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L’Assegno unico universale tra luci e ombre

autore: V. Filì

SOMMARIO: 1. Uno scopo molto ambizioso. - 2. Il campo di applicazione della misura. - 3. I criteri di calcolo dell’importo. - 4. I diritti sociali al tempo della digitalizzazione. - 5. Neutralità, compatibilità e abrogazioni. - 6. Alcune considerazioni conclusive (e critiche).



1. Uno scopo molto ambizioso



La legge delega 1° aprile 2021, n. 46, ha affidato al Governo il compito di emanare uno o più decreti legislativi volti a riordinare, semplificare e potenziare, anche in via progressiva, le misure a sostegno dei figli a carico attraverso l’”assegno unico e universale” quale “beneficio economico attribuito progressivamente a tutti i nuclei familiari con figli a carico nell’ambito delle risorse disponibili” fondato “sul principio universalistico” con lo scopo di “favorire la natalità, di sostenere la genitorialità e di promuovere l’occupazione, in particolare femminile”.

Si tratta di obiettivi molto ambiziosi, visto che l’Italia ha un tasso di natalità tra i più bassi al mondo1, un tasso di fecondità delle donne ai minimi storici (nel 2020 sono nati 1,17 figli per donna italiana, che diventano 1,24 considerando anche le straniere residenti, con una età media delle madri che al primo figlio è di 31,4 anni)2 e un tasso di occupazione femminile sempre molto modesto, specie se rapportato a quello maschile3.

La delega è stata attuata con il d.lgs. 29 dicembre 2021, n. 230, che, a decorrere dal 1° marzo 2022, ha istituito l’assegno unico e universale per i figli a carico, contemporaneamente abrogando tutte le altre misure previdenziali e assistenziali esistenti dirette al sostegno dei figli e della natalità, a partire dall’assegno per il nucleo famigliare e dalle diverse tipologie di “bonus bebè” (v. infra § 5). L’assegno unico universale è riconducibile alla categoria delle prestazioni di natura assistenziale (art. 38, comma 1, Cost.) in quanto potenzialmente diretta a tutti i nuclei familiari, prescindendosi dall’esistenza di un rapporto di lavoro in capo al beneficiario4.

L’espressa vocazione all’universalità, sin dalla denominazione, fa comprendere immediatamente l’ambizione che ha animato il legislatore, cioè quello di istituire uno strumento di sicurezza sociale destinato alla maggior parte delle famiglie con figli residenti nel territorio italiano, seppur modulato in relazione a parametri riconducibili sia al “legame” con l’Italia dell’istante (v. infra) sia alla condizione economica del nucleo, secondo criteri di progressività tanto verso il basso quanto verso l’alto (come vedremo, l’assegno diminuisce all’aumentare del reddito del nucleo familiare e si incrementa nel caso di un numero di figli maggiore di due ovvero di figli con disabilità, amplius infra).

Il dubbio che sorge immediatamente – e che si cercherà di sciogliere cammin facendo – è se questo strumento basti, da solo, a raggiungere gli obiettivi prefissati oppure se questi siano irraggiungibili per il tramite esclusivamente dell’assegno unico universale, salvo a non intervenire con altre misure riconducibili sia alle politiche per la famiglia sia a quelle per il lavoro. Se così fosse, l’assegno potrebbe essere considerato più una misura di contrasto alla povertà che di sostegno alla natalità, alla genitorialità e all’occupazione femminile, in tal modo reiterandosi per i subordinati la caratteristica “di salario previdenziale”, propria del soppresso assegno per il nucleo familiare (v. infra), e per i privi di occupazione una sorta di integrazione del reddito di cittadinanza.



2. Il campo di applicazione della misura



Il primo profilo da esaminare concerne l’an, cioè i requisiti che devono essere posseduti dal richiedente e mantenuti per tutta la durata della prestazione.

In ossequio alla sua vocazione universalistica, la misura è diretta a tutti coloro che esercitano la responsabilità genitoriale a prescindere dalla condizione lavorativa, ma è stata declinata in modo tale da essere, comunque, selettiva, essendo richiesti requisiti specifici che devono essere posseduti al momento di presentazione della domanda e mantenuti per tutta la durata del beneficio. Innanzi tutto, si esige, sin dalla legge delega5, la prova della condizione economica del nucleo familiare dell’istante – al fine della successiva modulazione degli importi erogati una volta riconosciuto l’assegno – che va fornita utilizzando l’indicatore della situazione economica equivalente (in breve ISEE)6.

Da segnalare la previsione che “in assenza di ISEE il nucleo di riferimento è accertato sulla base dei dati autodichiarati in domanda, ai sensi dell’articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445”7. Si tratta evidentemente di una ipotesi residuale (già criticata in alcuni primi commenti8) che però consente l’accesso alla misura da parte di quei soggetti che non riescono a richiedere ed ottenere l’ISEE in tempo utile ovvero che, a causa delle loro condizioni di deprivazione materiale, sociale e culturale, non richiederanno mai una tale certificazione9. In ogni caso, come si intuisce leggendo la circolare, i dati dichiarati nella domanda di assegno unico saranno sostanzialmente quelli necessari per la richiesta dell’ISEE e autocertificati ai sensi dell’art. 46, d.P.R. n. 445/200010.

Si pensi ad alcune situazioni di estremo disagio economico e sociale in cui, a seguito di una separazione di fatto, spesso necessitata da episodi di violenza domestica in danno della donna o dei figli, proprio alle parti più vulnerabili viene negato l’accesso alle prestazioni sociali agevolate a causa della impossibilità di ottenere in tempi rapidi un ISEE autonomo rispetto a quello del partner violento, appartenendo ancora tutti – sino alla emanazione di un provvedimento ad hoc dell’autorità giudiziaria o della pubblica autorità competente in materia di servizi sociali11 – alla medesima “famiglia anagrafica” ai sensi del d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223, e quindi al medesimo “nucleo familiare” ai fini dell’ISEE. La difficoltà generalizzata di ottenere rapidamente l’ISEE si è poi manifestata tra febbraio e maggio 2020, durante il periodo del lockdown dovuto allo scoppio della pandemia di Covid-19, con strascichi successivi a causa delle numerose chiusure, delle quarantene, degli isolamenti fiduciari e del lavoro agile (c.d. smart working) emergenziale a cui sono stati costretti moltissimi lavoratori e lavoratrici, con ridotta o ridottissima apertura degli uffici per i servizi di sportello rivolti ai cittadini.

Tornando ai requisiti, il beneficio spetta12 a coloro che esercitano la responsabilità genitoriale – come detto a prescindere dalla condizione lavorativa – per ogni figlio a carico, min renne e maggiorenne fino al compimento del ventunesimo anno di età.

Nel caso di genitori separati “il principio regolatore generale è che l’Assegno unico e universale è erogato in pari misura tra coloro che esercitano la responsabilità genitoriale ovvero hanno l’affidamento condiviso dei figli. Tuttavia, i genitori possono stabilire che il contributo venga interamente erogato solo a uno dei due, attestando in procedura l’accordo tra le parti. Ad eccezione alla regola generale di cui sopra, l’assegno viene sempre erogato interamente a un solo genitore se da un provvedimento del giudice o da un accordo scritto tra le parti risulta che quel genitore ha l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale ovvero l’affidamento esclusivo. L’assegno viene altresì sempre erogato a un solo genitore se il giudice, nel provvedimento che disciplina la separazione di fatto, legale o il divorzio dei genitori, ha disposto che dei contributi pubblici usufruisca uno solo dei genitori”13.

L’INPS ha chiarito che l’assegno può essere chiesto dai nonni per i nipoti unicamente in presenza di un formale provvedimento di affido o in ipotesi di collocamento o accasamento etero familiare14. I figli maggiorenni possono presentare domanda in sostituzione dei genitori e richiedere la corresponsione diretta della quota di assegno loro spettante.

L’espressione “figli a carico” comprende quelli facenti parte del nucleo familiare indicato ai fini ISEE con una diversa considerazione a seconda che siano minorenni, maggiorenni o disabili15. Con riferimento ai neonati il beneficio è retroattivo, decorrendo la misura dal 7 mese di gravidanza. Se si tratta di maggiorenni, il d.lgs. n. 230/2021 li include “fino al compimento dei 21 anni di età”, cioè sino a 20 anni e 364 giorni.

Per i maggiorenni, però, oltre al requisito anagrafico si aggiunge un ulteriore requisito (condizione necessaria) anche per evitare l’effetto boomerang di trasformare tale misura in disincentivo verso la ricerca di una nuova occupazione, favorendosi comportamenti tendenzialmente parassitari che il Paese non può permettersi, specie alla luce dei dati sui NEET rilevati dall’ISTAT, in aumento nel 2020 dopo anni di decrescita16.

Sul punto la stessa l. n. 46/2021 tra i principi e criteri direttivi indica la necessità di tenere “conto dell’età dei figli a carico e dei possibili effetti di disincentivo al lavoro per il secondo percettore di reddito nel nucleo familiare”17.

Perché possano rientrare nel campo di applicazione della misura, i maggiorenni “under 21” devono essere impegnati in percorsi di istruzione e formazione (scuola o corso professionale o corso di laurea) oppure svolgere un tirocinio18 o un’attività lavorativa, anche con contratto di apprendistato19, e percepire un reddito complessivo inferiore a 8.000 euro annui, che sostanzialmente corrisponde alla “no tax area” per i lavoratori subordinati (anche se la legge di bilancio per il 2022 ha innalzato la “no tax area” fino a 8174 euro annui20), oppure avere acquisito lo stato di disoccupazione (e quindi avere effettuato la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro ai sensi dell’art. 19, d.lgs. n. 150/2015) o, infine, svolgere il servizio civile universale.

Per i figli con disabilità, a carico, non sussistono limiti di età; ovviamente, come sempre avviene, tale condizione deve essere comprovata tramite la Commissione medica per l’accertamento dell’handicap e della disabilità costituita presso l’INPS21.

Il decreto prevede che il beneficiario debba essere in possesso di determinati requisiti al momento della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio. Tali requisiti riguardano la cittadinanza, la residenza e il soggiorno.

Con riferimento al primo, ha diritto chi è “cittadino italiano o di uno Stato membro dell’Unione europea, o suo familiare, titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ovvero sia cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo o sia titolare di permesso unico di lavoro autorizzato a svolgere un’attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi o sia titolare di permesso di soggiorno per motivi di ricerca autorizzato a soggiornare in Italia per un periodo superiore a sei mesi”22.

La circ. INPS n. 23/2022 cit. chiarisce che, tenuto conto di quanto previsto della dir. 2011/98/UE, attuata con il d.lgs. n. 40/2014, e dal d.lgs. n. 286/1998, c.d. Testo Unico sull’immigrazione, sono inclusi tra i soggetti potenziali beneficiari della misura: a) gli stranieri apolidi, rifugiati politici o titolari di protezione internazionale equiparati ai cittadini italiani23;

b) agli stranieri titolari di “Carta blu UE”, cioè i “lavoratori altamente qualificati” il cui ingresso e soggiorno, per periodi superiori a tre mesi sono consentiti al di fuori delle quote24;

c) ai lavoratori cittadini del Marocco, Algeria e Tunisia per i quali gli accordi euromediterranei tra l’Unione Europea e tali Paesi prevedono il generale diritto alla parità di trattamento con i cittadini europei; d) ai lavoratori autonomi titolari di permesso di cui all’art. 26, d.lgs. n. 286/1998.

Con riferimento ai “familiari” di cittadini dell’Unione europea che possono richiedere l’assegno unico, sempre la citata circolare dell’INPS chiarisce che essi devono essere titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente ovvero titolari di carta di soggiorno o carta di soggiorno permanente. Sono, inoltre, inclusi anche i familiari extra UE di cittadini stranieri che siano titolari di un permesso di soggiorno per ricongiungimento al familiare.

La platea di potenziali richiedenti è quindi davvero molto ampia sebbene vi siano altri requisiti da soddisfare.

Il richiedente deve essere soggetto al pagamento dell’imposta sul reddito in Italia, requisito che, come chiarisce l’INPS nella circolare n. 23, va inteso “con riferimento a un’imposta dovuta al lordo degli oneri deducibili (ai sensi dell’art. 10 del TUIR) e delle detrazioni di cui agli articoli 11, 12 e 13 del medesimo TUIR e verificata anche nei casi di esclusione o esenzione dal pagamento dell’imposta previsti dall’ordinamento”. Questo significa che anche coloro che si collocano nella “no tax area” possono accedere alla prestazione, inclusione davvero molto importante visto che in passato proprio i più poveri, c.d. incapienti, non beneficiavano di quelle misure di contrasto contro la povertà veicolate tramite la leva fiscale, in quanto nei loro confronti non applicabile.

Il soggetto richiedente, inoltre, deve avere residenza e domicilio in Italia al momento della domanda e per tutta la durata della prestazione, sebbene nella circolare dell’INPS si legga che è in corso uno specifico approfondimento in merito alla eventuale applicabilità di accordi bilaterali e multilaterali stipulati dall’Italia in tema di sicurezza sociale e delle regole dettate dal Reg. CE

n. 883/2004 sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale. Ancora, il richiedente deve essere o essere stato residente in Italia per almeno due anni, anche non continuativi, ovvero, in alternativa, essere titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato di durata almeno semestrale. L’alternatività tra la residenza e l’esistenza in atto di un rapporto di lavoro è stata confermata anche dall’INPS.

Questa previsione si pone nel solco tracciato dagli ultimi arresti giurisprudenziali cui ha fatto seguito la novella legislativa di dicembre 2021 operata sul TU dell’immigrazione in merito al requisito della c.d. lungoresidenza richiesto spesso dalle leggi dello Stato o delle Regioni per l’accesso a prestazioni sociali con lo scopo di scremare la platea dei potenziali beneficiari, specie se stranieri.

Infatti, con l. 23 dicembre 2021, n. 238, è stato modificato l’art. 41, d.lgs. n. 286/1998, equiparandosi ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale non più solo “gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno”, come era previsto nella versione originaria, ma anche “gli stranieri titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, i titolari di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno diversi da quelli di cui ai commi 1-bis e 1-ter del presente articolo e i minori stranieri titolari di uno dei permessi di soggiorno di cui all’articolo 31”, nonché “gli stranieri titolari di permesso unico di lavoro e i titolari di permesso di soggiorno per motivi di studio, che svolgono un’attività lavorativa o che l’hanno svolta per un periodo non inferiore a sei mesi e hanno dichiarato la loro immediata disponibilità allo svolgimento della stessa ai sensi dell’articolo 19 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, nonché gli stranieri titolari di permesso di soggiorno per motivi di ricerca”.

Il requisito della lungo-residenza è stato spesso oggetto di contenzioso25, approdato anche davanti alla Corte costituzionale, la quale ha precisato che, entro i limiti consentiti dall’art. 11, dir. 2003/109/CE, relativa allo status di cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, attuata con il d.lgs. n. 3/2007, e nel rispetto dei diritti fondamentali dell’individuo assicurati dalla Costituzione e dalla normativa internazionale, il legislatore può riservare talune prestazioni assistenziali ai soli cittadini e alle persone ad essi equiparate soggiornanti in Italia, il cui status vale di per sé a generare un adeguato nesso tra la partecipazione alla organizzazione politica, economica e sociale della Repubblica e l’erogazione della provvidenza26. Secondo la Consulta, la Costituzione impone di preservare l’uguaglianza nell’accesso all’assistenza sociale tra cittadini italiani e comunitari, da un lato, e cittadini extracomunitari, dall’altro, soltanto con riguardo a servizi e prestazioni che, nella soddisfazione di un “bisogno primario dell’individuo” che non tollera un distinguo correlato al radicamento territoriale, riflettano il godimento dei diritti inviolabili della persona27. In tali casi, infatti, la prestazione non è tanto una componente dell’assistenza sociale (riservato ai cittadini ai sensi dell’art. 38 Cost.) quanto un necessario strumento di garanzia di un diritto inviolabile della persona ai sensi dell’art. 2 Cost. Sicché ove si versi in tema di provvidenza destinata a far fronte al “sostentamento” della persona, qualsiasi discrimine tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato, fondato su requisiti diversi dalle condizioni soggettive, finirebbe per risultare in contrasto anche con il principio sancito dall’art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Al di là del confine rappresentato dai diritti inviolabili, la limitatezza delle risorse disponibili apre la porta alla discrezionalità del legislatore di selezionare la platea dei destinatari delle prestazioni sociali, anche esigendo in capo agli stranieri ulteriori requisiti, non manifestamente irragionevoli, che ne comprovino un inserimento stabile e attivo in Italia, tra i quali un determinato radicamento territoriale.

Nei primi mesi del 2022 la Corte costituzionale si è pronunciata più volte su questioni concernenti l’accessibilità ai diritti sociali da parte dei cittadini di Paesi Terzi. In due casi28, riguardanti rispettivamente il reddito di cittadinanza e il reddito di inclusione, sono state ritenute non fondate le censure di costituzionalità sollevate con riferimento alle parti in cui si escludono i soggetti non titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo in quanto tali prestazioni – secondo una discutibile interpretazione – non si esauriscono in una provvidenza assistenziale volta a soddisfare un bisogno primario dell’individuo, ma perseguono più ampi obiettivi di politica attiva del lavoro e di integrazione sociale. Viceversa, in un caso concernente l’assegno di natalità e quello di maternità e in un altro relativo all’assegno per il nucleo familiare, la Consulta ha dichiarato tali provvidenze rientrare nell’ambito di applicazione del diritto alla parità di trattamento di cui alla dir. 2011/98 UE e all’art. 34 CDFUE, statuendo che la tutela dei valori primari della maternità e dell’infanzia, tra loro inscindibilmente connessi (art. 31 Cost.), non tollera distinzioni arbitrarie e irragionevoli29.

Tornando all’assegno unico, se la tutela della maternità, della genitorialità, e, anzi tutto, della prole, possono essere ricondotti tra i “bisogni primari dell’individuo”, la finalità di aumentare la natalità e l’occupazione femminile, travalicano di certo il confine dei diritti umani fondamentali. Considerando quindi gli obiettivi della misura, non appare irragionevole – seguendo il ragionamento della Consulta di cui si è appena dato conto – la richiesta da parte del d.lgs. n. 230/2021 della “prova” di un radicamento territoriale con l’Italia, sebbene non strettissimo (come, viceversa si richiede per l’accesso al reddito di cittadinanza30).

Ogni ragionamento relativo a questa tematica, anche al fine di comprendere la rilevanza delle scelte politiche in materia, deve però tenere in considerazione i dati reali: l’ISTAT segnala con preoccupazione una diminuzione della propensione alla procreazione anche da parte delle donne straniere, con una diminuzione del loro tasso di fecondità, e che la percentuale di nuovi nati da genitori stranieri è più alta laddove sussiste una migliore integrazione sociale e lavorativa, quindi nelle Regioni del Nord Italia rispetto al Mezzogiorno31.



3. I criteri di calcolo dell’importo



Il beneficio economico viene attribuito su base mensile, a partire dal mese di marzo di ciascun anno e fino al mese di febbraio dell’anno successivo.

L’importo varia in ragione di alcuni fattori: a) l’età del figlio, quindi minorenne o maggiorenne minore di 21 anni; b) se il figlio è disabile, entrando in gioco anche l’età e la tipologia di disabilità; c) se l’ISEE del nucleo familiare si colloca entro i 15 mila euro oppure entro i 20, 25, 30, 35 mila o supera i 40 mila euro; d) la presenza di tre, quattro o più figli; e) se entrambi i genitori lavorano; f) se la madre è minore di 21 anni. Nel caso di figli minorenni, fino a 15 mila euro di ISEE l’importo base parte da 175 euro mensili (2.100 euro annui) a figlio. Con l’aumentare dell’ISEE l’importo base si riduce fino ad arrivare a 50 euro mensili a figlio (600 euro annui) nel caso

si superino i 40 mila32.

Secondo i calcoli del Servizio del Bilancio della Camera dei Deputati33, la platea dei soggetti potenzialmente interessati alla misura è di circa 7 milioni di nuclei familiari in cui sono presenti circa 9,6 milioni di figli minori e 1,4 milioni di figli maggiorenni con età inferiore ai 21 anni, quindi complessivamente l’assegno può riguardare circa 11 milioni di giovani. A fronte dell’aspirazione universalistica di questa misura, contemperata da una moderata selettività, va valutata la sua

effettività, rispetto all’obiettivo finale.

Naturalmente ogni ragionamento che si andrà a sviluppare è frutto di una riflessione a caldo, senza dati alla mano. Quello che però colpisce ictu oculi è il contrasto tra gli obiettivi ambiziosi dichiarati nella legge n. 46 (“favorire la natalità, di sostenere la genitorialità e di promuovere l’occupazione, in particolare femminile”) e l’importo concretamente erogato: semplificando, da un massimo di 175 ad un minimo di 50 euro al mese per ciascun figlio.

Si tratta certamente di un aiuto concreto per contribuire a sbarcare il lunario per molte famiglie vulnerabili ma dall’essere un sussidio contro la povertà a diventare un incentivo per l’adozione di scelte riproduttive da parte delle persone ancora in età feconda, il passo è molto lungo.

Le scelte riproduttive in una società come quella italiana, sono tendenzialmente nella disponibilità delle donne, che guardano alla procreazione come parte della costruzione del loro futuro. Questo si evince chiaramente dai dati ISTAT che collocano al di sopra dei trent’anni, in media, l’età della prima gravidanza.

Un importo mensile modesto, se non modestissimo, sarà davvero in grado di incidere sulle scelte di vita delle persone? Secondo il report del Servizio del Bilancio della Camera34, gli assegni per il nucleo familiare (ANF) diventavano sostanzialmente irrilevanti già sopra i 30mila euro di reddito familiare, mentre così non è per l’assegno unico universale.

Senza voler entrare nel dettaglio dei conti fatti dai tecnici, vale comunque la pena di ricordare che il declino demografico in atto nel nostro Paese non è un problema recente, sebbene costantemente (e volutamente) ignorato dalla politica e, in ogni caso, seppure in modo disordinato e discontinuo, sia lo Stato sia le Regioni hanno periodicamente previsto alcune provvidenze in favore delle madri o dei neonati, senza che questo abbia in alcun modo inciso sulla propensione alla procreazione delle donne, seppur abbia contribuito alla sussistenza delle famiglie. Certamente, un beneficio, che come una piccola dote segue la crescita dei figli fino alla maggiore età e anche oltre, dà il senso di essere una misura strutturale che non dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) mutare con le maggioranze di Governo. In ogni caso la misura ricorda tanto gli assegni per il nucleo familiare, che però, forse proprio a causa dei loro importi, oltre che della destinazione solo alla platea di lavoratori

subordinati, non ha certo inciso sul tasso di natalità.



4. I diritti sociali al tempo della digitalizzazione



Con apprezzamento (e sorpresa) all’art. 2 del d.lgs. n. 230/2021 si legge che “al fine di assicurare la piena conoscibilità del beneficio, al momento della registrazione della nascita del figlio, l’ufficiale dello stato civile informa i genitori sull’assegno”; ancora, al successivo art. 12, comma 3, si dispone che “l’INPS pone in essere tutte le iniziative di semplificazione e di informazione all’utenza utilizzando le banche dati presenti negli archivi dell’Istituto, anche al fine di introdurre gradualmente gli strumenti necessari ad un’eventuale erogazione d’ufficio dell’assegno”.

Queste previsioni, apparentemente insignificanti, consentono di affrontare un altro tema tanto essenziale quanto sottovalutato: quello della conoscibilità e accessibilità dei diritti sociali in relazione al c.d. digital divide.

Molte prestazioni dirette al sostegno alle persone più vulnerabili, scontano, in primis, il problema della conoscibilità causata dalla estrema difficoltà degli enti erogatori di informare adeguatamente proprio la platea di soggetti a cui la misura è diretta e in particolar modo le fasce più deboli e socialmente meno integrate; in secundis, si staglia il grande tema della loro accessibilità, oltre le barriere legali e burocratiche35.

Come nella totalità dei casi che riguardano prestazioni erogate dall’INPS, anche per l’assegno unico si prevede che la domanda sia presentata in modalità telematica, sebbene, ragionevolmente, si consenta anche l’inoltro tramite gli istituti di patronato.

La domanda per l’assegno è presentata a decorrere dal 1° gennaio di ciascun anno ed è riferita al periodo compreso tra il mese di marzo dell’anno di inoltro e quello di febbraio dell’anno successivo. Per quanto attiene alla decorrenza della prestazione, per le domande presentate entro il 30 giugno dell’anno di riferimento, l’assegno è riconosciuto a decorrere dal mese di marzo del medesimo anno (quindi retroattivamente rispetto all’inoltro della domanda). Qualora la presentazione della domanda avvenga dal 1° luglio dell’anno di riferimento, la prestazione decorre dal mese successivo a quello della domanda stessa. In tutti i casi, l’INPS provvede al riconoscimento dell’assegno entro sessanta giorni dall’istanza36, ferma restando la decorrenza. L’erogazione avviene mediante accredito su IBAN ovvero mediante bonifico domiciliato.

La procedura, apparentemente semplice, per molti, italiani e stranieri, non lo è affatto. Da anni sentiamo parlare di “semplificazione amministrativa”, “sburocratrizzazione dei processi e delle procedure” e “digitalizzazione della p.a.”, ma in realtà si sta creando un divario sempre più profondo tra chi è socialmente, culturalmente ed economicamente in grado di affrontare la rivoluzione tecnologica e chi non lo è. Certamente, quello di ridurre la burocrazia, snellire le procedure amministrative tramite la digitalizzazione e accelerare i processi decisionali pubblici, così aumentando l’efficienza del “sistema-Paese”, è un obiettivo lodevole ma la domanda che ci si deve porre è: a quale prezzo?

Sul punto si rinvia alla dottrina37 che ha evidenziato come in Italia, in nome della semplificazione e sburocratizzazione, sia stato traslato sui cittadini (e sulle imprese e anche sui professionisti) il peso del procedimento amministrativo, sgravando la p.a. dalle responsabilità connesse. Il ragionamento e le critiche sopra evidenziate sono ancora più pertinenti se si ragiona di diritti sociali e della loro diffusa accessibilità.

Per accedere ai servizi dell’INPS o dei Comuni o delle Regioni, un cittadino deve essere dotato ormai di idonei dispositivi digitali, di un collegamento alla rete di livello accettabile, di un indirizzo di posta elettronica, dello SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale) oppure della CIE (Carta di Identità Elettronica) o della tessera sanitaria, in questi ultimi due casi con microchip attivo e disponendo del relativo dispositivo di lettura (c.d. POS); inoltre, il richiedente deve essere in grado di usare i dispositivi citati e i relativi programmi e, quindi, possedere una adeguata alfabetizzazione informatica, cui, talvolta, devono affiancarsi conoscenze più sofisticate.

Il rischio di sbagliare è elevato sotto i profili tecnico-materiale e giuridico, potendosi rilasciare dichiarazioni “errate” anche inconsapevolmente stante la complessità dei moduli online (spesso eccessivamente complessi per i “comuni” cittadini).

L’accessibilità dei diritti sociali è oggi eccessivamente condizionata alla tecnologia digitale e questo è profondamente ingiusto, prima ancora che incostituzionale per violazione dello stesso art. 38 Cost. in nome del quale questo macchinoso marchingegno è stato ideato. Chi non è dotato di un computer o tablet di ultima generazione ma solo di uno smartphone (bene ormai di prima necessità) spesso non riesce ad accedere ai servizi non essendo in grado di gestire download, upload, reiterato inserimento di password e codici di controllo, connessioni a vari siti internet e piattaforme, tutto contemporaneamente (!). Queste barriere informatiche risultano insuperabili per tutte le persone più fragili dal punto di vista culturale, economico, sociale e anagrafico.

In questo contesto proliferano i patronati e i servizi di consulenza, che però durante il periodo caldo della pandemia hanno mostrato tutte le loro criticità ed inidoneità, lasciando le persone spesso senza aiuto, facendo quindi emergere, in tutta la loro cruda drammaticità, i problemi del digital divide, stante la tendenziale chiusura o limitatezza degli accessi in presenza negli uffici pubblici e la frequente irreperibilità di buona parte dei dipendenti delle p.a., tutti regolarmente e felicemente in smart working.



5. Neutralità, compatibilità e abrogazioni





L’assegno unico universale viene considerato compatibile con la fruizione di eventuali altre misure a favore dei figli a carico erogate dalle Regioni, dalle Province autonome di Trento e di Bolzano e dagli Enti locali, e anche con il reddito di cittadinanza38. In ogni caso l’INPS deve corrispondere d’ufficio l’assegno unico per il figlio congiuntamente al reddito di cittadinanza fino a concorrenza dell’importo spettante; il beneficio complessivo è determinato sottraendo dall’importo teorico spettante la quota di r.d.c. relativa ai figli che fanno parte del nucleo familiare, calcolata sulla base della scala di equivalenza di cui all’art. 2, comma 4, d.l. n. 4/2019. L’assegno unico gode, inoltre, della c.d. neutralità fiscale, quindi l’assegno non concorre alla formazione del reddito complessivo di cui all’art. 8 TUIR39.

Infine, vanno considerate le importanti abrogazioni, che concorrono al finanziamento della misura.

A decorrere dal 1° gennaio 2022 sono stati abrogati: 1) il c.d. premio alla nascita o per l’adozione/affidamento del minore40 (pari a 800 euro) anche se l’INPS ha accettato le domande per i nati fino al 28 febbraio 202241; 2) il Fondo di sostegno alla natalità42; 3) l’assegno ai nuclei familiari con almeno tre figli minori, pur riconoscendo le mensilità di gennaio e febbraio 2022. Con decorrenza 1° marzo 2022 si è anche disposta l’abrogazione dell’assegno per il nucleo familiare per nuclei con figli e orfanili, restando, viceversa questa prestazione ancora vigente quando il nucleo familiare del richiedente è composto da coniugi, fratelli, sorelle e nipoti43.

Sempre a partire dal 1° marzo sono abrogate le maggiorazioni delle detrazioni fiscali per figli minori di tre anni, per figli con disabilità, per le famiglie con più di tre figli a carico, nonché l’ulteriore detrazione fiscale di 1.200 euro per le famiglie numerose prevista dal comma 1-bis, art. 12 TUIR e si applicheranno solo le detrazioni per i figli a carico di età pari o superiore a 21 anni e quelle per i figli disabili sempre di età pari o superiore a 21 anni.



6. Alcune considerazioni conclusive (e critiche)



Il d.lgs. n. 230/2021 prevede il reclutamento di personale ad hoc per gestire questa nuova misura: la programmazione è di 300 unità da assumere con contratto di lavoro a tempo indeterminato, con un costo di euro 8.015.336 per l’anno 2022 (ipotizzandosi una immissione in servizio a partire dal 1° luglio 202244) ed euro 16.030.671 annui a decorrere dall’anno 2023. A sostegno della spesa prevista in relazione all’introduzione dell’assegno unico universale vengono stanziati45: 15.122,50 milioni di euro per l’anno 2022; 18.222,20 milioni di euro per l’anno 2023; 18.694,60 milioni di euro per l’anno 2024; 18.914,80 milioni di euro per l’anno 2025;

19.201 milioni di euro per l’anno 2026; 19.316 milioni di euro per l’anno 2027; 19.431 milioni di euro per l’anno 2028 e 19.547 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2029.

La copertura finanziaria della nuova misura è garantita mediante i risparmi di spesa ottenuti con le abrogazioni sopra indicate unitamente agli stanziamenti del “Fondo assegno universale e servizi alla famiglia” istituito nel 2019 presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali46. La spesa ipotizzata è dunque ingente, ma per valutare l’efficacia reale della misura rispetto agli obiettivi supra citati e verificare gli effetti distributivi, cioè chi ci ha effettivamente guadagnato e chi ci ha rimesso, dobbiamo attendere i dati almeno del prossimo biennio. Possiamo solo ipotizzare che alcuni miglioramenti ci saranno sicuramente con riferimento al ménage familiare per gli incapienti, per i quali le detrazioni fiscali erano irrilevanti, e per i lavoratori autonomi, cui non spettava l’assegno per il nucleo familiare; l’abrogazione degli altri bonus a sostegno della natalità e delle detrazioni IRPEF potrebbe però non essere irrilevante sui bilanci di alcune famiglie sulla soglia della povertà. Bisogna anche evidenziare che il contributo “Cuaf” (Cassa unica assegni familiari) non viene abrogato – pur essendo fortemente ridimensionata la prestazione collegata a tale contributo, cioè gli assegni per il nucleo familiari – ed esso grava solo sul lavoro subordinato, così diventando una sorta di contributo di solidarietà dei subordinati verso tutti gli altri47. Inoltre, la previsione della destinazione della somma di 50 euro per chi ha più di 40 mila euro di ISEE è talmente bassa che certamente non ne condizionerà le scelte di vita, né con riferimento alla procreazione né all’occupazione. Quanto alle famiglie più povere e numerose, certamente 175 euro per figlio possono fare comodo e rappresentare una somma significativa se i redditi molto bassi, ma sempre minor incidenza avrà l’assegno con il décalage collegato agli scaglioni superiori di valore ISEE. In ogni caso, siamo davvero sicuri che queste cifre siano tali da determinare le scelte riproduttive delle coppie? E che questa sia la strada giusta per stimolare la natalità? La scarsa propensione alla fecondità dei giovani e in particolare delle donne italiane dipende da altro48. O lo si capisce subito o sarà davvero troppo tardi.





NOTE

* Il presente lavoro prende spunto da un saggio già pubblicato dall’A. nella rivista Il lavoro nella giurisprudenza, 2022, n. 3, pur costituendo un lavoro autonomo con parti inedite e l’aggiornamento a settembre 2022.

1 Cfr. Istat, Report, 14 dicembre 2021, www.istat.it; cfr. anche www. indexmundi.com.

2 Cfr. Istat, Report, cit.

3 Il tasso di occupazione femminile nel 2020 è sceso a 49%, quando nel 2019 per la prima volta aveva superato il 50%, ma nel 2021 è risalito al 50,5%; il tasso di occupazione maschile è comunque superiore al 67%, cfr. Istat, Report, 1° febbraio 2022, e il Bilancio di Genere per l’anno 2020 della Ragioneria Generale dello Stato-MEF, https://www.rgs.mef.gov.it/.

4 E. ALES, G. CANAVESI, D. CASALE, R. CASILLO, M. ESPOSITO, G. LUDOVICO, R.

VIANELLO, Diritto della sicurezza sociale, Milano, 2021, 245 ss.

5 Art. 2, lett. b), l. n. 46/2021.

6 Art. 1, d.lgs. n. 23072021; d.P.R. n. 159/2013.

7 Art. 1, comma 3, d.lgs. n. 230/2021, e art. 1, comma 1, circ. INPS 9 febbraio 2022, n. 23, laddove si legge che “l’assegno spetta anche in assenza di ISEE sulla base dei dati autodichiarati nel modello di domanda”.

8 F. FIGARI, C. FIORIO, Assegno unico per i figli: qualche dubbio sull’equità, 23 novembre 2021, in www.lavoce.info.

9 Quello della difficoltà di raggiungere le persone a cui le misure sono dirette è un problema serio e costante che deve essere sempre tenuto in considerazione, amplius cfr. European Parliament, Minimum Income Policies in EU Member States, edited by Directorate General for Internal Policies, Policy Department, Brussels, 2017, 33-38, https://www.europarl.europa.eu/.

10 Si rammenti che l’ISEE è calcolato sulla base delle informazioni raccolte tramite un modello denominato “DSU” che altro non è se non una dichiarazione resa proprio ai sensi del d.P.R. n. 445/2000 citato innanzi, cui si aggiungono altre informazioni disponibili negli archivi dell’INPS e dell’Agenzia delle entrate acquisite dal sistema informativo. Il possesso dell’ISEE, quindi, è certamente più comodo e agevola sia il richiedente sia l’ente erogatore del beneficio – sempre l’INPS – ma non è indispensabile per il raggiungimento dello scopo.

11 Art. 3, d.P.R. n. 159/2013.

12 Artt. 2, 3 e 6, d.lgs. n. 230/2021.

13 Cfr. INPS, messaggio n. 1714 del 20 aprile 2022.

14 Art. 1, comma 2, circ. INPS n. 23/2022.

15 Art. 2, d.lgs. n. 230/2021.

16 In Italia nel 2020 i NEET, cioè i giovani compresi tra i 15 e i 34 anni che non lavorano e non sono inseriti in percorsi di formazione, sono aumentati, specie gli stranieri, v. le statistiche NEET sul sito www.istat.it.

17 Art. 1, comma 2, lett. b), l. n. 46/2021.

18 Art. 2, circ. INPS n. 23/2022 che rinvia alle “Linee guida in materia di tirocini formativi e di orientamento” del 25 maggio 2017, adottate nell’ambito dell’Accordo tra il Governo, le Regioni e Province Autonome di Trento e di Bolzano.

19 Art. 2, circ. INPS n. 23/2022.

20 Art. 13, comma 1, lett. a), d.P.R. n. 917/1986, c.d. TUIR, come modificato dalla legge di bilancio per il 2022, l. n. 234/2021.

21 L. n. 104/1992 e art. 20, l. n. 102/2009.

22 Art. 3, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 230/2021.



23 Cfr. art. 27, d.lgs. n. 251/2007 e art. 2, Reg. CE n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale.

24 Cfr. art. 14, Dir. 2009/50/CE, attuata con il d.lgs. 28 giugno 2012, n. 108 che ha inserito l’art. 27-quater nel d.lgs. n. 286/1998.

25 Cfr. Cass. civ., 17 giugno 2019, n. 16163, in Labor, 2019, 5, 541, con nota di V. FILì, La condizione del permesso di soggiorno prevista per le madri straniere configura secondo la Cassazione una discriminazione.

26 Corte cost., sent., 19 luglio 2013, n. 222, www.cortecostituzionale.it

27 Corte cost., sent., 15 marzo 2019, n. 50, www.cortecostituzionale.it

28 Corte cost., sent., 25 gennaio 2022, n. 19 e 17 febbraio 2022, n. 34, www. cortecostituzionale.it

29 Cfr. Corte cost., sent., 4 marzo 2022, n. 54 e 11 marzo 2022, n. 67, www. cortecostituzionale.it

30 Art. 2, d.l. n. 4/2019, conv. con modificazioni in l. n. 26/2019.

31 Cfr. Istat, Report, 14 dicembre 2021 e il Rapporto di Fondazione Nord-Est di settembre 2022 “No baby, no PIL”, www.fnordest.it.

32 La tabella completa degli importi è disponibile sul sito web del Ministero dell’Economia e delle Finanze, www.mef.gov.it.

33 Dossier, Atto del Governo n. 333, Istituzione dell’assegno unico e universale per i figli a carico, dicembre 2021, Servizio del Bilancio dello Stato della Camera, www.camera.it.

34 Dossier, Atto del Governo n. 333, cit.

35 European Parliament, Minimum Income Policies in EU Member States, cit.

36 Circ. INPS n. 23/2022.

37 M.M. FRACANZANI, L’identità. Diritti fondamentali fra Corti europee e Pubblica amministrazione, Bologna, 2016, 47-57, 95-103. Di recente cfr. M.T.P. CAPUTI JAMBRENGHI, Quale sistema di Welfare di fronte alle nuove fragilità?, relazione al Convegno annuale dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Amministrativo, Il diritto amministrativo per la ripresa, svoltosi l’8 ottobre 2021, presso l’Università LUISS Guido Carli, Roma, 31-33 del dattiloscritto.

38 Circ. INPS n. 23/2022 cit. e n. 53 del 28 aprile 2022.

39 Art. 8, d.lgs. n. 230/2021.

40 Art. 1, comma 353, l. n. 232/2016.

41 Circ. INPS n. 23/2022.

42 Art. 1, commi 348 e 349, l. n. 232/2016.

43 Circ. INPS, circ. 92 del 30 giugno 2021 e 65 del 30 maggio 2022. Cfr. art. 2, d.l. n. 69/1988, conv. in l. n. 153/1988; in dottrina v. A. DE FELICE, Assegni familiari (voce), in Enc. dir., Annali, Milano, 2014, 104 ss. e ivi ulteriori riferimenti bibliografici.

44 Dossier, Atto del Governo n. 333, cit.

45 Art. 13, d.lgs. n. 230/2021.

46 Dossier, Atto del Governo n. 333, cit., spec. 5. Il “Fondo assegno universale e servizi alla famiglia” è stato istituito dall’art. 1, comma 339, l. n. 160/2019; per il rifinanziamento v. anche art. 1, commi 2 e 7, l. n. 178/2020.

47 V. circ. INPS 1° febbraio 2022, n. 17; critico sul punto il commento di F.

FIGARI, C. FIORIO, Assegno unico per i figli: qualche dubbio sull’equità, cit.

48 C. SARACENO, L’assegno unico per i figli nella giungla del Welfare, in Neodemos,

6 luglio 2021, https://www.neodemos.info; C. DEGAN, La geografia della bassa fecondità italiana, in Neodemos, 5 febbraio 2021; A. DE ROSE, A. ROSINA, Il futuro della fecondità dopo Covid-19. Cosa si aspettano i demografi?, in Neodemos, 8 gennaio 2021; A. ARNSTEIN, N. CAVALLI, L. MENCARINI, S. PLACH, M. LIVI BACCI,

La pandemia di COVID-19 e la fecondità, in Neodemos, 1° dicembre 2020; E. PAVOLINI, A. ROSINA, C. SARACENO, Un’alleanza per l’infanzia, in Neodemos, 19 novembre 2019; A. ROSINA, Così l’Italia è rimasta senza giovani, 28 giugno 2019, in www.lavoce.info. Sul tema già ho detto in passato: V. FILì, Le difficili libertà delle donne tra gender wage gap, soffitti di cristallo e bassa fecondità, in Lavoro Diritti Europa, LDE, 2021, 2; ID., Un reddito minimo di maternità come antidoto alle discriminazioni e alla bassa natalità, in O. BONARDI (a cura di), Eguaglianza e divieti di discriminazione nell’era del diritto del lavoro derogabile, 2017, Roma, 319 ss.; ID. Le politiche per il lavoro possono trasformarsi in politiche per la famiglia? Sezione II Le politiche locali, in AA.VV., La bassa fecondità tra costrizioni economiche e cambio di valori, Convegno Internazionale Roma il 15 e 16 maggio 2003, Collana “Atti dei Convegni Lincei”, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 2004, 529 ss.