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Misure civili di protezione contro le violenze domestiche: considerazioni sparse

autore: E. Silvestri

SOMMARIO: 1. Introduzione. - 2. Le ordonnances de protection francesi. - 2.1. Criticità della normativa francese. - 3. Le misure di protezione nell’or- dinamento italiano: uno sguardo d’insieme. - 4. Il Regolamento (UE) n. 606 del 2013 sul riconoscimento reciproco delle misure di protezione in materia civile e la proposta di direttiva per il contrasto alla violenza contro le donne e alla violenza domestica. - 5. Violenza domestica e Corte europea dei diritti dell’uomo: il caso dell’Italia. - 6. Conclusioni.



1. Introduzione



La violenza domestica non conosce frontiere e, ovunque nel mondo, i lunghi periodi di confinamento all’interno delle abitazioni imposti dalla pandemia da Covid-19 hanno, se possibile, aggravato il fenomeno, al punto da suggerire che la violenza domestica possa essere definita essa stessa come una “shadow pandemic”1, dai contorni sfuggenti e dalle dimensioni allarmanti, per la difficoltà sia di conoscerne la portata reale, sia di individuare adeguate misure di prevenzione e di contrasto del fenomeno.

In una recente proposta di direttiva europea contenente misure volte a combattere la violenza di genere e, in particolare, la violenza domestica2, si afferma che, secondo i dati raccolti dalla European Union Agency for Fundamental Rights (FRA), all’interno dell’Unione almeno una donna su cinque è stata vittima di violenza domestica: i dati risalgono al 2014 e tutto lascia supporre che, nel 2022, il calcolo risulti errato per difetto. In effetti, le statistiche ufficiali inevitabilmente non fanno emergere il “sommerso” di un fenomeno per debellare il quale non sembrano esistere, allo stato, rimedi efficaci.

Molti ordinamenti sono orientati a privilegiare la tutela penale delle vittime: un esempio significativo di questa tendenza è rappresentato proprio dalla legislazione italiana che, a far tempo dal 20013, è stata caratterizzata da un crescendo di provvedimenti normativi volti ad introdurre nuove figure di reato e nuove misure cautelari applicabili all’autore della violenza, con una strategia rafforzata anche mediante la previsione di un inasprimento delle pene comminate per alcuni reati pre-esistenti. Tuttavia, in alcuni Paesi ha fatto scuola l’esperienza statunitense degli orders of protection, misure di impianto civilistico, tendenzialmente autonome rispetto all’inizio o alla pendenza di un procedimento penale a carico dell’autore della violenza domestica. Anzi, è possibile affermare che, a partire dagli anni settanta del secolo scorso, l’elaborazione statunitense di misure protettive civili è specificamente derivata dalla consapevolezza che la repressione penale non poteva intervenire nell’immediato e scontava i ritardi di una lunga serie di “tempi morti”, legati in all’iter previsto per ottenere provvedimenti a contenuto interdittivo (noti come injunctions) che i giudici spesso rifiutavano di concedere ex parte, ossia senza previa instaurazione del contraddittorio con l’autore della violenza. A ciò si aggiungeva che, in linea di principio, la richiesta di una misura urgente, che proteggesse la vittima dal ripetersi della violenza, presupponeva che vittima e autore della violenza fossero legati da un vincolo matrimoniale: in altre parole, la richiesta di una injunction protettiva doveva essere accompagnata da una contestuale domanda di separazione o divorzio. Ulteriormente, si poneva il problema dei costi necessari per affrontare un percorso giudiziario complesso, non essendo prevista nessuna forma specifica di assistenza legale per le vittime non abbienti, costrette ad affidarsi alla buona volontà di qualche avvocato disposto a rappresentarle pro bono, ossia gratuitamente4. Nel momento attuale, tutti gli Stati della federazione statunitense dispongono di norme che prevedono misure civili di protezione, note con nomi diversi (quali restraining orders, emergency orders o domestic violence orders) e tali da consentire al giudice l’adozione di provvedimenti volti a tutelare la vittima in considerazione delle forme di violenza attuate ai suoi danni nel caso concreto. La clausola costituzionale secondo la quale le decisioni giudiziarie adottate in uno Stato godono di “piena fede e credito” in ogni altro Stato5 assicura (almeno in linea di principio) la circolazione degli orders of protection in tutto il territorio statunitense, consentendo alla vittima di avvalersene anche al di fuori della giurisdizione cui appartiene la corte che li ha concessi.

Sono proprio i rimedi civilistici modellati sull’esempio statunitense delle misure civili di protezione delle vittime di violenza domestica a costituire il tema principale di questo studio, nel quale sono analizzate (peraltro, senza alcuna pretesa di completezza) la disciplina francese e quella italiana. La scelta della Francia e delle sue ordonnances de protection come termine di riferimento per un possibile confronto tra le legislazioni di due ordinamenti non solo geograficamente vicini, ma anche legati da una tradizione giuridica comune, non è casuale: in Italia, così come in Francia le misure di protezione non sembrano riscuotere grande successo e, alla luce delle dimensioni della violenza domestica in entrambi gli ordinamenti, la cosa appare per certi versi inspiegabile. È evidente che un ostacolo difficile da superare è rappresentato dalle ragioni psicologiche, economiche e di altra natura, che impediscono alle vittime di sottrarsi al loro carnefice o di reagire alle violenze cercando aiuto presso chi, istituzionalmente, dovrebbe farsi carico della loro protezione. Sul versante dello strumentario giuridico offerto dall’ordinamento a tutela delle vittime, appare evidente che la repressione penale incontra limiti rilevanti, anche perché non può intervenire nell’immediato e, per questa ragione, non sembra in grado di salvaguardare la vittima dal ripetersi delle violenze. Determinante, poi, è il fattore culturale, che non aiuta a far emergere il fenomeno in tutta la sua gravità: anzi, nel sentire comune (e, purtroppo, talvolta anche nella valutazione dell’autorità giudiziaria) si tende a creare una sorta di “gerarchia” tra le diverse forme di violenza, ponendo al primo posto, come forma più grave, la violenza fisica e relegando invece la violenza psicologica all’ultimo posto6. Al contrario, studi approfonditi hanno dimostrato che il c.d. “intimate terrorism”7, posto in essere allo scopo di esercitare un controllo totale sul partner, si manifesta sì nella violenza fisica, ma ha la sua principale arma proprio nel condizionamento psicologico. Qualunque sia la forma concretamente assunta dalla violenza domestica, sembra che la strada da percorrere per garantire a chi ne è vittima un’adeguata tutela sul piano civilistico sia ancora lunga, tanto in Italia, quanto in Francia.

Descritta la disciplina francese e quella italiana in tema di misure civili di protezione, il saggio prosegue prendendo in considerazione lo strumento normativo destinato a garantire la circolazione di tali misure all’interno dell’Unione Europea, ossia il misconosciuto Regolamento (UE) N. 606/2013 relativo al riconoscimento reciproco delle misure di protezione in materia civile, in vigore dall’ormai lontano 11 gennaio 20158. Sempre in tema di iniziative europee volte a rafforzare la protezione delle donne vittime di violenza (domestica e non), si dà conto della recente proposta di direttiva contenente disposizioni miranti a migliorare sia gli strumenti di prevenzione del fenomeno, sia l’accessibilità alle forme di tutela offerte dalle legislazioni nazionali.

Nella parte finale del saggio, si analizza la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in tema di violenza domestica, concentrandosi su alcune decisioni recenti che hanno condannato lo Stato italiano, colpevole di inerzia nell’assicurare alla vittima la necessaria (e ripetutamente richiesta) protezione.



2. Le ordonnances de protection francesi



Le misure di protezione sono state introdotte nell’ordinamento francese nel 20109, ma la loro disciplina attuale discende da importanti riforme dell’istituto, intervenute nel 2019, nel 2020 e nel 2022. La prima riforma, in particolare, aveva visto la luce all’indomani di un’ampia consultazione pubblica sul problema della violenza domestica e sull’evidente inadeguatezza delle misure predisposte dall’ordinamento per prevenire il fenomeno e per contrastarlo, offrendo alle vittime adeguate forme di tutela10.

Esattamente come per gli ordini di protezione previsti nell’ordinamento italiano, le norme che li disciplinano sono distribuite tra il codice civile (artt. da 515-9 a 513-9) ed il codice di procedura civile (artt. da 1136-3 a 1136-15): una suddivisione che rende non facile il coordinamento tra le norme e poco lineare la ricostruzione del procedimento a conclusione del quale la misura di protezione è concessa o rifiutata.

Sul piano processuale sembra interessante sottolineare, innanzi tutto, che il giudice al quale può essere richiesta la pronuncia di una ordonnance de protection è un giudice dotato di una particolare competenza in materia di diritto di famiglia: si tratta del juge aux affaires familiales, istituito all’interno del tribunal judiciaire, che costituisce ormai il solo giudice di primo grado “di diritto comune”11. In proposito, sembra opportuno sottolineare che nell’organizzazione giudiziaria francese vi sono ben tre figure di giudice per le diverse questioni che, convenzionalmente, si ritiene attengano al diritto delle persone e della famiglia. Si tratta di giudici che hanno acquisito conoscenze specifiche nelle materie attribuite alla loro competenza, in applicazione di un modello di specializzazione degli organi giurisdizionali molto diffuso in Francia12. La composizione del tribunal judiciaire, oltre al juge aux affaires familiales, competente (fra l’altro) anche in materia di separazione e divorzio, contempla pure il juge des enfants, incaricato di adottare provvedimenti a tutela della salute e dell’educazione dei minori, nonché il juge des tutelles, giudice cui spettano i provvedimenti relativi a tutela e curatela di maggiorenni13.

La richiesta di una misura protettiva può provenire dalle vittime di violenze consumate all’interno di una coppia, senza che rilevi se la coppia sia legata da un vincolo matrimoniale o equiparabile al matrimonio e, soprattutto, senza che la coabitazione costituisca un presupposto indispensabile della tutela. Analogamente, la concessione dell’ordinanza di protezione non è subordinata al fatto che la vittima abbia promosso un procedimento di separazione o di divorzio e neppure alla circostanza che abbia sporto una denuncia penale contro l’autore della violenza.

La domanda può essere presentata avvalendosi di appositi moduli disponibili online sul sito del Ministero della giustizia; in ogni caso, è richiesta a pena di nullità l’esposizione sommaria dei fatti a fondamento della richiesta del provvedimento e l’indicazione delle prove (documentali, ma anche testimoniali) di cui l’istante intende avvalersi. Depositata l’istanza volta all’ottenimento di una misura protettiva, il giudice fissa “senza ritardo” con ordinanza l’udienza di trattazione. La domanda e il provvedimento che fissa la data dell’udienza sono notificati al convenuto entro due giorni decorrenti dalla pronuncia dell’ordinanza. L’assistenza di un avvocato è facoltativa, mentre è interessante la possibilità che la vittima si rivolga direttamente al pubblico ministero, affinché promuova lui stesso il procedimento, al quale deve, in ogni caso, partecipare con funzioni consultive. La procedura ha un carattere urgente, con termini ridotti; si svolge oralmente ed in camera di consiglio e, sostanzialmente, dovrebbe concludersi in una sola udienza, in occasione della quale le parti sono sentite dal giudice, congiuntamente e in contraddittorio, oppure separatamente, se le circostanze del caso lo suggeriscono.

Entro un termine massimo di sei giorni dalla data dell’udienza, il giudice si pronuncia sull’istanza, che accoglie se ritiene che, alla luce delle prove e delle risultanze emerse nel contraddittorio delle parti, esistono fondate ragioni per ritenere verosimili le violenze denunciate e il pericolo al quale la vittima e i figli minori sono esposti (art. 515-11, al. 1, C. civ.). L’ordinanza è immediatamente esecutiva; può sempre essere modificata, sospesa o revocata dal medesimo giudice che l’ha emanata, ma è anche suscettibile di appello. L’efficacia nel tempo della misura di protezione è fissata dal giudice; in assenza di un’indicazione del termine, la durata massima è di sei mesi, che possono essere prorogati, ricorrendo circostanze particolari, ad esempio in pendenza di un giudizio di separazione o divorzio e fino al passaggio in giudicato della relativa sentenza.

I possibili contenuti della ordonnance de protection sono vari e, in parte, coincidono con quelli che il nostro art. 342-ter

c.c. prevede per le misure di protezione, ossia allontanamento dell’autore della violenza dalla casa familiare, divieto di avvicinamento ai luoghi normalmente frequentati dalla vittima e quant’altro. Altri contenuti, invece, sono diversi da quelli previsti dalla norma italiana: così, ad esempio, può essere imposto all’autore della violenza il divieto di detenere armi e l’obbligo di consegnare alle autorità di polizia quelle eventualmente in suo possesso; può essere ordinato all’autore della violenza di iniziare un percorso di riabilitazione psicologica e sociale presso istituti specializzati. Ancora, il giudice può assumere provvedimenti relativi alle forme di esercizio della potestà genitoriale, in modo da sottrarre i figli minori al pericolo di subire maltrattamenti o, in generale, alle conseguenze pregiudizievoli di una situazione di conflittualità all’interno del nucleo familiare; può autorizzare la parte istante a tenere riservato il suo domicilio attuale, sia per tutto ciò che concerne il procedimento in corso, sia per qualunque esigenza della vita quotidiana; infine, può fornire alla vittima un elenco di centri antiviolenza cui rivolgersi per un sostegno morale e materiale nel periodo di vigenza della misura di protezione.

Interessante è la possibilità che l’ordine di protezione sia concesso anche a favore della persona che si ritiene a rischio di essere costretta a contrarre matrimonio contro la propria volontà: in questo caso, il contenuto del provvedimento include anche il divieto di lasciare il territorio francese, allo scopo di evitare – come purtroppo accade spesso – che la persona (di regola, una donna) sia portata con un pretesto nel paese d’origine della famiglia e costretta ad un matrimonio combinato.



2.1. Criticità della normativa francese

Due sembrano essere gli aspetti delle norme sulle ordonnances de protection sui quali pare possibile formulare una valutazione negativa. Il primo riguarda il termine entro il quale vanno notificate all’autore della violenza l’istanza proposta dalla vittima ed il provvedimento con cui è fissata l’udienza a seguito della quale il juge aux affaires familiales deciderà se concedere o meno la misura di protezione: si tratta di un termine oggettivamente molto breve (due soli giorni), decorrenti dalla data del provvedimento di fissazione dell’udienza. È evidente che un termine di questo genere è praticamente impossibile da rispettare, soprattutto nei casi in cui la parte attrice non è rappresentata da un avvocato o, pur volendo avvalersi di un difensore, ha come unica chance quella di ricorrere all’assistenza legale ai non abbienti, i cui tempi di concessione certo non si conciliano con quelli previsti per portare a conoscenza dell’autore della violenza l’inizio del procedimento promosso nei suoi confronti. Considerando poi che nessuna norma stabilisce quanti giorni devono intercorrere tra la presentazione dell’istanza e la data dell’udienza, in quanto è genericamente previsto che alla fissazione di quest’ultima il giudice provveda “sans délai” (art. 1136-3, al. 3 CPC), è chiaro che, in questo modo, si concede ampio spazio al convenuto per elaborare una strategia difensiva, lasciando esposta la vittima al rischio di una recrudescenza delle violenze. Analogamente, si può legittimamente avanzare qualche dubbio sul rispetto del termine di sei giorni entro il quale il giudice dovrebbe pronunciarsi sulla richiesta di una misura protettiva, anche se mancano al riguardo dati specifici. È certo, comunque, che la disposizione secondo la quale il giudice, prima di pronunciarsi, deve verificare che il tempo intercorso tra la notificazione al convenuto degli atti iniziali del procedimento e l’udienza sia stato sufficiente per consentirgli la preparazione della propria difesa (art. 1136-6, al. 3 CPC) sembra poco coerente con l’esigenza di privilegiare le ragioni della vittima, tenuta – come si è detto – a produrre le prove necessarie per sostanziare la sua richiesta di una misura protettiva. Che si tratti di un “peccato veniale” del legislatore, legato ad un qualche difetto formale nella redazione delle norme, oppure di una sorta di “lapsus freudiano”, rivelatore di quanto poco si continui ancora a percepire la gravità delle violenze domestiche, sta di fatto che la legislazione vigente sulle ordonnances de protection non sembra avere l’impatto auspicato sul fenomeno della violenza domestica, posto che le misure di protezione continuano ad essere poco conosciute e altrettanto poco richieste14.

Un altro aspetto delle ordonnances de protection che desta perplessità consiste nell’interpretazione data dalla giurisprudenza ai requisiti cui è subordinata la concessione della misura di protezione. Per quanto l’art. 515-9 C. civ. parli genericamente di violenze che “mettono in pericolo la persona che ne è vittima oppure uno o più minori” e l’art. 515-11, al. 1 C. civ. autorizzi il giudice a concedere l’ordinanza quando esistono “fondate ragioni per ritenere verosimili gli atti di violenza denunciati dall’istante ed il pericolo al quale l’istante o uno o più minori sono esposti”, la giurisprudenza e, in particolare, la Corte di cassazione insistono sull’esigenza che il giudizio di verosimiglianza riguardi cumulativamente tanto la violenza, quanto il pericolo; quest’ultimo, in particolare, deve essere attuale e non puramente ipotetico15. Un’interpretazione di questo genere sembra eccessivamente rigorosa e pare non tenere conto del fatto che raramente la violenza domestica si manifesta in episodi isolati, il cui accadimento non è per forza indicativo di una situazione di pericolo in cui versa la vittima. Al contrario, anche per chi non ha una specifica competenza in materia, è del tutto evidente che, essendo la violenza domestica posta in atto per assicurarsi il controllo sulla vittima, quest’ultima versa costantemente in uno stato di pericolo, anche quando, per avventura, il suo carnefice non la sottopone a maltrattamenti quotidiani. Stupisce che i giudici francesi abbiano un approccio così miope al problema delle violenze domestiche: ancora una volta, occorre constatare la sottovalutazione del problema e la perdurante validità di molti stereotipi che, appunto, impediscono di percepire il problema nella sua drammaticità.



3. Le misure di protezione nell’ordinamento italiano: uno sguardo d’insieme





Gli ordini di protezione sono stati introdotti nel nostro or- dinamento nell’ormai lontano 2001. Com’è noto, la legge n. 154 del 2001, contenente misure di contrasto ai maltratta- menti in famiglia, ha istituito un doppio binario di tutela, sia civile che penale. Negli anni successivi al 2001, la tutela penale è stata rafforzata indirettamente, grazie alle novità discendenti dalla legge n. 38 del 2009, che ha introdotto il reato di stalking, dalla legge n. 119 del 2013 sul contrasto alla violenza di genere e, infine, dal c.d. “Codice rosso”, ossia dalla legge n. 69 del 2019, sempre volta a rafforzare la tutela delle vittime di violenza domestica e di genere attraverso misure di vario genere, quali la previsione di nuove figure di reato e l’accrescimento delle sanzioni previste dal codice penale per alcuni reati preesistenti.

Quanto alla tutela civile, la disciplina degli ordini di protezione è fin dall’origine distribuita tra il codice civile (che regola i presupposti ed i possibili contenuti delle misure agli artt. 342-bis e ter) ed il codice di procedura civile che, nel solo art. 736-bis, delinea il procedimento volto alla concessione della misura secondo uno schema che fa espresso riferimento alle disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio di cui agli artt. 737 ss. c.p.c., ma che presenta anche analogie con il rito cautelare uniforme delineato dagli artt. 669-bis c.p.c.

In questa sede, a chi scrive non sembra possibile aggiungere nulla di nuovo o di originale all’analisi delle norme di riferimento (e, in particolare, delle norme processuali) condotta dalla dottrina, posto che i contributi sul tema sono molti e certamente esaustivi, soprattutto nell’esame dei dettagli tecnici, sullo sfondo di un vivace dibattito classificatorio, volto a determinare la vera “natura” delle misure di protezione16. Tuttavia, avendo descritto nei paragrafi che precedono la disciplina delle ordonnances de protection francesi, non è possibile esimersi dal dare conto in estrema sintesi della normativa italiana sugli ordini di protezione. Si tratta di provvedimenti che possono essere richiesti allegando la sussistenza di un “abuso familiare”, ossia di una condotta giustamente non tipizzata dal legislatore, ma tale da arrecare “grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà” dell’istante (art. 342-bis c.c.), legato all’autore della violenza da un rapporto coniugale, di mera convivenza, oppure derivante da un’unione civile o anche dalla semplice coabitazione. L’istanza di propone con ricorso al tribunale in composizione monocratica, anche senza l’assistenza di un difensore. Il procedimento si svolge in camera di consiglio e prevede che sull’istanza il giudice si pronunci nel contraddittorio delle parti, che devono comparire personalmente all’udienza; nei casi di particolare urgenza, la misura protettiva può essere concessa inaudita altera parte, con un differimento del contraddittorio all’udienza di trattazione, fissata contestualmente all’adozione dell’ordine di protezione. Il giudice dispone di una notevole discrezionalità nello stabilire come istruire il procedimento, potendo procedere “nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione necessari” (art. 736-bis c.p.c.). In caso di accoglimento dell’istanza, la misura di protezione è concessa con decreto motivato immediatamente esecutivo: nel decreto è fissata la durata della misura stessa (un anno al massimo, prorogabile solo per gravi motivi e per il tempo strettamente necessario) e sono anche determinate le modalità di attuazione del provvedimento. Il decreto (sia di accoglimento che di rigetto dell’istanza) è soggetto a reclamo, ma la proposizione del reclamo non sospende l’esecutività del provvedimento. Quanto al possibile contenuto del decreto, oltre all’ingiunzione di porre fine alla condotta pregiudizievole rivolta all’autore della violenza, il giudice dispone del potere di ordinare altre misure previste dall’art. 342-ter, cc. 1 e 2 c.c., in considerazione delle specifiche esigenze emerse nel caso concreto: in particolare, può ordinare l’allontanamento dalla casa familiare del soggetto resosi responsabile degli abusi domestici ed imporgli il divieto di avvicinarsi a luoghi abitualmente frequentati dalla vittima; può disporre l’intervento dei servizi sociali o di un centro di mediazione familiare; ancora, può porre a carico dell’autore della violenza il pagamento di un assegno periodico quando il suo allontanamento dalla casa familiare lasci le persone conviventi in uno stato di indigenza.

Conclusa la sommaria (e indubbiamente semplicistica) descrizione della disciplina degli ordini di protezione, sembra doveroso segnalare che anche questo istituto è interessato da un fenomeno ricorrente in Italia, ossia la circostanza che ad un forte interesse manifestato dalla dottrina per la “dissezione” di norme ritenute (a torto o a ragione) meritevoli di un’analisi siffatta, non corrisponde una significativa applicazione pratica delle stesse. Un rapido spoglio delle banche-dati di giurisprudenza più diffuse mette in evidenza che le pronunce relative agli ordini di protezione edite sono poche, soprattutto considerando che l’istituto esiste da più di un ventennio. Ci si potrebbe interrogare sulle ragioni, certo molteplici, che congiurano contro una maggiore diffusione degli ordini di protezione, ma un’indagine di questo genere richiederebbe competenze specifiche in saperi che non fanno parte del bagaglio culturale di chi scrive.

Con riferimento alla legge istitutiva delle misure di protezione, si è affermato che essa costituisce un significativo traguardo nell’evoluzione della società italiana per ciò che attiene alla posizione della donna nella famiglia, un traguardo indicativo del fatto che prima del 2001 una legislazione destinata alla tutela contro i maltrattamenti in famiglia non sarebbe stata neppure concepibile, in quanto “prima di allora la società italiana non si era mostrata culturalmente pronta per riceverla”17. Alla luce della limitata diffusione degli ordini di protezione, viene però da domandarsi se davvero il 2001 abbia costituito un “turning point” nella tutela civile delle vittime di violenze domestiche. Il dubbio trova conferma nella lettura del primo rapporto sull’attuazione in Italia della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, più nota come Convenzione di Istanbul, che l’Italia ha ratificato con la legge n. 77 del 201318. Il Rapporto, predisposto da un gruppo di esperti (collettivamente individuati dall’acronimo GREVIO) e pubblicato nel gennaio 202019, sottolinea che se, da un lato, una serie di iniziative anche legislative sembrano indicare significativi progressi nella tutela offerta alle donne vittime di violenza (domestica e non), dall’altro lato emergono nella società italiana preoccupanti segnali che spingono in una direzione contraria rispetto all’implementazione effettiva dei principi fatti propri dalla convenzione, ossia la protezione delle donne da qualunque forma di violenza e la promozione di una effettiva parità tra i sessi attraverso l’eliminazione di ogni discriminazione ed il rafforzamento dell’autonomia e dell’autodeterminazione delle donne. In particolare, con riferimento agli ordini di protezione il Rapporto sottolinea che i dati raccolti dimostrano una pluralità di circostanze che minano l’efficacia delle misure protettive civili italiane20. In primo luogo, viene in considerazione il fattore tempo, ossia i molti mesi che di norma intercorrono tra la proposizione del ricorso e la data della udienza di comparizione delle parti. Ulteriormente, desta preoccupazione il fatto che la sussistenza dei presupposti ai quali è subordinata la concessione di misure protettive e la loro eventuale proroga sia oggetto di una valutazione del tutto discrezionale, che varia a seconda del tribunale adíto e, spesso, anche a seconda delle convinzioni personali del giudice: la critica riguarda specificamente l’interpretazione del presupposto consistente nel “grave pregiudizio all’integrità fisica o morale” (di cui all’art. 342-bis c.c.) arrecato a chi subisce l’abuso, un’interpretazione sovente non improntata a quel favor nei confronti della vittima che dovrebbe guidare l’autorità giudiziaria chiamata ad intervenire.

Il Rapporto del GREVIO stigmatizza anche la tendenza, riscontrata nell’approccio al problema da parte di alcuni giudici, a cercare di indurre le parti a raggiungere una sorta di compromesso, che faccia venire meno l’esigenza di pronunciare sull’istanza proposta dalla vittima. Si tratta, nelle parole del Rapporto, di un completo travisamento delle dinamiche sottese alla violenza domestica, essendo del tutto evidente che il contesto da cui deriva la richiesta di una misura protettiva non è assimilabile ad una semplice controversia familiare e non si presta ad alcun tentativo di mediazione.

In conclusione, il Rapporto del GREVIO rende evidente che la strada da percorre per garantire alle vittime di violenza domestica una tutela anche civilistica effettiva è ancora lunga e, soprattutto, irta di ostacoli non necessariamente legati ad un vuoto normativo o ad una carente formulazione delle disposizioni di legge.



4. Il Regolamento (UE) n. 606 del 2013 sul riconoscimento reciproco delle misure di protezione in materia civile e la proposta di direttiva per il contrasto alla violenza contro le donne e alla violenza domestica



Il Regolamento n. 606/2013 (d’ora in poi, il Regolamento)21 si colloca nella cornice delle politiche dell’Unione miranti a rafforzare la tutela offerta sia alle vittime di reato, sia ai soggetti che subiscano gli effetti pregiudizievoli di condotte che, pur non avendo rilevanza penale, mettono a rischio i loro diritti fondamentali, quali, in particolare, il diritto all’integrità fisica e il diritto alla libertà e alla sicurezza personali. Nel quadro delle numerose iniziative promosse al fine di raggiungere gli obiettivi appena descritti si segnala, in primo luogo, la Direttiva sull’ordine di protezione europeo. In sintesi, l’ordine di protezione europeo è il provvedimento emesso dal giudice di uno Stato Membro, nel quale sia stata assunta una misura di protezione di natura penale a favore di un soggetto esposto al rischio di subire gli effetti di condotte che ne mettano in pericolo la vita, l’integrità fisica o psichica, la dignità, la libertà personale o l’integrità sessuale, allo scopo di “consentire all’autorità competente di un altro Stato membro di continuare a proteggere la persona all’interno di tale altro Stato membro, in seguito a un comportamento di rilevanza penale o a un presunto comportamento di rilevanza penale, conformemente al diritto nazionale dello Stato di emissione”22. Per “misura di protezione” si intende “una decisione in materia penale, adottata nello Stato di emissione conformemente alla legislazione e alle procedure nazionali, con la quale uno o più divieti o restrizioni […] sono imposti alla persona che determina il pericolo al fine di proteggere la persona protetta contro un atto di rilevanza penale che può metterne in pericolo la vita, l’integrità fisica o psichica, la dignità, la libertà personale o l’integrità sessuale”23. In sostanza, la Direttiva prevede la libera circolazione tra gli Stati membri ed il reciproco riconoscimento delle misure penali di protezione.

Il Regolamento rappresenta una sorta di corollario della Direttiva appena citata. Addirittura, c’è chi parla di un vero e proprio sistema di “tutela binaria” creato dai due strumenti normativi, che si colloca nel quadro della cooperazione giudiziaria, rispettivamente, in materia penale e in materia civile, nella prospettiva di assicurare semplicità al riconoscimento reciproco delle misure di protezione, sia penali che civili e, in questo modo, garantirne l’effettività all’interno dell’Unione24. La ratio del Regolamento è espressa dal Considerando (4), nel quale si afferma che le disposizioni danno attuazione al principio secondo il quale “le misure [civili] di protezione disposte in uno Sato membro sono riconosciute in tutti gli altri Stati membri senza che siano necessarie procedure speciali”. Quanto al contenuto delle misure di protezione rilevanti ai fini dell’applicabilità del Regolamento, la formulazione della norma di riferimento (art. 3. 1)) può sollevare qualche perplessità: in effetti, se, da un lato, si prevede che la denominazione della misura protettiva secondo il diritto interno dello Stato che l’ha adottata sia irrilevante, dall’altro lato sono menzionati espressamente solo tre possibili contenuti del provvedimento, sostanzialmente riconducibili al divieto di avvicinamento alla persona protetta. Si potrebbe pensare ad un’elencazione puramente esemplificativa, che non preclude il riconoscimento di misure aventi contenuto diverso (quali quelle previste dall’ordinamento italiano e francese), ma questa non è l’opinione prevalente in dottrina25: è di tutta evidenza, quindi, che un’interpretazione restrittiva della norma porta a ridurre di molto l’operatività del Regolamento e, di conseguenza, il livello della tutela che lo strumento si propone di offrire alle vittime di violenza.

Il riconoscimento della misura di protezione è automatico, a condizione che il soggetto che ha ottenuto il provvedimento e intenda avvalersene in uno Stato membro diverso da quello in cui la misura è stata concessa produca un apposito certificato, redatto secondo un modulo standard multilingue e rilasciato dall’autorità che ha disposto la misura. In questa sede non sembra necessario soffermarsi sui contenuti del certificato, mentre è interessante sottolineare che al riconoscimento automatico della misura fa da pendant una sua altrettanto automatica esecutività, con la precisazione che l’attuazione concreta della misura avrà luogo secondo il diritto dello Stato “di destinazione”: è, questa, una scelta per certi versi inevitabile, ma tale da indurre chi scrive a domandarsi se, effettivamente, in tutti gli Stati membri si possa davvero fare affidamento su di una tempestiva ed efficiente esecuzione di una misura di protezione resa da un giudice straniero.

Il Regolamento contiene una serie di disposizioni a tutela del diritto di difesa della “persona che determina il rischio”, ossia il soggetto a danno del quale la misura di protezione è stata assunta. In particolare, si prevede che, se l’ordine di protezione è stato emesso in assenza di contraddittorio, il certificato necessario per il riconoscimento all’estero del provvedimento può essere rilasciato solo “se [la persona che determina il rischio] ha avuto il diritto di contestare la misura di protezione ai sensi del diritto dello Stato membro d’origine” (art. 6.3). Non è chiaro come questa disposizione si coordini, ad esempio, con un’eventuale impugnazione esperibile contro la misura di protezione secondo il diritto dello Stato in cui è stata concessa. In realtà, sono anche altre le disposizioni del Regolamento dal significato incerto: così, ad esempio, non si comprende la norma secondo la quale il riconoscimento non può essere negato “a motivo del fatto che il diritto dello Stato membro richiesto non prevede per i medesimi fatti un’analoga misura” (art. 13.3.), con il che viene da domandarsi quale tipo di tutela sarà garantita in concreto alla vittima se il provvedimento, pur riconosciuto ed esecutivo, non corrisponde nell’ordinamento richiesto a nessuna misura protettiva: questo, anche alla luce del considerando (12), ove si afferma che il Regolamento non obbliga gli Stati membri ad introdurre misure di protezione per rendere possibile l’applicazione del Regolamento stesso.

Altri aspetti del Regolamento meriterebbero una trattazione approfondita, che i limiti di questo lavoro non consentono: in particolare, un tema oggetto dell’attenzione degli studiosi è costituito dai rapporti tra il Regolamento e altri strumenti normativi dell’Unione, con specifico riferimento al Regolamento n. 2201 del 2003 (Bruxelles II bis) su competenza, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in tema di responsabilità genitoriale e al Regolamento n. 1215 del 2012 (Bruxelles I bis) sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. Pur non sottovalutando i problemi che l’interpretazione del Regolamento solleva, chi scrive troverebbe più interessante conoscere se il Regolamento, in vigore dal gennaio 2015, ha trovato finora applicazione e, in caso affermativo, in quali Stati e con quali risultati: un’indagine che si presenta come una vera “missione impossibile”, se si considera che anche solo con riferimento all’ordinamento italiano qualunque ricerca al riguardo sembra destinata al fallimento.

Passando ora a considerare la recente proposta di direttiva contenente disposizioni volte a combattere la violenza contro le donne e la violenza domestica26, si tratta di uno strumento normativo rilevante essenzialmente sul piano penale, posto che il suo scopo è quello di stabilire norme minime relative alla definizione di reati riconducibili ad un concetto molto ampio di violenza, tale da comprendere “qualunque atto di violenza che provochi o possa provocare danni o sofferenza fisica, sessuale, psicologica o economica, incluse le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, nella sfera pubblica come nella vita privata”27, in considerazione del fatto che le diverse legislazioni nazionali adottano approcci diversi al problema e non assicurano un livello di protezione uniforme alle vittime. Analogamente, la proposta di direttiva si propone di rafforzare anche l’accesso alla giustizia delle donne vittime di violenza domestica e, più in generale, di genere, prevedendo – anche in questo caso – norme minime che gli Stati membri dovrebbero applicare per prevenire e reprimere più efficacemente il fenomeno, offrendo alle vittime forme di supporto adeguate.

La proposta di direttiva non si occupa delle misure civili di protezione, tuttavia una disposizione le richiama espressamente28, menzionando l’obbligo per gli Stati membri di adottare “misure urgenti di allontanamento, ordinanze restrittive e ordini di protezione”, che mettano la vittima al riparo da un continuo contatto con l’autore della violenza e ne dispongano l’allontanamento immediato, nella prospettiva di assicurare alla vittima una tutela “a lungo termine”, indipendentemente dal fatto che abbia o meno denunciato il reato. Ulteriormente, la disposizione detta un’altra obbligazione positiva per gli Stati membri, ossia quella di reagire alla violazione di una misura di protezione con “sanzioni penali o altre sanzioni giuridiche effettive, proporzionate e dissuasive”.

Sulla proposta di direttiva si è espresso uno studio promosso dal Parlamento Europeo29, nel quale si sottolinea la necessità di estendere l’ambito di applicazione della futura direttiva ad ogni forma di violenza di genere, prestando particolare attenzione alla cd. cyber-violenza ed alle sue molteplici manifestazioni. Lo studio, inoltre, sottolinea l’importanza dell’educazione e dell’informazione che, a tutti i livelli, dovrebbero costituire alcune tra le più importanti strategie che gli Stati membri sono sollecitati a mettere in atto nella prospettiva di sconfiggere gli stereotipi di cui si nutre la violenza di genere. Ad oggi, non è possibile formulare previsioni sul futuro della proposta di direttiva: se anche venisse adottata e gli Stati membri fossero obbligati a darvi attuazione, la possibilità che bastino nuove norme (e, in particolare, la creazione di nuove figure di reato o l’inasprimento delle pene previste per reati già previsti dalle legislazioni nazionali) per invertire la tendenza che ha visto in costante crescita la violenza domestica e, in generale, la violenza di genere sembra un “wishful thinking” davvero troppo velleitario.



5. Violenza domestica e Corte europea dei diritti dell’uomo: il caso dell’Italia





La Corte di Strasburgo ha avuto molteplici occasioni per pronunciarsi sulla violenza domestica sub specie di violazione dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, elaborando una ricca giurisprudenza30, scorrendo la quale non si può che condividere il giudizio della Corte, laddove afferma che la violenza domestica “is a general problem which concerns all member States and which does not always surface since it often takes place within personal relationships or closed circuits”31.

Quanto alle condanne subite dall’Italia, non è questa la sede per analizzarle in dettaglio. Piuttosto, ciò che preme sottolineare è che tutte le decisioni hanno un identico Leitmotif, ossia la constatazione che la responsabilità dello Stato deriva dalla circostanza che le autorità italiane non sono intervenute tempestivamente e con la necessaria diligenza a tutela delle vittime di violenze domestiche e, in questo modo, hanno indirettamente contribuito all’aggravarsi dello stato di pericolo in cui le vittime versavano, a causa del colpevole ritardo che ha caratterizzato l’intervento degli organi di polizia e del sistema giudiziario. In particolare, la Corte sottolinea che “da un punto di vista generale, il quadro giuridico italiano era idoneo ad assicurare una protezione contro atti di violenza che possono essere commessi da privati in una determinata causa”32 e che “l’ampia serie di misure giuridiche e operative disponibili nel sistema legislativo offriva alle autorità interessate una varietà sufficiente di possibilità adeguate e proporzionate rispetto al livello di rischio esistente nel caso di specie”33. In effetti, già nella prima condanna pronunciata a carico dello Stato italiano nel noto caso Talpis c. Italia34, la Corte aveva compiuto una ricognizione puntigliosa delle disposizioni italiane allora vigenti dettate a protezione delle vittime di maltrattamenti in famiglia, menzionando anche “il dispositivo speciale ed urgente” delle misure civili di protezione35. Analogamente, nelle due decisioni più recenti, la Corte non trascura di “promuovere” l’Italia, constatando che “a partire dal 2017, e dall’adozione della sentenza Talpis […], l’Italia ha adottato delle misure per mettere in atto la Convenzione di Istanbul, dimostrando in tal modo la sua volontà politica reale di prevenire e combattere la violenza nei confronti delle donne. Come sottolinea il Governo, una serie di riforme legislative […] ha creato un insieme importante di regole e di meccanismi che rafforzano la capacità delle autorità di far corrispondere le loro intenzioni ad azioni concrete per porre fine alla violenza”36. In sostanza, a giudizio della Corte, l’Italia dispone di uno strumentario normativo di tutto rispetto per combattere la violenza domestica: ciò che manca, però, è la capacità di assicurarne in concreto l’effettiva applicazione. In particolare, l’inerzia delle autorità protratta nel tempo non solo mette a rischio l’incolumità della vittima (come dimostrano gli episodi riportati quasi quotidianamente dagli organi di comunicazione), ma ingenera nella pubblica opinione “l’apparenza di una mancanza di diligenza [che] porta a dubitare della buona fede con cui vengono condotte le indagini”37, minando in questo modo la fiducia (già molto ridotta) che le vittime di violenza domestica ripongono nella possibilità di poter contare su di un intervento tempestivo ed efficace delle autorità.

“La via per l’inferno è lastricata di buone intenzioni”: questo detto sembra adattarsi perfettamente alla situazione italiana. Le “buone intenzioni” sono davvero molte, ma raramente portano a risultati concreti. Per certo, ciò dipende da una pluralità di fattori, che meriterebbero di essere indagati in maniera non superficiale: tuttavia, a chi scrive sembra legittimo chiedersi se il problema reale sia davvero rappresentato da un difetto di efficienza e rapidità nell’applicazione delle norme esistenti o non sia piuttosto un retaggio culturale duro a morire.



6. Conclusioni





Qual è la migliore strategia per combattere la guerra contro la violenza domestica e per prevenirne la continua crescita? Laddove la tutela penale delle vittime fallisce, si può sperare che almeno gli ordini civili di protezione funzionino e riescano a mitigare in qualche misura le conseguenze del fenomeno? L’esperienza francese e quella italiana, unitamente all’impegno delle istituzioni europee, non sembrano aver sortito effetti positivi evidenti: tuttavia, in questo campo come in molti altri, al pessimismo della ragione è necessario contrapporre l’ottimismo della volontà38. Ed è con questo spirito che sembra possibile formulare un giudizio positivo (almeno in linea teorica) sulle nuove norme che, nel contesto dell’ampia riforma della giustizia civile italiana, contenuta nel decreto legislativo adottato in attuazione della legge-delega n. 206 del 202139, non solo riordinano la disciplina degli ordini di protezione, ma introducono anche un intero gruppo di disposizioni destinate a trovare applicazione in tutti i procedimenti relativi a rapporti di famiglia nei quali “abusi familiari o condotte di violenza domestica o di genere poste in essere da una parte nei confronti dell’altra o dei figli minori” costituiscano oggetto di allegazione40. Nella Relazione illustrativa che accompagnava lo schema del decreto legislativo41 si sottolinea che la scelta del legislatore di attribuire una rilevanza particolare alla violenza domestica o di genere nell’ambito di procedimenti civili diversi da quelli instaurati per la specifica richiesta di una misura di protezione è stata determinata dall’esigenza di evitare il perpetuarsi di un fenomeno che, di frequente, caratterizza anche l’operato delle istituzioni, ossia la c.d. vittimizzazione secondaria, che spesso le vittime di violenza subiscono in conseguenza dell’atteggiamento di chi, sottovalutando il problema o addirittura negandone l’esistenza, le induce a ritenersi loro stesse responsabili della violenza subita. Per questa ragione – prosegue la Relazione42 – all’interno del nuovo rito unificato in materia di persone, minorenni e famiglie previsto dal decreto legislativo è stata introdotta una “corsia preferenziale” per i giudizi in cui una delle parti alleghi di avere subito violenza domestica (o di genere), modellando il procedimento sull’esigenza di pervenire ad un accertamento rapido della fondatezza delle allegazioni, grazie agli ampi poteri istruttori riconosciuti al giudice, in modo che questi possa adottare, se del caso, i provvedimenti più idonei alla tutela della vittima. Per espressa previsione normativa43, il contenuto di tali provvedimenti coinciderà con una o più misure previste sub specie di ordini di protezione. Come si è già accennato, la disciplina degli ordini di protezione è stata rimodulata, facendo confluire nel Codice di procedura civile anche il dettato delle norme sostanziali (gli artt. 342-bis e 342-ter c.c.) relative ai presupposti della tutela e ai suoi possibili contenuti. Peraltro, nel merito le nuove norme non presentano novità di rilievo44.

Solo il tempo dirà se, anche grazie all’applicazione delle nuove norme, si potrà parlare di un vero cambiamento di strategia nella battaglia contro le violenze domestiche o se si continuerà a fare affidamento sulla discutibile efficacia deterrente di una risposta sanzionatoria al fenomeno sempre più severa. Ciò che può fare la differenza, in realtà, è un reale impegno delle istituzioni nella prevenzione della violenza domestica, prevenzione che passa necessariamente per un reale, ma difficilissimo smantellamento delle sue profonde radici culturali.



































NOTE

1 Cfr. al riguardo le informazioni ed i dati statistici raccolti da UNWomen (United Nations Entity for Gender Equality and the Empowerment of Women) di- sponibili all’indirizzo https://www.unwomen.org/en/news/in-focus/in-focus-gender-equality-in-covid-19-response/violence-against-women-during-covid-19. Per un’ampia disamina dei fattori che hanno determinato l’intensificarsi della violenza domestica come conseguenza indiretta della pandemia e sulle difficoltà sperimen- tate dalle vittime nell’ottenere protezione, cfr., ad esempio, A. SAMyA SRI, P. dAS, S. GNANAPRAGASAM, A. PERSAUd, COVID-19 and the violence against women and girls: ‘The shadow pandemic’, in Int’l J. of Social Psychiatry 2021, 67, 971 ss., https://jour- nals.sagepub.com/doi/pdf/10.1177/0020764021995556; J. KOShAN, J. MOShER, W. WIEGERS, COVID-19, the Shadow Pandemic, and Access to Justice for Survivors of Domestic Violence, in Osgoode Hall L.J., 2020, 57, 739 ss.

2 Cfr. Proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica, Strasburgo, 8 marzo 2022, COM (2022) 105 final, consultabile all’indirizzo https://eur-lex.europa.eu/legal-con- tent/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52022PC0105&from=EN, su cui infra, § 4.

3 Il riferimento è alla l. 4 aprile 2001, n. 154, il primo testo normativo speci- ficamente volto alla repressione della violenza familiare. A questa legge ne sono seguite altre negli anni successivi, fino alla l. 19 luglio 2019, n. 69 (nota al pub- blico come “Codice rosso”), che ha introdotto ulteriori disposizioni a tutela delle vittime di violenza domestica e di genere. Più di recente, la l. 27 settembre 2021, n. 134, recante “Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedi- menti giudiziari”, ha dettato disposizioni di immediata operatività che estendono il campo di applicazione di alcune norme contenute nel “Codice rosso”. In argo- mento, cfr. G.P. CANCELLARO, Violenza di genere e codice rosso alla luce della riforma del processo penale: quae mutationes?, in Giurisprudenza Penale Web, 2022, 5.

4 In argomento, cfr. ampiamente N.W. TARR, Civil Orders of Protection: Free- dom or entrapment, in Wash. U. Journal of Law & Policy, 2003, 11, 157 ss.

5 Cfr. l’art. IV della Costituzione statunitense che, nel primo comma, recita “Full Faith and Credit shall be given in each State to the public Acts, Records, and judicial Proceedings of every other State”.

6 In questo senso, cfr., ad esempio, S. JOUANNEAU, A. MATTEOLI, Les violences au sein du couple au prisme de la justice familiale. Invention et mise en oevre de l’or- donnance de protection, in Droit et societé, 2018, 305 ss.

7 Cfr. M.P. JOhNSON, A Typology of Domestic Violence: Intimate Terrorism, Violent Resistance, and Situational Couple Violence, Northwestern University Press, 2008, part. 5 ss., 25 ss.

8 Per il testo del Regolamento, cfr. Gazz. Uff. Un. Eur., 29 giugno 2013, l. 181/4.

9 Sulle ordonnances de protection secondo la disciplina del 2010, cfr., ad es., S. JOUANNEAU, A. MATTEOLI, Les violences au sein de la couple au prisme de la justice familiale. Invention et mise en oevre de l’ordionnance de protection, in Droit et societé, 2018, 305 ss.; RÉGINE (Recherches et études sur le genre et les inégalités en Europe), Commentaire de la loi pour l’égalité hommes n. 2014-873 du 4 août 2014, Rec. D., 2014,, 1895 ss.; E. BAzIN, Les nouveau pouvoirs du JAF en matière de violences au sein des couples, in JCP, 2010, 1799 ss.

10 Cfr. Clotûre du grenelle contre les violences conjugales. Dossier de presse, 25 novembre 2019, disponibile all’indirizzo https://www.gouvernement.fr/sites/de- fault/files/document/document/2019/11/dossier_de_presse_-_cloture_du_gre- nelle_contre_les_violences_conjugales_-_25.11.2019.pdf.

11 Dal 1 gennaio 2020, le due giurisdizioni civili preesistenti, ossia il Tribunal de Grande Instance e il Tribunal d’Instance sono state unificate nel Tribunal judi- ciaire: la nuova organizzazione giudiziaria è stata varata con la legge n. 2019-22 del 23 marzo 2019, nota come legge per la programmazione e la riforma della giustizia. A completamento del progetto di riforma, è poi intervenuto il decreto

n. 2019-1333 del 11 dicembre 2019, che ha introdotto ulteriori novità signi- ficative nella disciplina del processo civile. Per una prima informazione, cfr. i contributi raccolti in Dossier Réforme de la procédure civile, in Dalloz Actualités, 20 gennaio 2020, disponibile all’indirizzo https://www.dalloz-actualite.fr/dossier/ reforme-de-procedure-civile.

12 Sulle varie forme assunte dalla specializzazione dei giudici nell’ordina- mento giudiziario francese, cfr. C. BLéRy, Rapport introductif. La notion de spéciali- sation, in C. GINESTET (sous la direction de), La spécialisation des juges, Presses de l’Université Toulouse 1 Capitole, 2012, 13 ss.

13 In generale, cfr. N. FRICERO, L’essentiel des institutions judiciaires11, Librairie LGDJ, 2019, 35 ss.

14 In proposito, cfr. i dati forniti dal rapporto Femmes victimes de violences conjugales: bilan 2020-2021 de l’ordonnance de protection, disponibile all’indirizzo https://www.vie-publique.fr/en-bref/280594-victimes-de-violences-conjugales- bilan-de-lordonnance-de-protection.

15 Cfr., in particolare, Cass. civ. 1er, 13 février 2020, n. 19-22.192, leggibile all’indirizzo https://www.legifrance.gouv.fr/affichJuriJudi.do?oldAction=re-chJuriJudi&idTexte=JURITEXT000041620400&fastReqId=1251992886&fa-stPos=1. Per un commento critico, cfr. I. COPART, Violences conjugales: sans preuve d’un danger actuel, pas d’ordonnance de protection, all’indirizzo http://www.jac. cerdacc.uha.fr/violences-conjugales-sans-preuve-dun-danger-actuel-pas-dor- donnance-de-protection-i-corpart/

16 Tra i molti contributi, cfr., in particolare, A. NASCOSI, Gli ordini di protezione civili contro gli abusi familiari a vent’anni dalla loro introduzione, in Fam. dir., 2021, 1189 ss.; A.R. EREMITA, Ordini di protezione familiare e processo civile, ESI-Edi- zioni scientifiche Italiane, 2019; F. dANOVI, Ordini di protezione e competenza del giudice del conflitto familiare, in Fam. dir., 2017, 1073 ss.; A. SCALERA, Gli ordini di protezione contro gli abusi familiari, in Giur. merito, 2013, 231 ss.; G. BASILICO, Profili processuali degli ordini di protezione familiare, in Riv. dir. proc., 2011, 1116 ss.; M. CONFORTI, Il contenuto, in M. PALAdINI (a cura di), Gli abusi familiari, Ce- dam, 2009, 145 ss.; E. D’ALESSANdRO, Gli ordini civili di protezione contro gli abusi familiari: profili processuali, in Riv. trim dir. proc. civ., 2007, 225 ss.; E. VULLO, L’e- secuzione degli ordini di protezione contro la violenza nelle relazioni familiari, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, 129 ss.; F. AULETTA, L’azione civile contro la violenza nelle relazioni familiari (art. 736-bis c.p.c.), in Riv. dir. proc., 2001, 1045 ss.

17 Così G. BASILICO, op. cit., 1116.

18 Cfr. la legge 27 giugno 2013, n. 77 (Ratifica ed esecuzione della Conven- zione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011), in G.U., 1 luglio 2013, n. 152). Sulla Convenzione, cfr. L. GRANS, The Istanbul Convention and the Positive Obligation to Prevent Violence, in Human Rights L. Rev., 2018, 18, 133 ss.; F. POGGI, Violenza di genere e Convenzione di Istanbul: un’analisi concettuale, in Dir. um. dir. int., 2017, 51 ss.; R. SENIGAGLIA, La Convenzione di Istanbul contro la violenza nei confronti delle donne e domestica, tra ordini di prote- zione e responsabilità civile endofamiliare, in Riv. dir. priv., 2015, 111 ss.

19 Cfr. GREVIO’s (Baseline) Evaluation Report on legislative and other measures giving effect to the provisions of the Council of Europe Convention on Preventing and Combating Violence against Women and Domestic Violence (Istanbul Convention), ITALY, consultabile all’indirizzo https://rm.coe.int/grevio-report-italy-first-base- line-evaluation/168099724e. GREVIO è l’acronimo utilizzato per indicare il “Gruppo di esperti sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”, cui l’art. 66.1 della Convenzione affida l’incarico di vigilare sull’attuazione della Convenzione ad opera degli Stati contraenti.

20 Ibid., paragrafi da 234 a 241.

21 Cfr. Regolamento (UE) N. 606/2013 del Parlamento Europeo e del Con- siglio del 12 giugno 3013 relativo al riconoscimento reciproco delle misure di protezione in materia civile, in G.U. Un. eur., 29 giugno 2013, l. 181/4.

22 Cfr. Direttiva 2011/99/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011 sull’ordine di protezione europeo, G.U. Un. eur., 21 dicembre 2011, l. 338/2, all’art. 1. La Direttiva è stata recepita nell’ordinamento italiano mediante il d.lgs. 11 febbraio 2015, n. 9. Sull’ordine di protezione europeo, ex multis cfr. H. BELLUTA, M. CERESA-GASTALdO (a cura di), L’ordine di protezione europeo. La tutela delle vittime di reato come motore della cooperazione giudiziaria, Giappichelli, 2016.

23 Cfr. Direttiva 2011/99/UE, supra nota 22, all’art. 2, para. 2).

24 In questo senso, cfr. D. PORChERON, Le principe de reconaissance mutuelle au service des victimes de violence, in RCDIP, 2016, 267 ss., 268.

25 Per questa opinione, cfr. D. PORChERON, Le principe de reconaissance mutue- lle, cit., 270; M. ROQUEJO ISIdRO, El Reglamento (UE) del Parliamento Europeo y del Consejo, de 12 de Junio del 2013, relativo al Reconoscimento mutuo de medidas de protección en materia civil, in Int. J. Procedural Law, 2015, 5, 51 ss., 56.

26 Cfr. Proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica, Strasburgo, 8 marzo 2022, COM (2022) 105 final, cit. supra, nota 2.

27 Ivi, all’art. 4 (a).

28 Si tratta dell’art. 21 della proposta.

29 Cfr. I. BACIAN, N. hAhNKAMPER-VANdENBULCKE, Violence against women and domestic violence. The new European Commission proposal in light of European Par- liament requests (EPRS, European Parliamentary Research Service), June 2022, consultabile all’indirizzo https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/ STUD/2022/730329/EPRS_STU(2022)730329_EN.pdf

30 Per una sintesi aggiornata dei principali orientamenti della Corte in tema di violenza domestica, cfr. European Court of Human Rights, Factsheet. Domestic violence (July 2022), consultabile all’indirizzo https://www.echr.coe.int/Docu- ments/FS_Domestic_violence_ENG.pdf.

31 Cfr. la sentenza Opuz v. Turkey, 9 giugno 2009, ricorso n. 33401/02, § 132.

32 Cfr. la sentenza De Giorgi c. Italia, 16 giugno 2022, ricorso n. 23735/19,

§ 71.

33 Ibid. Nello stesso senso, cfr. anche la sentenza Landi c. Italia, 7 aprile 2022, ricorso n. 10929/19, § 80.

34 Cfr. la sentenza Talpis c. Italia, 2 marzo 2017, ricorso n. 41237/14, su cui;

P. dE FRANCESChI, Violenza domestica: dal caso Rumor al caso Talpis cosa è cambiato nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo?, in Giurisprudenza Penale Web, 2018, 1; R. CASIRAGhI, La Corte di Strasburgo condanna l’Italia per la mancata tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, in Dir. pen. contempo- raneo, 2017, 378 ss.; N. FOLLA, Violenza domestica e di genere: la Corte EDU, per la prima volta, condanna l’Italia, in Fam. Dir., 2017, 626 ss.

35 Cfr. Talpis c. Italia, cit. supra, nota 34, § 52.

36 Cfr. Landi c. Italia, cit. supra, nota 33, § 103.

37 Cfr. Talpis c. Italia, cit. supra, nota 34, § 128.

38 Si prende a prestito la nota frase di Antonio Gramsci, contenuta in una lettera al fratello Carlo (19 dicembre 1929): cfr. A. GRAMSCI, Lettere dal carcere (a cura di S. CAPRIOGLIO e E. FUBINI), Einaudi, 1965, 309 ss.

39 Si tratta del d.lgs. n. 149 del 10 ottobre 2022, in G.U. 17 ottobre 2022, n.

243. Per un primo approccio alle nuove norme in materia di giustizia familiare e minorile, cfr. C. CECChELLA (a cura di), La riforma del giudice e del processo per le persone, i minori e le famiglie, Giappichelli, 2022; F. dANOVI, Il nuovo rito delle relazioni familiari, in Fam. dir., 2022, 837 ss.; B. POLISENO, La giustizia civile in materia di famiglia e minori, in G. COSTANTINO (a cura di), La riforma della giustizia civile. Prospettive di attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, Cacucci Editore, 2022, 285 ss.

40 Il riferimento è alla Sezione I (Della violenza domestica o di genere) del nuo- vo Capo III (Disposizioni speciali) del Titolo IV-bis (Norme per il procedimento nmateria di persone, minorenni e famiglie) aggiunto al libro II del Codice di proce- dura civile, in coda al Titolo IV.

41 Il testo della Relazione illustrativa è disponibile all’indirizzo http://documenti.camera.it/apps/nuovosito/attigoverno/Schedalavori/getTesto.ashx?fi- le=0407.pdf&leg=XVIII#pagemode=none.

42 Ivi, 80.

43 Cfr. art. 473-bis.46 del d.lgs. n. 149/2022.

44 Le norme di riferimento sono gli articoli da 473-bis.69 a 473-bis.71 del d.lgs. n. 149/2022