inserisci una o più parole da cercare nel sito
ricerca avanzata - azzera

Osservazioni sulla sepoltura all’interno delle strutture ‘private’: a chi spetta il diritto?

autore: A. Cassarino

SOMMRIO: 1. Il perché di questo tema. - 2. L’indirizzo costante della Corte. - 3. La sepoltura e la disciplina romanistica. - 4. Il sepolcro e le due tipologie.



1. Il perché di questo tema



In questa sede tratteremo del diritto alla sepoltura (ius sepulchri) inteso come quel giusto titolo che consente ad una persona di essere sepolta in un determinato luogo.

L’argomento sarà affrontato osservando l’indirizzo seguito di recente dalla Giurisprudenza Nomofilattica, la quale discute del tema congiuntamente alla diversificazione tra sepolcri familiari e sepolcri ereditari.

Chi si occupa di Diritto romano, come chi scrive, non può esimersi dal commentare le parole espresse in sede di legittimità, tenuto presente che la diversificazione tra le due tipologie di sepolcri era ben nota già al tempo dei Romani1.

Cessate le funzioni vitali di un individuo, il trattamento del cadavere nonché la sepoltura del corpo trovano oggi una regolamentazione giuridica sia nel settore del Diritto pubblico che in quello privatistico, ai quali si aggiungono quelle normative emanate in ambito amministrativo2. I tre rami del diritto, qui riportati, si riferiscono, rispettivamente, alla morte dovuta agli eventi esterni che determinano un’anticipazione del normale scorrere dello ius naturale (penale)3, i rapporti privati susseguenti al decesso, di cui espressione massima è l’ambito successorio (civile)4, e la disciplina dei terreni appartenenti all’ente comunale5, sui quali l’individuo abbia chiesto la costruzione di un edificio tombale. Si tratta, come può rendersi agevolmente conto un attento lettore, solo di mere esemplificazioni isagogiche6, poiché le tre species dello ius qui richiamate sono passibili argomentativamente di un ampliamento esponenziale. In particolare, l’interesse precipuo alla sepoltura di un cadavere, al di là degli aspetti legati alla pietà che un consociato ha come obbligo morale, oltreché giuridico, di mostrare rispetto verso colui che ha percorso questa vita terrena, pone principalmente un interesse collettivo proprio dell’ordinamento di appartenenza, affinché si evitino, attraverso la decomposizione naturale del corpo, la propagazione di agenti patogeni che possano minare la salubritas di un’intera comunità.



2. L’indirizzo costante della Corte



Quando si tratta il tema dello ius sepulchri, se osserviamo le pronunce più recenti sia dei Tribunali ordinari7 che dei giudici di legittimità8, constatiamo che viene proposto congiuntamente alla diversificazione tra sepolcri familiari o gentilizi e sepolcri ereditari.

Come un moderno interprete può liberamente escerpire da tale assunto, ciò che giustifica una dipendenza funzionale tra sepoltura ed edifici tombali è la problematica giuridica se un individuo abbia o meno diritto di essere seppellito in ‘quella’ determinata struttura ‘cementizia’. Dobbiamo escludere, pertanto, da queste eventuali dispute tra ‘famiglie’, la tumulazione o altra forma di deposizione del cadavere nei terreni comunali, tenuto presente che nel Regolamento della Polizia Mortuaria, emanato con d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, l’art. 499 impone ai comuni di destinare spazi alla sepoltura e di accogliere, ex art. 5010, le salme. Posta dunque la necessaria sepoltura di una persona, tralasciando in questa sede gli aspetti patologici legati ai ritardi delle amministrazioni di alcuni ‘grandi’ comuni italiani o città metropolitane, gli Ermellini affermano, secondo un indirizzo univoco:



… la piena applicabilità della costante giurisprudenza di questa Corte, in base alla quale nel sepolcro ereditario lo ius sepulchri si trasmette nei modi ordinari, per atto inter vivos o mortis causa, come qualsiasi altro diritto, dall’originario titolare anche a persone non facenti parte della famiglia, mentre nel sepolcro gentilizio o familiare - tale dovendosi presumere il sepolcro, in caso di dubbio – lo ius sepulchri è attribuito, in base alla volontà del testatore, in stretto riferimento alla cerchia dei familiari destinatari del sepolcro stesso, acquistandosi dal singolo iure proprio sin dalla nascita, per il solo fatto di trovarsi col fondatore nel rapporto previsto dall’atto di fondazione o dalle regole consuetudinarie, iure sanguinis e non iure successionis, e determinando una particolare forma di comunione fra contitolari, caratterizzata da intrasmissibilità del diritto, per atto tra vivi o mortis causa, imprescrittibilità e irrinunciabilità. Tale diritto di sepolcro si trasforma da familiare in ereditario con la morte dell’ultimo superstite della cerchia dei familiari designati dal fondatore, rimanendo soggetto, per l’ulteriore trasferimento, alle ordinarie regole della successione mortis causa (v. nn. 7000/12, 1789/07, 12957/00, 5015/90 e 519/86).



Lo stralcio che qui si riproduce è la sentenza della Corte di Cassazione civile a Sezioni Unite del 28 giugno 2018, n. 17122, nella quale, come possiamo leggere agevolmente dal dispositivo e il cui dettame è seguito in modo pressoché identico dalle pronunce successive, si pongono le basi per una distinzione tra le due tipologie di sepolcri, chiarendo che la differenza, in particolare, si scorge nel rapporto di chi chiede la sepoltura con il fondatore medesimo dell’edificio.

La relazione tra colui che pone ‘la prima pietra’ e la cerchia di individui che su di lui gravitano è da considerarsi un elemento determinante al fine di comprendere chi possa vantare lo ius sepulchri. Per tale ordine di ragioni, la Corte ritiene che, in caso di dubbi sulla natura del sepolcro medesimo, questi debba indentificarsi nella tipologia familiare, così da dettare delle linee guida che possano selezionare le eventuali richieste di sepoltura.

La presunzione attributiva della qualifica, così affermata dai Supremi giudici, ad avviso di chi scrive, può trovare una diversa chiave di lettura, alla luce di un ragionamento deduttivo fondato sull’articolo 90 del d.P.R. 285/90, il quale sancisce, al primo comma, che: “1. Il comune può concedere a privati e ad enti l’uso di aree per la costruzione di sepolture a sistema di tumulazione individuale, per famiglie e collettività”.

Dal testo appare chiaro, a mio avviso, che la tipologia di sepolcro familiare non può prevalere secondo lo schema offerto dalla Corte, essendo lo stesso potenzialmente eludibile dalla stesura della norma: infatti, nell’articolo qui richiamato si indicano tre specifici richiedenti, quali l’individuo, la famiglia e la collettività, quest’ultima da intendersi come pluralità di persone. Se ci addentriamo nell’interpretazione congiunta di queste tre figure, dove le ultime due non portano particolari problemi, possiamo notare come, nella determinazione del sepolcro, ove non si scelga una sepoltura singola, non possa predominare la sola tipologia familiare, qualora il fondatore medesimo si trovi nello status sociale di nubile/celibe, o altra condizione, e non abbia né ascendenti né discendenti. In altre parole, una ‘solitaria’ vita di relazione, premesso il rilascio della concessione da parte del comune, impone di credere che essa attribuisca a quel sepolcro la qualifica di ereditario e non familiare, nel caso in cui non avvenga nulla di rilevante che integri un qualche istituto disciplinato dall’Ordinamento (exempli gratia il matrimonio). Dunque, in caso di dubbio, è l’analisi della ‘vita’ stessa dell’individuo, al momento della sua morte, che determina lo status del sepolcro, il quale può ritenersi, ab origine, ereditario. L’attribuzione automatica di familiare, per l’epoca in cui viviamo, esclude tutta una serie di situazioni sociali che non conducono necessariamente ad una “famiglia strettamente intesa”.

Posta tale specifica, la Suprema Corte chiarisce che la deposizione di un corpo, all’interno dei sepolcri ereditari, è disciplinata dalle comuni regole successorie, il che consente all’edificio di ospitare al proprio interno anche coloro che possono essere del tutto estranei alla famiglia fondatrice creando – se alludiamo all’argomento in modo più leggero – una “coabitazione strutturale di condomini” tra loro sconosciuti. Su questa scia interpretativa, se volessimo qui rapportarci al caso concreto, basterebbe riferire, exempli gratia, il caso di un uomo o donna, o altro genere, privi di ascendenti, fratelli e figli, che decide di nominare erede, nel proprio atto di ultima volontà, un istituto religioso, sia questi identificabile nell’art. 7 o nell’art. 8 della nostra Carta costituzionale. In questo caso ci si troverebbe nella situazione pratica di trovare, in due loculi confinanti, un “ministro di culto”, o altra espressione religiosa, e il fondatore medesimo.

Diverso appare il sepolcro familiare o gentilizio, continua la Corte, che attribuisce alla stretta cerchia dei familiari in rapporto con il ‘costruttore’ medesimo un diritto ‘inalienabile ed imprescrittibile’, acquisito iure proprio al momento della nascita (Cassazione civile sez. II, 20 agosto 2019, n. 21489). È solo la morte dell’ultimo superstite – discutibile invero l’affermazione della recente pronuncia della Corte Nomofilattica (Cass. civ. sez. VI, 22 marzo 2021, n. 8020) di ritenere che il sepolcro divenga ereditario al momento della sopravvivenza dell’ultimo legittimato – che trasforma il sepolcro in ereditario. Appare necessario precisare, ad avviso di chi scrive, come il cambio di destinazione dell’edificio tombale da familiare ad ereditario al momento della morte dell’ultimo superstite (sent. 17122/2018) o “al momento della sopravvivenza dell’ultimo legittimato” (sent. 8020/2021), in realtà, sembrerebbe non cambiare molto sul piano degli effetti che qui si vogliono produrre. Tuttavia, e questo è il rilievo dal quale scaturisce qualche riserva, nell’un caso, se si considera la morte dell’ultimo superstite – corretta espressione a mio giudizio – non si tenta di ‘anticipare’ nulla che possa violare la ‘proprietà dell’edificio’ che, quale espressione di un diritto reale, rimarrà tale fino all’ultimo istante di quella specifica Se invece si parla in termini di ‘sopravvivenza’, dunque racchiudendo in sé anche il concetto di ‘buona salute’ del titolare, essa impone di credere, quale conseguenza giuridica, che sul piano meramente teorico di come intendere il sepolcro, lo si consideri già a tipologia ereditaria11.

Una situazione del genere porterebbe, allora, ad una definizione ‘ambulante’ di sepolcro ereditario, spostandosi all’occorrenza solo se si ponga in essere un matrimonio o altro genere di situazione qualificata dall’Ordinamento, che dia giusto titolo, se previsto dal fondatore, al diritto di sepoltura degli individui che entrano nella ‘famiglia’: per intendersi moglie/marito o altre tipologie. Infatti, un conto è pensare alla trasformazione in modo unidirezionale (morte del superstite -> trasformazione del sepolcro in ereditario), un altro è inter- pretare in modo bidirezionale (sopravvivenza dell’ultimo le- gittimato -> passaggio del sepolcro in ereditario - > matrimonio del legittimato -> ritorno allo status di sepolcro familiare).



3. La sepoltura e la disciplina romanistica





Dalle interpretazioni espresse nell’ultima sentenza del 23 marzo 2021 n. 8020 apprendiamo come, secondo la Sezione VI della Suprema Corte, lo “ius sepulchi d’indole gentilizia dev’essere riconosciuto ai parenti a quello più vicini per vincolo di sangue, e particolarmente a quelli che facevano parte dell’organico nucleo familiare, strettamente inteso, cui apparteneva il defunto al momento della morte; tale diritto, infatti, pur non essendo precisato in disposizioni di legge, trova il suo fondamento in un’antica consuetudine conforme al sentimento comune e alle esigenze di culto e di pietà per i defunti e, quando viene esercitato dai prossimi congiunti, realizza, allo stesso tempo, la tutela indiretta di un interesse concernente la persona del defunto e l’esigenza sociale di far scegliere ai soggetti più interessati la località e il punto da essi ritenuti più adatti a manifestare i loro sentimenti di devozione e di culto verso il prossimo parente defunto”.

Ho avuto occasione di sollevare in altra sede12 qualche dubbio sulla dipendenza funzionale tra ius sepulchri gentilizio e ‘consuetudine’, risalendo l’identificazione dei vari tipi di sepolcro all’interpretazione della giurisprudenza romana. Se collochiamo tale ius Romanum in una visione statica, ritenendolo legato alla sola esperienza di quella determinata società, la conseguenza in cui si incorre è di porre il diritto in tante camere stagne, senza che queste siano state ‘fattrici feconde’ delle epoche successive13.

Partendo, dunque, da tale diritto ‘storico’, chi si cimenta nello studio delle regole sulla sepoltura14 nel Diritto romano, la prima fonte su cui volge lo sguardo è l’opera De legibus di Cicerone (I sec. a.C.), all’interno della quale si riproducono due norme, in particolare, riportate nell’embrionale Codificazione scritta, le XII Tavole (451-450 a.C.), nelle quali si prescriveva (Tab. 10.1) un divieto di sepoltura nonché di cremazione all’interno delle mura cittadine (hominem mortuum in urbe ne sepelito neve urito)15 e il mantenimento di una distanza di 60 piedi dal fondo del vicino, fatto salvo l’accordo tra le parti16 (Tab. 10.9: rogum bustumve novum vetat propius sexaginta pedes adigi aedes alienas invito domino).

Tali regole, che si protrarranno anche nell’arco di tempo successivo, pongono le basi per analizzare i periodi più maturi della scienza giuridica romana dove, attraverso l’opera di Gaio, maestro di diritto del II sec. d.C., apprendiamo (Inst 2.6) che il fondo, definibile come purus17, nel momento in cui vi fosse stato traslato il corpo di un uomo (ius inferendi), si sarebbe trasformato in res religiosa, eccezion fatta per le spoglie del nemico18, e, dunque, sottratto alla comune cedibilità a terzi, poiché qualificato, nella classificazione delle res, come extra commercium19. Tuttavia, affinché si compisse questo passaggio giuridico, erano necessari due requisiti: che vi fosse la ‘volontà’20 dell’esecutore, non necessariamente in senso materiale, di seppellire in quel determinato luogo e che questo gli appartenesse21 (Religiosum vero nostra voluntate facimus mortuum inferentes in locum nostrum)22. La deposizione su di un fondo di proprietà altrui, senza che il legittimo titolare avesse acconsentito, avrebbe comportato la condanna dell’avventore ad una pena pecuniaria (poena pecuniaria subicietur), secondo quanto riferisce, nel III sec. d.C., Ulpiano (25 ad ed.) in D. 11.7.2.223, impedendo, tuttavia, al proprietario medesimo di rimuovere il corpo illecitamente sotterrato senza la preliminare autorizzazione decretale degli organi competenti (Pontefici e principe)24. Se quest’ultima non fosse stata richiesta, il fautore materiale della estumulazione sarebbe stato esposto alla condanna per atti ingiusti contro la persona (iniuria).



4. Il sepolcro e le due tipologie





La definizione su come intendere il sepolcro, e dunque anche nella sua veste strutturale, si ricava da un frammento di Ulpiano (25 ad ed.) in D. 11.7.2.5, nel quale si afferma:



Sepulchrum est, ubi corpus ossave hominis condita sunt. Celsus autem ait: non totus qui sepulturae destinatus est, locus religiosus fit, sed quatenus corpus humatum est.



Per sepolcro si intende il luogo dove sono posti il corpo o le ossa di un uomo (Sepulchrum est, ubi corpus ossave hominis condita sunt), e, in accoglimento del parere di Celso (I-II sec. d.C.) (Celsus autem ait), il terreno non diviene per intero religioso (non totus qui sepulturae destinatus est, locus religiosus fit), ma solo limitatamente a quella porzione dove l’individuo è inumato (sed quatenus corpus humatum est)25.

Tale limitazione appare confermata dalla lettura di un ulteriore testo di Ulpiano (25 ad ed.) in D. 11.7.1026, nel quale il venditore del fondo può agire in giudizio (agere potest) contro l’acquirente, nel caso in cui gli sia impedita la servitù di passaggio posta in essere per accedere al sepolcro (Si venditor fundi exceperit locum sepulchri ad hoc) al fine di deporre sé stesso e i propri discendenti (ut ipse posterique eius illo inferrentur).

Da quanto siamo venuti discorrendo sin qui, possiamo ritenere, quali punti fermi, che il terreno ove sia stato eretto il sepolcro fosse esattamente delimitato e che la parte restante potesse essere oggetto di vendita tra privati, con la possibilità di far nascere in capo al venditore un diritto limitato su cosa altrui, per consentirgli di esercitare, volendosi esprimere con le parole della dottrina privatistica moderna, lo ius sepulchri sia primario che secondario27.

Proseguendo sulla scia di quanto letto nei dispositivi della Suprema Corte di Cassazione, con particolare riferimento a quell’idea di dipendenza dei sepolcri gentilizi dalla ‘consuetudine’, notiamo come nelle fonti romane, in particolare all’interno della raccolta dei frammenti delle opere della giurisprudenza classica (iura), sia presente una chiara distinzione sui modi per identificare i sepolcri familiari o gentilizi e quelli ereditari.

Secondo quanto riferisce Gaio (19 ad ed. prov.) in D. 11.7.5:



Familiaria sepulchra dicuntur, quae quis sibi familiaeque suae constituit, hereditaria autem, quae quis sibi heredibusque suis constituit.



Il passo qui riprodotto, e del quale tra breve riferiremo il contenuto, vede come naturale prosieguo, secondo lo schema offerto dai redattori del Digesto, il frammento del giurista Ulpiano (25 ad ed.) in D. 11.7.6 pr. nel quale si specifica:



vel quod pater familias iure hereditario adquisiit.



Se procediamo alla lettura congiunta di entrambi, così come esposti, i sepolcri familiari (Familiaria sepulchra dicuntur) sono identificati nelle costruzioni che qualcuno ha stabilito per sé e per la propria famiglia (quae quis sibi familiaeque suae constituit), contrariamente agli ereditari (hereditaria autem) che ineriscono a quelli che uno ha costituito per sé e per i propri eredi (quae quis sibi heredibusque suis constituit) o che siano pervenuti per successione al padre di famiglia (vel quod pater familias iure hereditario adquisiit).

Ci si accorge come dai due riferimenti, anche in questo caso, la volontà assuma un ruolo determinante al fine di comprendere quale sia la destinazione attribuita dal fondatore al sepolcro: nei fatti potremmo parlare di ‘atto costitutivo’28, ad eccezione del solo caso in cui la struttura, già esistente, sia giunta nella disponibilità del pater secondo una comune delazione ereditaria.

Il passo ulpianeo (25 ad ed.) in D. 11.7.6, del quale abbiamo parlato, prosegue, tuttavia, affermando che:



sed in utroque heredibus quidem ceterisque successoribus qualescumque fuerint licet sepeliri et mortuum inferre, etiamsi ex minima parte heredes ex testamento vel ab intestato sint, licet non consentiant alii.



Gli eredi e gli altri successori (heredibus quidem ceterisque successoribus), spiega il giurista di Tiro, a qualsiasi titolo (qua- lescumque fuerint), possono in entrambi (in utroque) essere sepolti e sotterrare un morto (licet sepeliri et mortuum inferre), anche se siano divenuti eredi in minima parte (ex minima parte heredes) con o senza testamento (ex testamento vel ab intestato), ed anche senza il consenso degli altri (licet non consentiant alii).

Il Lenel29, uno dei più grandi romanisti dell’Ottocento, compositore della maestosa opera palingenetica ricostruttiva delle opere della giurisprudenza classica, così come rappresentata nel Digesto, ipotizza che ‘in utroque’ andrebbe attribuito al solo sepolcro ereditario [Hereditarium sepulcrum dicitur], che uno abbia costruito per sé o per i propri eredi [quod quis sibi heredibusque suis constituit] o quello pervenuto al padre di famiglia per successione (vel quod pater familias iure herediatrio adquisiit). Dunque, il seguito del passo non tratterebbe di una commistione tra le due tipologie di sepolcri, bensì di una chiara distinzione che identifica nell’accesso alla delazione, anche se in minima parte, quel giusto titolo per essere sepolti all’interno della struttura ereditaria.

Determinante, al fine di chiarire ulteriormente i confini tra i sepolcri, si presenta ancora l’ulteriore prosieguo del passo:



liberis autem cuiuscumque sexus vel gradus etiam filiis familiae et emancipatis idem ius concessum est, sive extiterint heredes sive sese abstineant. exheredatis autem, nisi specialiter testator iusto odio commotus eos vetuerit, humanitatis gratia tantum sepeliri, non etiam alios praeter suam posteritatem inferre licet.



Lo ius sepulchri è esercitabile dai discendenti di ogni sesso e grado (liberis autem cuiuscumque sexus vel gradus), anche figli in potestà ed emancipati (etiam filiis familiae et emancipatis idem ius concessum est), sia che siano divenuti eredi, sia che si astengano dall’eredità (sive extiterint heredes sive sese abstineant), spetta inoltre ai diseredati per motivi di umanità (exheredatis autem […] humanitatis gratia), salvo che il testatore li abbia esclusi per un giusto odio (nisi specialiter testator iusto odio commotus eos vetuerit), tuttavia al di fuori dei propri discendenti non possono essere sepolti altri (non etiam alios praeter suam posteritatem inferre licet).

Il particolare odio qui richiamato, come ho avuto modo di rilevare30, è da considerarsi chiarificatore per stabilire come si stia discutendo, in questa sede, di un sepolcro ereditario: infatti, solo le comuni regole successorie avrebbero consentito al pater un comportamento preclusivo alla sepoltura di colui che non fosse tollerato.

Pertanto, se fino a questo momento abbiamo stabilito quali siano i requisiti per la sepoltura nell’edificio ereditario, è necessario chiedersi, allora, quale metro giuridico venga utilizzato per accedere all’interno della tipologia familiare.

Una risposta parrebbe ricavarsi da un rescritto (costituzione imperiale a titolo particolare) di Alessandro Severo del 223 d.C., collocato nel Codice di Giustiniano (C. 3.44.4)31, nel quale si prevedono due situazioni opposte. Si specifica, nel primo caso, che non è possibile rivendicare come proprio un sepolcro (scire debes iure dominii id nullum vindicare posse), essendo il richiedente privo della giusta titolatura di erede ‘singolo’, e nel secondo, se si tratta del familiare (sed et, si familiare fuit), il diritto sarebbe spettato a tutti gli eredi (eius ad omnes heredes pertinere), senza che questo potesse essere attributo ad uno di loro (nec divisione ad unum heredem redigi potuisse).

Tenuto conto delle parole di Ulpiano (25 ad ed.) in D. 11.7.6 pr., nelle quali si precisa che un sepolcro ereditario può pervenire al padre di famiglia (quod pater familias iure hereditario adquisiit) e considerato che quest’ultimo ne può disporre a proprio piacimento, prevedendo eventuali esclusioni, è corretto affermare, a chiosa di questo nostro breve excursus, che le regole sulla disponibilità iure successionis trovano un ostacolo nella forma sepolcrale familiare, la quale pone, in capo ai suoi membri, una ‘prerogativa personale’ (Cass. sez. VI, 8020/2021), specifica questa che, con le dovute cautele32, sembra già presente agli occhi dei Romani.

















NOTE

1 Cfr., O. SACChI, Il passaggio dal sepolcro gentilizio al sepolcro familiare e la successiva distinzione tra sepolcri familiari e sepolcri ereditari, in Ricerche sulla organizzazione gentilizia romana, a cura di G. FRANCIOSI, III, Napoli, 1995, 200 s., il quale afferma che originariamente i sepolcri dovessero avere natura gentilizia.

2 M. PETRONE, Sepolcro e sepoltura (dir. priv.), in Enciclopedia del Diritto, 42, Milano, 1990, 24 ss. Per una più ampia panoramica sul tema cfr. la raccolta di saggi in AAVV., Trattato di Biodiritto, Tomo II, a cura di S. CANESTRI, F. GILdA, C.M. MAzzONI, S. ROdOTÀ, P. zATTI, Milano, 2011, passim.

3 Codice penale, Libro II, Titolo IV, Capo II: art. 407 (‘Chiunque viola una tomba, un sepolcro o un’urna è punito con la reclusione da uno a cinque anni’), art. 408 (‘Chiunque, in cimiteri o in altri luoghi di sepoltura, commette vilipendio di tombe, sepolcri o urne, o di cose destinate al culto dei defunti, ovvero a difesa o ad ornamento dei cimiteri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni’) e art. 410 (‘Chiunque commette atti di vilipendio sopra un cadavere o sulle sue ceneri è punito con la reclusione da uno a tre anni. Se il colpevole deturpa o mutila il cadavere, o commette, comunque, su questo atti di brutalità o di oscenità, è punito con la reclusione da tre a sei anni’).

4 Intero Libro II del Codice civile.

5 D.P.R. del 10 settembre 1990 n. 285, “Approvazione del Regolamento di polizia mortuaria”.

6 Possiamo qui fare riferimento alla donazione del rene (legge 26 giugno 1967, n. 458), di parti del polmone, pancreas e intestino (legge 19 settembre 2012, n. 167). Cfr. d. CARUSI, Donazione e trapianti: allocazione e consenso, in Trattato di Biodiritto, II, a cura di S. CANESTRI, F. GILdA, C.M. MAzzONI, S. ROdOTÀ, P. zATTI, Milano, 2011, 1119 ss. O, da ultimo, in tema di consenso, cfr. C. MURGO, Gli atti di disposizione non patrimoniali, Milano, 2020, 95 ss. e 191 ss.

7 Cfr., Corte appello di Reggio Calabria, del 4 ottobre 2019, n. 825.

8 Cassazione civile, Sez. un., del 28 giugno 2018, n. 17122; Cassazione civile, Sez. II, del 20 agosto 2019, n. 21489 e Cassazione civile, Sez. VI, del 22 marzo 2021, n. 8020.

9 Così riferisce il Capo IX, Disposizioni generali sul servizio dei cimiteri, dove l’articolo 49 dispone che: “1. A norma dell’art. 337 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, ogni comune deve avere un cimitero con almeno un reparto a sistema di inumazione.

2. I comuni che abbiano frazioni dalle quali il trasporto delle salme ai cimiteri del capoluogo riesca non agevole per difficoltà di comunicazione devono avere appositi cimiteri per tali frazioni. 3. I piccoli comuni possono costituirsi in consorzio per l’esercizio di un unico cimitero soltanto quando siano contermini; in tal caso le spese di impianto e di manutenzione sono ripartite fra i comuni consorziati in ragione della loro popolazione”.

10 Art. 50: “1. Nei cimiteri devono essere ricevuti quando non venga richiesta altra destinazione: a) i cadaveri delle persone morte nel territorio del comune, qualunque ne fosse in vita la residenza; b) i cadaveri delle persone morte fuori del comune, ma aventi in esso, in vita, la residenza; c) i cadaveri delle persone non residenti in vita nel comune e morte fuori di esso, ma aventi diritto al seppellimento in una sepoltura privata esistente nel cimitero del comune stesso; d) i nati morti ed i prodotti del concepimento di cui all’art. 7; e) i resti mortali delle persone sopra elencate”.

11 L’audace lettore potrebbe ritenere queste personali considerazioni, esposte nel corpo del testo, quali mere ‘elucubrazioni mentali’ che, comunque, non modificano la destinazione futura del sepolcro. Tuttavia, ciò su cui ho voluto porre l’attenzione è la necessaria distinzione, su di un piano teorico, delle due situazioni presentate che devono essere necessariamente tenute separate.

12 A. CASSARINO, Diacronia ‘giurisprudenziale’: note a margine di una recente interpretazione della corte di cassazione in tema di sepolcro gentilizio ed ereditario, in Roma e America. Diritto romano comune, 42, 2021, 7 ss.

13 Basta procedere, in questa sede, ad un ulteriore esempio, nonostante il numero indefinito di considerazioni che possano dimostrare al lettore l’influenza pratica che il Diritto romano ha avuto nel nostro Ordinamento. La sentenza della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite del 28 giugno 2018, n. 17122, in realtà, aggiunge un ulteriore spunto di riflessione, incidentale rispetto a quanto qui riferiamo della distinzione tra il sepolcro familiare o gentilizio ed ereditario, poiché in essa si discute, quale ulteriore elemento del casus belli tra le parti, sui poteri, potenziali o negati, della vedova che abbia ricevuto l’usufrutto dei beni in legato da parte del de cuius. Così si esprime la Corte: “l’usufrutto generale è secondo la dottrina dominante un legato e non un’istituzione di erede (contra Cass. nn. 13310/02 e 2617/05, la quale ultima è puramente adesiva alla prima)”.

La particolarità dello stralcio testuale qui riprodotto, che esclude dal legato di usufrutto la nomina di erede, appare, a mio avviso, del tutto conforme alle regole di come debba intendersi tale diritto reale minore di godimento. Al di là dell’interessante considerazione che, ancora al giorno d’oggi, si discuta della portata di tale tipologia di legato, sappiamo come l’usufrutto sia sorto nella pratica del Diritto romano per ovviare alla mancata partecipazione della moglie all’eredità del pater familias, causata dall’assenza del potere maritale (cd. manus) su di lei. La costituzione di un legato per vindicationem, in uso sia per il passaggio di proprietà di un bene specifico o, come nel caso di specie, per la costituzione di un diritto reale minore, avrebbe concesso alla consorte di potersi sostentare, attraverso i frutti derivanti dall’uso, evitando che il nudo proprietario (erede) fosse privato di tale titolarità, nel caso in cui ella avesse deciso di contrarre un nuovo matrimonio, predisponendo una dote, o avesse confezionato un proprio testa- mento. Da tale riflessione, pertanto, mi sia consentito giungere alla conclusione di come sia conforme alla disciplina dell’usufrutto stesso ritenere che non si possa parlare di una istituzione di erede, altrimenti si snaturerebbe o, meglio, si sovvertirebbe il rispetto di quelle regole proprie di un Ordinamento, grazie alle quali lo stesso determina la propria organizzazione interna. Per pochezza dello scrivente, naturalmente, non si riescono a comprendere i motivi che possano indurre l’interprete ad unire i poteri appartenenti ad un proprietario, considerato che la nomina di erede è il prosieguo “dei rapporti e dei traffici giuridici” posti in essere in vita dal de cuius, ad un’altra tipologia che consente il solo uso e il trattenerne i frutti, non potendo cambiare la destinazione economica del bene: così leggiamo nell’art. 981 c.c., il quale riproduce, quasi fedelmente, in combinato disposto all’art. 984 c.c. 1° comma, le parole di Paolo, giurista del III sec. d.C. (Paul., 3 ad Vitell., in D. 7.1.1: Usus fructus est ius alienis rebus utendi fruendi salva rerum substantia). Su questa scia interpretativa anche le Istituzioni di Giustiniano: I. 2.4 Usus fructus est ius alienis rebus utendi fruendi salva rerum substantia. est enim ius in corpore: quo sublato et ipsum tolli necesse est).

14 Cfr., M.F. CURSI, Le norme in materia di sepoltura, in XII Tabulae, II, a cura di

M.F. CURSI, Napoli, 2018, 710 s.

15 La motivazione sarebbe dipesa dall’evitare che vi fosse una propagazione degli incendi (Cic. leg. 2, 23: Credo vel propter ignis periculum). La cremazione poteva effettuarsi nel luogo deputato alla deposizione delle ceneri (bustum) o in luoghi a ciò dedicati (ustrina). Cfr. L. d’AMATI, Dis manibus (sacrum), cit., 73 ss.

16 In tema di distanze del sepolcro, cfr. l’interessante raccolta di epigrafi di AA.VV., Iura sepulcrorum a Roma: inediti e revisioni, a cura di R. BARBERA, M. BERTINETTI, M.L. CALdELLI, M.C. CAPANNA, C. CARUSO, S. CREA, G. dI GIACOMO, I. dI STEFANO MANzELLA, M.S. dURANTE, S. EVANGELISTI, R. FRIGGERI, G.L. GREGORI, C. LO GIUdICE, d. NONNIS, S. ORLANdI, S. PANCIERA, C. PAPI, C. RICCI, M.E. SAMMARTANO,

F. USIELLO, in Libitina e dintori. Libitina e luci sepolcrali. Leges libitinariae campane. Iura sepulcrorum: vecchie e nuove iscrizioni, in Atti dell’XI rencontre franco-italienne sur l’épigraphie, Roma, 2004, 177 ss. In dottrina L. MAGANzANI, Testi giuridici nel corpus Agrimensorum Romanorum: il frammento De sepulchris, in Koinonia, 44.II/2020, 924 ss., 931 ss. Ulteriori indicazioni testuali sono riportate da Gaio (4 ad l. duodecim tabularum) in D. 10.1.13, il quale spiega che, sul modello della legge di Solone, approvata ad Atene, se si scava un sepolcro o una fossa, la distanza con il fondo del vicino deve essere pari alla dimensione della profondità: Sciendum est in actione finium regundorum illud observandum esse, quod ad exemplum quodammodo eius legis scriptum est, quam Athenis Solonem dicitur tulisse: nam illic ita est: ἐάν τις αίμασιὰν παρ’ αλλοτρίῳ χωρίῳ ὀρύττῃ, τὸν ὃρον μὴ

παραβαίνειν· ἐὰν τειχίον, πόδα ἀπολείπειν· ἐὰν δὲ οἴκημα, δύο πόδας. ἐὰν δὲ τάφον ἣ βόθρον ὀρύττῃ, ὃσον τὸ βάθος ᾖ, τοσοῦτον ἀπολείπειν· ἐὰν δὲ φρέαρ, ὀργυιάν. ἐλαίαν δὲ καὶ συκῆν ἐννέα πόδας ἀπὸ τοῦ ἀλλοτρίου φυτέυειν, τὰ δὲ ἄλλα δένδρα πέντε πόδας. Cfr., le critiche mosse sul passo da C. MÖLLER, Il regolamento di confini, in XII Tabulae, II, cit., 449 s. e nt. 5

17 Ulpiano (25 ad ed.) in D. 11.7.2.4 specifica che si definisce puro il luogo che non è né sacro né santo né religioso, ma privo di queste qualifiche (Purus autem locus dicitur, qui neque sacer neque sanctus est neque religiosus, sed ab omnibus huiusmodi nominibus vacare videtur). Cfr. M. PAdOVAN, Il sepolcro come bene di interesse comune, in Beni di interesse pubblico nell’esperienza giuridica romana, II, cit., 121 ss.

18 Infatti, secondo quanto apprendiamo da Paolo (27 ad ed.) in D. 47.12.4, la sepoltura del nemico non rendeva il luogo religioso (Sepulchra hostium religiosa nobis non sunt… non sepulchri violati actio competit), rimanendo, pertanto, privo dell’azionabilità di sepolcro violato, per mancanza dei presupposti. Sul passo cfr. I. CESAROTTO, Cadavere e sepoltura, cit., 291 s. e L. d’AMATI, La sepoltura non è per tutti, cit., 149 ss.

19 Cfr., per la manualistica, L. SOLIdORO, Forme di appartenenza dei beni: diritti reali e possesso, in A. LOVATO, S. PULIATTI, L. SOLIdORO, Diritto privato romano, Torino, 20172, 242 ss.; F. LAMBERTI, P. LAMBRINI, La proprietà e le altre forme di appartenenza, in P. GIUNTI, F. LAMBERTI, P. LAMBRINI, L. MAGANzANI, C. MASI dORIA, I. PIRO, Il diritto nell’esperienza di Roma antica. Per una introduzione alla scienza giuridica, Torino, 2021, 312 ss.; A. PETRUCCI, Manuale di diritto privato romano, Torino, 20222, 177 ss. Sul tema della classificazione dei beni, v., l’interpretazione di A. MILAzzO, La configurazione e l’evoluzione della distinzione tra ‘res in commercio’ e ‘res extra commercium’, in I beni di interesse pubblico nell’esperienza giuridica romana, I, a cura di L. GAROFALO, Napoli, 2016, 373 ss., ed ivi la bibliografia precedente. Per il sepolcro, A. PALMA, Sepolcro e sepoltura (dir. rom.), in Enciclopedia del Diritto, 42, Milano, 1990, 1 ss., S. LAzzARINI, Sepulcra familiaria. Un’indagine epigrafico-giuridica, Padova, 1991, 3 ss., O. SACChI, Il passaggio dal sepolcro gentilizio al sepolcro familiare, cit., 171 ss., I. CESAROTTO, Cadavere e sepoltura, in Il corpo in Roma antica. Ricerche giuridiche, I, a cura di L. GAROFALO, Pisa, 2015, 277, M. PAdOVAN, Il sepolcro come bene di interesse comune, in I beni di interesse pubblico nell’esperienza giuridica romana, II, a cura di L. GAROFALO, Napoli, 2016, 121 ss., e, da ultimi, L. d’AMATI, Sepolcro e reliquiae hominis, in LR Legal Roots, 9/2020, 147 ss., EAd., Dis manibus (sacrum). La sepoltura nel diritto della Roma pagana, Bari, 2021, passim, EAd., La sepoltura non è per tutti, in Liber amicarum et amicorum. Festschrift für/Scritti in onore di Leo Peppe, herausgegeben von/a cura di E. hÖBENREICh, M. RAINER, G. RIzzELLI, Bari, 2021, 123 ss., con ulteriore bibliografia, e AA.VV., Il diritto alla sepoltura nel Mediterraneo antico, a cura di R.M. BéRARd, Rome, 2021, passim. Cfr., anche, A. CASSARINO, Diritto di famiglia e pandemia: riflessione sulle spoglie del deceduto, in Pandemia e diritto delle persone/Pandemia y derecho de las personas, a cura di R. MARINI, Milano, 2021, 237 ss. e nt. 5 e Id., Diacronia ‘giurisprudenziale’, cit., 1 ss.

20 Cfr., L. d’AMATI, Dis manibus (sacrum), cit., 144 la quale chiarisce che i giuristi classici “si limitavano […] a ricollegare l’acquisto del carattere religioso del locus ad una mera manifestazione di volontà del singolo che vi aveva interesse”.

21 Qualora il terreno fosse stato concesso in usufrutto o in condominio era necessario il consenso dei titolari di tali diritti. Nel primo caso spiega Ulpiano (25 ad ed.) in D. 11.7.2.7: Si usum fructum quis habeat, religiosum locum non facit. sed et si alius proprietatem. alius usum fructum habuit, non faciet locum religiosum nec proprietarius, nisi forte ipsum qui usum fructum legaverit intulerit, cum in alium locum inferri tam oportune non posset: et ita Iulianus scribit. alias autem invito fructuario locus religiosus non fiet: sed si consentiat fructuarius, magis est ut locus religiosus fiat. Nel secondo cfr. Callistrato (2 ist.) in D. 11.7.41: Si plures sint domini eius loci, ubi mortuus infertur, omnes consentire debent, cum extranei inferantur: nam ex ipsis dominis quemlibet recte ibi sepeliri constat etiam sine ceterorum consensu, maxime cum alius non sit locus in quo sepeliretur. La trasformazione del fondo, così come abbiamo visto nel corpo del testo, era esclusa allorché la deposizione fosse momentanea al fine di un successivo trasferimento, così come si esprime Paolo (3 quaest.) in D. 11.7.40, nel quale si afferma che Si quis enim eo animo corpus intulerit, quod cogitaret inde alio postea transferre magisque temporis gratia deponere, quam quod ibi sepeliret mortuum et quasi aeterna sede dare destinaverit, manebit locus profanus.

22 Il riferimento gaiano evidenza, nel prosieguo del testo, come la religiosità del fondo si leghi all’interesse del suo titolare, gravato del funerale: si modo eius mortui funus ad nos pertineat.

23 Praetor ait: “Sive homo mortuus ossave hominis mortui in locum purum alterius aut in id sepulchrum, in quo ius non fuerit, illata esse dicentur”. Qui hoc fecit, in factum actione tenetur et poena pecuniaria subicietur.

24 Così riporta Ulpiano (25 ad ed.) in D. 11.7.8: Ossa quae ab alio illata sunt vel corpus an liceat domino loci effodere vel eruere sine decreto pontificum seu iussu principis, quaestionis est: et ait Labeo exspectandum vel permissum pontificale seu iussionem principis, alioquin iniuriarum fore actionem adversus eum qui eiecit.

25 L’ulteriore specifica di come si dovesse intendere il sepolcro si ricava anche da Ulpiano (25 ad ed.) in D. 47.12.3.2, nel quale si riporta che: Sepulchri autem appellatione omnem sepulturae locum contineri existimandum est, ovverosia la denominazione di sepolcro comprende tutto il luogo ove si trovi una sepoltura. Secondo quanto afferma L. d’AMATI, Dis manibus (sacrum), cit., 113, il frammento ulpianeo sarebbe in contrasto “con questa accezione limitativa” riferita ‘indirettamente’ da Celso.

26 Si venditor fundi exceperit locum sepulchri ad hoc, ut ipse posterique eius illo inferrentur, si via uti prohibeatur, ut mortuum suum inferret, agere potest: videtur enim etiam hoc exceptum inter ementem et vendentem, ut ei per fundum sepulturae causa ire liceret. A fini identificativi della dimensione del fondo, cfr., anche Ulpiano (28 ad Sab.) in D. 18.1.22, nel cui frammento si afferma che la clausola contrattuale (Hanc legem venditionis) “se qualche porzione ‘del fondo’ è sacra o religiosa, di tale luogo niente è venduto” (si quid sacri vel religiosi est, eius venit nihil’), debba intendersi come riferita ai luoghi di ridotta estensione (‘supervacuam non esse, sed ad modica loca pertinere. ceterum si omne religiosum vel sacrum vel publicum venierit, nullam esse emptionem); Paolo (21 ad ed.) in D. 18.1.51, il quale esclude dal calcolo del terreno eventuali lidi, vie pubbliche o luoghi religiosi o sacri (nec viae publicae aut loca religiosa vel sacra), essendo di tutti per diritto delle genti (Litora, quae fundo vendito coniuncta sunt, in modum non computantur, quia nullius sunt, sed iure gentium omnibus vacant). Nel proprio interesse al venditore è offerta la possibilità di calcolarli (itaque ut proficiant venditori, caveri solet, ut viae, item litora et loca publica in modum cedant). In dottrina, F. dE VISSChER, Le droit de tombeaux romains, Milano, 1963, 78 ss., G. zARRO, ‘Sepulchrum’, ‘monumentum’, ed aree ‘adiectae’, in RIDA, 64, 2017, 393 ss.

27 Il richiamo testuale al passaggio per far visita ai parenti nonché il diritto ad essere seppellito in quel determinato luogo prescelto conferma, già nella visione dei Romani, quella scissione tra ius sepulchri primario e secondario, così come lo si intende nel diritto moderno. Cfr. Cfr., la nota a sentenza di M. RAMUSChI, a Corte di Cassazione 20 agosto 2019 n. 21489, in Diritto di famiglia e delle persone, 3/2020, 698 ss.

28 Si riscontrano iscrizioni tombali dove vengono riportati gli acronimi HMHNS e HMHENS comunemente sciolti come H(oc) M(onumentum) H(ere- dem) N(on) S(equetur), oppure H(oc) M(onumentum) H(eredem) E(xterum) N(on) S(equetur) o, all’opposto, Hoc Monumentum heredes sequetur. Cfr., AA.VV., Iura sepulcrorum a Roma: inediti e revisioni, in Libitina e dintorni, cit., 177 ss.

29 O. LENEL, Palingenesia Iuris Civilis, II, rist., Graz, 1960, col. 562. Si dà conto che le parentesi quadre, nel corpo del testo, si riferiscono alle integrazioni dello studioso.

30 A. CASSARINO, Diacronia ‘giurisprudenziale’, cit., 17 ss.

31 Imp. Alexander A. Licinio. Si sepulchrum monumenti appellatione significas, scire debes iure dominii id nullum vindicare posse, sed et, si familiare fuit, ius eius ad omnes heredes pertinere nec divisione ad unum heredem redigi potuisse.

32 È necessario qui riferire, infatti, come correttamente affermato da P. VOCI, Diritto ereditario romano, I. Introduzione Parte Generale, Milano, 19672, 325, che “la pratica conosce un tipo misto, che si ha quando il fondatore ammette al sepolcro tanto i discendenti quanto gli estranei, legati a lui da amicizia o da altri vincoli”. Le parole dell’illustre studioso appaiono confermate da due ulteriori dettati costituzionali in C. 3, 44, 8 e in C. 3, 44, 13 e sulla cui analisi rinvio al mio, A. CASSARINO, Diacronia ‘giurisprudenziale’, cit., 15 ss.