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Famiglie omogenitoriali: la valutazione dell’equipe adozioni nei procedimenti ex art. 44 lett. d) l. 184/83 tra limiti e opportunità

autore: V. Pizzol, A. Xodo

SOMMARIO: 1. Il contesto giuridico italiano. - 2. Criticità insite nell’incarico affidato dal giudice all’equipe adozioni. - 3. Le relazioni dell’equipe adozioni. - 3.1. I criteri di valutazione utilizzati per rispondere al quesito del Giudice. - 3.2. La metodologia. - 3.3. La risposta al Giudice. - 4. Focus sui temi narrativi ricorrenti. - 5. Conclusioni: è davvero necessaria l’indagine dell’equipe adozioni?



1. Il contesto giuridico italiano





“Deve escludersi che esista, a livello costituzionale, un divieto per le coppie dello stesso sesso di accogliere e anche di generare figli”1.

Questa frase è il giusto esordio da cui sviluppare ogni riflessione sul tema dell’omogenitorialità.

Il fatto che, ad oggi, non esista nel nostro ordinamento giuridico una norma che espressamente consenta a due persone dello stesso sesso di diventare genitori, non significa che questo non avvenga comunque nella realtà.

Tralasciando i modi in cui una coppia di donne o di uomini può avere figli, il dato importante da considerare è che questi bambini e bambine vengono al mondo e crescono all’interno di una famiglia omoaffettiva2.

La figlia o il figlio di una coppia dello stesso sesso è biologicamente legato ad uno solo dei due genitori e precisamente a quello a cui appartiene il gamete utilizzato per la procreazione (l’ovulo o il seme); l’altro genitore viene definito “genitore sociale o d’intenzione” perché non condivide con la prole il dato biologico, ma ha partecipato al progetto di genitorialità con l’altro/a partner e ha contribuito alla cura morale e materiale del minore sin dalla sua nascita3.

I minori nati in questa tipologia di famiglie sono destinati, per il nostro ordinamento giuridico, a rimanere privi della loro seconda figura genitoriale proprio perché non esiste quella legge a cui si accennava poc’anzi; per tutti loro, il diritto alla bigenitorialità – ossia il diritto del minore ad un rapporto paritario con coloro che hanno coltivato il progetto di filiazione – continua ad essere un diritto negato, a meno che il genitore d’intenzione non si attivi per eliminare questo vuoto di tutela. Uno dei rimedi a cui si è fatto ampio ricorso negli ultimi anni per colmare il gap normativo in questione è l’art. 44 lett. d) della legge 4 maggio 1983 n. 184, Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori, che prevede la c.d. adozione in casi particolari.

Si tratta di un istituto che in origine nasce con altre finalità – ossia per garantire al minore una famiglia in situazioni che non avrebbero consentito di giungere ad un’adozione piena4 – e che solo per effetto di una sua interpretazione, avallata nel tempo dalla giurisprudenza maggioritaria5, ora viene applicato per dare concretezza al vincolo affettivo esistente tra il minore e il suo genitore sociale.

Questa soluzione, tuttavia, non soddisfa pienamente per una serie di motivi; qui si sintetizzano quelli più rilevanti:

1. il consenso del genitore biologico è preclusivo all’adozione6. Se la coppia entra in crisi o si separa e il genitore biologico dovesse negare il proprio consenso all’adozione, il partner (o ex tale) non potrà fare nulla per superare tale rifiuto e quindi non potrà adottare il minore7.

2. il genitore d’intenzione non ha l’obbligo di adottare il minore. Il minore, quindi, non avrà a disposizione alcuno strumento giuridico per costringere il genitore d’intenzione inerte ad assumersi i diritti e i doveri conseguenti alla genitorialità e dunque, per esempio, non avrà il diritto al mantenimento, non sarà riconosciuto come erede, ecc.

3. È prevista un’indagine da parte dell’equipe adozioni. La sentenza di adozione viene emessa solo all’esito di un procedimento in cui l’equipe adozioni territorialmente competente viene incaricata dal tribunale per i minorenni ad esaminare la coppia di genitori in generale e l’aspirante genitore adottivo in particolare; questa indagine si traduce in una serie di colloqui e visite a domicilio che coinvolgono l’adottante, il/la partner e la prole.

4. Il rapporto di parentela si costituisce solo tra adottante e adottato8. Occorre precisare che tale limite è venuto meno per effetto della recente pronuncia della Corte costituzionale n. 79/2022 che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 55 della l. 184/83 là dove imponeva di applicare all’adozione in casi particolari dei minori le regole dettate dall’art. 300 secondo comma c.c. per l’adozione del maggiorenne.

Il focus di questo studio riguarda proprio una delle criticità sopra evidenziate, ossia l’indagine condotta dall’equipe adozioni.



2. Criticità insite nell’incarico affidato dal giudice all’equipe adozioni





Una volta ricevuto il ricorso con la domanda di adozione ex art. 44 lett. d) l. 184/83, il tribunale per i minorenni, ai sensi dell’art. 57 della legge citata, deve verificare se ricorrono i presupposti previsti dall’art. 44 e se l’adozione soddisfa il superiore interesse del minore9.

A tal fine il tribunale dispone l’esecuzione di adeguate indagini da effettuarsi tramite i servizi locali – tra cui l’equipe adozioni – che abbiano ad oggetto: a) l’idoneità affettiva e la capacità di educare e istruire il minore, la situazione personale ed economica, la salute, l’ambiente familiare dell’adottante;

b) i motivi circa i quali il richiedente desidera adottare il minore;

c) la personalità del minore;

d) la possibilità di idonea convivenza con il minore.

In ottemperanza all’incarico delegato dal tribunale per i minorenni, nella prassi avviene che l’equipe contatterà l’adottante e pianificherà con la coppia una serie di colloqui, oltre ad una o più visite a domicilio e gli incontri con il minore adottando (questo potrebbe avvenire anche nel corso di una visita domiciliare), all’esito dei quali scriverà una relazione positiva o negativa all’adozione richiesta.

A parere delle Scriventi tale indagine, che continua ad avere senso per tutte le altre ipotesi di adozione che rientrano nell’art. 44 l. 184/83, diviene superflua quando ha ad oggetto una domanda presentata dal partner same sex che ha condiviso il progetto di genitorialità con il genitore biologico.

Si pensi all’assurdità di valutare la possibile idonea convivenza con il minore.

Va da sé che tale valutazione perde di significato quando adottante e adottando vivono assieme sin dalla nascita di quest’ultimo, oppure quando ormai non convivono più perché la coppia di genitori same sex nel frattempo si è separata e il minore è rimasto presso il genitore biologico10.

In casi come questo l’adottante non sta aspirando a diventare genitore, ma è già tale perché ne svolge le tipiche funzioni ed è colui/colei che ha desiderato la nascita di quel minore di cui ora chiede l’adozione.



3. Le relazioni dell’equipe adozioni





La nostra indagine, circoscritta al distretto veneto, prende in esame dieci relazioni redatte da diverse equipe adozioni presenti nel territorio, tutte incaricate dal Tribunale per i minorenni di Venezia all’interno di un procedimento ex art 44 lett.

d) l. 184/83 a partire dalla prima domanda di adozione in casi particolari decisa nel 201711.



3.1. I criteri di valutazione utilizzati per rispondere al quesito del Giudice

Prima di procedere con l’analisi delle relazioni è opportuno evidenziare che attualmente – dato il vuoto normativo – non esistono ancora linee guida nazionali specifiche che permettano una metodologia omogenea frutto di modelli scientificamente orientati.

Da una ricerca informale sui protocolli utilizzati comunemente, è emerso che la prassi in questo contesto è un intreccio tra la valutazione delle competenze genitoriali in tema di affidamento dei minori in seguito alla separazione tra i genitori e la valutazione degli aspiranti genitori adottivi:

a) Per quanto concerne la valutazione delle competenze genitoriali, il Protocollo di Milano (2012) rappresenta anche in questo contesto un importante strumento teorico-operativo, proprio perché frutto della convergenza delle teorie maggiormente condivise. È opportuno ricordare che il funzionamento familiare e le competenze genitoriali non sono declinabili in base all’orientamento sessuale12, e pertanto non abbiamo aree di indagine dedicate. Le competenze che in ogni contesto andrebbero considerate sono quelle pertinenti a: funzione di cura e protezione, funzione riflessiva, funzione empatica/affettiva, funzione organizzativa (scolastica, sociale e culturale), e criterio dell’accesso all’altro genitore. All’interno della valutazione psicosociale è inoltre importante individuare fattori di rischio distali, fattori di rischio prossimali e fattori protettivi13.

b) Nel “Manuale degli Interventi Professionali nell’Adozione Internazionale Valutazione dell’idoneità, abbinamento dei bambini alle famiglie, monitoraggio post adottivo”14, sono invece contenuti strumenti operativi per la valutazione delle competenze concrete degli aspiranti genitori adottivi anche in senso prognostico; il manuale si basa sul rigoroso modello “competenze genitoriali e bisogni infantili”, il cui focus è rappresentato dai bisogni dei bambini e delle bambine e non dalle esigenze e dai desideri degli adulti. Riteniamo indispensabile citare questo testo non solo perché utilizzato dalle varie equipe, ma in quanto – grazie alla differente legislazione spagnola – contiene linee guida anche per la valutazione delle coppie dello stesso sesso che desiderano costruire un progetto di genitorialità tramite l’adozione internazionale; vi sono dunque domande specifiche all’interno delle interviste proposte, che mirano ad indagare ed oggettivare le risorse della coppia, frutto di un’attenta analisi della letteratura internazionale di riferimento, rigorosamente citata all’interno del testo. In particolare gli aspiranti genitori adottivi omosessuali dovrebbero trattare assieme all’equipe incaricata le seguenti aree tematiche:

– Origine sviluppo e situazione attuale dell’orientamento sessuale

– Esperienza attuale dell’omosessualità e dell’omofobia

– Relazioni e punti di appoggio

– Idee sull’adozione da parte di omosessuali

– Disposizione verso l’adozione omoparentale

– Reazioni manifestate dal bambino rispetto ad episodi di omofobia

– Identità di genere degli adottati

Per quanto concerne gli aspiranti genitori omosessuali, le competenze adulte necessarie per rispondere adeguatamente alle necessità infantili in adozione sarebbero inoltre:

– storia dell’identità sessuale e di soluzione dei conflitti personali e sociali proposti dall’orientamento sessuale

– capacità di aiutare l’adottato nel far fronte ad eventuali reazioni inadeguate dell’ambiente circostante

– capacità di accompagnare lo sviluppo dell’identità sessuale dell’adottato

Benché questo testo costituisca un punto di partenza e di riflessione, esso non può rappresentare l’unico riferimento delle equipe incaricate, proprio perché dedicato ad aspiranti genitori che dovranno “rispondere e affrontare i bisogni particolari e specifici dei minori in attesa di adozione (con le loro concrete caratteristiche e vissuti legati spesso ad avversità ed esperienze precoci traumatiche e/o di separazione)” (Introduzione all’edizione Italiana, 2013), situazione ben differente da quella che viene affrontata dalle equipe adozioni coinvolte in casi ex art. 44 lett d).

3.2. La metodologia

Si riporta di seguito uno schema dell’organizzazione dell’indagine e delle relazioni, utile a comprendere il metodo utilizzato dalle singole equipe, il quale risulta sostanzialmente omogeneo, e dunque confrontabile.

– Composizione delle equipe: tutte le equipe erano formate da assistente sociale e psicologa

– Composizione dei nuclei familiari: coppie lesbiche e loro figli e figlie

– Indagine: colloqui singoli e di coppia, colloqui con i/le minori, osservazione dell’interazione, visita domiciliare. Non sono state interpellate le famiglie d’origine, le scuole, il/la pediatra, o altre agenzie educative/sanitarie

– Temi generali ricorrenti: storia individuale di entrambe le mamme; storia di coppia; scelta generativa; motivazione all’adozione; organizzazione della routine; modalità di parenting; legame di attaccamento con il/la minore; personalità del/della minore.

– Temi ricorrenti inerenti l’identità sessuale: coming out e soluzione dei conflitti personali e sociali inerenti l’orientamento sessuale; esperienze positive / negative rispetto all’omosessualità (comprendente episodi di omofobia); necessità di garantire all’adottando/adottanda la frequentazione di persone eterosessuali; consapevolezza rispetto alla necessità di spiegare al/alla minore la paternità biologica e il saper rispondere a domande rispetto alla sua nascita.

3.3. La risposta al Giudice

Tutte le mamme valutate hanno ricevuto parere positivo dalle rispettive equipe adozioni che nel rispondere al giudice, sottolineano, con modalità diverse, le seguenti evidenze delle valutazioni:

1. l’adozione permette una tutela psicologica del/della minore, poiché valorizza il senso di continuità biografica con il progetto generativo delle mamme, oltre che una tutela dal punto di vista sociale e giuridico

2. il legame tra adottante e bambino/bambina è stabile e continuativo

3. l’orientamento omosessuale dei genitori non rappresenta una condizione di pregiudizio per lo sviluppo del/della minore. Quest’ultima considerazione è talmente coerente con la ri-

cerca nazionale15 e internazionale16 consolidata, da apparire per certi versi superflua, ed essere verosimilmente una modalità attraverso cui attuare una rassicurazione sociale rispetto a possibili pregiudizi sulle coppie omoparentali.



4. Focus sui temi narrativi ricorrenti





Abbiamo individuato cinque aree tematiche ricorrenti nelle relazioni che prendono direttamente in causa l’orientamento sessuale della coppia. A tal proposito è opportuno ricordare che chi si occupa di assessment di aspiranti genitori adottivi/affidatari (che ribadiamo comunque essere una situazione ben distinta da quella di cui stiamo discutendo), ritiene che la sessualità non dovrebbe essere ignorata né eccessivamente indagata, ma comunque presa in considerazione in qualità di dimensione centrale dell’identità personale e che dunque avrà un impatto sulla genitorialità; il focus per quanto pertiene le minoranze sessuali dovrebbe essere non tanto l’orientamento, quanto la capacità di gestire l’eteronormatività e la possibile omofobia interiorizzata17.

Vengono di seguito riportati i focus tematici, proponendo al contempo delle considerazioni e letture alternative sulla base principalmente della letteratura già citata; i focus pongono l’accento sulle criticità sociali e non tanto personali delle mamme, e dunque appaiono molto interessanti al fine del nostro approfondimento.

– coming out e soluzione dei conflitti personali e sociali inerenti l’orientamento sessuale: il coming out personale e di coppia dovrebbe essere considerato un processo e non un evento, il quale dipende sia dalle risorse interne della persona e della coppia, che dalla rete famigliare e sociale. La letteratura si è focalizzata sul coming out con la prole generata all’interno di precedenti relazioni eterosessuali18, o con bambine e bambini in adozione/affido19; il contesto che stiamo analizzando è ancora una volta ben differente, in quanto bambine e bambini vivono costantemente l’omosessualità delle loro mamme, senza bisogno di esserne formalmente informati. Focalizzarsi sul coming out personale e di coppia dovrebbe in questo contesto avere la funzione di indagare l’ambiente di vita (accogliente o stigmatizzante?) e la risorsa rappresentata dalla rete sociale e famigliare, come protettiva per il benessere del nucleo. Ricorrere all’adozione ex art. 44 dovrebbe già essere inteso come un coming out sociale, in quanto presuppone un riconoscimento giuridico a tutti gli effetti, con possibilità di interfacciarsi dunque con la scuola, il/la pediatra ecc.;

– esperienze positive/negative rispetto all’omosessualità (comprendente episodi di omofobia): partiamo dal presupposto che appare praticamente impossibile supporre che una persona appartenente ad una minoranza sessuale non abbia vissuto episodi di discriminazione o anche di violenza. Il minority stress (omofobia interiorizzata, stigma percepito, esperienze di discriminazione e violenza) incide sul funzionamento famigliare e sull’adattamento del bambino e della bambina20, ma ancora questo focus dovrebbe avere l’obiettivo di indagare quanto l’ambiente sociale sia protettivo, se vi siano risorse sociali in grado di mitigare gli effetti del minority stress e in che modo le mamme ritengono di poter aiutare le loro figlie e figli in un contesto eteronormativo21; in questo il riconoscimento giuridico appare protettivo, anziché pregiudizievole, proprio perché in grado di legittimare socialmente;

– necessità di garantire all’adottando/adottanda la frequentazione di persone eterosessuali: alcune relazioni riportano le frequentazioni amicali eterosessuali delle mamme o il loro impegno nel far conoscere ai figli (soprattutto i maschi) coppie eterosessuali, come un fattore protettivo rispetto al benessere evolutivo; eppure il modello familiare omogenitoriale è indubbiamente minoritario rispetto al contesto di appartenenza, e i bambini hanno quotidianamente accesso sia a genitori eterosessuali (si pensi ai compagni di asilo, scuola, sport, ma anche alle serie animate, i libri ecc.) che a persone di genere maschile. A parere delle Scriventi, si tratta ancora una volta di una precisazione superflua, e andrebbe invece valorizzata la frequentazione di quei genitori eterosessuali che accolgano come “normale” e “possibile” la famiglia del bambino, al fine di mitigare l’omonegatività diffusa; ancor più, a queste bambine e bambini andrebbe garantito l’accesso ad altre famiglie omogenitoriali, che permettano loro rispecchiamento, ma anche condivisione di esperienze ed emozioni con altre figlie e figli di coppie lesbiche o gay.

– attenzione alla costruzione dell’identità sessuale del/della minore: si ricorderà che questo particolare aspetto è presente anche tra le proposte di indagine per aspiranti genitori adottivi same sex (vedasi paragrafo 3.1); con il termine “identità sessuale” si fa riferimento a quell’insieme di elementi (distinti e interrelati tra loro) che fanno parte del nostro modo di percepirci in profondità come esseri sessuati; essi sono: il sesso biologico, l’identità di genere, il ruolo di genere e l’orientamento sessuale. L’identità sessuale è dunque una convergenza di componenti biologiche, psicologiche, educative, sociali e culturali, e pertanto è stabile (ma non immobile), dinamica ed in continua evoluzione nella vita degli individui. Riteniamo quindi che – data la delicatezza delle implicazioni sullo sviluppo di ogni soggetto in età evolutiva – la “capacità di accompagnare lo sviluppo dell’identità sessuale” dovrebbe rappresentare un criterio di valutazione per ogni aspirante genitore, anche eterosessuale, a maggior ragione dato che la ricerca non ha evidenziato la famiglia omogenitoriale come pregiudizievole rispetto a quelle monoparentali o tradizionali.

– consapevolezza rispetto alla necessità di spiegare al/alla minore la paternità biologica e il saper rispondere a domande rispetto alla sua nascita: si tratta di un argomento la cui importanza è condivisa per qualsiasi percorso di genitorialità non biologica, tanto da essere oggetto di ricerca da molto tempo22 non solo nel contesto delle coppie omosessuali23, e che proprio per questo permette alle mamme di avere a disposizione ampia letteratura a cui accedere, direttamente o anche tramite il supporto dei servizi dedicati e delle associazioni24.



5. Conclusioni: è davvero necessaria l’indagine dell’equipe adozioni?





L’adozione ex art. 44 lett. d) l. 184/83 è un rimedio che non soddisfa pienamente per le ragioni già individuate sopra.

L’incontro con l’equipe adozioni, cruciale nell’istruttoria del procedimento in esame, viene talora vissuto negativamente dalla coppia, che vive un’ingerenza nella propria vita privata e mette le mamme nella condizione di dover “dimostrare” di poter essere genitori del proprio figlio.

Ad avviso delle Scriventi, il vero problema, tuttavia, non è il modus operandi del team che compone l’equipe, il quale, per quanto è stato osservato, si è davvero speso in questi anni affinché le relazioni trasmesse al tribunale per i minorenni fossero dettagliate e mettessero in luce il funzionamento delle famiglie omogenitoriali, l’adattamento psicosociale e soprattutto il legame presente tra la mamma e il (suo) bambino / la (sua) bambina; la ridondanza rispetto alla letteratura che abbiamo sottolineato nei paragrafi precedenti ha permesso di far entrare in udienza la voce delle scienze psicologiche e sociali, e dunque ha favorito l’accoglimento delle domande, anche fornendo rassicurazioni sociali.

La criticità è individuabile invece nella legge che disciplina questo iter, o ancor meglio, nell’assenza di una legge adeguata. L’intervento dell’equipe adozioni, infatti, non dovrebbe essere previsto in casi di questo tipo e le ragioni sono presto

spiegate. Supponiamo che all’esito dei colloqui il parere dell’equipe adozioni fosse negativo: quale sarebbe la conseguenza pratica di una relazione che esprime un parere contrario all’adozione richiesta dal partner same sex?

Forse quella di convincere il tribunale a rigettare la domanda dell’adottante. Ma poi, concretamente, cosa accadrebbe? Nulla: il minore continuerebbe a vivere nello stesso nucleo familiare di sempre poiché esso è composto dal genitore biologico che in quanto tale garantirebbe la continuità dei rapporti tra il figlio e l’altro/a partner25.

Le uniche conseguenze importanti che avremmo – nell’ipotesi di un parere negativo e quindi di un rigetto della domanda di adozione – ricadrebbero sul minore: privato del riconoscimento istituzionale della sua famiglia, si troverebbe di fatto solo/a di fronte alla necessità quotidiana di negoziare socialmente la sua identità26.

Se proprio fosse l’adozione ex art. 44 lett. d) l’unica via possibile per consentire la costituzione del rapporto parentale tra minore e genitore sociale, allora la legge così com’è formulata non va bene, non più.

Il consenso del genitore biologico non dovrebbe più essere richiesto e di sicuro andrebbe eliminata ogni indagine prevista ex art. 57, in particolare andrebbe certamente superata l’esigenza di una relazione da parte dell’equipe adozioni.

Un procedimento ex art. 44 lett. d) che non prevede questi elementi, giungerebbe certamente ad una più rapida definizione e consentirebbe quindi di formalizzare il vincolo affettivo tra adottante e adottato con tempistiche assai brevi, realizzando il c.d. best interest of the child27: l’interesse del minore a veder cristallizzata la sua identità di figlio dei genitori che lo hanno desiderato.





NOTE

1 Cass. civ., sez. I, 30 settembre 2016 n. 19599 in Corriere giuridico, 2017.

2 Quantificare il numero di famiglie omogenitoriali in Italia è difficile poiché manca un censimento nazionale.

3 Un discorso a parte meriterebbero le nascite avvenute con il metodo c.d. ROPA: una particolare tecnica di procreazione medicalmente assistita a cui può accedere una coppia lesbica, attraverso la quale una donna contribuisce con la donazione degli ovociti e l’altra, che riceve gli embrioni, porta a termine la gravidanza.

4 Come nel caso della piccola Alba, nata con la sindrome di down e adottata ex art. 44 lett. d) l. 184/83 dal single gay Luca Trapanese, cfr. L. MERCADENTE, L. TRAPANESE, Nata per te, Torino, 2018.

5 Cass. civ. sez. I, 22 giugno 2016 n. 12962, in Quotidiano Giuridico, 2016.

6 Requisito previsto dall’art. 46 l. 184/83.

7 B. CHECCHINI, L’“omogenitorialità” ancora al vaglio della Corte costituzionale, in

La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2021, 3, 609. 8 L’art. 55 l. 184/83 dispone che all’adozione in casi particolari si applica quanto previsto dall’art. 300 del codice civile in materia di diritti e doveri dell’a-dottato maggiorenne.

9 M. DI MASI, L’interesse del minore, Napoli, 2020, 65 ss.

10 M. TUDISCO, V. PIZZOL, La separazione della coppia omogenitoriale non osta all’adozione del minore, in Il Familiarista, 17 gennaio 2022.

11 Tribunale per i minorenni di Venezia 31 maggio 2017, n. 90.

12 E.C. PERRIN, B.S. SIEGEL, Committee on Psychosocial Aspects of Child and Family Health of the American Academy of Pediatrics, Promoting the well-being of children whose parents are gay or lesbian, in Pediatrics, 2013, 131, e1374-1383. doi: 10.1542/peds.2013-0377.

13 P. DI BLASIO (a cura di), Tra rischio e protezione. La valutazione delle competenze parentali, Milano, 2005.

14 J. PALACIOS, Manuale degli Interventi Professionali nell’Adozione Internazionale. Valutazione dell’idoneità, abbinamento dei bambini alle famiglie, monitoraggio post adottivo, Quaderno n. 29, Servizio politiche familiari, infanzia e adolescenza. Ed. italiana, 2013.

15 R. BAIOCCO, F. SANTAMARIA, S. IOVERNO, C. PETRACCA, P. BIONDI, F. LAGHI, S.

MAZZONI, Famiglie composte da genitori gay e lesbiche e famiglie composte da genitori eterosessuali: benessere dei bambini, impegno nella relazione e soddisfazione diadica, in Infanzia e Adolescenza, 2013, 12, 99-112; S. D’AMORE, A. SIMONELLI, M. MISCIO-

SCIA, La qualità delle interazioni triadiche nelle famiglie lesbo-genitoriali: uno studio pilota con la procedura del Lausanne Trilogue Play, in Infanzia e Adolescenza, 2013, 12, 113-127.

16 S. ERICH, P. LEUNG, P. KINDLE, A Comparative Analysis of Adoptive Family Functioning with Gay, Lesbian, and Heterosexual Parents and Their Children, in Journal of GLBT Family Studies, 2005, 1, 43-60; S. GOLOMBOK, B. PERRY, A. BURSTON, C. MURRAY, J. MOONEY-SOMERS, M. STEVENS, J. GOLDING, Children with Lesbian Parents: A Community Study, in Developmental psychology, 2003, 39, 20-33; S. GOLOMBOK, The psychological wellbeing of ART children: what have we learned from 40 years of research?, in RBMO, 2020, 41, 743-746; A. TAURINO, Il punto di vista della psicologia su famiglie, genitorialità, omogenitorialità. Quali domande?, in Questione Giustizia, 2019, 2.

17 G.P. MALLON, The Home Study Assessment Process for Gay, Lesbian, Bisexual, and Transgender Prospective Foster and Adoptive Families, in Journal of GLBT Familiy Studies, 2011, 7, 9-29.

18 D. GIUNTI, G. FIORAVANTI, Gay Men and Lesbian Women Who Become Parents in the Context of a Former Heterosexual Relationship: An Explorative Study in Italy, in Journal of Homosexualty, 2017, 34, 523-537.

19 J.M. LYNCH, K. MURRAY, For the Love of the Children. The Coming Out Process for Lesbian and Gay Parents and Stepparents, in Journal of Homosexuality, 2000, 39, 1-24.

20 H.M.W. BOS, F. VAN BALEN, D.C. VAN DEN BOOM, G.M. SANDFORT, Minority

stress, experience of parenthood and child adjustment in lesbian families, in Journal of Reproductive and Infant Psychology, 2004, 22, 291-304.

21 D. Breshears, Coming Out with Our Children: Turning Points Facilitating Lesbian Parent Discourse with Their Children About Family Identity, in Communication Reports, 2010, 23, 79-90.

22 S.E. BARRETT, Children of Lesbian Parents. The What, When and How of Talking About Donor Identity, in Women and Therapy, 1997, 20, 43-55.

23 P.E. HERSHBERGER, A.M. GALLO, K. ADLAM, M. DRIESSNACK, H.D. GROTEVANT,

S.C. KLOCK, L. PASCH, V. GRUSS, Parents’ experiences telling children conceived by gamete and embryo donation about their genetic origins, in F&S Reports, 2021, 2, 479-486.

24 J.C. HARPER, I. ABDUL, N. BARNSLEY, Y. ILAN-CLARKE, Telling donor conceived children about their conception: Evaluation of the use of the Donor Conception Network children’s books, in Reproductive Biomedicine & Society Online, 2022, 14, 1-7.

25 Ovviamente a meno che non vi siano cause gravi che potrebbero condurre alla decadenza della responsabilità genitoriale del padre o della madre biologico/a o all’allontanamento dalla casa familiare del genitore non biologico (ad es. perché maltratta il minore convivente).

26 R. BOSISIO, P. RONFANI, “Who is in Your Family?” Italian Children with Non-heterosexual Parents Talk about Growing Up in a Non-conventional Household, in Children and Society, 2016, 30, 455-466.

27 Secondo la Corte di Strasburgo rientra nella discrezionalità del legislatore la soluzione normativa da adottare per tutelare i figli nati da una procedura medicalmente assistita vietata e, in tal senso, un rimedio potrebbe essere rappresentato dal procedimento di adozione, con la precisazione che, affinché non vi sia violazione dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, preveda effetti simili a quelli del riconoscimento legale nell’atto di nascita e consenta un procedimento di riconoscimento dello status filiationis celere e idoneo a comprimere le condizioni di incertezza del minore, cfr. parere post. Prot. 16 CEDU del 10 aprile 2019, Labasse e Mennesson c. Francia.