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Casi frequenti di prova illecita nell’ambito delle controversie familiari

autore: S. Rosatti

SOmmaRIO: 1. Inquadramento della delicata questione delle prove illecite: cenni. - 2. L’accesso alle missive altrui. - 3. Realizzazione di fotografie o videoriprese. - 4. Registrazione di conversazioni. - 5. Prelievo occulto di campione biologico per eseguire il test del DNA. - 6. Conclusioni



1. Inquadramento della delicata questione delle prove illecite: cenni



Il tema dell’illiceità della prova ha suscitato un notevole interesse nella letteratura giuridica più risalente1, ma è soprattutto in anni più recenti che l’argomento è stato ripreso e approfondito dalla dottrina, la quale ha cercato di dare una sistemazione organica a un aspetto così delicato e rilevante del processo2. Tuttavia è bene anticipare sin da subito che le tesi sono talvolta tra loro distanti e che non vi è in argomento uniformità di opinioni.

Sempre negli ultimi anni ci si è trovati di fronte a una pluralità di pronunce giurisprudenziali che attraversano le aule dei tribunali fino a giungere alla Corte di cassazione e anche qui si registrano plurimi orientamenti, talvolta contrastanti3.

Ciò è dovuto al fatto che, all’interno del codice di procedura civile, non sono contenute disposizioni che espressamente definiscano il concetto di prova illecita e sanciscano la possibilità o meno per le parti di avvalersene all’interno del processo4.

Quanto alla questione definitoria, è preliminarmente doveroso chiarire che il concetto di prova illecita non è equivalente a quello di prova vietata. In altri termini, definire la prova illecita come prova vietata non è corretto, in quanto il grande problema delle prove illecite è se esse siano vietate5. Anche concettualmente il significato è diverso: l’illiceità è un attributo, il divieto è una disciplina.

Chiarito questo aspetto, l’orientamento prevalente che si è consolidato fra gli studiosi del diritto circa la nozione di prova illecita a partire dagli anni novanta del secolo scorso si presenta come abbastanza restrittivo, circoscrivendo i confini dell’illiceità alla trasgressione di norme di natura sostanziale6.

Dunque la prova illecita sarebbe quella prova formata o ottenuta attraverso la violazione di norme sostanziali: la parte, all’esterno del processo, e solitamente in un momento prodromico, ha compiuto attività contra legem allo scopo di formare o di procurarsi determinati mezzi probatori.

Il classico esempio è il furto di un documento rilevante ai fini della dimostrazione di un fatto in giudizio: è evidente che il soggetto, fuori dalle aule di giustizia, ha tenuto una condotta avversa all’ordinamento, con il fine di provare un determinato fatto allegato.

Terreno fertile per il proliferare delle prove illecite è sicuramente quello delle controversie familiari, poiché è proprio in tale ambito che i soggetti possono più agevolmente formare o procurarsi materiale probatorio in contrasto con le norme di legge.

A titolo esemplificativo, possiamo pensare alla posta contenente informazioni riservate di un coniuge, ricevuta nell’abitazione coniugale, letta dal coniuge non destinatario, il quale potrebbe venire così a conoscenza di tali informazioni e potrebbe chiedere di utilizzarle in un processo contro il coniuge destinatario. Stessa cosa potrebbe accadere con le moderne tecnologie a disposizione, come la casella di posta elettronica su un computer o i messaggi di testo ricevuti sullo smartphone. Il progresso tecnico-scientifico ha determinato un enorme diffusione di mezzi tecnologici e questo ha portato a un sensibile incremento di casi di formazione e acquisizione di prove illecite. Infatti attraverso l’utilizzo di supporti, quali smartphone e computer, praticamente in grado di svolgere ogni tipo di funzione, è possibile agevolmente procurarsi registrazioni telefoniche, fotografie e filmati senza il consenso dell’interessato, nonché accedere a dati, anche sensibili o sensibilissimi, quali quelli presenti sui social network.

Sarebbe, per esempio, possibile utilizzare in un processo testi di sms acquisiti segretamente dal telefono cellulare dell’altro coniuge, dal cui contenuto si evince la sua infedeltà, al fine di vedergli addebitata la separazione7? A ben vedere, ciò si pone in contrasto con il diritto alla riservatezza, ormai pacificamente ritenuto costituzionale dalla stessa Corte costituzionale, e il contrasto si pone altresì con gli artt. 13, 14 e 15 Cost. nonché con l’art. 8 CEDU8. Tuttavia un simile mezzo di prova potrebbe risultare l’unico a disposizione e quindi, per ovvie ragioni, dimostrarsi decisivo per l’accertamento della verità materiale e per la risoluzione della controversia.

Quando si discute di prova illecita, bisogna tenere presente che entrano in competizione valori e principi di rango parimenti costituzionale e, soprattutto nell’ambito delle controversie familiari, i valori coinvolti si presentano come estremamente delicati. Pensiamo alle cause di separazione o divorzio o, a fortiori, ai casi nei quali sono coinvolti gli interessi dei minori.

In generale, possiamo dire che a essere coinvolti sono diversi principi costituzionali: da una parte, il diritto di difesa ex art. 24 Cost.9 e quindi il diritto di difendersi provando; dall’altra i diritti inviolabili che potrebbero risultare sacrificati dall’attività probatoria.

Inoltre un’importanza particolare riveste il primo comma dell’articolo 111 Cost., ai sensi del quale “la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge”10. Sarebbe, così, doveroso chiedersi se il processo, affinché possa essere definito “giusto”, debba essere rispettoso delle norme processuali e sostanziali, o se, al contrario, debba conseguire il raggiungimento della cosiddetta “verità materiale”.

Ed ecco che un’altra tematica collegata all’argomento è rappresentata dal ruolo della verità all’interno del processo11. Che valore riveste l’accertamento dei fatti? A seconda della risposta che intendiamo dare a questo quesito, cambierà anche la forza dei principi in gioco.

Detto in altri termini, se l’accertamento dei fatti per come davvero si sono verificati nella realtà materiale assume un valore preminente, tale da considerarsi l’ambizione massima del processo, è evidente che, nell’operazione di bilanciamento tra principi, il diritto di difesa assumerà a sua volta un valore preminente e gli altri diritti in gioco saranno destinati a soccombere.

La questione dell’ammissibilità in giudizio della prova illecita è tutt’altro che banale, poiché, qualora si ritenga che non possa essere utilizzata nel processo una prova formata o ottenuta con una modalità lesiva dell’altrui riservatezza, nell’esempio sopra riportato, non potrà essere ottenuto l’addebito della separazione, e quindi non si potrà far valere in giudizio – in assenza di altre prove – la verità dei fatti.

Se, d’altra parte, si propende per la sua utilizzabilità, saremo in presenza di una violazione della sfera privata altrui in qualche modo consentita e, anzi, incoraggiata, dal momento che, al fine di provare un fatto in giudizio, si dà la possibilità di violare norme di diritto sostanziale, in questo caso anche di natura penale.



2. L’accesso alle missive altrui



Una delle ipotesi più frequenti di prova illecita nell’ambito delle controversie familiari si verifica allorquando il coniuge pretenda di utilizzare in giudizio, come prova di un fatto, una missiva destinata all’altro coniuge. E per missiva si intenda qualsiasi tipo di comunicazione, cartacea, telefonica o telematica.

Poniamo un esempio pratico: pensiamo al caso in cui il coniuge, magari sospettando l’infedeltà del consorte, si metta

– per così dire – a “spiare” i suoi sms o la sua posta elettronica. E poniamo il caso in cui effettivamente in tal modo scopra l’esistenza di una relazione extraconiugale, che potrebbe condurre alla separazione e all’addebito della stessa nei confronti del coniuge infedele. La prova della relazione, che deriva dall’ingerenza nella sfera privata altrui, potrebbe essere utilizzata all’interno del processo civile per fondare il convincimento del giudice?

Accogliendo la nozione – per così dire – “sostanzialistica”, senza dubbio si tratta di prova illecita, poiché ci troviamo in presenza di una violazione innanzitutto dell’art. 15 Cost. e dell’art. 616 c.p.

Ma, in effetti, possiamo constatare che, in generale, ad essere violato sia il diritto al riserbo nella sua dimensione più ampia.

Senza addentrarci in questo ultimo ambito, che richiederebbe una specifica trattazione12, limitiamoci a constatare che la libertà e la segretezza della corrispondenza è un diritto inviolabile, previsto dall’art. 15 Cost., che, al primo comma, stabilisce: “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili”. Prosegue poi il secondo comma: “La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’Autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”.

Inoltre la violazione della libertà e segretezza della corrispondenza costituisce reato ex art. 616 c.p.13, quando non è autorizzato dall’autore dello scritto, né dal suo destinatario14. Come specifica la suddetta disposizione, per “corrispondenza” si intende quella epistolare, telegrafica, telefonica, informatica o telematica ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza.

Una pronuncia significativa in proposito è quella emessa dal Tribunale di Torino, Sez. VII, 8 maggio 201315.

La pronuncia è stata occasionata dalla domanda di separazione con addebito da parte della moglie, che produceva in giudizio copia di messaggi di testo e di posta elettronica del marito, comprovanti l’esistenza di una sua relazione extraconiugale.

Il Tribunale ha ritenuto che in materia di trattamento di dati personali “l’art. 24 lett. f) D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 esclude la richiesta di consenso nell’ipotesi di diffusione necessaria “per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria” purché i dati siano trattati per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento”, così come “l’art. 13 esclude parimenti l’informativa preventiva nelle medesime ipotesi”. Inoltre “l’art. 160 comma 6 riserva alla disciplina processuale in materia civile e penale la questione della validità, efficacia e utilizzabilità di tali atti”. È stato anche detto che “il contemperamento tra il diritto alla riservatezza e il diritto di difesa deve dunque essere rimesso, in assenza di una precisa norma processuale civile, alla valutazione del singolo giudice nel caso concreto (tra le pronunce più recenti Cass. 5 agosto 2010, n. 18279; Cass. 8 febbraio 2011, n. 3034)”16.

In conclusione, il Tribunale ha ritenuto che, nel silenzio della legge processuale, la valutazione sull’utilizzabilità delle prove illecite debba essere rimessa al singolo giudice, il quale provvederà sulla base di un giudizio di bilanciamento, da effettuarsi non a priori, bensì nel caso concreto. Così, nel caso in esame, il giudice ha ritenuto di accordare prevalenza al diritto di difesa ex art. 24 Cost. – e quindi al diritto di difendersi provando – rispetto al diritto alla riservatezza17. Un’altra pronuncia di interesse è rappresentata dalla sentenza n. 6432/2016, emessa dal Tribunale di Roma.

In questa sede è stato evidenziato che “in un contesto di coabitazione e di condivisione di spazi e strumenti di uso comune quale quello familiare, la possibilità di entrare in contatto con dati personali del coniuge sia evenienza non infrequente, che non si traduce necessariamente in una illecita acquisizione di dati. È la stessa natura del vincolo matrimoniale che implica un affievolimento della sfera di riservatezza di ciascun coniuge, e la creazione di un ambito comune nel quale vi è una implicita manifestazione di consenso alla conoscenza di dati e comunicazioni di natura anche personale, di cui il coniuge in virtù della condivisione dei tempi e degli spazi di vita, viene di fatto costantemente a conoscenza a meno che non vi sia una attività specifica volta ad evitarlo. In un simile contesto, non può ritenersi illecita la scoperta casuale del contenuto di messaggi, per quanto personali, facilmente leggibili su di un telefono lasciato incustodito in uno spazio comune dell’abitazione familiare. Non occorre dunque addentrarsi nel dibattito non del tutto sopito sulla utilizzabilità a fini di prova nel giudizio civile, di documenti acquisiti in violazione di normative pubblicistiche, dal momento che la produzione non può dirsi frutto di acquisizione illecita”18. A parere di chi scrive, tuttavia, se l’accesso casuale può configurarsi nel classico caso di posta cartacea aperta e lasciata incustodita o, al più, in caso di messaggi aperti su un dispositivo acceso e sbloccato, più difficilmente è sostenibile in caso di corrispondenza chiusa.

Con l’avvento dei social network, è divenuto possibile acquisire informazioni, anche sensibili, dai profili degli utenti iscritti. Ciò è assolutamente lecito, dal momento che tali dati sono stati volontariamente inseriti, condivisi e resi conoscibili dall’interessato19.

Del tutto differente è l’ipotesi in cui le informazioni non siano reperite mediante la consultazione del profilo, bensì mediante l’accesso a una cosiddetta area riservata del social network, ossia la chat.

Questa deve ritenersi equiparabile alla e-mail, i cui messaggi sono coperti dalla garanzia costituzionale di cui all’art. 15 Cost.



3. Realizzazione di fotografie o videoriprese



Un’ipotesi piuttosto frequente che si riscontra nell’esperienza applicativa riguarda la realizzazione di fotografie e videoriprese, da utilizzare a fini probatori20.

In altri termini, un soggetto scatta delle fotografie o produce delle videoriprese aventi come contenuto momenti di vita di un altro soggetto e a sua insaputa, al fine di utilizzarle come mezzi di prova in giudizio.

In realtà, potrebbe palesarsi irrilevante il profilo soggettivo sia della parte agente, sia della parte lesa. Più precisamente, non sembra possa rilevare che il soggetto che scatta le fotografie o produce le videoriprese sia il soggetto che intende avvalersene in giudizio oppure un soggetto terzo, da questi incaricato.

Parimenti irrilevante dovrebbe ritenersi il profilo soggettivo del soggetto i cui diritti siano stati lesi, non facendo differenza che egli rappresenti la controparte in giudizio o sia un soggetto terzo.

Innanzitutto bisogna chiederci quale sia la natura di questi mezzi.

Dal punto di vista probatorio, si può ritenere che si tratti di prove precostituite di tipo documentale.

Dal punto di vista dei dati, tema rilevante nell’ambito della normativa sulla privacy, foto e video rappresentano dati personali. Tuttavia possono anche rappresentare dati sensibili, qualora le immagini ritratte pongano il soggetto in un particolare contesto dal quale si possano evincere, ad esempio, le sue convinzioni religiose, il suo stato di salute, il suo orientamento sessuale ecc.

In seconda battuta è bene operare una classificazione dei luoghi in cui vengono prodotte fotografie e videoriprese, distinguendo fra:

a) privata dimora;

b) luogo pubblico o aperto al pubblico;

c) luoghi intermedi, come il cortile della propria abitazione. Iniziamo dall’analisi del punto sub a): luoghi di privata dimora21.

Una disposizione da richiamare in proposito è l’art. 615-bis c.p., il cui primo comma dispone: “Chiunque, mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell’articolo 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni”.

Il primo comma dell’art. 614 c.p. dispone: “Chiunque s’introduce nell’abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi, contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi s’introduce clandestinamente o con l’inganno, è punito con la reclusione da uno a quattro anni”.

Dunque, il codice penale prevede come reato la realizzazione di fotografie e videoriprese nella privata dimora.

Quindi, aderendo alla nozione di prova illecita adottata nel presente studio, ossia prova formata o ottenuta in violazione della normativa sostanziale, dette prove devono ritenersi illecite.

Talvolta la giurisprudenza, in virtù di diversi principi, tende ad ammettere le prove illecite in giudizio e a utilizzarle a fondamento della decisione.

Questo è quanto avvenuto con una pronuncia del Tribunale di Roma del 20 gennaio 201722.

In particolare, il Tribunale ha ritenuto che “nel processo civile non sarebbe applicabile la sanzione dell’“inefficacia” della documentazione prodotta nel caso di produzione da parte di privati di documenti acquisiti al di fuori del processo con modalità ritenute non lecite, prevalendo, nel contrasto tra l’interesse privato alla segretezza e diritto alla prova, quest’ultimo. Ciò in quanto per escludere l’ammissibilità di una prova acquisita con modalità illecite, è necessaria la sussistenza di una norma processuale che sancisca espressamente la nullità, essendo precluso al giudice la valutazione di ammissibilità, di prove precostituite in giudizio. Nella specie è necessario compiere un bilanciamento tra diritti e interessi fondamentali, ed in particolare tra il diritto alla difesa e alla prova da un lato e il diritto alla riservatezza e alla protezione dei dati personali, dall’altro. In merito la Suprema Corte ha evidenziato l’esistenza una “gerarchia mobile” nel bilanciamento dei contrapposti interesse “da intendersi non come rigida e fissa subordinazione di uno degli interessi all’altro, ma come concreta individuazione da parte del giudice dell’interesse da privilegiare tra quelli antagonistici, a seguito di una ponderata valutazione della specifica situazione sostanziale dedotta in giudizio con conseguente bilanciamento tra gli stessi, capace di evitare che la piena tutela di un interesse possa tradursi nella limitazione di quello contrapposto tanto da vanificarne o ridurne il valore contenutistico” (Cass. 5 agosto 2010, n. 18279). […] Inoltre, la mancanza nel processo civile di una specifica norma che escluda la possibilità di utilizzare prove precostituite ottenute tramite un’interferenza illecita nella sfera privata di una delle parti impedisce l’applicazione di sanzioni processuali quali la nullità o l’inefficacia della prova, al contrario di quanto previsto nel procedimento penale (ex art. 191 c.p.p.) e fa presumere che il legislatore abbia dato prevalenza al diritto di agire e resistere in giudizio. Né può dirsi che tale divieto sia desumibile dalle disposizioni contenute nel Codice in materia di protezione dei dati personali (introdotto dal d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196), che contiene una deroga espressa alla regola della c.d. “consenso informato” al trattamento, allorché il trattamento dei dati, anche di natura sensibile, sia “necessario ai fini dello svolgimento delle investigazioni difensive, o, comunque, per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento” (v. artt. 13, comma 5, e 24 del Codice). Da ciò si desume il principio generale della libera utilizzabilità dei dati personali anche di natura sensibile, purché sia rispettata la regola di “pertinenza” rispetto alla finalità di difesa in giudizio e di limitazione temporale nella conservazione delle informazioni, regole che nel caso di specie non risultano”23.



4. Registrazione di conversazioni



Un’altra modalità non infrequente di acquisizione della prova è la registrazione di conversazioni24.

È possibile infatti che un soggetto intenda registrare una conversazione al fine di produrla come prova in giudizio, magari spingendo l’altro soggetto a rivelare informazioni che possano provare un fatto allegato.

Si pensi al classico caso del coniuge che voglia dimostrare l’infedeltà dell’altro e lo spinga a rivelare l’accaduto: il tutto, registrando il dialogo con il proprio smartphone.

Accogliendo la nozione di prova illecita come la prova formata od ottenuta in violazione di una norma di diritto sostanziale, bisogna indagare se vi sia e quale sia la norma sostanziale violata.

Volgiamo lo sguardo verso ciò che prevede il codice penale. È necessario operare alcuni distinguo:

a) registrazione di comunicazioni telefoniche;

b) registrazione di dialoghi in presenza.

Iniziamo l’analisi dal punto sub a): registrazione di comunicazioni telefoniche.

All’interno di questa macrocategoria distinguiamo ulteriormente tra:

1. Registrazione di telefonate alle quali il soggetto che registra è estraneo. Si tratta di intercettazioni telefoniche, sanzionate dagli artt. 617 e 617-bis c.p.25. La prova così formata è illecita, poiché il soggetto agente ha violato norme di diritto sostanziale.

2. Registrazione di telefonate alle quali il soggetto partecipa. Tale comportamento non è sanzionato dalla legge penale.

Analizziamo ora il punto sub b): registrazione di dialoghi in presenza.

Anche qui è opportuno distinguere due ipotesi:

1. Privata dimora. Il soggetto che, in una privata dimora, registra dialoghi ai quali partecipa senza il consenso di tutti gli altri partecipanti commette un reato, punito dall’art. 615-bis c.p.26. Si ricorda che, per privata dimora, si intende, in un’accezione ampia, ogni luogo in cui un soggetto può esercitare lo ius excludendi. Dunque, anche in questo caso, ci troviamo davanti a una prova illecita.

2. Luogo pubblico o aperto al pubblico. Si ritiene che il comportamento del soggetto che registra un dialogo a cui egli stesso partecipa e che si svolge in un luogo pubblico o aperto al pubblico sia lecito. Se, invece, l’autore della registrazione è un terzo estraneo alla conversazione, si configura una vera e propria intercettazione, che soggiace alle regole previste dal codice di rito penale, che richiede la preventiva autorizzazione27.

In tema di registrazioni, una pronuncia interessante è stata emessa recentemente dalla Corte di appello di Reggio Calabria28. In particolare, si era posta la questione in merito all’utilizzabilità della registrazione operata dal figlio della coppia, estraneo alla conversazione, e comprovante la relazione affettiva di un coniuge con un terzo.

La Corte ha stabilito la piena utilizzabilità ai fini della decisione e la riconducibilità al disposto dell’art. 2712 c.c.

È stato osservato che “la ravvisabile violazione della sfera di riservatezza altrui non impedisca l’acquisizione e la valutazione della prova nel presente procedimento. L’ordinamento processuale civile, infatti, non prevede alcuna norma che, come l’art. 191 c.p.p. nell’ordinamento penale, sanzioni l’inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge. Esso è, invece, governato dai principi della atipicità della prova e del libero convincimento del giudice, in virtù dei quali, in assenza di divieti di legge, quest’ultimo può formare il proprio convincimento anche, per esempio, in base a prove atipiche, come quelle raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, senza che rilevi la divergenza delle regole, proprie di quel procedimento, relative all’ammissione e all’assunzione della prova (ex plurimis, cfr. Cass. civ., sez. I, n. 25067/2018; sez. III, n. 13229/2015). L’applicazione di eventuali sanzioni – anche di carattere procedurale – conseguenti a condotte poste in essere in violazione delle norme contenute negli altri ambiti ordinamentali è a tale sede riservata e non incide sulla libera apprezzabilità della prova in ambito civile”. Tale registrazione è stata qualificata dalla Corte come registrazione fonografica, riconducibile al disposto dell’art. 2712

c.c. È stato detto che “la giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che la registrazione su nastro magnetico di una conversazione può costituire fonte di prova, ex art. 2712 del c.c., se colui contro il quale la registrazione è prodotta non contesti che la conversazione sia realmente avvenutta, né che abbia avuto il tenore risultante dal nastro; il “disconoscimento” che fa perdere alle riproduzioni la loro qualità di prova deve essere però chiaro, circostanziato ed esplicito, nel senso che deve concretizzarsi nell’allegazione di elementi che attestino la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta”29.



5. Prelievo occulto di campione biologico per eseguire il test del DNA



È possibile che un soggetto raccolga clandestinamente materiale biologico per eseguire un test del DNA al fine di stabilire la sussistenza di un rapporto di parentela30.

Si pensi al caso di un soggetto che intende eseguire tale test per accertare l’esistenza di un rapporto di filiazione.

Il test del DNA è un test genetico, il cui risultato è inquadrabile come dato genetico, con ciò intendendo “il risultato di test genetici o ogni altra informazione che, indipendentemente dalla tipologia, identifica le caratteristiche genotipiche di un individuo trasmissibili nell’ambito di un gruppo di persone legate da vincoli di parentela”31.

Si prevede che, per il compimento dei test genetici, sia necessario il consenso dell’interessato32.

Tuttavia l’autorizzazione generale del Garante della privacy del 15 dicembre 2016 n. 8 prevede anche la possibilità della mancanza del consenso informato, se ciò è previsto dalla legge o da un provvedimento dell’autorità giudiziaria33.

Una pronuncia interessante in merito è stata emessa dalla Suprema Corte nel 202034.

In primo luogo, la Corte chiarisce che la categoria dell’inutilizzabilità, propria del diritto processuale penale, non è applicabile al processo civile, né direttamente, né in via analogica, “non venendo in rilievo, nei giudizi in cui si controverte di diritti aventi fonte in rapporti di diritto privato, le medesime esigenze di garanzia richieste invece dal giudizio penale […], tenuto conto della diversa rilevanza degli interessi che vengono in questione nel giudizio penale (status libertatis) ed in quello civile, nel quale il Giudice non incontra i limiti della ‘tipicità’ del mezzo probatorio”. La Corte prosegue affermando che “nel giudizio civile infatti, le prove atipiche sono comunque utilizzabili (salvo che il mezzo di prova costituisca ‘ex se’ – per il suo modo di essere – lesione di un diritto fondamentale della persona) dipendendo la loro rilevanza esclusivamente in relazione alla maggiore o minore efficacia probatoria ad esse riconosciuta dal Giudice di merito, non sussistendo – né potendo essere censurato in cassazione – alcun vizio invalidante la formazione della prova atipica per essere stata questa assunta nel diverso processo in violazione di regole a quello esclusivamente applicabili, neppure se tale vizio integri un difetto della garanzia del contraddittorio, atteso che nel processo civile il contraddittorio sulla prova viene assicurato dalle forme e modalità ‘tipizzate’ di introduzione della stessa nel giudizio, che trovano disciplina nella fase istruttoria del processo volta ad assicurare la discussione in contraddittorio delle parti sulla efficacia dimostrativa del mezzo atipico in ordine al fatto da provare (cfr. Corte Cass. Sez. 3, sentenza n. 11555 del 14 maggio 2013; id. Sez. 1, sentenza n. 17392 dell’1 settembre 2015; id. Sez. 2, sentenza n. 1593 del 20 gennaio 2017, con specifico riferimento al verbale di ‘sommarie informazioni testimoniali’)”. Secondo la Corte, la violazione delle prescrizioni dettate dalla legge per la raccolta e la diffusione dei dati35 si traduce nella “illecita acquisizione e disponibilità, ai fini probatori, di informazioni identificative della qualità di una persona fisica che costituiscono oggetto del “diritto assoluto alla protezione dei dati personali”, ricompreso tra le “libertà fondamentali della persona […]. Con la conseguenza che viene in questione, allora, non la violazione della norma processuale sull’acquisizione della prova, ma ‘a monte’ la condotta illecita per violazione del divieto prescritto dalla norma di diritto sostanziale, venendo a coincidere la vittima dell’illecito civile – che ha subito la lesione del ‘jus arcendi’ sulla informazione identificativa –, con la stessa parte processuale contro la quale tale informazione viene fatta valere quale fonte di prova”.

Secondo la Suprema Corte, detta prova, che è illecita, in quanto acquisita in violazione di legge, non può per il solo fatto di essere assunta con le rituali forme del processo, tramutarsi in lecita.

L’utilizzo probatorio della stessa, infatti, arrecherebbe il pregiudizio che la legge mira ad impedire.

Secondo la Suprema Corte, è necessario distinguere “le ipotesi in cui le norme processuali violate, preordinate alle modalità di acquisizione probatoria, abbiano determinato una lesione dei diritti costituzionalmente tutelati del soggetto contro cui la prova si intende far valere, da quelle in cui non si verifica tale lesione, essendo diretta la norma violata a tutelare un bene diverso non riferibile direttamente alla sfera giuridica dell’interessato […]. Dunque deve ritenersi errata l’affermazione della Corte d’appello secondo cui, in assenza di norme espressamente limitative dell’utilizzo – nel giudizio civile di prove acquisite illecitamente, si ricaverebbe il principio di una generale ammissione di tali fonti di prova, dovendo al contrario affermarsi il principio secondo cui rimane precluso l’accesso a quelle prove la cui acquisizione concreti una diretta lesione di interessi costituzionalmente tutelati riferibili alla parte contro cui la prova viene utilizzata”.

Fatta questa generale premessa, la Corte afferma che, nella fattispecie, la prova in questione potesse essere utilizzata, sulla base del fatto che “è la stessa legge conformativa del diritto che ne definisce i limiti, attribuendo prevalenza, rispetto al ‘jus arcendi’ dell’interessato, al trattamento dei dati personali qualora “effettuato per ragioni di giustizia”, per tali intendendosi “i trattamenti di dati personali direttamente correlati alla trattazione giudiziaria di affari e di controversie” (d.lgs. n. 196 del 2003, art. 47, nel testo anteriore alla abrogazione disposta con il d.lgs. n. 101 del 2018). Il regolamento UE n. 679/2016, art. 9, paragr. 1 e 2, lett. f), prevede che il divieto espresso di “trattare dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonché trattare dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona” non si applica nei casi in cui il trattamento si renda necessario “per accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria o ogniqualvolta le autorità giurisdizionali esercitino le loro funzioni giurisdizionali”; analogamente, il potere del soggetto interessato di opporsi al trattamento, cancellare i dati o limitare il trattamento dei dati a taluni utilizzi soltanto, incontra il limite dell’accertamento, dell’esercizio o della difesa di un diritto in sede giudiziaria: art. 18, paragr. 2, art. 17, paragr. 3, lett. e), art. 21, paragr. 1, regolamento UE n. 679/2016. Ed ulteriori limitazioni alle disposizioni della legge possono essere apportate dagli Stati membri nel caso in cui, fatta salva la essenza dei diritti e delle libertà fondamentali, debbano essere adottate “misure necessarie e proporzionate” al fine di salvaguardare “la tutela dell’interessato o dei diritti e delle libertà altrui” od ancora “l’esecuzione delle azioni civili” (art. 23, paragr. 1, lett. i) e j), reg. UE cit.)”36.



6. Conclusioni



In conclusione, il tema della prova illecita si presenta come assai insidioso, in considerazione del fatto che non vi sia unanimità di opinioni né con riferimento alla questione definitoria né circa la normativa applicabile.

E si consideri che, in tema di controversie familiari, il tema è ancora più “caldo” poiché i diritti in gioco sono estremamente delicati. Infatti il diritto di difesa, che è sempre richiamato in argomento e che si presenta come contrapposto al diritto alla riservatezza, è coniugato con riferimento a diritti riguardanti la famiglia e i minori.

Abbiamo dato conto come, in questo settore del diritto, l’illiceità si configuri, più frequentemente, come violazione della normativa di carattere sostanziale, di natura costituzionale, penale e relativa alla protezione dei dati personali.

Quanto agli orientamenti giurisprudenziali, nel corso della trattazione, è stato osservato come le corti tendano, a vario titolo, ad ammettere nel processo le prove formate o acquisite in violazione di norme di natura sostanziale.

Ad esempio, vi è chi opera il riferimento al c.d. “criterio della gerarchia mobile” e vi è chi invece afferma la tendenzia- le utilizzabilità della prova formata od ottenuta in violazione della normativa in materia di protezione dei dati personali, sulla base del fatto che è la stessa legge conformativa del dirit- to a consentirne l’utilizzazione in giudizio.

Non mancano, tuttavia, casi in cui la giurisprudenza abbia dimostrato di ritenere inutilizzabili le prove illecite.

Un esempio è fornito da un’ordinanza della Suprema Corte, risalente al 201637.

In tale occasione, la Corte ha affermato che, all’interno del processo civile, non possa essere utilizzato materiale proba- torio illecitamente acquisito. Nella specie, nel corso di un giudizio di separazione uno dei coniugi aveva prodotto file audio con relativa traduzione giurata già di proprietà dell’al- tro coniuge.

Ad ogni modo, pare si possa concludere che l’orientamento appena citato sia da ritenersi remissivo nelle aule di giustizia e che, in definitiva, la giurisprudenza, nel silenzio di una normativa espressa, che chiarisca una volta per tutte la sorte dei mezzi probatori in esame, tenda ad utilizzare all’interno del processo civile anche mezzi probatori formati od ottenuti at- traverso la violazione della normativa di carattere sostanziale.

































NOTE

1 A titolo esemplificativo, v. F. ANGELONI, Le prove illecite, Padova, 1992; F. CARNELUTTI, Illecita produzione di documenti, in Riv. dir. proc. civ., 1935, 63 ss.; Id.,337 ss. Negli anni sessanta e settanta del secolo scorso il tema delle prove illecite suscitò un forte dibattito e, a tal proposito, meritano di essere menzionati, fra gli altri: V. dENTI, Interrogatorio formale di parte non legittimata a confessare, in Giur. it., I, 2, 1960, 863 ss.; E. ALLORIO, Efficacia giuridica di prove ammesse ed esperite in contrasto con un divieto di legge?, in Giur. it., 1960, 867 ss.; M. CAPPELLETTI, Efficacia di prove illegittimamente ammesse e comportamento della parte, in Riv. dir. civ., 1961, 556 ss. Per un approccio comparatistico è da menzionare L.P. COMO- GLIO, Il problema delle prove illecite nell’esperienza angloamericana e germanica, in Pubblicazioni dell’Università di Pavia, Studi nelle scienze giuridiche e sociali, n. 145, Pavia, 1966, 259-372. Ancora, sulla prova illecita: V. VIGORITI, Prove illecite e Costituzione, in Riv. dir. proc., 1968, 64 ss.

2 Testi monografici da menzionare sono: L. PASSANANTE, La prova illecita nel processo civile, Torino, 2017; N. MINAFRA, Contributo allo studio delle prove illecite nel processo civile, Napoli, 2020. Fra gli altri studi, v. A. FRASSINETTI, Codice della privacy e processo civile, in Riv. dir. proc., 2005, 465 ss.; A. GRAzIOSI, Usi e abusi di prove illecite e prove atipiche nel processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, 693 ss.; F. FERRARI, La sanzione dell’inutilizzabilità nel codice della privacy e nel processo civile, in Riv. dir. proc., 2013, 348 ss.; A. PINORI, Privacy e processo civile. I limiti di utilizzabilità nel giudizio civile di prove illecite: il difficile bilanciamento tra diritto alla protezione dei dati personali e il diritto alla difesa, in Contr. impr., 2014, 51 ss.; C. BESSO, Illiceità della prova, segreto bancario e giusto processo, in Giur. it., 2015, 1610 ss.; A. GRAzIOSI, Contro l’utilizzabilità delle prove illecite nel processo civile, in Giusto processo civ., 2016, 945 ss.; L. PASSANANTE, Prova e privacy nell’era di internet e dei social network, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, 535 ss.; M. GRAdI, Diritto alla prova e tutela della privacy nel processo civile, in Riv. dir. proc., 2019, 1101 ss.

3 A titolo meramente esemplificativo v.: Trib. Roma, 20 gennaio 2017, in Fam. dir., 2018, 41 ss., con nota di L. dURELLO, Sull’inutilizzabilità della prova illecita nei procedimenti in materia di famiglia; Trib. Torino, 8 maggio 2013, in Giur. it., 2014, 2480 ss., con nota di C. PIOVANO, Sull’utilizzabilità di documenti illecitamente ottenuti; Cass. civ., Sez. VI, 8 novembre 2016, n. 22677; Cass., 14 novembre 2012, n. 19870, in Riv. dir. trib., 2013, 45; Cass., 25 marzo 2013, n.

7466, in Guida dir., 2013, 51; Trib. Milano, 8 aprile 2013, in Fam. dir., 2014, 819 ss., con nota di C. GUERRA, Processi di separazione e divorzio e relazioni investigative: l’ambigua frontiera dell’atipicità della prova; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 13 giugno 2013, in Foro it., Rep. 2014, voce prova civile in genere, n. 73, e Nuova proc. civ., 2013, 5, 241, con nota di M. CROCITTO, La separazione personale dei coniugi nell’era dei social network: utilizzabilità in giudizio delle prove prelevate da facebook; Cass. civile, 23 maggio 2014, n. 11516, in Fam. dir., 2014, 881 ss., con nota di F. dANOVI, Le relazioni investigative nella separazione: il fine giustifica (ma non sempre rende validi) i mezzi. La giurisprudenza ha avuto modo di occuparsi del tema dell’illiceità della prova anche in ambito penale. Si vedano, per esempio: Cass. penale, sez. V, 10 luglio 1997, n. 8838, in Cass. pen., 1998, 2361 ss., con nota di S. LARIzzA, La giusta causa quale limite alla libertà e segretezza della corrispondenza; Cass. penale, sez. V, 26 novembre 2008, n. 44156, in Dir. pen. e processo, 2009, 1125 ss., con nota di S. BELLOMO, Interferenze illecite nella vita privata e impianti di videosorveglianza; Trib. Milano, 22 luglio 2009, in Corriere merito, 2009, 1229 ss., con nota di N. VENTURA, Protezione dei dati personali e regole processuali di giudizio; Cass. penale, sez. V, 29 settembre 2011, n. 35383, in Cass. pen., 2012, 460 ss., con nota di E. MENGONI, Rivelazione in giudizio di corrispondenza altrui e giusta causa: la condotta è scriminata solo se inevitabile.

4 Sull’esistenza o meno di lacune in proposito, si veda L. PASANANTE, La prova illecita nel processo civile, Torino, 2017, 12 ss.

5 Come rileva anche L. PASSANANTE, La prova illecita nel processo civile, Torino, 2017, 163 e 171 ss.

6 Ciò vale a differenziare la prova illecita dalla c.d. prova illegittima, che è quella formata in violazione di norme processuali. In Contributo allo studio delle prove illecite nel processo civile, Napoli, 2020, 169 ss.; L.

PASSANANTE, La prova illecita nel processo civile, Torino, 2017, 172 ss.

7 Circa la “categoria processuale” applicabile alla prova illecita non vi è uniformità di opinioni. Parlano di inutilizzabilità, ad esempio, C. MAINARdIS, L’inutilizzabilità processuale delle prove incostituzionali, in Quad. cost., 2000, 371 ss.;

A. GRAzIOSI, Usi e abusi di prove illecite e prove atipiche nel processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, 693 ss.; Id. Contro l’utilizzabilità delle prove illecite nel processo civile, in Giusto processo civ., 2016, 945 ss.; F. FERRARI, La sanzione dell’inutilizzabilità nel codice della privacy e nel processo civile, in Riv. dir. proc., 2013, 348 ss.; A. PINORI, Privacy e processo civile. I limiti di utilizzabilità nel giudizio civile di prove illecite: il difficile bilanciamento tra diritto alla protezione dei dati personali e il diritto alla difesa, in Contr. e imp., 2014, 51 ss.; C. PIOVANO, Sull’utilizzabilità dei documenti illecitamente ottenuti, in Giur. it., 2014, 2480 ss. Ne danno conto N. MINAFRA, Contributo allo studio delle prove illecite nel processo civile, Napoli, 2020, 336 ss. e spec. 356 ss.; L. PASSANANTE, La prova illecita nel processo civile, Torino, 2017, 193 ss. Al contrario, potrebbe anche configurarsi la “categoria” dell’(in) ammissibilità, che certa parte della dottrina ritiene applicabile anche alle prove precostituite (fra gli altri, E. ALLORIO, Efficacia giuridica di prove ammesse ed esperite in contrasto con un divieto di legge?, in Giur. it., 1960, 867 ss.; G. TARzIA, Problemi del contraddittorio nell’istruzione probatoria civile, in Riv. dir. proc., 1984, 638; N. MINAFRA, Contributo allo studio delle prove illecite nel processo civile, Napoli, 2020, 331 ss.; L. PASSANANTE, La prova illecita nel processo civile, Torino, 2017, 190 ss.).

8 Reca l’art. 13 Cost.: “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”. Ex art. 14 Cost., “Il domicilio è inviolabile. Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale. Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva”. Sancisce l’art. 15 Cost. che “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge. L’art. 8 CEDU, rubricato “Diritto al rispetto della vita privata e familiare” dispone che: “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.

9 Si rammenti l’art. 24 Cost.: “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.

10 Per una trattazione più approfondita, v., fra gli altri, M. BOVE, Art. 111 Cost. e “giusto processo civile”, in Riv. dir. proc., 2002, 479 ss.

11 Sulla verità, v., ex multis, M. TARUFFO, La verità nel processo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2012, 1117 ss.; Id., Contro la veriphobia. Osservazioni sparse in risposta a Bruno Cavallone, in Riv. dir. proc., 2010, 995 ss.; A. CARRATTA, Funzione dimostrativa della prova (verità del fatto nel processo e sistema probatorio), in Riv. dir. proc., 2001, 73 ss.; Id., Prova e convincimento del giudice nel processo civile, in Riv. dir. proc., 2003, 27 ss.; B. CAVALLONE, In difesa della veriphobia (considerazioni amichevolmente polemiche su un libro recente di Michele Taruffo), in Riv. dir. proc., 2010, 1 ss.; G.F. RICCI, Nuovi rilievi sul problema della “specificità” della prova giuridica, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2000, 1129 ss.; G. MONTELEONE, Limiti alla prova di ufficio nel processo civile (cenni di diritto comparato e sul diritto comparato), in Riv. dir. proc., 2007, 863 ss.; Sulla verità in tema di prova illecita, v., fra gli altri, N. MINAFRA, Contributo allo studio delle prove illecite nel processo civile, Napoli, 2020, 178 ss.; L. PASSANANTE, La prova illecita nel processo civile, Torino, 2017, 353 ss.; A. GRAzIOSI, Usi e abusi di prove illecite e prove atipiche nel processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, 693 ss.; Id., Contro l’utilizzabilità delle prove illecite nel processo civile, in Giusto proc. civ., 2016, 954 ss. 12 Sulle dimensioni del riserbo, v. M. OLIVETTI, Diritti fondamentali, Torino, 2018, 245 ss.

13 Art. 616 c.p.: Chiunque prende cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, ovvero sottrae o distrae, al fine di prenderne o di farne da altri prendere cognizione, una corrispondenza chiusa o aperta, a lui non diretta, ovvero, in tutto o in parte, la distrugge o sopprime, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a un anno o con la multa da € 30 a € 516. Se il colpevole, senza giusta causa, rivela, in tutto o in parte, il contenuto della corrispondenza, è punito, se dal fatto deriva nocumento ed il fatto medesimo non costituisce un più grave reato, con la reclusione fino a tre anni. Il delitto è punibile a querela della persona offesa. Agli effetti delle disposizioni di questa sezione, per “corrispondenza” si intende quella epistolare, telegrafica, telefonica, informatica o telematica ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza.

14 M. GRAdI, Diritto alla prova e tutela della privacy nel processo civile, in Riv. dir. proc., 2019, 1101 ss., spec. 1119 ss.; A. GRAzIOSI, Usi e abusi di prove illecite e prove atipiche nel processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, 693 ss., spec. 700.

15 Trib. Torino, Sez. VII, 8 maggio 2013, in Giur. it., 2014, 2480 ss., con nota di C. PIOVANO, Sull’utilizzabilità dei documenti illecitamente ottenuti.

16 Cfr., ex multis, Tribunale di Roma 20 gennaio 2017, in Fam. e dir., 2018, 41 ss., con nota di L. dURELLO, Sull’inutilizzabilità della prova illecita nei procedimenti in materia di famiglia. Cass. civ. Sez. III, 11 febbraio 2009, n. 3358, ha affermato: “Ai sensi della l. n. 675 del 1996, citato art. 12, lett. h, (e della corrispondente disposizione del successivo d.lgs. n. 196 del 2003), quali che siano le modalità con le quali la conoscenza dei dati è acquisita […], la loro utilizzazione è comunque consentita dell’interessato, se lo sia ‘per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tale finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento’ e nella cornice dei principi generali di correttezza, pertinenza e non eccedenza indicati nell’art. 9, lett. a) e d), della legge (cfr., sul punto, Cass., n. 12285/08), essendo così nella stessa legge assunto che, per gli effetti perseguiti ed alle condizioni predette, l’esercizio del diritto di difesa prevale rispetto a quello alla riservatezza. Sicché, in definitiva, è nel bilanciamento tra il contenuto del dato utilizzato, cui va correlato il grado di riservatezza tutelabile, e le esigenze di difesa che va rinvenuto il criterio per apprezzare la legittimità della produzione in giudizio di un documento contenente informazioni relative ad una persona fisica o giuridica, ente o associazione, identificati o identificabili”. 17 Cfr. Cass., Sez. Un., 8 febbraio 2011, n. 3034, in Giust. civ., 2011, 3, 605.

18 V. anche M. GRAdI, Diritto alla prova e tutela della privacy nel processo civile, in Riv. dir. proc., 2019, 1101 ss., spec. 1120; Tribunale di Roma, 17 maggio 2017, in Foro it., 2018, 2206 ss., con nota di A. MORACE PINELLI, Infedeltà coniugale e ammissibilità delle c.d. prove illecite.

19 M. GRAdI, Diritto alla prova e tutela della privacy nel processo civile, in Riv. dir. proc., 2019, 1101 ss., spec. 1120. N. MINAFRA, Contributo allo studio delle prove illecite nel processo civile, Napoli, 2020, 460 ss.; V. Trib. Santa Maria Capua Vetere, 13 giugno 2013, in www.ilcaso.it, 2013.

20 In argomento, v. M. GRAdI, Diritto alla prova e tutela della privacy nel processo civile, in Riv. dir. proc., 2019, 1101 ss., spec. 1124.

21 Non è da considerarsi privata dimora il cortile del condominio e le altre parti comuni, secondo Cass. pen., sez. V, 26 novembre 2008, n. 44156, in Dir. pen. e processo, 2009, 1125 ss., con nota di S. BELLOMO, Interferenze illecite nella vita privata e impianti di videosorveglianza.

22 Trib. Roma, 20 gennaio 2017, in Fam. e dir., 2018, 41 ss., con nota di

L. dURELLO, Sull’inutilizzabilità della prova illecita nei procedimenti in materia di famiglia.

23 Cfr. Trib. Milano, 9 maggio 2018, n. 5103, che afferma: “Mancando nel codice di procedura civile una norma analoga a quella di cui all’art. 191 c.p.p. che sancisce l’inutilizzabilità, rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, delle prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge, esse sono ammissibili e liberamente valutabili dal giudice ai sensi dell’art. 116

c.p.c. e ciò in quanto l’eventuale illiceità si sarebbe verificata in una fase preprocessuale senza ripercuotersi sugli atti stessi e fatti salvi i profili di responsabilità penale”. V. anche Cass. civ., Sez. Lav., 5 agosto 2010, (ud. 2 luglio 2010, dep. 5 agosto 2010), n. 18279, richiamata da Trib. Arezzo, 31 gennaio 2017 (ud. 31 gennaio 2017, dep. 31 gennaio 2017), n. 123: “Nelle controversie in cui configura una contrapposizione tra due diritti, aventi ciascuno di essi copertura costituzionale, e cioè tra valori ugualmente protetti, va applicato il c.d. criterio di gerarchia mobile, dovendo il giudice procedere di volta in volta ed in considerazione dello specifico thema decidendum alla individuazione dell’interesse da privilegiare a seguito di una equilibrata comparazione tra diritti in gioco, volta ad evitare che la piena tutela di un interesse finisca per tradursi in una limitazione di quello contrapposto, capace di vanificarne o ridurne il valore contenutistico”. Ne consegue che il richiamo ad opera di una parte processuale al doveroso rispetto del diritto (suo o di un terzo) alla privacy – cui il legislatore assicura in ogni sede adeguati strumenti di garanzia – non può legittimare una violazione del diritto di difesa che, inviolabile in ogni stato e grado del procedimento (art. 24 Cost., comma 2), non può incontrare nel suo esercizio ostacoli ed impedimenti nell’accertamento della verità materiale a fronte di gravi addebiti suscettibili di determinare ricadute pregiudizievoli alla controparte in termini di un irreparabile vulnus alla sua onorabilità e, talvolta anche alla perdita di altri diritti fondamentali, come quello al posto di lavoro. V. anche Trib. Bari, 16 febbraio 2007: “Se ne deduce, dunque, che qualsivoglia violazione di leggi o regolamenti nell’utilizzo processuale delle prove (ivi comprese le norme del c.d. Codice della privacy) possa trovare esito solo nell’ambito dei rispettivi sistemi processuali: e siccome nel processo civile non esiste un divieto esplicito di utilizzo; siccome nel campo delle prove precostituite i momenti di illiceità sono tutti di natura preprocessuale, un documento illecitamente ottenuto in danno della parte avversa e/o utilizzato fuori delle condizioni di cui all’art. 26 del codice è comunque utilizzabile come prova, salve le conseguenze extraprocessuali, civili e penali, del comportamento illecito che si è consumato. La soluzione appare ragionevole e coerente, soprattutto se si pensa che, diversamente argomentando, si rischierebbe una sorta di insanabile conflitto tra norme sul c.d. zoccolo duro della privacy e diritto di difesa (art. 24 della Costituzione). Conflitto che, specie applicandosi la sanzione di inutilizzabilità dell’art. 11, si risolverebbe in un danno per chi vuol far valere un diritto in giudizio ed in una sostanziale vanificazione del diritto di provare i fatti dedotti. Tale conflitto avrebbe effetti particolarmente negativi proprio in giudizi come quelli matrimoniali, dove la controversia nasce di per sé in una sfera del tutto privata e dove l’onere della prova assume contorni particolarmente delicati proprio perché spesso, per provare anche fatti di particolare gravità che attengono ad esempio all’interesse dei figli minori, si può porre il dilemma se attingere a documentazione attinente alla salute o comunque alla vita privata dei contendenti, anche senza il consenso di questi. Secondo l’impostazione qui accettata, invece, sia la violazione dei precetti generali di cui all’art. 11, sia di quelli specifici di cui all’art. 24-26 del codice della privacy trovano la loro sanzione fuori dal processo, in una sede loro propria e senza riflessi sull’efficacia probatoria”.

24 In argomento, v. M. GRAdI, Diritto alla prova e tutela della privacy nel processo civile, in Riv. dir. proc., 2019, 1101 ss., spec. 1121 ss.

25 Art. 617 c.p.: Chiunque, fraudolentemente, prende cognizione di una comunicazione o di una conversazione, telefoniche o telegrafiche, tra altre persone o comunque a lui non dirette, ovvero le interrompe o le impedisce è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la stessa pena si applica a chiunque rivela, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, in tutto o in parte, il contenuto delle comunicazioni o delle conversazioni indicate nella prima parte di questo articolo. I delitti sono punibili a querela della persona offesa; tuttavia si procede d’ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso in danno di un pubblico ufficiale o di un incaricato di un pubblico servizio nell’esercizio o a causa delle funzioni o del servizio, ovvero da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato. Art. 617-bis c.p.: Chiunque, fuori dei casi consentiti dalla legge, installa apparati, strumenti, parti di apparati o di strumenti al fine di intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoni- che tra altre persone è punito con la reclusione da uno a quattro anni. La pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso in danno di un pubblico ufficiale nell’esercizio o a causa delle sue funzioni ovvero da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato.

26 Art. 615-bis: Chiunque, mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell’articolo 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Alla stessa pena soggiace, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chi rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le immagini ottenute nei modi indicati nella prima parte di questo articolo. I delitti sono punibili a querela della persona offesa; tuttavia si procede d’ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato.

27 N. MINAFRA, Contributo allo studio delle prove illecite nel processo civile, Napoli, 2020, 470 ss.

28 Corte Appello Reggio Calabria, n. 345/2022.

29 V. anche Cassazione civile, Sez. II, 17 gennaio 2019, n. 1220, che ha inquadrato “le registrazioni fonografiche di conversazione tra presenti nel genus delle riproduzioni meccaniche disciplinato dall’art. 2712 c.c., la cui efficacia probatoria, in ragione della loro formazione al di fuori del processo e senza le garanzie dello stesso, è rimessa alla esclusiva volontà della parte contro la quale esse sono prodotte in giudizio, concretantesi nella non contestazione – non soggetta ai limiti e alle modalità di cui all’art. 214 c.p.c. – che i fatti che tali riproduzioni tendono a provare siano realmente accaduti con le modalità risultanti dalle stesse. Il “disconoscimento” che fa perdere alle riproduzioni la loro qualità di prova, deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito, nel senso che deve concretizzarsi nell’allegazione di elementi che attestino la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta”.

30 V.M. GRAdI, Diritto alla prova e tutela della privacy nel processo civile, in Riv. dir. proc., 2019, 1101 ss., spec. 1125 ss.

31 Definizione ricavata dal punto 1 dell’autorizzazione generale del Garante della privacy del 15 dicembre 2016, n. 8.

32 Dispone il punto 3.2 dell’autorizzazione generale del Garante della privacy 8/2016: “La presente autorizzazione è rilasciata, altresì, quando il trattamento dei dati genetici sia indispensabile: a) per lo svolgimento da parte del difensore delle investigazioni difensive di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 397, anche a mezzo di sostituti, di consulenti tecnici e investigatori privati autorizzati, o, comunque, per far valere o difendere un diritto anche da parte di un terzo in sede giudiziaria, anche senza il consenso dell’interessato eccetto il caso in cui il trattamento presupponga lo svolgimento di test genetici. Ciò, sempre che il diritto da far valere o difendere sia di rango pari a quello dell’interessato, ovvero consistente in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile e i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento. Il trattamento deve essere comunque effettuato nel rispetto delle autorizzazioni generali del Garante al trattamento dei dati sensibili da parte dei liberi professionisti e da parte degli investigatori privati (allo stato, autorizzazioni nn. 4 e 6/2014). Il trattamento può comprendere anche le informazioni relative a stati di salute pregressi o relative ai familiari dell’interessato”. Dispone il punto 5: “I trattamenti per lo svolgimento delle investigazioni difensive o per l’esercizio di un diritto in sede giudiziaria possono essere effettuati mediante l’esecuzione di test genetici soltanto previa informativa all’interessato da rendersi con le modalità sopra indicate”.

33 Prevede il punto sei dell’Autorizzazione: “I trattamenti di dati connessi all’esecuzione di test genetici per lo svolgimento delle investigazioni difensive o per l’esercizio di un diritto in sede giudiziaria possono essere effettuati soltanto con il consenso informato della persona cui appartiene il materiale biologico necessario all’indagine, salvo che un’espressa disposizione di legge, o un provvedimento dell’autorità giudiziaria in conformità alla legge, disponga altrimenti”.

34 Cass. civ., Sez. III, 5 maggio 2020, n. 8459.

35 “La raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, la consultazione, l’elaborazione, la modificazione, la selezione, l’estrazione, il raffronto, l’utilizzo, l’interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati” (cfr. d.lgs. n. 196 del 2003, art. 4, comma 1, lett. a, nel testo applicabile ratione temporis, successivamente abrogato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101 e riformulato dall’art. 4, paragr. 1, n. 1, del regolamento UE 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, che individua ora tra le predette operazioni “la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la strutturazione, la conservazione, l’adattamento o la modifica, l’estrazione, la consultazione, l’uso, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, il raffronto o l’interconnessione, la limitazione, la cancellazione o la distruzione”.

36 Cfr. Cass. Sez. Un., sent. 8 febbraio 2011, n. 3034, secondo cui non costituisce violazione della disciplina in materia di protezione dei dati personali il loro utilizzo mediante lo svolgimento di attività processuale. Nel processo è l’autorità giudiziaria stessa ad essere titolare del trattamento e in giudizio trovano composizione gli opposti interessi di tutela della riservatezza e di corretta esecu- zione del processo. Il codice di rito regola le modalità di svolgimento in giudizio del diritto di difesa e prevale, in quanto contenente disposizioni speciali e non suscettibili di alcuna integrazione su quelle del predetto codice della privacy, anche se anteriori.

37 V. Cass. civ., Sez. VI, 8 novembre 2016 (ud. 1 luglio 2016, dep. 8 novembre 2016), n. 22677.