9724, rv. 196166.

15 Cfr. Cass. pen., sez. III, 5 dicembre 2003, n. 984, rv. 227679; 22 novembre 2018, n. 13729, rv. 275188-01; 6 novembre 2018-14 marzo 2019 n. 11450, rv. 275156

16 Così tra le altre Cass. pen., sez. III, 15 aprile 2015, n. 21627, rv. 263790; si trattava di una fattispecie in materia di reati sessuali, nella quale la Corte ha escluso che la domanda posta dal giudice alla persona offesa avesse natura suggestiva, dovendo intendersi come una mera richiesta di chiarimento sulle modalità del fatto.

17 Vedi Cass. pen., sez. I, 17 settembre 2014. n. 44223, rv. 260898.

18 Sez. III, sentenza n. 25712 dell’11 maggio-28 giugno 2011, rv. 250615.

19 Così Cass. pen., sez. IV, 19 maggio 2020, n. 15331, in Dir. Pen. e Processo, 2020, 6, 754 ed in Giur. It., 2020, 11, 2565, con nota di Naimoli e Sistema Penale n. 6 del 2020 con nota di Galantini; in precedenza anche Cass. pen., sez. III, 18 gennaio 2012, n. 7373, in Giust. Pen., 2012, III, col. 321. Per una ricognizione in dottrina della tematica si veda Ferrua, Processo penale e giustizia, n. 4 del 2016. Per una diversa interpretazione P. SILVESTRI, Sulla estensione del divieto di porre domande suggestive anche all’esame condotto dal presidente, in Cass. Pen., 2009, 1556 ss.

20 Vedi S. PEzzUOLO, L’ascolto del minore presunta vittima di abuso sessuale: buona prassi, in Psichiatria, Psicologia e Diritto, 2011, 5, 16 ss.

21 Vedi Cass. pen., sez. III, 2 aprile 2012, n. 12283, in Foro It., 2013, 4, 2, 224.

22 Anche di fronte al precedente quadro normativo che non regolamentava la possibilità dell’audizione del minore, non parevano sussistere argomenti teorici volti a precludere la possibilità che il minore fosse oggetto di audizione e di consulenza in sede di indagini difensive ex art. 327-bis c.p.p. Argomenti decisivi non parevano desumersi neppure dalla preclusione dell’art. 391-bis, comma 8, c.p.p., in forza del quale “All’assunzione di informazioni non possono assistere la persona sottoposta alle indagini, la persona offesa e le altre parti private”. La norma parla esplicitamente di assistenza all’atto, con ciò vietando la simultanea presenza, accanto alla persona ascoltata ed al soggetto intervistante, di una delle parti private, e non giunge ad escludere in radice, invece, la possibilità di procedere all’audizione di uno dei soggetti indicati.

23 Si veda per una ricognizione in generale e specifica sul tema che qui occu- pa lo scritto di P. MESSINI d’AGOSTINI e F. SANVITALE, Le Sezione Unite oltre la Corte di Strasburgo in tema di rinnovazione istruttoria in appello, in Cass. Pen., 2021, 3031 ss.

24 Vedi sentenza 23 maggio 2019 n. 124, in Cass. Pen., 2019, 3607 ss., con osservazioni di APRILE.

25 Cfr. sentenza 28 aprile 2016 n. 27620, in Cass. Pen., 2016, 3203 ss.