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Lucrezia eroina di genere: storia e interpretazione del suo sacrificio di fronte al tribunale domestico

autore: A. Grillone

SOMMARIO: 1. Premessa. Il gioco delle mogli o le mogli come un gioco? Lucrezia la donna ideale. - 2. La drammatica violenza e i suoi esiti. - 3. Conclusione. Lucrezia eroina della narrazione liviana: tra accettazione e superamento di un sistema valoriale



1. Premessa. Il gioco delle mogli o le mogli come un gioco? Lucrezia la donna ideale



Per quanto avvolto dalle nebbie della leggenda, che sempre circondano la storia più arcaica di Roma, non v’è episodio, tramandato dalla storiografia romana1, che solleciti la fantasia del pubblico, pur se non di addetti ai lavori, come la tragica sorte di Lucrezia, moglie esemplare di Collatino, il cui infausto destino fu d’essere prima preda sessuale di Sesto Tarquinio, poi suicida davanti al consesso familiare dalla stessa convocato per la valutazione dei fatti.

È circostanza notoria, sebbene nei modi largamente discussa in dottrina2, che il diritto romano abbia conosciuto, fino, anche, ad epoca matura3, una forma di giustizia intramoenia, rimessa all’arbitrio dei patres4, di volta in volta chiamati a giudicare della vita e della morte dei propri sottoposti, mogli in manu e filii familias, con il solo ausilio di un consilium di parenti e amici autorevoli5, per violazioni conclamate della disciplina domestica, condotte offensive delle divinità parentali e, più in generale, degli antichi mores6. A fronte delle molte incertezze delle fonti a nostra disposizione, si è consolidata l’opinione che per quanto concerne le donne sposate – anche in manu – legittimati a condurre domi il giudizio fossero i componenti delle due famiglie agnatizie, quella d’origine e quella del marito7. La foggia di questo consesso deve aver subito, in ogni caso, nei secoli, una progressiva stabilizzazione e l’episodio qui in analisi, data l’epoca remota in cui si situa, potrebbe plausibilmente rappresentarne una forma primordiale di manifestazione.

Nel caso del drammatico sacrificio di Lucrezia, il tribunale domestico, ritualmente convocato dalla stessa, non perverrà a sentenza: ella si toglierà la vita, chiedendo in contropartita ai propri familiari il solo giuramento di punire con la morte il suo aggressore.

La narrazione liviana della violenza e delle sue inevitabili conseguenze si colloca nel contesto dell’assedio di Ardea. La guerra si protraeva; e un po’ per tedio, un po’ per lascivia, i maggiorenti dell’esercito, i patres, si intrattenevano a banchetto con la progenie reale. Come sempre capita nei conviti maschili, ad un certo momento il discorso cade sulle mogli:



Liv. 1.57.7-11: Suam quisque laudare miris modis; inde certamine accenso Collatinus negat verbis opus esse; paucis id quidem horis posse sciri quantum ceteris praestet Lucretia sua. “Quin, si vigor iuventae inest, conscendimus equos inuisimusque praesentes nostrarum ingenia? Id cuique spectatissimum sit quod necopinato viri adventu occurrerit oculis”. Incaluerant uino; “Age sane” omnes; citatis equis auolant Romam. Quo cum primis se intendentibus tenebris pervenissent, pergunt inde Collatiam, ubi Lucretiam haudquaquam ut regias nurus, quas in conuiuio luxuque cum aequalibus viderant tempus terentes sed nocte sera deditam lanae inter lucubrantes ancillas in medio aedium sedentem inveniunt. Muliebris certaminis laus penes Lucretiam fuit. Adveniens vir Tarquiniique excepti benigne; victor maritus comiter inuitat regios iuvenes. Ibi Sex. Tarquinium mala libido Lucretiae per vim stuprandae capit; cum forma tum spectata castitas incitat. Et tum quidem ab nocturno iuvenali ludo in castra redeunt.



Ognuno lodava la propria, sostenendo che fosse la più virtuosa. Si accese una disputa, in cui Collatino patrocinava con particolare vigore la candidatura della propria: non v’era dubbio che Lucrezia fosse la migliore; ed era disposto a provarlo in maniera tangibile a tutti. Così propose di montare a cavallo e recarsi alla casa di ognuno dei presenti per vedere cosa, in loro assenza, stessero a fare le mogli. Mentre le altre matrone con le proprie ancelle erano indaffarate in banchetti sontuosi, Lucrezia, benché fosse notte inoltrata, al fioco lume d’una lucerna, era intenta alla lana con le proprie compagne di lavoro, che l’attorniavano nell’atrio della domus maritale di Collazia. Non vi fu dubbio, allora, su chi fosse la vincitrice di quella gara. Così Collatino non poté esimersi dall’invitare i compagni d’arme e i principi dei Tarquini a cena nella sua dimora e lì restarono fino a tarda ora, accuditi, secondo i migliori crismi d’ospitalità, dalla bella e gentile Lucrezia e dal suo seguito di ancelle.

E fu in quell’occasione, che, fatalmente, Sesto Tarquinio fu infiammato da un desiderio lussurioso (mala libido) di unirsi carnalmente con lei. Nondimeno, quella notte i soldati tornarono al campo e così si chiuse quell’“innocente” gioco giovanile.

Già da questo segmento narrativo emergono nitidamente quelli che potrebbero definirsi i presupposti sociologici degli eventi che di lì a breve seguiranno. Quella romana è, dopotutto, una società militare, in cui l’ordinamento costituzionale cittadino è plasmato sulla struttura dell’exercitus, proprio sotto i Tarquini, divenuto oplitico e centuriato; dunque, il diritto di ciascuno è proporzionale al ruolo ricoperto sotto le armi8; diverrà evidente ancora più nel seguito della storia repubblicana, ma quello che è certo è che la donna è esclusa da questo sistema d’idee; ha un ruolo nel contesto familiare, ma è impalpabile come individualità autonoma; i suoi diritti sono piegati sempre alle aspettative del padre prima, del marito poi9. È una società, per il resto, conseguentemente e spassionatamente maschilista; il maschio è, deve essere, non può che essere un guerriero, un conquistatore: il soldato va e idealmente sottrae per Roma territori al nemico, prende, invece, materialmente per sé bottino, servi, donne10. Ne sia prova uno dei miti fondanti della Civitas: il ratto delle Sabine. Sessualmente ciò si traduce nell’esaltazione della capacità di sottomettere11, a cui, tuttavia, non corrisponde e mai corrisponderà la legittimazione a sottrarre: ma stiamo, forse, già parlando d’altra cosa, del furto12, della violazione del neminem laedere, dove l’altro, però, è sempre e inevitabilmente l’altro pater, e il diritto quello dell’altro uomo.

Così in questo contesto e in questa mentalità deve essere calato il gioco lanciato dai commilitoni, che menano gran vanto dei loro gioielli più preziosi, delle virtù delle proprie mogli, che, anche in questo caso, e pur nell’ardente arringa di Collatino, sono poco più che accessori, desiderabili o meno, nel contesto delle onorate dimore familiari di ciascuno. Allora, anche l’immagine perfetta di Lucrezia, che siede nell’atrio della casa maritale, intenta a filare la lana, è il prototipo o, forse, si dovrebbe dire meglio l’archetipo della donna silenziosa, obbediente, frugale, dedita alla cura della domus, che è poi lo stereotipo femminile di tutte le società misogine, nelle quali il suo contributo all’evoluzione della collettività è quanto più possibile marginalizzato. Per la romanità, per altro, è il frutto, anche, dell’accordo genetico tra Sabini e Romani, dopo che questi ultimi avevano sottratto le donne dei primi: “nessuna donna avrebbe lavorato presso i Quiriti, se non per la sorveglianza della casa e dei domestici, per la filatura, per la tessitura” (Plutarco, Vite Parallele, Romulus, 15.4-5 e 19.79)13. È probabile, certo, che questa fosse la visione del ruolo della donna diffusa nell’élite privilegiata e che, in ogni caso, vi sia stato un tempo intermedio in cui anche Roma visse una parziale – non è dato sapere quanto idealmente mal tollerata – liberalizzazione dei costumi femminili. Il racconto della morigerata e pudica attitudine di Lucrezia è, infatti, evidentemente pressato tra le incertezze dell’indagine liviana circa i mores più arcaici della Civitas e l’influenza tacita che il supposto tentativo di restaurazione augustea degli stessi dovette giocare sulla sua fantasia narrativa, nonostante ciò, proprio per questa presumibile contingente vicinanza tra quelli che dovettero essere i tratti caratterizzanti dei più antichi costumi familiari e il restaurando splendore della virtù arcaica della pudicitia, lo stesso pare, nelle sue linee essenziali, fedele trasposizione della mentalità romana proto e medio repubblicana14.



2. La drammatica violenza e i suoi esiti





Non rimarrà sfortunatamente un desiderio inespresso quello di Sesto Tarquinio; segue, infatti, la Storia liviana:



Liv. 1.58: Paucis interiectis diebus Sex. Tarquinius inscio Collatino cum comite uno Collatiam venit. Vbi exceptus benigne ab ignaris consilii cum post cenam in hospitale cubiculum deductus esset, amore ardens, postquam satis tuta circa sopitique omnes videbantur, stricto gladio ad dormientem Lucretiam venit sinistraque manu mulieris pectore oppresso “Tace, Lucretia” inquit; “Sex. Tarquinius sum; ferrum in manu est; moriere, si emiseris vocem”. Cum pavida ex somno mulier nullam opem, prope mortem imminentem videret, tum Tarquinius fateri amorem, orare, miscere precibus minas, versare in omnes partes muliebrem animum. Vbi obstinatam videbat et ne mortis quidem metu inclinari, addit ad metum dedecus: cum mortua iugulatum seruum nudum positurum ait, ut in sordido adulterio necata dicatur. Quo terrore cum vicisset obstinatam pudicitiam velut vi victrix libido, profectusque inde Tarquinius ferox expugnato decore muliebri esset, Lucretia maesta tanto malo nuntium Romam eundem ad patrem Ardeamque ad virum mittit, ut cum singulis fidelibus amicis veniant; ita facto maturatoque opus esse; rem atrocem incidisse. Sp. Lucretius cum P. Valerio Volesi filio, Collatinus cum L. Iunio Bruto venit, cum quo forte Romam rediens ab nuntio uxoris erat conuentus. Lucretiam sedentem maestam in cubiculo inveniunt. Aduentu suorum lacrimae obortae, quaerentique viro “Satin salue?” “Minime” inquit; “quid enim salui est mulieri amissa pudicitia? Vestigia viri alieni, Collatine, in lecto sunt tuo; ceterum corpus est tantum violatum, animus insons; mors testis erit. Sed date dexteras fidemque haud impune adultero fore. Sex. est Tarquinius qui hostis pro hospite priore nocte vi armatus mihi sibique, si vos viri estis, pestiferum hinc abstulit gaudium”. Dant ordine omnes fidem; consolantur aegram animi avertendo noxam ab coacta in auctorem delicti: mentem peccare, non corpus, et unde consilium afuerit culpam abesse. “Vos” inquit “uideritis quid illi debeatur: ego me etsi peccato absoluo, supplicio non libero; nec ulla deinde impudica Lucretiae exemplo uiuet”. Cultrum, quem sub ueste abditum habebat, eum in corde defigit, prolapsaque in volnus moribunda cecidit. Conclamat vir paterque.



Alcuni giorni dopo, Sesto Tarquinio, all’insaputa di Collatino, si recò nuovamente a Collazia con un solo compagno d’armi. Lì fu accolto con tutti gli onori che si devono agli ospiti di riguardo, in quanto nessuno neanche poteva sospettare dei suoi piani. Dopo la cena fu sistemato per la notte nella camera degli ospiti. Infuocato dalla passione, quando comprese che la casa era ormai sprofondata nel sonno, brandendo la spada si recò nella camera di Lucrezia che stava dormendo e, puntandole il gladio nel petto, la immobilizzò con la mano sinistra. Il buio li avvolgeva, al fremito della donna, che cercava di liberarsi, la minacciò di morte e le intimò di non fare voce. Tra minacce e suppliche le confessava la sua passione nel tentativo di far cedere l’animo della donna. Ma Lucrezia resisteva, era irremovibile anche di fronte alla lama premuta sul seno; neanche la morte la persuadeva a cedere. Così Tarquinio volle aggiungere all’intimidazione la minaccia del disonore: le disse che allora l’avrebbe uccisa e poi violentata, mettendole, infine, il corpo di uno schiavo nudo e sgozzato nel letto, in modo che si dicesse che era stata uccisa per l’esser stata colta nel degrado del più basso degli adulterii. Con quest’ultima spaventosa minaccia, la libidine di Tarquinio ebbe la meglio sull’ostinata castità di Lucrezia. Fiero d’aver violato l’onore specchiato della donna, Tarquinio ritornò al campo. Lucrezia, affranta, non si perse tuttavia d’animo e compì tempestivamente il suo inevitabile destino, convocando il famigerato tribunale: mandava un messaggero al padre a Roma e uno al marito al campo ad Ardea, pregandoli di venire da lei, ciascuno con un amico fidato. Arrivarono così Spurio Lucrezio con Publio Valerio, figlio di Voleso, e Collatino con Lucio Giunio Bruto. La trovarono seduta nella sua stanza, immersa in una profonda tristezza. Alla vista dei congiunti, Lucrezia scoppiò in un pianto disperato. Al marito, che le chiedeva lumi, confessò di aver perso con violenza l’onore nel suo stesso letto. Solo il mio corpo, non il mio cuore è stato violato, disse la donna al marito: ma l’unica prova di questa fedeltà, che andava oltre il corpo, irrimediabilmente disonorato, poteva essere il darsi la morte per allontanare da entrambe le famiglie il marchio di quell’ignominiosa infamia. Di giurargli soltanto una cosa – chiedeva – rivelando il nome di Sesto Tarquinio, che quell’adulterio non restasse impunito: fate – diceva – che questo rapporto non sia fatale solo a me. Poi, mentre i presenti giuravano e cercavano di consolarla, adducendo che la colpa di quell’atto doveva ricadere sull’autore della violenza e non su di lei, che ne era stata la vittima, giacché in colpa può essere solo la mente e mai il corpo, ella replicava che la colpa nulla importava nell’adulterio e che, pur assolvendosi da questa, la pena comunque le spettava. Estraeva allora un coltello dalla veste, tra le cui pieghe l’aveva nascosto, e lo piantava nel cuore, piegandosi a terra, esanime, ai piedi del padre e del marito, che le gridavano di fermarsi.

Il discorso che qui preme svolgere in una prospettiva – provocatoria – di comparazione diacronica è quello sulle forme incompiute della repressione della violenza sessuale su donne, in questo caso sposate, nel contesto della giurisdizione familiare di fronte al consilium domesticum.

Intanto la prima constatazione è evidente: la fattispecie non esiste come autonomamente rilevante ed è repressa nell’alveo dell’adulterio; sarebbe repressa, invece, nell’ambito dello stuprum, se la donna non fosse stata coniugata15.

Tutto ciò conduce a isolare tre circostanze che implicano un’unica spaventosa conseguenza giuridica:

– la prima circostanza, che nell’adulterio, venendo l’attentato alla pudicizia imputato publica voce all’intera famiglia, date le caratteristiche per natura occulte della fattispecie, finisca per configurarsi, come probatio diabolica quella relativa all’assenza di culpa in capo al soggetto passivo del rapporto16;

– la seconda, che, almeno nelle tenebre dell’epoca arcaica, il disvalore della condotta del violentatore, indipendentemente dall’effettiva volontà della donna, contamini, per così dire, il corpo della vittima, attraverso la mera perpetrazione dell’atto carnale17;

– la terza, che, integrando la fattispecie una violazione dei mores, prima di tutto, di quelli familiari-gentilizi, poi, di quelli tra questi, accolti e recepiti dalla Civitas18, l’atto sessuale corrompa, in primo luogo, il rapporto con la sfera familiare del divino, secondariamente e per portato, che, anche, rischi di incidere negativamente sul legame tra la comunità, in cui quel gruppo familiare è integrato, e le sue divinità protettrici, con l’implicita conseguenza che, di norma, solo la purgazione della pollutio19, tramite il sacrificio del colpevole, possa ripristinare lo stato ante-acta;

– l’inevitabile conseguenza, che l’adulterio si configuri come fatto imputabile oggettivamente e che l’unica possibile sanzione in ambito familiare consista nell’esercizio dello ius necandi.

Questo doveva essere, in sintesi, il panorama giuridico che si parava di fronte alla povera Lucrezia, quando ella, in un moto indomito d’orgoglio, inviava al marito e al padre i propri messaggeri per la riunione formale del consilium domesticum.

Alea iacta est: il silenzio non era un’opzione per Lucrezia, il suo destino era segnato, ma le rimaneva la libertà di decidere come uscire di scena, come essere ricordata.



3. Conclusione. Lucrezia eroina della narrazione liviana: tra accettazione e superamento di un sistema valoriale



Lucrezia non resta muta di fronte allo spregevole abuso arrecatogli. Convoca i patres: il suo d’origine e il marito, i loro amici più fedeli, sulla sua pelle decide di denunciare, colui che, figlio di Re, la notte innanzi l’aveva violentata.

Anche davanti alla prospettiva dell’estremo sacrificio, che già non l’aveva scalfita quando Sesto, nel suo talamo nuziale, le aveva premuto la lama della sua spada in grembo, non arretrava: non avrebbe rinunciato al suo onore, né, soprattutto, alla degna punizione del colpevole di quell’atto, per far salva la propria vita20.

Nonostante Lucrezia sia consapevole del mondo e del sistema valoriale che la circonda, non sente mai d’aver ceduto, non si attribuisce alcuna colpa; pur conscia che la pubblica opinione considera il suo corpo ormai veicolo della corruzione familiare, convoca il consilium; davanti ad esso pronuncia il nome del principe che l’ha stuprata, poi si uccide. La finalità del suo gesto è chiara: intende, così, allontanare dal marito e dal padre che ama l’onta del giudizio di riprovazione di una società in cui non c’è spazio, ancora, per la considerazione della volontà di una donna21. Non si illude che quelle loro parole di conforto (consolantur aegram animi avertendo noxam ab coacta in auctorem delicti…), straordinariamente illuminate, rispecchino, fuori dalle amene mura di quella casa, il sentimento della società del suo tempo.

Sarà, lo dice lei stessa, esempio nei tempi a seguire per le donne che verranno. Il suo cuore è puro e in nome di quella purezza si toglie di sua mano la vita, ma prima – aspetto fondamentale – ha rinunciato a nascondere nel suo intimo quello sfregio, perché vuole, sopra ogni cosa, che il vero colpevole venga punito e pure brama, con quel gesto, di scindere la sua morte da quella del suo aguzzino. Morirà – è di nuovo lei stessa a dirlo – per l’amore che porta verso se stessa e verso Collatino.

Rammentare al lettore di questo aneddoto, dopo che già molte volte è stato raccontato in passato, ha senso, ancora una volta, nell’auspicio che il Suo ricordo o, comunque, il ricordo di questa leggenda non venga di nuovo piegato, negli eterni ritorni della storia, dalla torpida riproposizione della tradizione agostiniana di questi fatti, per cui, al fine d’esaltare la strenua resistenza delle donne cristiane violentate dai Goti di Alarico, il sacrificio di Lucrezia veniva reinterpretato come tardiva presa di coscienza d’aver non solo accettato, ma forse anche voluto, nella contingenza di quella notte, l’atto sessuale con Tarquinio22. E, del resto, neppure la più illustre tradizione novecentesca di studi romanistici, è stata immune da questo approccio, se è vero che Antonio Guarino, era il 1959, scriveva sulle pagine di Labeo: “In tutte le narrazioni… ricorre un dato… Sesto Tarquinio, chino sulla donna svegliata di soprassalto, le parlò dolcemente, la pregò con insistenza, la minacciò, sia pure. Sarebbe stato tanto e poi tanto ‘pulchrum’, in una narrazione integralmente fantasiosa, se Lucrezia (quella Lucrezia che il giorno dopo, malgrado le invocazioni dei suoi, ‘stoicamente’, come par voglia farci capir Livio, si uccise) avesse resistito al seduttore, facendosi pur da lui trucidare. E invece Lucrezia cedette a Sesto, si rilassò. Perché? Ma perché era di notte, l’ora della debolezza; perché Lucrezia era stata presa nel sonno; perché Sesto, arso di passione, non le dava, con soffocante insistenza, il modo di ricomporre i sensi, i pensieri, la volontà. In condizioni diverse, perfettamente sveglia e padrona di sé, Lucrezia non avrebbe ceduto alle lusinghe e alle minacce di Sesto, avrebbe riso di esse, avrebbe chiamato aiuto; nella situazione esposta da Livio e dagli altri storici lo avrebbe egualmente potuto fare, ma solo se fosse stata” davvero “un’eroina. Dato che, invece, essa ci viene presentata proprio per una donna, una debole donna colta nel sonno, tanto diversa dall’eroica (ma innaturale) Lucrezia del giorno dopo, è giocoforza credere, oltre che alla umana verità della sua sottomissione, alla effettiva realtà di tutto l’episodio… perché, se fosse stato inventato, Lucrezia non si sarebbe comportata da donna…”23.

Al di là della oggi irricevibile nota finale del grande romanista (“è giocoforza – da donna”), che si può, forse, in bonam partem, addebitare alle miserie di tempi fortunatamente lontani, ma che, in ogni caso, troppo spesso si indulge a credere ben più risalenti rispetto alla datazione effettiva di queste pagine, la posizione dell’Autore è chiara ed è la medesima riflessa in Sant’Agostino: Lucrezia è colpevole di aver ceduto, forse stordita dal sonno, nonostante le minacce, nonostante la violenza perpetrata armis; per questo, pentitasi, il giorno seguente si sarebbe tolta la vita davanti al consilium da lei stessa convocato.

La “realtà” tratteggiata da Livio è ben diversa.

Non si assolve, certo, Lucrezia nel senso cristiano (…ego me etsi peccato absoluo…), che consegue al pentimento per un peccato effettivamente commesso; si assolve, invece, nella narrazione liviana, in una direzione diametralmente opposta, dal peccato e dal crimine, che sullo stesso è modellato, in quanto né l’uno né l’altro potrebbero sussistere, poiché – e qui Livio viene magistralmente incontro alla propria eroina – …mentem peccare, non corpus, et unde consilium afuerit culpam abesse: non c’era stata la sua volontà; quanto al suo corpo le era stato strappato con la spada; e il suo sacrificio fu un tributo d’amore all’onore di Collatino.

NOTE

1 Sulla ricezione del personaggio nel tempo-storico della storiografia romana con quattro secoli di ritardo rispetto al presunto svolgersi degli eventi, cfr. R. MOROSINI, Lucrezia: eroina o no. Considerazioni in margine a due recenti studi sulla “onestade”, in Intersezioni, 37.2, 2017, 249 ss. Sulla fortuna del personaggio, attraverso i secoli, nella letteratura, cfr. A. BORGO, Lucrezia. Riflessioni sulla storia di un personaggio letterario, in Bollettino di studi latini, 41, 2011, 43 ss.

2 La lettura è, come si diceva, amplissima in tema e nelle conclusioni parzialmente discordante. L’istituto esiste, non c’è possibilità di negarlo, se non negando l’affidabilità di un cospicuo novero di fonti inequivoche al riguardo; il dibattito verte prevalentemente sulle forme e le competenze, più o meno tecni- che, più o meno vaste, a volte sussidiarie di questo consesso. P. BONFANTE, Corso di diritto romano. I. Diritto di famiglia, Milano, 1925, 74 ss.; E. VOLTERRA, Il preteso tribunale domestico in diritto romano, in RISG, VIII, 1948, 103 ss., ora in Scritti giuridici, II, Napoli, 1991, 127 ss.; A. GUARINO, Il “dossier” di Lucrezia, in Labeo, V, 1959, 211 ss.; W. KUNKEL, Das Konsilium im Hausgericht, in ZSS, 83, 1966, 218 ss.; R.A. BAUMAN, Family Law and Roman Politics, in Sodalitas, Scritti in onore di Antonio Guarino, III, Napoli, 1984, 1283 ss.; A. RUGGIERO, Nuove riflessioni in tema di tribunale domestico, ibidem, IV, 1593 ss.; G. LOBRANO, ‘Pater et filius eadem persona’. Per lo studio della ‘patria potestas’, I, Milano, 1984, 117 ss.; A. BURDESE, Rec. a G. LOBRANO, ‘Pater et filius eadem persona’, cit., in SDHI, 51, 1985, 534 ss., ora in Recensioni e commenti. Sessant’anni di letture romanistiche, I, Padova, 2009, 513 ss.; E. CANTARELLA, I supplizi capitali. Origine e funzioni delle pene di morte in Grecia e a Roma, Milano, 2005, 171 ss.; C. FAYER, La familia romana. III. Concubi- nato Divorzio Adulterio, Roma, 2005, 195 ss.; F. BEER, In tema di ‘iudicium dome- sticum’, tra ‘ familia’ romana e moderne forme di collegialità domestica, in AUSM, X, 2008, 295 ss.; M.J. BRAVO BOSCH, El ‘iudicium domesticum’, in RGDR, XVII, 2011, 88 ss.; EAD., El tribunal familiar en Derecho Romano, in Anuario de la Facultad de Derecho de Ourense, I, 2011, 15 ss.; T.J. CHIUSI, La fama nell’ordinamento romano. I casi di Afrania e di Lucrezia, in Storia delle donne, 6-7, 2010-2011, 89 ss.; N. DONADIO, ‘Iudicium domesticum’, riprovazione sociale e persecuzione pubblica di reati commessi da sottoposti alla ‘patria potestas’, in Index, 40, 2012, 175 ss. e A. RAMON, Repressione domestica e persecuzione cittadina degli illeciti commessi da donne e ‘filii familias’, in Il giudice privato nel processo civile romano. Omaggio ad Alberto Burdese, a cura di L. GAROFALO, III, Padova, 2015, 617 ss.

3 Sulla casistica completa, di recente, A. RAMON, Repressione domestica e perse- cuzione cittadina, cit., 619 ss. Con particolare riferimento alla repressione dell’adulterio, cfr. C. FAYER, La familia romana. III, cit., 195 ss.

4 Sulla patria potestas, esemplarmente, cfr. J. CROOK, Patria potestas, in CQ, ns. 17, 1967, 1, 113 ss.; L. CAPOGROSSI COLOGNESI, s.v. Patria potestas, in ED, XII, Milano, 1982, 242 ss.; R. SALLER, Patria potestas and the stereotype of the Roman family, in Continuity and Chage, I, 1986, 7 ss.; ID., I rapporti di parentela e l’organizzazione familiare, in Storia di Roma, a cura di A. GIARDINA, A. SCHIAVONE, Torino, 1999, 844 ss.; L. CAPOGROSSI COLOGNESI, La famiglia romana, la sua storia e la sua storiografia, in Itinera. Pagine scelte di L. Capogrossi Colognesi, Lecce, 2017, 176 ss.; V. SCARANO USSANI, Padri, Padroni, Patroni. Identità romana e diritto delle perso- ne, della famiglia e delle successioni mortis causa fra l’epoca arcaica e l’età di Adriano, Roma, 2017, 40 ss., 101 ss. e G. RIZZELLI, La potestas paterna fra leges, mores e natura, in Anatomie della paternità. Padri e famiglia nella cultura romana, a cura di

F. LAMBERTI, Lecce, 2019, 89 ss.

5 Per alcuni studiosi la convocazione del consilium nell’esercizio della giuri- sdizione domestica era obbligatoria: P. BONFANTE, Corso di diritto romano. I, cit., 98; W. KUNKEL, Das Konsilium im Hausgericht, cit., 219 ss.; A. RUGGIERO, Nuove riflessioni in tema di tribunale domestico, cit., 1593 ss.; per E. VOLTERRA, Il preteso tribunale domestico in diritto romano, cit., 103 ss., al contrario, assolutamente fa- coltativa. Con la conseguenza, a maggior ragione, che l’eventuale parere prestato da questo organo dovrebbe intendersi comunque mai vincolante. Da ultimo, ha creduto doversi distinguere tra casi di violazioni in flagrante, per cui non sarebbe stata necessaria al pater familias la convocazione dei parenti prima di procede- re alla sanzione, e fattispecie soggette ad accertamento di fronte al consilium: M. HERRERO MEDINA, La muerte de Lucrecia: una decisión de índole familiar, in Anuario de Facultade de Dereito de Universdade da Coruña, 25, 2021, 65 ss., in precedenza, nello stesso senso, e più in breve: C. FAYER, La familia romana. III, cit., 199 s. e R. ASTOLFI, Il matrimonio nel diritto romano preclassico2, Padova, 2002, 145, nt. 88.

6 Sulla concorrenza tra questa prerogativa e quella di repressione criminale statuale: A. RAMON, Repressione domestica e persecuzione cittadina, cit., 676; contra

C. RUSSO RUGGERI, Iudicium domesticum e iudicium publicum in Cic. de fin. 1,7,24, in

SDHI, 75, 2009, 515 ss., la quale sostiene che non sarebbe stato possibile alcun concorso tra le due giurisdizioni per la circostanza che l’intervento del tribunale domestico avrebbe avuto luogo soltanto in relazione ai fatti per i quali non fosse prevista la repressione pubblica; contra, in altra direzione, N. DONADIO, ‘Iudicium domesticum’, cit., 194 s., secondo la quale, con l’eccezione dell’età arcaica, in cui per altro l’episodio qui in commento si situa, il tribunale domestico sarebbe intervenuto, in anticipo rispetto alla Civitas, per purgare con il giudizio del pater il disvalore di fatti commessi da sottoposti, che avrebbero potuto travolgere la reputazione dell’intero nucleo familiare.

7 Cfr. A. BURDESE, Rec. a G. LOBRANO, ‘Pater et filius eadem persona’, cit., 520 e

A. RAMON, Repressione domestica e persecuzione cittadina, cit., 618.

8 Cfr. G. VALDITARA, Civis Romanus Sum, Torino, 2018, 17 ss., sui corollari di questo sistema rispetto alla posizione giuridica della donna: L. PEPPE, Civis Romana. Forme giuridiche e modelli sociali dell’appartenenza e dell’identità femminile in Roma antica, Lecce, 2016, 59 ss., 173 ss.

9 Cfr. F. CENERINI, La donna romana. Modelli e realtà, Bologna, 2002, 11 ss., 29 ss. ed E. CANTARELLA, L’ambiguo malanno. Condizione e immagine della donna nell’antichità greca e romana10, Milano, 2020, 167 ss.

10 Già mi sono intrattenuto su questa mentalità in A. GRILLONE, A margine di Cass. pen., Sez. III, ord., 24 gennaio 2020, n. 2888: brevi note sull’abuso di autorità dell’insegnante privato in prospettiva storica, in questa Rivista, IV.2, 2020, 129 s., nt. 24, e per questo rimando alla bibliografia in tal luogo citata.

11 Cfr. E. CANTARELLA, Dammi mille baci. Veri uomini e vere donne nell’antica Roma, Milano, 2009, 19 s.

12 G. RIZZELLI, Adulterium. Immagini, etica, diritto, in RDR, VIII, 2008, 3.

13 Cfr. F. CENERINI, La donna romana, cit., 18; E. CANTARELLA, L’ambiguo malanno, cit., 180 ss. e E. BAEZA-ANGULO, La matrona ideal en las letras romanas: la soledad domestica, in Ianua Classicorum. Temas y formas del Mundo Clásico, Madrid, 2015, 359 ss.

14 Su questa presumibile consonanza valoriale dovuta all’opera di restaura- zione augustea dei costumi, cfr., tra gli altri, C. DE CRISTOFARO, Riflessioni in tema di rilevanza giuridica del legame omosessuale nell’antica Roma, in Il corpo in Roma Antica. Ricerche giuridiche, II, a cura di L. GAROFALO, Pisa, 2017, 160 ss.

15 Correttamente si veda T.J. CHIUSI, La fama nell’ordinamento romano, cit., 102 ss.; con alcune oscillazioni terminologiche forse dovute alla supposta non perfetta tipizzazione delle due fattispecie criminose in questa epoca, A. RAMON, Repressione domestica e persecuzione cittadina, cit., 650 s. L’autore, in ogni caso, è premuto in questa direzione dalla promiscuità terminologica delle fonti: è bene ricordarlo, non giuridiche. Infatti Livio, senza a mio avviso voler qualificare giuridicamente la fattispecie, afferma: Tarquinium mala libido Lucretiae per vim stuprandae capit… e una fonte concorrente, Valerio Massimo, 6.1.1: Dux Romanae pudicitiae Lucretia, cuius virilis animus maligno errore fortunae muliebre corpus sortitus est, a Sex. Tarquinio regis Superbi filio per vim stuprum pati coacta, cum gravissimis verbis iniuriam suam in concilio necessariorum deplorasset, ferro se, quod veste tectum adtulerat, interemit causamque tam animoso interitu imperium consulare pro regio permutandi populo Romano praebuit. Sulla nozione di violenza sessuale-stupro nella contemporaneità giuridica, in rapporto alla delimitazione perimetrale di significato del latino lemma stuprum: cfr. G. RIZZELLI, La violenza sessuale su donne nell’esperienza di Roma Antica. Note per una storia degli stereotipi, in El Cisne II. Violencia, proceso y discurso sobre genero, a cura di E. HOEBENREICH,

V. KUEHNE, F. LAMBERTI, Lecce, 2012, 295 S.

16 Cfr, C. FAYER, La familia romana. III, cit., 201 ss.; S. FREUD, Pudicitia saltem in tuto sit. Lucretia, Virginia und die Konstruktion eines Wertbegriffs bei Livius, in Hermes, 136, 2008, 317 e G. RIZZELLI, Adulterium, cit., 1 s.

17 Si trattava della perpetrazione di un atto oggettivamente contrario ai mo- res: cfr. A. GUARINO, Il “dossier” di Lucrezia, cit., 217; L. BELTRAMI, Il sangue degli antenati. Stirpe, adulterio e figli senza padre nella cultura romana, Bari, 1998, 57 ss., per cui il rapporto carnale comunque compiuto con un altro uomo contamina la riproduzione del sangue del marito; nello stesso senso, più in breve, C. FAYER, La familia romana. III, cit., 201, per la quale la ratio della credenza è correlata all’eventuale incertezza della discendenza successivamente partorita dalla don- na; di recente, anche M.J. BRAVO BOSCH, El ‘iudicium domesticum’, cit., 88 s., 97;

A. RAMON, Repressione domestica e persecuzione cittadina degli illeciti commessi da donne e ‘filii familias’, cit., 651, nt. 78 e, da ultimo, M. HERRERO MEDINA, La muerte de Lucrecia, cit., 63.

18 G. RIZZELLI, Adulterium, cit., 4 s., nt. 5 e A. RAMON, Repressione domestica e persecuzione cittadina, cit., 651.

19 Cfr. J.J. LENNON, Pollution and Religion in Ancient Rome, Cambridge, 2014, 49 ss. e, più in sintesi, da ultimo, M. HERRERO MEDINA, La muerte de Lucrecia, cit., 63, nt. 47.

20 L’onore, la sua integrità, beni immateriali, prevalgono sulla vita stessa e Lucrezia, modernamente, intende perseguirne la tutela attraverso un’aperta de- nuncia: R. MOROSINI, Lucrezia: eroina o no, cit., 252. La vicenda di Lucrezia non a caso è intrecciata con il sorgere della libertas repubblicana Ibidem, 253. Libertà sessuale e libertà politica, dunque, un incrocio che si ripeterà molte volte nella storia fino ai giorni nostri.

21 T.J. CHIUSI, La fama nell’ordinamento romano, cit., 103 s.

22 AGUSTINUS HIPPONENSIS, De civitate Dei, 1.19. Per un’analisi della posizione generale di Sant’Agostino sul tema della violenza sulle donne, cfr. G. RIZZELLI, La violenza sessuale su donne, cit., 305 s. Ma si veda anche R. MOROSINI, Lucrezia: eroina o no, cit., 255, sulle malcelate finalità della lettura agostiniana.

23 A. GUARINO, Il “dossier” di Lucrezia, cit., 215 s. Tra l’altro, nel caso di Lucrezia, a meno di non trascurare anche la descrizione dei suoi tratti caratteristici virtuo- si, neppure un Romano avrebbe valutato come legittima la pressione, fosse stata anche solo psicologica, di Sesto Tarquinio, se è vero quanto recentemente ha evidenziato, G. RIZZELLI, La violenza sessuale su donne, cit., 298: “l’insistenza maschile risulterebbe, pertanto, una conseguenza in pratica inevitabile del mancato rispetto da parte della donna del codice culturale che prescrive le condotte da tenere”.