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Il nuovo articolo 403 c.c.

autore: R. Del Giudice

SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Termini e perdita di efficacia del provvedimento ex art. 403 c.c.: possibili “correttivi”. - 3. Presupposti applicativi del nuovo art. 403 c.c. - 4. Pubblico Ministero e Pubblica Autorità. - 5. La necessità di un provvedimento formale di allontanamento. - 6. La novità circa l’applicabilità dell’art. 403 c.c. anche all’ipotesi in cui l’allontanamento dovesse riguardare uno soltanto dei genitori. - 7. La competenza funzionale e territoriale del PMM. - 8. I poteri del PMM. - 9. I poteri del TPM.



1. Premessa



Il comma 27 dell’art. 1 della legge n. 206/2021 (Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata, pubblicata sulla G.U. n. 292 del 9.12.2021) interviene, per la prima volta dall’entrata in vigore del codice civile nel 1942, a riscrivere l’art. 403 c.c. (rubricato “Intervento della pubblica autorità a favore dei minori”) che troverà applicazione ai procedimenti instaurati a partire dal 22 giugno 2022.

La riforma ha modificato il 1° comma dell’art. 403 c.c. ed ha aggiunto ulteriori sette commi, di cui sei dedicati agli aspetti procedurali che costituivano, per gli operatori del diritto, lo “horror vacui” della originaria disciplina, la quale si limitava a stabilire che, manente le condizioni di cui all’art. 403 c.c., la Pubblica Autorità procedeva a mettere il minore in sicurezza. Il nuovo art. 403 c.c., invece, definisce la scansione temporale della procedura, ruoli e poteri delle singole Autorità coinvolte.



2. Termini e perdita di efficacia del provvedimento ex art. 403 c.c.: possibili “correttivi”



Il primo elemento di novità concerne la previsione, a pena di inefficacia, dei termini entro i quali la procedura de qua deve articolarsi. Segnatamente: entro 24 ore dal collocamento del minore in sicurezza, la Pubblica Autorità che ha adottato il provvedimento di allontanamento deve trasmettere gli atti al PMM; entro le successive 72 ore il PMM, se non dispone la revoca del predetto provvedimento, deve chiederne la convalida al TPM; entro 48 ore il TPM, con decreto del Presidente o del Giudice delegato, deve pronunciarsi sulla convalida del provvedimento ex art. 403 c.c., nominare un curatore speciale1, designare un giudice relatore e fissare udienza di comparizione delle parti entro il termine di 15 giorni; entro le successive 48 ore il ricorso del PMM e il decreto di convalida del TPM devono essere notificati, a cura della segreteria del PMM2, agli esercenti la responsabilità genitoriale e al curatore speciale; entro 15 giorni dalla mentovata udienza di comparizione delle parti, il TPM, in composizione collegiale, pronuncia decreto con cui conferma, modifica, revoca il decreto di convalida, può adottare provvedimenti nell’interesse del minore e, qualora siano stati richiesti interventi de potestate da parte del PMM, dà disposizioni per l’ulteriore corso del procedimento; tale ultimo provvedimento è suscettibile di impugnazione mediante reclamo da proporsi entro il termine perentorio di 10 giorni alla Corte di Appello, che deciderà, a sua volta, nel termine di 60 giorni dal deposito del reclamo.

Il mancato rispetto dei tempi processuali comporta la perdita di efficacia del provvedimento di allontanamento. Tuttavia, da una attenta lettura del comma 7 si evince che la perdita di efficacia non è legata all’inosservanza di tutte le scansioni temporali previste dalla nuova norma, bensì solo alle seguenti quattro ipotesi: il mancato rispetto del termine di 24 ore previsto per la trasmissione del provvedimento di allontanamento dalla Pubblica Autorità al PMM; il mancato rispetto del termine di 72 ore previsto per la richiesta di convalida del predetto provvedimento da parte del PMM; il mancato rispetto del termine di 48 ore previsto per la convalida del provvedimento de quo parte del TPM, in composizione monocratica; il mancato rispetto del termine di 15 giorni previsto per l’emissione del decreto di conferma, modifica o revoca del decreto di convalida da parte del TPM, in composizione collegiale. Ne consegue, quindi, che non sono causa di inefficacia: il mancato rispetto del termine della notifica della convalida entro 48 ore e lo svolgimento dell’udienza di cui al comma 5 oltre il 15° giorno.

Ciò posto, è lecito porsi alcune domande. Quid iuris nelle ipotesi in cui il Pubblico Ministero si avvedesse di un ritardo nella trasmissione del provvedimento di allontanamento da parte della Pubblica Autorità (provvedimento che, quindi, viene trasmesso oltre le 24 ore)? Quid iuris nell’ipotesi in cui il Presidente (o il giudice delegato), quale giudice della convalida, si accorgesse che il PMM non ha rispettato il termine delle 72 ore per la proposizione delle proprie istanze? Ed infine, quid iuris nell’ipotesi in cui a non rispettare i termini fosse il TPM?

Relativamente alla prima domanda, considerati i tempi contingentati e l’onere della Pubblica Autorità non solo di adottare un formale provvedimento di allontanamento, ma anche di trasmettere, contestualmente e a corredo, ogni documentazione utile ed una sintetica relazione dalla quale emergono i motivi dell’intervento, è tutt’altro che peregrino, in concreto, il rischio che la Pubblica Autorità non riesca a rispettare il termine delle 24 ore dall’allontanamento (si pensi, ad esempio, al caso in cui la Pubblica Amministrazione abbia trasmesso gli atti alla trentesima ora dall’avvenuto allontanamento del minore). Ebbene, si potrebbe riflettere sulla possibilità che il PMM – se è ancora nei termini a lui imposti – possa comunque promuove un ricorso ex art. 403 c.c. nel quale, dopo aver dato atto della insussistenza di motivi per revocare il provvedimento di allontanamento, possa chiedere al TPM di dichiarare la perdita di inefficacia del predetto provvedimento a cagione del ritardo, di nominare un curatore speciale, di fissare l’udienza di comparizione delle parti e, al fine di evitare il rientro del minore presso il nucleo familiare di appartenenza, di disporre, ex artt. 330, 333 e 336 co. 3 c.c., in via cautelare ed inaudita altera parte, che il minore rimanga collocato in Comunità (o presso un parente/famiglia affidataria), che i genitori siano sospesi dalla responsabilità genitoriale e, per il tramite delle prescrizioni, avviati a percorsi di sostegno alla genitorialità, all’esito dei quali e alla luce dell’istruttoria dibattimentale (che nel frattempo verrà condotta secondo la scansione temporale dell’art. 403 c.c.), decidere se riammetterli nell’esercizio della responsabilità genitoriale o dichiararli definitivamente decaduti. Questa possibile soluzione riposa sulla lettura combinata dei commi 3 e 4 del nuovo art. 403 c.c. La norma prevede che il PMM deve procedere alla revoca del provvedimento ove manchino i presupposti di legge (minore moralmente o materialmente abbandonato oppure esposto, nell’ambiente familiare, a grave pregiudizio e pericolo per la sua incolumità psicofisica; sussistenza dell’emergenza di provvedere). La revoca del provvedimento, quindi, non riguarda le ipotesi di tardiva trasmissione degli atti, la quale comporta “solo” la perdita di efficacia del predetto provvedimento di allontanamento, come previsto dal comma 4. “In questo caso – prosegue il comma 7 – il Tribunale per i minorenni adotta provvedimenti temporanei ed urgenti nell’interesse del minore”. Ebbene, tali provvedimenti temporanei ed urgenti ben potrebbero essere compulsati dal PMM in sede di richiesta di convalida del provvedimento di allontanamento: come anticipato, infatti, dalla formulazione della norma si ricava che il mancato rispetto dei termini de quibus, se da un lato impone la declaratoria di inefficacia, dall’altro, non osta alla formulazione, da parte del PMM, di richieste ex artt. 330, 333 e 336 co. 3 c.c.

Questa soluzione potrebbe essere applicata anche all’ipotesi

in cui sia stato il PMM a non rispettare i termini a lui imposti dalla legge (ovverosia quello delle 72 ore), con delle precisazioni. Occorrerebbe, infatti, fare un distinguo: se il PMM si è limitato a chiedere, fuori dai termini di legge, la convalida del provvedimento ex art. 403 c.c., senza formulare ulteriori richieste limitative della responsabilità genitoriale, il TPM non potrà fare altro che dichiarare la perdita di efficacia del provvedimento di allontanamento, adottare i provvedimenti temporanei ed urgenti nell’interesse del minore e restituire gli atti al PMM; laddove, invece, il PMM, unitamente alla richiesta di convalida del provvedimento ex art. 403 c.c., abbia formulato anche istanze limitative della responsabilità genitoriale, ben potrebbe il TPM rilevare il ritardo nella trasmissione e, per l’effetto, dichiarare la perdita di efficacia del provvedimento di allontanamento, ma nulla osta a che la procedura prosegua secondo le regole e la scansione temporale del nuovo art. 403 c.c., relativamente alle ulteriori richieste formulate del PMM. La norma, come già detto, prevede che l’inosservanza dei termini in essa contemplati importa la perdita di efficacia del provvedimento di allontanamento, non anche l’interruzione della procedura laddove, attraverso il grimaldello della nuova disciplina ex art. 403 c.c., siano state introdotte istanze de potetate.

Mutatis mutandi, le medesime argomentazioni, infine, potrebbero essere spese a fronte dell’ipotesi in cui sia stato il TPM a non rispettare la scansione temporale per l’adozione dei provvedimenti di competenza: rilevata la sopravvenuta perdita di efficacia del provvedimento emesso dalla Pubblica Autorità, se non sussistono ragioni per revocare il provvedimento di allontanamento, il TPM potrebbe adottare provvedimenti temporanei ed urgenti di cui all’ultima parte del comma 7 e dare comunque disposizioni per l’ulteriore corso del procedimento laddove siano state proposte dal PMM istanze ai sensi degli artt. 330 ss. c.c.



3. Presupposti applicativi del nuovo art. 403 c.c.



Il 1° comma dell’art. 403 c.c. disciplina i presupposti che giustificano l’intervento della Pubblica Autorità: minore moralmente o materialmente abbandonato, oppure esposto, nell’ambiente familiare, a grave pregiudizio e pericolo per la sua incolumità psicofisica; emergenza di provvedere.

La situazione di abbandono morale e materiale era già contemplata nel testo previgente.

Diversamente dalla vecchia formulazione, che rimandava alla condizione di un minore “allevato in locali insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere alla educazione di lui”, il nuovo art. 403 c.c. contempla, accanto alla condizione di abbandono morale e materiale, un presupposto applicativo più ampio e generico: l’esposizione a grave pregiudizio e pericolo per l’incolumità psicofisica del minore (che, in realtà, già sotto la vigenza della precedente normativa era stata individuata, nella casistica, come ipotesi applicativa dell’art. 403 c.c.).

La vera novità riposa nella previsione della “emergenza di provvedere”. L’aspetto innovativo di tale nuova formulazione non riguarda tanto e solo la previsione esplicita di una condizione emergenziale (che, sebbene non contemplata dalla vecchia norma, si riteneva fosse implicita), bensì l’utilizzo del termine “emergenza” (che rievoca una terminologia sanitaria e non strettamente giuridica). Alcuni primi commentatori leggono in questa scelta terminologica una chiara e precisa volontà del legislatore di connotare il tipo di intervento della Pubblica Autorità: esso non deve solo essere urgente, ma anche emergente. Laddove, in maniera icastica, la condizione di emergenza impone un intervento immediato, mentre l’urgenza (solo) una priorità di intervento.



4. Il Pubblico Ministero e Pubblica Autorità



Il successivocomma 2 prevede che “la Pubblica Autorità che ha adottato il provvedimento di allontanamento informa oralmente il PMM” il quale, nelle successive 72 ore, provvederà alla relativa richiesta di convalida. Questo inciso è importante in quanto chiarisce, una volta per tutte, l’alterità soggettiva tra la Pubblica Autorità, deputata alla adozione del provvedimento ex art. 403 c.c., e il PMM, al quale è demandato il potere di chiederne la convalida. La norma sembra chiarire l’ovvio, ma in realtà non è così: in passato si sono registrate talune prassi (isolate, ma esistenti) per cui il provvedimento ex art. 403 c.c. veniva disposto direttamente dal PMM. La norma ha spazzato

via tali prassi, chiarendo in maniera “caustica” che il PMM non è una Pubblica Autorità e che l’allontanamento di cui all’art. 403 c.c. non rientra tra i suoi poteri3. Sono titolari del potere di allontanamento ex art. 403 c.c. i Pubblici Ufficiali, gli Incaricati di un Pubblico Servizio, gli Esercenti un Servizio di Pubblica Necessità.

Il mentovato comma 2 offre lo spunto riflessivo per fare un’ulteriore considerazione: il dato testuale della norma sembrerebbe suggerire una scansione temporale per cui la Pubblica Autorità prima adotta il provvedimento ex art. 403

c.c. e poi lo comunica al PMM. Sul punto molte linee guida già adottate dalle varie Procure per i Minorenni auspicano la conservazione della prassi consolidatasi nel tempo e in forza della quale è opportuno un preliminare confronto orale con il PMM (sempre reperibile al telefono del cd. “turno esterno”) e ciò non solo per evitare che il Magistrato si trovi nella condizione di non condividere l’allontanamento del minore dal nucleo familiare, ma anche per vagliare insieme soluzioni alternative all’inserimento comunitario. Il comma 8 del nuovo art. 403 c.c., infatti, chiarisce che il collocamento in comunità del minore è una ipotesi residuale. Ne consegue che, prima di disporre l’inserimento comunitario, la Pubblica Autorità procedente deve vagliare la percorribilità di soluzioni alternative, quali l’affido a parenti entro il quarto grado idonei e tutelanti, oppure l’affido a persone vicine alla famiglia con le quali il minore abbia un legame affettivo e che se ne possano occupare. Inoltre, nella scelta relativa al collocamento del minore non può non rilevare la conoscenza della eventuale pendenza di un procedimento di volontaria giurisdizione presso il TPM: in questo caso, infatti, occorrerà considerare se, in presenza delle situazioni contemplate dall’art. 403 c.c., non sia più opportuno chiedere che il TPM emani un decreto provvisorio e urgente di allontanamento del minore, piuttosto che procedere nelle forme di cui all’art. 403 c.c.



5. La necessità di un provvedimento formale di al- lontanamento





Il nuovo art. 403 c.c. prevede che la Pubblica Autorità è onerata del compito di redigere un provvedimento formale di allontanamento, corredato di ogni documentazione utile e di una sintetica relazione dalla quale emergono i motivi dell’intervento. Il vecchio art. 403 c.c., non contemplando alcun onore formale, lasciava alla Pubblica Autorità piena libertà in ordine alle modalità di comunicazione dell’avvenuto allontanamento, per cui spesso ci si limitava ad una semplice segnalazione scritta. Quel che potrebbe sembrare un mero formalismo, in realtà – come si dirà nei paragrafi a seguire – ha un peso ponderale specifico.



6. La novità circa l’applicabilità dell’art. 403 c.c. anche all’ipotesi in cui l’allontanamento dovesse riguardare uno soltanto dei genitori

Una novità importante introdotta dal nuovo comma 2 dell’art. 403 c.c. concerne il seguente aspetto: la procedura de qua si applica non soltanto nell’ipotesi di allontanamento del minore da entrambi i genitori, ma anche nell’ipotesi di allontanamento da uno solo di essi. Per comprendere la portata dirompente di tale precisazione, sarebbe utile partire dall’ipotesi tipica e ricorrente del padre maltrattante e del conseguente collocamento del minore in comunità, su richiesta della madre, con il consenso della madre o, spesso, insieme alla madre. Ebbene, secondo un orientamento giurisprudenziale tale caso non rientrava nel novero delle ipotesi di cui all’art. 403 c.c. perché l’allontanamento in oggetto era avvenuto con il consenso (se non addirittura su richiesta) della madre e, quindi, non vi era una ipotesi di abbandono morale o materiale. Questa prassi, seguita in molti Tribunali per i Minorenni, è stata fortemente bistrattata da quanti ritenevano che così facendo si sarebbe precluso al padre il diritto al contraddittorio. In senso critico, si potrebbe obiettare osservando che, nella prassi, le Procure per i Minorenni che sposavano la tesi per la quale nell’esempio riportato, non essendoci una situazione di abbandono morale o materiale, non era possibile invocare all’uopo l’applicazione dell’art. 403 c.c., erano solite formulare, a fronte di siffatti casi, istanze in via cautelare ed urgente (come la sospensione del genitore maltrattante e il divieto di incontri con il minore) che, se da un lato imponevano l’adozione di provvedimenti inaudita altera parte, dall’altro consentivano l’istaurazione in tempi brevi del contraddittorio, in modo da permettere al genitore dal quale era stato allontanato il minore, di essere messo nella condizione di conoscere l’esistenza di un procedimento nel quale costituirsi, nonché l’Autorità Giudiziaria con la quale interfacciarsi.

Come anticipato, la nuova disciplina non ha avallato tale prassi, prevedendo che anche nel caso di allontanamento da uno solo dei genitori troverà applicazione la procedura di cui all’art. 403 c.c.



7. La competenza funzionale e territoriale del PMM



Il nuovo art. 403 c.c. apporta delle significative modifiche sia sul piano della competenza funzionale che sul piano della competenza territoriale del Pubblico Ministero.

Nella prassi finora seguita competente a chiedere la convalida del provvedimento ex art. 403 c.c. era il PMM del luogo in cui si erano verificate le condizioni per l’allontanamento del minore, con la precisazione che, a fronte della pendenza di una causa di separazione/divorzio, la richiesta di convalida del provvedimento ex art. 403 c.c. doveva essere formulata dal PM Ordinario al Giudice della causa civile.

Sul piano della competenza funzionale il nuovo art. 403 c.c. chiarisce che ad occuparsi della procedura ex art. 403 c.c. è sempre il Pubblico Ministero presso il Tribunale per i Minorenni, anche laddove dovesse pendere causa di separazione/divorzio. Sul punto, il dato normativo si coniuga con la novella dell’art. 38 disp. att. c.c. (anch’esso oggetto di riforma) nella parte in cui rimette al TPM, giudice dell’urgenza, il potere di adottare “tutti gli opportuni provvedimenti temporanei e urgenti nell’interesse del minore” per poi “trasmette gli atti al Tribunale Ordinario, innanzi al quale il procedimento, previa riunione, continua”.

Sul piano della competenza territoriale il nuovo art. 403 c.c. chiarisce che la giurisdizione spetta al “Pubblico Ministero presso il Tribunale per i Minorenni, nella cui circoscrizione il minore ha la sua residenza abituale”. La scelta di radicare la competenza territoriale in capo al Magistrato del luogo della “residenza abituale” se, da un lato sembra riportare il sistema ad unità, applicando alla procedura ex art. 403 c.c. le medesime norme sulla competenza territoriale che presidiano i ricorsi de potestate, dall’altro, tuttavia, sembra non tenere conto della variegata casistica. A titolo esemplificativo, si pensi ad un minore residente a Milano che, durante una vacanza a Stintino con la propria famiglia, venisse a trovarsi nella condizione tale per cui sarebbe necessario un suo inserimento in comunità ex art. 403 c.c.

Prima della riforma, alcune Procure Minorili ritenevano, in siffatti casi, che la convalida del provvedimento ex art. 403 c.c. era di pertinenza del TPM del luogo nel quale si erano verificate le condizioni dell’abbandono morale o materiale (pertanto, nell’esempio fatto, il PMM di Sassari avrebbe dovuto chiedere la convalida del provvedimento ex art. 403 c.c. al TPM di Sassari che, dopo essersi pronunciato, avrebbe dovuto trasmettere il fascicolo al PMM di Milano, per le ulteriori istanze de potestate). In altri Uffici, già prima della riforma, si seguiva un diverso orientamento che individuava il giudice competente in base alla residenza abituale del minore (pertanto, nell’esempio fatto, il PMM di Sassari avrebbe dovuto trasmettere gli atti al PMM di Milano e quest’ultimo avrebbe dovuto chiedere al TPM di Milano la convalida del provvedimento ex art. 403 c.c. e le ulteriori eventuali istanze de potestate).

La nuova formulazione del 403 c.c. chiarisce, fuori da ogni diversa interpretazione ermeneutica, che in ogni caso la competenza per la convalida del provvedimento di allontanamento si radica in capo ai Magistrati nella cui circoscrizione il minore ha propria residenza abituale (nell’esempio di cui sopra, quindi, il TPM di Milano).

Tale scelta legislativa, tuttavia, rischia di creare un “cortocircuito” all’interno del sistema. A titolo esemplificativo, si pensi ad un minore straniero residente in Germania che, durante una vacanza a Stintino con la propria famiglia, venisse a trovarsi nella condizione tale per cui sarebbe necessario un suo inserimento in comunità ex art. 403 c.c. Ebbene, sul piano sovranazionale l’art. 11 della Convenzione dell’Aja del 19 ottobre 1996 prevede espressamente che, per le misure urgenti a protezione del minore, è competente l’Autorità Giudiziaria dello Stato nel quale lo stesso si trova; evidente è la ratio della norma: assicurare la tempestività dell’intervento, nei casi di urgenza. La regola è, peraltro, confermata dall’art. 20 del Regolamento CE n. 2201/2003 del 27 novembre 2003 che testualmente afferma che le disposizioni relative alla compe- tenza non ostano a che le Autorità giurisdizionali di uno Stato membro adottino i provvedimenti provvisori o cautelari pre- visti dalla legge interna, relativamente alle persone presenti in quello Stato. Ciò posto, in ossequio al principio della gerarchia delle fonti che presidia i rapporti tra norme interne e norme sovranazionali, competente ad adottare provvedimenti a tutela del minore straniero che venisse a trovarsi nelle condizioni descritte dall’art. 403 c.c. sarebbe il TPM del luogo in cui si è verificato l’abbandono morale e materiale (quindi, la condizio- ne che richiede l’adozione di misure urgenti), mentre per il mi- nore italiano che venisse a trovarsi nella medesima situazione, la competenza spetterebbe sempre del Giudice della residenza abituale. Non vi è chi non veda l’incongruenza del sistema.

Ma vi è di più. La coerenza della scelta di radicare la competenza in capo al Giudice della residenza abituale del minore, rischia di “inciampare” anche in un’altra ipotesi che nel concreto potrebbe verificarsi, ovverosia il caso in cui lo stato di abbandono morale e materiale del minore sia tale da giustificare non solo l’allontanamento ex art. 403 c.c., ma anche l’apertura della procedura di adottabilità del minore. Per esemplificare si pensi a questo caso: un uomo che, fuori dalla residenza abituale del proprio nucleo familiare, abbia ucciso, in preda ad un raptus, la madre dei suoi figli lasciandoli completamente abbandonati in quanto, a fronte del suo arresto (e verosimilmente della sua futura condanna), non sono stati individuati parenti idonei e tutelanti entro il 4° grado disponibili a prendersi cura degli stessi. È evidente che in un caso del genere occorrerà aprire una procedura di adottabilità che, per giurisprudenza consolidata, è di competenza del TPM del luogo in cui si è verificato lo stato di abbandono. Ebbene, quid juris nell’ipotesi in cui la convalida del provvedimento ex art. 403 c.c. dovesse opportunamente accompagnarsi anche alla apertura di una procedura di adottabilità?

In attesa che in giurisprudenza si consolidi una prassi condivisa, sul punto si potrebbero profilare due possibili soluzioni: valorizzando il dettato normativo, le due procedure (quella di convalida del provvedimento ex art. 403 c.c. e quella di adottabilità) andrebbero scisse, rimettendo la convalida del provvedimento ex art. 403 c.c. al TPM del luogo in cui il minore ha la sua residenza abituale e l’apertura della procedura di adottabilità al TPM del luogo in cui si è verificato lo stato di abbandono; valorizzando, invece, il principio della concentrazione delle tutele, la competenza potrebbe radicarsi in capo ad un unico Giudice da individuarsi nel TPM competente a decidere sulla declaratoria di adottabilità e ciò sulla base di una applicazione analogica delle norme che presidiano le ipotesi di connessione tra cause. Detto altrimenti, allargando le maglie dell’ambito applicativo dell’art. 40 c.p.c., sarebbe possibile considerare la convalida ex art. 403 c.c., latu sensu, causa accessoria rispetto alla apertura della declaratoria di adottabilità che, invece, costituirebbe causa principale e, per l’effetto, ritenere che l’intera vicenda dovrebbe essere attratta alla competenza del Giudice della causa principale, id est il TPM competente a decidere sulla adottabilità.



8. I poteri del PMM



Delineati gli aspetti concernenti la competenza (funzionale e territoriale) della Procura per i Minorenni, sarebbe utile spostare l’attenzione sui poteri del PMM. A fronte del provvedimento della Autorità Pubblica, la norma riconosce al PMM due possibili scelte: revocare l’allontanamento del minore o chiederne la convalida al TPM.

Circa la revoca del provvedimento di allontanamento, sotto la vigenza della precedente formulazione, era fortemente dibattuto se il PM avesse o meno un potere di revoca del provvedimento amministrativo adottato ai sensi dell’art. 403 c.c. Accanto ad un indirizzo (minoritario) che riconosceva al PM tale potere di revoca (diversamente si sarebbe “obliterato” totalmente il suo ruolo, relegandolo a mero “passacarte”), la giurisprudenza e la dottrina prevalenti hanno sempre escluso che al PM potesse essere riconosciuto un potere di revoca del provvedimento dell’Autorità Amministrativa sulla base di un sillogismo: come il PM non è legittimato alla adozione dei provvedimenti ex art. 403 c.c., alla stessa stregua non può revocarli.

La novella va in direzione opposta, riconoscendo espressamente in capo al PMM il potere di revoca del provvedimento di allontanamento.

Per esigenze di completezza, giova evidenziare che permangono, invece, dubbi in ordine al possibile esercizio di un potere di revoca del provvedimento ex art. 403 c.c. da parte della stessa Pubblica Autorità che lo ha adottato, non essendo tale ipotesi espressamente contemplata dalla norma. Trattandosi di atti di natura amministrativa, si potrebbe riflettere sulla possibilità di invocare, all’uopo, le disposizioni contenute nella legge 241/1990 ed in particolare l’art. 21 quinquies, che disciplina la revoca in autotutela dei provvedimenti della Pubblica Amministrazione, e gli artt. 21 octies e 21 nonies che disciplinano l’annullamento in autotutela del provvedimento amministrativo. La revoca in autotutela è il provvedimento con il quale viene ritirato un atto amministrativo inficiato da vizi di merito legati ad una errata valutazione della situazione fattuale o ad un sopravvenuto mutamento della predetta situazione fattuale. L’annullamento in autotutela, invece, è un provvedimento con il quale viene ritirato un atto amministrativo affetto da vizi di legittimità (la violazione di legge, l’eccesso di potere e l’incompetenza).

Chiaramente, laddove si accedesse a tale tesi, il potere di revoca o di annullamento (a seconda del tipo di vizio che inficia l’atto amministrativo) andrebbe esercitato nel termine delle 24 ore dalla adozione del provvedimento, ovverosia prima della trasmissione degli atti al PMM.

Per quanto concerne il secondo potere esercitabile dal PMM a fronte del provvedimento ex art. 403 c.c. si segnala che, pur non trattandosi – in punto di fatto – di una vera e propria novità, atteso che il PM ha sempre esercitato tale potere, vi è, tuttavia, un aspetto innovativo nell’utilizzo esplicito del termine “convalida”, laddove in passato la norma non conferiva formalmente tale potere al PM. Inoltre, sotto la vigenza della vecchia norma, i giuristi erano restii ad usare il termine “convalida”, non solo perché la norma non indicava la necessità che il provvedimento ex art. 403 c.c. venisse convalidato, ma anche perché, come anticipato nel paragrafo 5, spesso non vi era nemmeno un formale atto amministrativo da convalidare, ma solo una mera comunicazione scritta dell’avvenuto allontanamento del minore. Per questi motivi, come anticipato, in passato si era restii ad usare il termine “convalida”, ritenendo più corretto, sotto il profilo strettamente giudico, parlare di “conferma” dell’avvenuto allontanamento o di “giuridicizzazione” dell’allontanamento che doveva avvenire ad opera del TPM (o del Giudice Ordinario, nel caso di pendenza di causa di separazione/divorzio).

Tra i poteri esercitabili dal PMM nell’ambito della nuova procedura ex art. 403 c.c., vi è quello di assumere “sommarie informazioni”, prima di chiedere la convalida del provvedimento di allontanamento al TPM. In tal modo il legislatore ha formalizzando una prassi, quelle delle cd. “sommarie informazioni civilistiche”, già in uso in molte Procure per i Minorenni.

Sicuramente uno degli aspetti più significativi della riforma concerne la possibilità per il PMM di formulare istanze de potestate. Sul punto il comma 3 prevede che “con il medesimo ricorso (ovverosia il ricorso con il quale si chiede la convalida dell’allontanamento) il Pubblico Ministero può formulare richieste ai sensi deli articoli 330 e seguenti.”. L’utilizzo del termine “può” ha una importanza assolutamente dirompente nella misura in cui riconosce al PMM la possibilità di chiedere solo ed esclusivamente la convalida del provvedimento ex art. 403 c.c., senza avanzare contestuali richieste de potestate.

In passato, vi era una prassi consolidata (spesso richiamata anche nelle linee guida delle varie Procure Minorili) che “onerava” il PMM del compito di formulare, unitamente alla richiesta di convalida del provvedimento ex art. 403 c.c., anche istanze ex artt. 330 ss. c.c. Tale prassi, tuttavia, esponeva il PMM al rischio dei cd. “ricorsi al buio”. Ed invero, a fronte di un allontanamento ex art. 403 c.c., il PMM non sempre disponeva di un compendio informativo in grado di orientare la sua scelta nel senso di chiedere, altresì, le prescrizioni per i genitori, piuttosto che la decadenza o addirittura la adottabilità del minore. Vero è che il PMM avrebbe potuto attendere gli esiti della indagine socio-familiare e contestualmente chiedere la convalida del provvedimento ex art. 403 c.c. ed ulteriori istanze limitative della responsabilità genitoriale. Tuttavia, come anticipato nel paragrafo 5, in passato, non essendoci uno specifico onere formale in ordine alle modalità con le quali doveva essere disposto l’allontanamento del minore da parte della Pubblica Autorità, vi era il concreto pericolo che valori costituzionalmente affermati venissero intaccati da un atto che non aveva nemmeno la veste di vero e proprio provvedimento amministrativo (con forti dubbi sulla sua efficacia cogente). Inoltre, anche laddove ci fosse stato un formale provvedimento ex art. 403 c.c., intanto poteva ritenersi compatibile con i principi costituzionali e sovranazionali, se ed in quanto avesse avuto una efficacia temporalmente limitata e fosse stato soggetto a revisione giudiziaria nel più breve tempo possibile. Per questo in passato, malgrado l’assenza di termini imposti ex lege, il PMM, a fronte di un provvedimento ex art. 403 c.c., aveva comunque premura di investire quanto prima della questione il TPM, anche a costo di dover formulare ricorsi al buio. Come anticipato, il nuovo art. 403 c.c. solleva il PMM dall’onere di dover formulare, unitamente alla richiesta di convalida dell’allontanamento del minore, anche istanze ex artt. 330 ss. c.c., riconoscendogli, expressis verbis, la possibilità di limitarsi a chiedere la convalida del provvedimento ex

art. 403 c.c.

Ciò posto, viene spontaneo chiedersi se la nuova formulazione dell’art. 403 c.c. abbia davvero risolto il problema dei ricorsi al buio. Sembrerebbe di no: esclusa, infatti, l’ipotesi in cui i Servizi Sociali conoscano già il nucleo familiare del minore per cui siano in grado entro 24 ore di trasmettere, unitamente al provvedimento di allontanamento anche una relazione sociofamiliare che metta il PMM nella condizione di poter avere informazioni utili per avanzare, nelle successive 72 ore, richieste di convalida del provvedimento ex art. 403 c.c. e contestuali istanze ex art. 330 ss. c.c., è quasi impossibile che in complessivi 4 giorni il PMM riesca ad acquisire, malgrado il potere di assumere sommarie informazioni e disporre accertamenti, le predette informazioni utili ad orientare le sue scelte in merito ad ulteriori richieste de potestate. Non sembrerebbe, inoltre, che la norma consenta al PMM di formulare istanze in tal senso nell’udienza di comparizione delle parti che si svolgerà 15 giorni dopo la convalida del provvedimento ex art. 403 c.c. da parte del TPM: il comma 3, infatti, cristallizza il petitum della domanda del PMM al momento della richiesta di convalida.

Alla luce di queste considerazioni, in senso critico, si potrebbero sostenere che, al fine di scongiurare davvero il rischio di ricorsi al buio, sarebbe stato opportuno riconoscere al PMM la possibilità, al momento della richiesta di convalida del provvedimento ex art. 403 c.c., di riservarsi di formulare ulteriori ed eventuali istanze limitative della responsabilità e/o richieste di adottabilità all’udienza di cui al comma 5. L’alternativa per il PMM che non dispone di informazioni utili ad argomentare le proprie istanze, è quella di limitarsi a chiedere la convalida del provvedimento ex art. 403 c.c., aprire un nuovo fascicolo A.C. e proporre un ricorso autonomo. L’incoerenza del sistema è sotto gli occhi di tutti: la duplicazione delle procedure e l’impossibilità di avvantaggiarsi dei termini del nuovo art. 403 c.c. proprio a fronte di quei casi che richiederebbero una trattazione più snella e veloce.



9. I poteri del TPM



Una volta inoltrato il ricorso al TPM, il Presidente o il Giudice delegato, quindi in composizione monocratica, entro 48 ore provvede, a mente del comma 4, sulla convalida del provvedimento di allontanamento, nonché alla nomina di un curatore speciale per il minore, alla nomina del Giudice relatore e alla fissazione dell’udienza istruttoria che si svolgerà entro il termine di 15 giorni.

Trattasi di una previsione tassativa che sembrerebbe aver notevolmente circoscritto i poteri del TPM, precludendogli, ad esempio, la possibilità di conferire incarico ai Servizi Sociali di monitorare l’inserimento in comunità o l’affido parentale/ extra-familiare ed ottenere un aggiornamento sulla condizione del minore a seguito dell’allontanamento, in vista dell’udienza per la comparazione delle parti (cioè quella che si svolgerà entro i successivi 15 giorni): mentre, infatti, il comma 3 riconosce al PMM il potere di “disporre eventuali accertamenti”, il comma 4 non attribuisce il medesimo potere al TPM. Questa preclusione rischia di “imbrigliare” la decisione del TPM ad un carteggio che potrebbe essere inadeguato perché non aggiornato ai successivi sviluppi del caso concreto. Si pensi all’ipotesi in cui, nell’immediatezza dei fatti ed in assenza di fruibili soluzioni alternative, il minore sia stato inserito in comunità e successivamente siano stati individuati parenti entro il 4° grado idonei e tutelanti o amici di famiglia disponibili a prendersi cura del minore; oppure, si pensi all’ipotesi in cui nell’immediatezza dei fatti il minore sia stato affidato a parenti o amici di famiglia i quali successivamente si sono rivelati inidonei a prendersi cura del minore. Ebbene, è evidente che il TPM necessita di acquisire aggiornate informazioni a seguito dell’allontanamento del minore, soprattutto perché, stante il tenore letterale della norma, il provvedimento di allontanamento può essere “modificato” solo dal TPM. Ma come può il TPM esercitare il successivo potere di modifica, in assenza di un dato normativo che gli consenta di acquisire ulteriori aggiornate informazioni? Non sembra rispondere a tale inter- rogativo nemmeno il successivo comma 5, nella parte in cui recita “all’udienza il giudice relatore interroga liberamente le parti e può assumere informazioni”. Ed invero, da un lato, l’art. 403 c.c. specifica che le informazioni in parola devono essere assunte in quella precisa sede di udienza, dall’altro, manente il dato normativo, sembrerebbe che le informazioni in oggetto possano essere assunte esclusivamente “dalle parti”, di guisa che non sarebbe possibile citare in udienza direttamente i Servizi Sociali, in quanto non formalmente “parte” del processo. Tali ulteriori informazioni potrebbero essere veicolate all’interno del procedimento attraverso il PMM il quale, si ripete, ha il potere di disporre ulteriori eventuali accertamenti. Tuttavia, è evidente che questa restrittiva interpretazione normativa rischia di creare una “falla” nel sistema. L’ostacolo posto dallo steccato normativo potrebbe essere superato, argomentando, in base ai principi generali del diritto, che tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge è permesso, con la conseguenza che il TPM ben potrebbe, in vista della udienza di cui al comma 5, delegare una indagine socio-familiare ed in quella sede acquisirla agli atti, nel contraddittorio tra le parti (proprio perché tale potere non è espressamente vietato dalla legge).

Il dato testuale del comma 5 sollecita un’ulteriore perplessità: all’udienza di comparizione delle parti, il giudice relatore “procede all’ascolto del minore” direttamente e personalmente, avvalendosi, se necessario, dell’ausilio di un esperto. La norma, prevedendo un ascolto del minore che rischia di essere un mero passaggio formale volto solo ad evitare eventuali eccezioni di parte, da un lato non tiene conto che l’età del minore potrebbe non permettere, obiettivamente, un siffatto ascolto (si pensi ad un minore di 4 anni), dall’altro non sembra porsi il problema della cd. “vittimizzazione secondaria”. A tale ultimo proposito si osserva che nel codice penale vi è una norma analoga: trattasi dell’art. 362 co. 1 ter c.p.p. che prevede l’obbligo di assumere sommarie informazioni dalla persona offesa entro il termine di 3 giorni dalla iscrizione della notizia di reato nell’apposito registro; tale norma, però, fa salve “le imprescindibili esigenze di tutela dei minori degli anni diciotto o della riservatezza delle indagini”, di guisa che, laddove il PM dovesse ritenere non opportuno tale ascolto, ne può disporre, con provvedimento motivato, il relativo differimento. Ebbene, anche se una tale riserva non è espressamente prevista dall’art. 403 c.c., la ratio che ha ispirato il mentovato comma 1 ter dell’art. 362 c.p.p. è assolutamente valevole anche per il procedimento de quo. Ne consegue, quindi, che in forza del principio della analogia iuris e dell’art. 12 delle preleggi, la soluzione di un ascolto differito ben potrebbe essere “esportata” ed adoperata nel procedimento ex art. 403 c.c., ad onta di soluzioni formalistiche che potrebbero anche non essere funzionali alla decisione finale.

Il comma 5 prosegue chiarendo che, entro i 15 giorni successivi all’udienza, il TPM, questa volta in composizione collegiale, pronuncia decreto con cui conferma, modifica o revoca il decreto di convalida. Sempre in quella sede può adottare provvedimento nell’interesse del minore e, solo laddove siano state formulate istanze ex artt. 330 ss. c.c. dà le disposizioni per l’ulteriore corso del procedimento.

















NOTE

1 Il legislatore è intervento sulle disposizioni di cui all’art. 78 e 80 c.p.p. riscrivendo le ipotesi in cui al minore deve essere riconosciuta la qualità di parte (sostanziale e processuale) del processo e, pertanto, deve essergli nominato un rappresentate, id est il curatore speciale, in capo al quale vengono a concentrarsi il ruolo di curatore e di difensore del minore. In particolare, ferma restando la necessità della nomina del curatore speciale nell’ipotesi di conflitto di interessi tra il minore e l’esercente la responsabilità genitoriale, sono state tipicizzate le ipotesi nelle quali il giudice è chiamato a nominare un curatore speciale al minore, distinguendo quelle in cui tale nomina è obbligatoria a pena di nullità (come ad esempio, la decadenza dalla responsabilità genitoriale, il provvedimento confermativo dell’allontanamento familiare ex art. 403 c.c., l’affidamento etero-familiare, i procedimenti per la declaratoria di adottabilità, le ipotesi in cui sia lo stesso minore ultraquattordicenne a chiedere al giudice la nomina di un curatore speciale), da quelle in cui è, invece, facoltativa (come ad esempio, la temporanea inadeguatezza dei genitori).

2 La segreteria del Pubblico Ministero procederà alla notifica, anche a mezzo di Polizia Giudiziaria. La scelta legislativa, in un’ottica di accelerazione dei tempi, appare assolutamente opportuna: il PMM, infatti, può disporre più facilmente della Polizia Giudiziaria ed incaricare la Pubblica Autorità di procurarsi ogni contatto e recapito utile per i successivi adempimenti.

3 In realtà che l’espressione “Pubblica Autorità” di cui all’art. 403 c.c. si riferisse agli Organi deputati alla protezione dell’infanzia e alle Forze dell’Ordine, lo si poteva già desumere dall’art. 9 co. 1 legge n. 184/83 che offre una definizione di “Pubblica Autorità” nel settore della protezione dei minori, facendo rientrare in tale categoria “i pubblici ufficiali, gli incaricati di un pubblico servizio, gli esercenti un servizio di pubblica necessità”, distinguendoli dal Pubblico Ministero Minorile che è, invece, il destinatario della segnalazione ed al quale è riconosciuto unicamente il potere di assumere le necessarie informazioni prima di inoltrare le richieste al TPM (senza alcun riferimento, neppure implicito, alla possibilità di emettere provvedimenti provvisori).