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Legge sull’interruzione volontaria di gravidanza e profili di tutela giurisdizionale dei diritti

autore: L. Durello

SOMMARIO: 1. L’interruzione volontaria di gravidanza e il diritto di autodeterminazione della gestante. - 2. Il procedimento di autorizzazione all’interruzione volontaria di gravidanza da parte di minorenne: l’ascolto, l’oggetto della cognizione del giudice tutelare e il provvedimento conclusivo. - 3. Segue. Il procedimento di autorizzazione della maggiorenne interdetta. - 4. Riflessioni sull’esperibilità della tutela cautelare d’urgenza.



1. L’interruzione volontaria di gravidanza e il diritto di autodeterminazione della gestante





L’interruzione volontaria di gravidanza che nel nostro ordinamento è regolamentata dalla l. 22 maggio 1978, n. 194, è da sempre oggetto di dibattiti stante le implicazioni non solo sociali ed etiche ma anche giuridiche che scaturiscono dal suo riconoscimento.

In questo particolare momento storico, poi, rappresenta senz’altro un tema di grande attualità anche alla luce della recentissima sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti, nel caso Dobbs c. Jackson Women’s Health Organization del 24 giugno 2022 che, in contrasto con il precedente Roe v. Wade (410 U.S. 113, 1973), ha statuito a maggioranza di sostenere nello stato del Mississippi il divieto di aborto dopo quindici settimane di gravidanza. In particolare, la Corte Suprema ha affermato che la Costituzione degli Stati Uniti non conferisce il diritto all’aborto, risolvendosi conseguentemente a superare l’overruling della risalente pronuncia in Roe v. Wade con la quale era stato riconosciuto il diritto di interruzione della gravidanza anche in assenza di problemi di salute per la gestante, per il feto e per ogni altra circostanza non riconducibile alla libera scelta della donna.

Non vi è dubbio che si tratta di una sentenza che per il suo forte contenuto ed immediato impatto nella vita di moltissime donne, sarà destinata a far discutere.

Se poniamo lo sguardo al nostro ordinamento, quando si richiama la l. 194/1978 “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza”, anche impropriamente chiamata legge sull’aborto, non si può fare a meno di soffermare l’attenzione sull’aggettivo “volontaria” che riflette e valorizza, quindi, ad avviso di chi scrive l’aspetto della scelta libera e spontanea della donna di interrompere la gravidanza.

Va subito osservato, tuttavia, che la disciplina contenuta agli artt. 4 e 6 della summenzionata legge conferisce alla donna il diritto di interrompere la gravidanza solo in presenza di determinate condizioni e nel rispetto di un preciso iter procedurale. La l. 194/1978, all’art. 1, prevede infatti che l’interruzione volontaria di gravidanza non è mezzo di controllo delle nascite e propugna la tutela della procreazione cosciente e responsabile, ovvero volontaria, consapevole, frutto di una libera determinazione1.

È possibile affermare che nel nostro ordinamento la libertà di autodeterminazione nella procreazione è una forma di tutela della persona in quanto espressione di libertà dell’individuo e come tale garantita dall’art. 2 della Cost. e, dunque, si può parlare di diritto ad una procreazione cosciente e responsabile sancito dagli artt. 2, 13 e 32, co. 2, Cost. così come affermato dall’art. 1 della l. 194/1978.

In altri termini, l’incipit della legge sull’interruzione volontaria, nel momento in cui riconduce il diritto alla procreazione libera e cosciente tra i diritti fondamentali della persona sanciti nell’art. 2 della Cost., offre una sintesi circa il concetto di responsabilità e libertà in ordine agli atti che coinvolgono il corpo, la salute e le opzioni di vita2.

In tal senso si sono espresse anche le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione che hanno evidenziato come i presupposti indicati dalla l. 194/1978 facciano sorgere “un vero e proprio diritto all’autodeterminazione della gestante di optare per l’interruzione della gravidanza”3.

In tale contesto è chiaro che il diritto all’autodeterminazione può essere esercitato soltanto attraverso un consenso che sia, innanzitutto, personale, cioè manifestato dalla paziente capace di intendere e di volere ma altresì consapevole ed informato.

Del resto, non si può fare a meno di osservare che il consenso informato, a sua volta, è stato definito dalla Corte costituzionale come un diritto della persona che trova il suo fondamento negli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e riveste una funzione di sintesi di due diritti fondamentali dell’individuo: il diritto all’autodeterminazione e il diritto alla salute4.

Ciascun individuo, dunque, non è soltanto titolare del diritto alla cura ma anche del diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico e delle eventuali terapie alternative, pertanto, le informazioni devono essere il più esaurienti possibile affinché il paziente possa effettuare una scelta libera e consapevole.

Il consenso informato si è innestato e radicato progressivamente nel nostro ordinamento, fino ad essere regolamentato attraverso la l. 219/2017 in forza della quale nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito senza il consenso libero e informato della persona interessata, salvo nei casi previsti dalla legge.

Al fine di giungere ad una scelta consapevole, con riguardo all’interruzione volontaria di gravidanza, l’art. 5 della l. 194/1978 prevede che la donna sia informata della possibilità di ricorrere alla procedura di adozione e affidamento e le deve essere garantita ogni possibile informazione sui suoi diritti di donna, di madre e di lavoratrice in modo da consentirle una valutazione complessiva delle problematiche correlata alla gravidanza.

Non solo, alla donna dovrà essere fornita una completa informativa sulla tecnica farmacologica o chirurgica che intende adottare il sanitario per la pratica abortiva qualora la gestante optasse per tale strada.

Tale dovere informativo deve essere assolto dal medico di fiducia, o dal consultorio o dalla struttura sanitaria a cui la donna si è rivolta.

Come sopra anticipato la scelta della donna di interrompere la gravidanza si esercita nell’ambito dei binari definiti dalla la l. 194/1978.

In particolare, ai sensi dell’art. 4 la donna maggiorenne e non interdetta, entro i primi novanta giorni dal concepimento, può rivolgersi ad un consultorio come previsto dalla

l. 405/1975 o ad una struttura socio-sanitaria a ciò abilitata dalla Regione o ad un medico di fiducia per chiedere l’autorizzazione all’interruzione volontaria.

Il successivo art. 5, come più sopra già anticipato, prescrive che il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover effettuare i necessari accertamenti medici, abbiano il compito di individuare insieme alla donna le possibili soluzioni per rimuovere le cause che la porterebbero ad abortire.

Il medico di fiducia, a sua volta, deve compiere tutti i necessari accertamenti sanitari, informando la donna dei suoi diritti ed anche, dopo avere valutato le circostanze che l’hanno indotta alla decisione di interrompere la gravidanza, rendendola edotta in merito agli interventi di carattere sociale cui può fare ricorso, nonché sui consultori e le strutture socio-sanitarie che possono offrirle aiuto e sostegno.

A supporto della sua richiesta di autorizzazione all’aborto, ai sensi dell’art. 4 l. 194/1978, la donna può addurre circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione allo “stato di salute, le condizioni economiche o sociali o familiari, le circostanze in cui è avvenuto il concepimento, le previsioni di anomalie o malformazioni del concepito”.

Il compito di analizzare tutte queste situazioni spetta ai consultori e alle strutture socio-sanitarie che, ai sensi dell’art. 5, “oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, […], di esaminare con la donna e con il padre concepito, le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuove le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, […] di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari”. La successiva valutazione del medico di fiducia, del consultorio pubblico o della struttura socio-sanitaria attiene all’urgenza o meno dell’intervento.

Se viene riscontrata l’urgenza, il medico rilascia con immediatezza alla donna un certificato che attesta la necessità di intervento immediato, che sarà dalla stessa poi presentato ad una delle strutture autorizzate a praticare l’interruzione della gravidanza.

Al contrario, se non viene ravvisata alcuna urgenza, alla donna viene rilasciato un documento attestante lo stato di gravidanza, la richiesta di interruzione, con l’invito a soprassedere per sette giorni, decorsi i quali la stessa può presentarsi presso una sede autorizzata.

L’art. 6 della l. 194/1978 disciplina, invece, i casi in cui, dopo i primi novanta giorni, la richiesta di interruzione della gravidanza può essere presentata.

Ed in particolare, quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna ovvero quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinano un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna. Quando vi è possibilità che il feto abbia vita autonoma, l’interruzione volontaria di gravidanza può essere prati- cata solo in caso di pericolo di vita per la donna e il medico è tenuto ad adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto.

Ciò posto, la legge riserva esclusivamente alla donna la decisione di interrompere la gravidanza, la cui volontà viene valorizzata in considerazione dell’incidenza della gravidanza e del parto sulla sua salute psicofisica.

L’art. 5, co. 1 e 2, della l. 194/1978 prevedono, ove la donna lo consenta, che la persona indicata come padre del nascituro possa partecipare ai colloqui presso il medico di fiducia o presso il consultorio o la struttura socio-sanitaria. Poiché il diritto di interrompere la gravidanza, nei termini consenti- ti dalla legge, è lasciato alla piena autodeterminazione della donna, il padre del nascituro non può in alcun modo intervenire nella decisione od opporsi alla stessa.

Alla luce di quanto esposto il contenuto dell’obbligo informativo da parte del medico è stringente dovendo, da un lato, prospettare alla paziente le alternative e le forme di tutela previste qualora decidesse di portare a termine la gravidanza e, dall’altro, le tecniche farmacologiche o chirurgiche e i rischi ad essa connessi nell’ipotesi in cui la volontà della donna sia quella di interrompere la gestazione.

La donna, quindi, per poter esercitare il suo diritto di autodeterminazione procreativa dovrà ricevere un’adeguata infor- mativa al fine di poter esprimere il proprio consenso informato e personale.

Va da sé che il requisito della personalità del consenso pone dei delicati problemi nei casi in cui la gestante si trovi nell’incapacità di esprimerlo perché minore di età o interdetta.

Sorgono, quindi, profili di tutela giurisdizionale in caso di incapacità legale della donna, sia essa minore o interdetta, che dovrà quindi fare ricorso al Giudice tutelare per ottenere la relativa autorizzazione a procedere all’interruzione volontaria di gravidanza.

Non si può fare a meno di accennare all’eventualità che la gestante possa fare ricorso a strumenti processuali in via cautelare d’urgenza per garantire l’esercizio del proprio diritto di

autodeterminazione alla interruzione volontaria di gravidanza qualora la struttura sanitaria, cui si è rivolta sia reticente, per esempio a causa della presenza di soli medici obiettori che si rifiutino di praticare la pratica abortiva.



2. Il procedimento di autorizzazione all’interruzione volontaria di gravidanza da parte di minorenne: l’ascolto, l’oggetto della cognizione del giudice tu- telare e il provvedimento conclusivo



La l. 194/1978, agli artt. 1 e 12, prevede che anche la donna di età inferiore agli anni diciotto possa presentare personal- mente la richiesta di interruzione volontaria di gravidanza.

In questo caso, tuttavia, non potendo esercitare autonomamente i propri diritti, la minorenne deve richiedere l’assenso alle persone che esercitano su di lei la responsabilità genitoriale o la tutela, assenso che costituisce condizione necessaria per poi rivolgersi ad una delle strutture di cui all’art. 4 della l. 194/1978 ed eventualmente procedere con l’interruzione.

Se l’assenso viene negato o i genitori o il tutore esprimono pareri tra loro difformi o se vi sono seri motivi che sconsigliano la loro consultazione, la minorenne può rivolgersi direttamente ad un medico di fiducia o ad una delle strutture di cui all’art. 4 l. 194/1978.

Il consultorio, la struttura socio-sanitaria interessata o il medico di fiducia, effettuati i necessari accertamenti medici5, trasmettono al giudice tutelare6 competente sul territorio nel cui ambito essi operano, una relazione scritta corredata dal proprio parere entro sette giorni dalla richiesta della minorenne.

Il giudice tutelare, entro cinque giorni dalla ricezione della relazione, una volta verificata la sussistenza dei requisiti e la correttezza delle procedure prescritte dalla l. 194/1978 “sentita la donna e tenuto conto della sua volontà, delle ragioni che adduce e della relazione trasmessagli, può autorizzare la donna, con atto non soggetto a reclamo, a decidere l’interruzione di gravidanza”7.

I motivi che la minorenne può addurre per chiedere l’interruzione di gravidanza entro i primi novanta giorni o successivamente ai novanta giorni sono i medesimi di quelli adduci- bili dalla donna maggiorenne.

Innanzi al giudice tutelare si apre un procedimento di volontaria giurisdizione volto ad autorizzare la minore ad esercitare la propria volontà di autodeterminarsi quanto all’interruzione della gravidanza. Si tratta di un procedimento di giurisdizione civile non contenziosa del tutto particolare e che presenta diversi dubbi interpretativi dovuti alla scarsa qualità della tecnica legislativa della l. 194/1978.

Va però precisato che nel caso in cui la struttura accerti l’esistenza di una delle condizioni indicate dall’art. 6, ovvero il grave pericolo per la salute fisica e psichica della donna, non è necessario per la minorenne richiedere l’assenso delle persone che esercitano la responsabilità genitoriale o la tutela, né rivolgersi al giudice tutelare.

Innanzitutto, è opportuno soffermarsi sul profilo della competenza ed in particolare si deve evidenziare che il giudice tutelare è chiamato a decidere sulle richieste di autorizzazione all’aborto che le donne minorenni presentano ad una delle strutture (consultori, strutture socio-sanitarie, medici di fiducia) operanti sul territorio su cui egli è competente.

In proposito va evidenziato che la minorenne può presentare la richiesta ad una qualsiasi delle strutture operanti su tutto il territorio nazionale, indipendentemente dal suo luogo di residenza od abitazione.

Va da sé, che l’art. 12 della l. 194/1978 non ricollega la competenza di un dato giudice tutelare ad uno specifico requisito in possesso della gestante richiedente che è così libera di scegliere il giudice a cui sottoporre la domanda attraverso la scelta della struttura sanitaria o del medico di fiducia.

Pare, quindi, che in questo particolare tipo di procedimento non esista un giudice tutelare territorialmente competente precostituito per legge.

Sulla questione è intervenuta anche la Corte Costituzionale con la sentenza n. 196/19878 rilevando, con riguardo alla violazione del principio del giudice naturale, come i criteri del luogo in cui si trovano le strutture socio-sanitarie o il medico di fiducia non siano arbitrari ed integrino il rispetto del principio della precostituzione del giudice.

Tuttavia, delle perplessità sussistono comunque in quanto la gestante minore di età, nel momento in cui decidesse di rivolgersi ad un determinato consultorio o ad un medico di fiducia, è essa stessa ad individuare il giudice tutelare competente.

A ciò si aggiunga che il rigetto della richiesta da parte del giudice tutelare adito, non preclude alla minorenne, nel rispetto del termine di novanta giorni dal concepimento, di rivolgersi ad un altro consultorio e, dunque, ad un altro giudice.

Ciò con l’inevitabile conseguenza che, rispetto ad una determinata situazione di fatto, più giudici tutelari si pronuncino in modo diverso considerando poi che, come a breve verrà esaminato, il provvedimento conclusivo non è reclamabile.

Passando ora ad analizzare il procedimento vero e proprio, è necessario svolgere qualche considerazione sulla natura dello stesso.

Come sopra evidenziato, l’ambito è quello della giurisdizione volontaria e dunque si richiamano le norme sul procedimento camerale ex art. 737 ss. c.p.c.9.

Ebbene, il procedimento giurisdizionale de quo prende impulso dalla domanda avanzata dal consultorio o dal medico di fiducia con cui viene trasmessa al giudice tutelare una relazione contenente un parere sulla richiesta di interruzione della gravidanza avanzata dalla minore. Dunque, non è la gestante mino- renne ad adire direttamente l’organo giurisdizionale poiché la stessa si limita ad avanzare la richiesta al medico di fiducia, al consultorio ovvero alla struttura socio-sanitaria adducendo la sussistenza delle condizioni di cui all’art. 4 l. 194/1978.

Sarà poi compito di tali soggetti, a cui la minore si è rivolta, effettuare gli opportuni accertamenti, anche in ordine alla capacità di intendere e volere della giovane, analizzando le circostanze che la minore adduce a sostegno della sua richiesta nonché illustrando le alternative all’aborto e le misure di sostegno nel caso in cui decidesse di proseguire la gravidanza. Al termine di questi accertamenti, come detto, verrà redatta una relazione corredata da parere che, in assenza di indicazioni normative, si auspica debba essere motivato e che costituisce il punto di riferimento per il giudice tutelare.

Ciò posto, passando all’analisi dell’attività demandata al giudice e all’ambito della sua cognizione è necessario chiedersi se il suo intervento sia limitato alla verifica della capacità della minore ovvero si debba estendere al merito e, quindi, comportare anche un’indagine sull’effettiva esistenza delle ragioni addotte. In proposito, si deve escludere un sindacato da parte del giudice tutelare sui motivi dedotti dalla ricorrente a sostegno della sua domanda10.

Per la Consulta l’attività del giudice tutelare è limitata all’integrazione della volontà della donna in ragione della sua limi- tata capacità d’agire dovuta alla sua minore età11.

Dunque, è da reputarsi che la cognizione del giudice sia circoscritta alla verifica dei presupposti richiesti dalla legge ed alla regolarità della procedura nonché alla capacità di discernimento della minore e della sua libertà morale12.

Va poi osservato che poiché si tratta di soggetto incapace, per poter procedere all’interruzione di gravidanza è necessario l’assenso di chi esercita la responsabilità genitoriale o la tutela sulla donna minorenne, che, come detto, può essere prestato durante lo svolgimento degli accertamenti medici e dei colloqui da parte degli operatori socio-sanitari ovvero anche in un secondo momento financo innanzi al giudice tutelare interessato della questione.

In quest’ultima ipotesi il giudice tutelare si dovrà arrestare e pronuncerà un provvedimento di non luogo a provvedere essendo venuto meno l’interesse alla sua pronuncia e la necessità del suo intervento autorizzativo.

Qualora, sussistono “seri motivi” che impediscano la consultazione di genitori il giudice tutelare procede anche senza ascoltare questi ultimi.

Sul punto si deve osservare che i “seri motivi” debbano essere oggetto di esame da parte del giudice in quanto attengono al procedimento di verifica della capacità della minore che l’organo giurisdizionale è chiamato a compiere.

In proposito si deve osservare come la procedura dettata dall’art. 12 l. 178/94 prevalga sul disposto dell’art. 337-ter, co. 3 c.p.c. in forza del quale la responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori e che in caso di disaccordo su questioni di particolare importanza come, ad esempio, l’interruzione di gravidanza, la decisione è rimessa al giudice.

Va da sé, che solo il giudice tutelare può stabilire se la responsabilità genitoriale possa essere esautorata e sostituita dalla sua determinazione qualora sussistano “seri motivi” che sconsiglino la consultazione, e per l’effetto è necessario che il giudice ai fini della pronuncia del provvedimento autorizzato verifichi la sussistenza degli stessi.

Qualora, il giudice accerti il difetto di motivi seri che sconsiglino la consultazione dei genitori dovrà dichiarare improcedibile la domanda per mancanza di uno dei presupposti che giustificano l’intervento giurisdizionale.

Ciò posto, chiarito l’ambito dell’attività del giudice, è necessario evidenziare che egli non decide sull’atto dell’interruzione della gravidanza in sé, ma autorizza la minorenne ad eseguirlo attraverso l’emissione di un decreto di autorizzazione. Si deve osservare che ai sensi dell’art. 12 il giudice tutelare “può autorizzare la donna, con atto non soggetto a reclamo”. La formula legislativa conduce a ritenere che il G.T., una volta verificata la sussistenza dei requisiti, la correttezza delle procedure prescritte dalla legge ed aver ascoltato la minore, possieda sempre un certo margine di discrezionalità decisionale, potendo basarla non solo sulla documentazione inviata dalla struttura, ma anche sul colloquio con la minorenne e sul

suo libero convincimento.

In ragione di questa facoltà, il giudice dovrà condurre un attento esame della relazione inviata dalla struttura socio-sanitaria, anche degli elementi che emergono dal colloquio con la minorenne e, possibilmente, con qualche suo familiare – qualora non sussistano motivi che lo sconsiglino come più sopra evidenziato –, per approfondire e valutare la sussistenza della capacità di discernimento e la consapevolezza della decisione. A parere di chi scrive, invece, non sarà possibile entrare nel merito dei motivi che hanno indotto la minore a presentare l’istanza.

Orbene, il giudice tutelare dovrà quindi esaminare la relazione della struttura sanitaria, corredata dal parere, che rappresenta senz’altro lo strumento principale per le sue valutazioni.

Atteso che la procedura di autorizzazione per le donne minori di età prevede un termine di novanta giorni comprensivo anche dei cinque giorni concessi al giudice tutelare per deliberare, nonché del tempo per la minore per rivolgersi alla struttura, qualora la relazione pervenisse nell’ottantacinquesimo giorno il giudice tutelare potrebbe statuire l’inammissibilità della richiesta e l’improcedibilità per svolgere gli accerta- menti previsti nel termine di legge.

Oltre all’esame della relazione il giudice dovrà procedere all’ascolto della minore gestante.

Tale operazione costituisce presupposto necessario ai fini della deliberazione in merito all’autorizzazione all’interruzione volontaria di gravidanza, così come indicato all’art. 12 “sentita la donna e tenuto conto della sua volontà”, tant’è che in caso di mancata comparizione della minore il giudice tute- lare dovrà rigettare l’istanza che la stessa aveva proposto per poter interrompere la gravidanza.

In tal senso si è espressa anche la giurisprudenza di merito rilevando che “la mancata comparizione della minore al fine di essere sentita, non consente a questo giudice di operare alcuna verifica in ordine alla effettiva consapevolezza, in capo alla stessa, della scelta alla quale si è determinata, e, in particolare, di verificare se la stessa sia in grado di comprenderne il significato e le conseguenze; in assenza di tale necessaria verifica, la richiesta, allo stato, non può essere accolta […] fermo restando la possibilità per la minore di presentare nuova istanza”13.

L’ascolto del soggetto minore destinatario del provvedimento autorizzativo rappresenta, infatti, lo strumento “istruttorio in senso lato” più rilevante a disposizione del magistrato e consiste in una serie di domande che vengano poste alla minore al fine di valutarne la sua capacità e stabilire la concedibilità o meno dell’autorizzazione.

È possibile evidenziare che la l. 194/1978, ancor prima del- la consacrazione nel nostro ordinamento, per effetto della l. 219/2012 che ha introdotto l’art. 315-bis c.c., del diritto del minore ad essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano, prevede tale obbligo in capo al giudice al fine di deliberare sull’autorizzazione all’interruzione di gravidanza.

Il giudice tutelare dovrà procedere all’ascolto diretto della gestante minorenne in un luogo riservato in cui possa instaurare un rapporto sereno, senza filtri né interruzioni esterne, e che possa far sentire a suo agio la giovane donna. In proposito, la Corte di Cassazione ha affermato che l’ascolto “deve svolgersi in modo tale da garantire l’esercizio effettivo del di- ritto del minore di esprimere liberamente la propria opinione, e quindi con tutte le cautele e le modalità atte a evitare interferenze, turbamenti e condizionamenti”14.

L’assunzione diretta della gestante minorenne da parte del giudice è un atto processuale diretto a raccogliere l’opinione della donna. Non si tratta di un’indagine psicologica, che, qualora il giudice la reputasse opportuna anche ai fini della valutazione delle risultanze dell’ascolto, non avrebbe il tempo materiale per essere espletata atteso il brevissimo termine di cinque giorni per provvedere.

Va, poi, osservato che l’ascolto della minore trova il suo parametro di riferimento nella realizzazione dell’interesse della stessa e, come noto, trattasi di una clausola generale a contenuto variabile.

È evidente che il criterio dell’interesse della minore non possa essere solo di ordine giuridico, dovendo necessariamente radicarsi anche su elementi che si acquisiscono nell’ambito di altre scienze dell’uomo, attingendo al sapere psicologico, pedagogico e sociologico.

Dunque, non ha un contenuto sostanziale predeterminato ma deve essere valutato con riferimento alle circostanze concrete.

Sicuramente, con riguardo al procedimento che stiamo trattando, il best interest dovrà essere valutato anche in ordine agli elementi emergenti dalla relazione del consultorio.

Alla luce di tutto quanto sinora esposto, possiamo osservare che la legge non pone a carico della gestante minorenne un vero proprio onere di costituzione in giudizio e non è neppure richiesta la difesa tecnica.

Quello qui in esame è un procedimento del tutto particolare che prende avvio su istanza della struttura sanitaria o del medico di fiducia dove la minore è la parte sia in senso sostanziale in quanto destinataria degli effetti del provvedimento autorizzativo che in senso processuale in quanto destinataria degli effetti del procedimento.

Non si può fare a meno di osservare, che in forza della regola generale di cui all’art. 2 c.c., la minore in quanto priva della capacità di agire è priva della capacità processuale e dunque non può porre in essere attività processuali se non tramite un rappresentante legale ovvero i genitori o il tutore.

La struttura della disciplina del procedimento delineato dall’art. 12 della l. 194/1978 fa sì, invece, che la minore priva della legittimatio ad processum, partecipi personalmente al pro- cedimento e si trovi “solo” innanzi all’organo giurisdizionale.

La minore non è assistita da un difensore né rappresentata da un curatore speciale, quindi, ripone la sua fiducia unicamente nella figura del giudice tutelare che dovrà comprendere se è in grado di discernere e se si è determinata in quella scelta in maniera libera e senza imposizioni, nonché se sia conscia delle sue conseguenze.

A questo punto non si può fare a meno di richiamare la l. 26 novembre 2021 n. 206 rubricata “Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata” che con decorrenza dal 22 giugno 2022 ha introdotto modifiche all’istituto della curatela speciale15.

In particolare, è stato previsto che il giudice provvede alla nomina del curatore speciale del minore, anche d’ufficio e a pena di nullità degli atti del procedimento anche quando ne faccia richiesta il minore che abbia compiuto quattordici anni. In ogni caso il giudice può nominare un curatore speciale quando i genitori appaiono per gravi ragioni temporaneamente inadeguati a rappresentare gli interessi del minore. Non vi è dubbio che il rafforzamento della figura e del ruolo del curatore speciale costituisca un’ulteriore tappa nel rafforzamento dei diritti del minore e dei suoi best interests.

La nuova formulazione della legge conduce a meditare sull’eventuale richiamo, anche nel procedimento di autorizzazione che stiamo esaminando, alla figura del curatore speciale della gestante minorenne sia nell’ipotesi in cui sia essa stessa a farne richiesta al giudice tutelare sia qualora quest’ultimo – anche alla luce del vaglio dei seri motivi ostativi all’ascolto dei genitori valuti che gli stessi siano temporaneamente e per gravi ragioni inadeguati a rappresentare il minore.

Ma vi è di più. Si può sostenere che, l’elevata importanza dei diritti sottesi al procedimento autorizzativo, dovrebbe indurre a ritenere necessaria anche l’assistenza tecnica in grado di garantire alla minore l’osservanza della procedura.

Quanto alla forma del provvedimento conclusivo del procedimento di autorizzazione ai sensi dell’art. 12 si deve ritenere che trattasi di decreto e che lo stesso debba essere motivato e ciò in applicazione dell’art. 111, co. 7 Cost. che prescrive che tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati. A ciò si aggiunga che l’art. 12 disponendo che il giudice tutelare “può autorizzare” conferisce allo stesso un certo grado di discrezionalità al suo potere autorizzativo e integrativo della volontà della gestante minorenne che, dunque, gli impone di motivare il suo provvedimento.

L’art. 12, co. 2 l. 194/1978 dispone, infine, che il provvedimento autorizzazione non è soggetto a reclamo.

Diversamente da quanto previsto dall’art. 739 c.c. secondo cui tutti i provvedimenti del giudice tutelare sono reclamabili davanti al Tribunale in composizione collegiale, la legge de qua invece prevede la non impugnabilità del provvedimento conclusivo16.

Quindi siamo di fronte ad un procedimento in cui viene attribuito solo ed esclusivamente al giudice tutelare il potere discrezionale di autorizzare o meno la minore e nel quale, come detto, ella sta in giudizio personalmente.

Se non sussistono dubbi sull’impugnabilità del provvedimento positivo, riserve si devono esprimere con riguardo al provvedimento negativo viste le inevitabili ripercussioni sulla vita della minore, soprattutto qualora l’autorizzazione sia stata negata per un errore di valutazione del giudice tutelare, oppure qualora non si sia proceduto all’ascolto della minore così come prescritto dalla legge.

Da ultimo, non si può fare a meno di osservare che il provvedimento di diniego, anche alla luce dei principi generali del nostro sistema processuale, dovrebbe essere reclamabile entro un termine brevissimo da parte della minore con l’ausilio di un difensore tecnico che, come detto, potrebbe essere il curatore speciale.



3. Segue. Il procedimento di autorizzazione della maggiorenne interdetta



Il carattere della personalità del consenso all’interruzione volontaria di gravidanza pone problemi particolari anche nell’ipotesi in cui la gestante sia una donna maggiorenne interdetta. Ci si riferisce, quindi, alle donne che si trovino in condizioni di abituale infermità di mente tali da renderle incapaci di provvedere ai propri interessi e come tali dichiarate a seguito

del procedimento di cui all’artt. 712 ss. c.c.17.

In tale ipotesi, l’art. 13 della l. 194/1978 pone una deroga alla regola finora esaminata secondo cui la richiesta di interruzione della gravidanza deve essere avanzata personalmente dalla donna18.

In particolare, con riguardo alla gestante interdetta, la domanda ad un medico di fiducia o ad una delle strutture di cui all’art. 4, può essere non solo presentata personalmente dalla stessa ma anche in via sostitutiva dal tutore o dal marito che non sia legalmente separato, qualora questi sia persona diversa dal tutore.

Dunque, da punto di vista della legittimazione attiva si riscontra un ampliamento dei soggetti che possono avviare la procedura.

L’art. 13 della l. 194/1978 al contempo prevede che qualora la richiesta sia stata presentata dalla donna o dal marito non tutore, dovrà essere sentito anche il tutore, mentre se la richiesta è stata presentata dal tutore o dal marito non tutore deve essere confermata dalla donna.

In tale ultima ipotesi, si osserva come la disciplina – nell’intento di valorizzare al massimo il diritto di autodeterminazione della donna – presupponga, se pur implicitamente, un certo grado di capacità di intendere e di volere della donna che potrebbe in realtà non sussistere quando lo stato di infermità sia tale da non consentirle di manifestare un consenso informato.

Come nel caso della donna minorenne esaminato nel paragrafo precedente, il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, ovvero il medico di fiducia, trasmette entro sette giorni dalla richiesta una relazione al giudice, il quale sentiti eventualmente gli interessati, decide entro cinque giorni con provvedimento, anche in questa ipotesi, non soggetto a reclamo.

A tal proposito, non si può fare a meno di osservare che, rispetto a quanto è stato evidenziato con riferimento al procedimento di autorizzazione all’interruzione di gravidanza della minorenne esaminato nel paragrafo precedente, con riguardo alla donna interdetta il giudice tutelare non è chiamato ad emettere un atto autorizzativo ma a rendere una decisione.

Sul punto, infatti, l’art. 13 della l. 194/1978 dispone che il giudice tutelare decide e non che autorizza la maggiorenne interdetta all’interruzione volontaria di gravidanza.

Al contempo la norma non indica gli elementi e i criteri sulla base dei quali l’organo giurisdizionale potrà fondare la propria decisione.

È possibile affermare che nell’ambito dell’attività istruttoria, il giudice tutelare è chiamato a svolgere un ruolo preminente – così come avviene anche per l’autorizzazione della minorenne – rappresentato dalla relazione che viene predisposta e allo stesso inviata dal medico.

Quanto al contenuto della suddetta relazione l’art. 13 l. 194/1978 prescrive che la stessa dovrà contenere ragguagli sulla domanda e sulla sua provenienza, sull’atteggiamento assunto dalla donna e sulla gravidanza e specie dell’infermità mentale di essa nonché il parere del tutore, se espresso. Non solo, tale report dovrà contenere anche tutte le indicazioni mediche della gravidanza e sull’epoca gestazionale nonché ogni elemento utile in relazione all’infermità di mente, ciò per consentire al giudice di valutare la capacità della stessa ad esprimere il consenso ovvero a confermare la richiesta avanzata dal tutore o dal marito.

Come più sopra è stato evidenziato, in tale ultima ipotesi, la donna interdetta deve, infatti, confermare la richiesta presentata dagli altri soggetti a ciò abilitati, in tutti i casi in cui sia in grado di farlo ovvero sia dotata di un minimo di capacità cognitiva e volitiva che le consenta di esprimere la propria volontà.

È importante sottolineare che qualora la donna non confermi la richiesta presentata dal tutore o dal medico ed il giudice tutelare, anche sulla scorta della relazione pervenuta dal medico, reputi che la gestante non sia priva di qualsiasi capacità di esprimere o negare il proprio consenso, ma si renda sufficientemente conto della situazione, il giudice dovrà rigettare la richiesta per difetto di un presupposto per la regolare instaurazione del procedimento.

Proprio per tali ragioni i ragguagli circa lo stato di infermità della donna devono essere il più completi possibile al fine di consentire al giudice tutelare di potere valutare la capacità della donna di confermare o meno la richiesta di interruzione della gravidanza presentata dal tutore o dal marito.

Non è escluso poi che, nell’ambito della propria attività istruttoria, il giudice possa procedere anche all’audizione degli interessati, ovvero il tutore e il marito.

Nonostante la legge non prescriva ulteriori accertamenti oltre all’esame della relazione medica e all’audizione degli interessati, si deve reputare che – nel rispetto del brevissimo termine di cinque giorni per emettere il provvedimento – il giudice si possa avvalere anche di ulteriori indagini per verificare la natura e l’evoluzione della malattia della donna19.

Oltre a tali profili il giudice tutelare, come avviene per l’autorizzazione della minorenne, dovrà valutare l’esistenza di un serio pericolo per la saluta fisica o psichica della donna, e tale verifica dovrà avvenire, alla luce del disposto di cui all’art. 4

l. 194/1978, anche nel rispetto della volontà della donna nei confini più sopra definiti.

Ciò posto, è evidente che nel brevissimo lasso temporale concesso al giudice per la decisione, difficilmente lo stesso potrà farsi coadiuvare da un consulente tecnico d’ufficio e quindi, alla fine dei conti, la sua deliberazione avverrà solo sulla base della relazione del medico e sull’eventuale colloquio con la donna e con gli altri interessati.

È stato rilevato che il giudice tutelare al termine di questo procedimento “decide” con atto non soggetto a reclamo, analogamente a quanto avviene per la minorenne.

Si richiamano qui pertanto i medesimi dubbi e considerazioni già sollevati nel paragrafo precedente, con riguardo alla non impugnabilità del provvedimento quantomeno di rigetto. Si evidenzia da ultimo che ai sensi dell’art. 13 il giudice tutelare deve decidere sia in caso di richiesta di interruzione pervenuta entro i novanta giorni, ma anche in caso di richiesta oltre i novanta giorni di gravidanza. Resta salva l’ipotesi di imminente pericolo per la vita della donna di cui all’art. 7, co. 2 l. 194/1978.



4. Riflessioni sull’esperibilità della tutela cautelare d’urgenza



A chiusura dell’analisi sino a qui svolta, alcune brevi riflessioni meritano di essere svolte in ordine alla possibilità per la gestante di ricorrere alla tutela cautelare d’urgenza al fine di ottenere un provvedimento a contenuto anticipatorio, tutte le volte in cui – pur in presenza dei requisiti richiesti dalla legge – la donna veda ostacolato l’esercizio del diritto all’inter- ruzione di gravidanza innanzi alla reticenza o al rifiuto della struttura sanitaria ad eseguire la pratica abortiva.

L’accesso alla procedura di interruzione di gravidanza non è, infatti, assicurata su tutto il territorio nazionale in modo uguale, così come variano molto a livello regionale i tempi di attesa, che in una procedura come quella è auspicabile siano i più brevi possibili. Non è un mistero, infatti, che la cronaca si occupi sempre più spesso del problema che affligge molte regioni italiane in relazione all’attuazione della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza ovvero l’impossibilità delle strutture sanitarie ivi dislocate di garantire alla donna il diritto ad interrompere la gravidanza.

Frequentemente le donne sono costrette a dover uscire dalla propria regione di residenza per potere esercitare un diritto che dovrebbe essere assicurato su tutto il territorio nazionale in modo eguale.

Secondo l’ultimo rapporto del Ministero della Salute sull’applicazione della l. 194/197820, infatti, la percentuale di medici obiettori è pari al 64,6%, ciò significa che molto spesso le donne che hanno fatto ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza si sono dovute spostare territorialmente per poter trovare una struttura con medico non obiettore che pratichi l’aborto. Va, infatti, osservato, come più sopra già anticipato, che la l. 194/1978 valorizza l’obiezione di coscienza del personale sanitario e di quello esercente le attività ausiliarie, i quali non sono tenuti a prendere parte agli interventi per l’interruzione della gravidanza se, con preventiva dichiarazione, manifestino il rifiuto per motivi legati alle loro convinzioni etiche, morali o religiose.

In ogni caso, ai sensi dell’art. 9 l. 194/1978 essi non possono esimersi dall’assistenza antecedente e conseguente l’intervento e non possono invocare l’obiezione di coscienza quando il loro intervento sia indispensabile per salvare la vita alla donna che sia in imminente pericolo di vita.

Al contempo, la medesima disposizione normativa prevede che “gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La Regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale”.

Di fronte ad una simile situazione di fatto è opportuno riflettere sull’esperibilità della tutela cautelare anticipatoria d’urgenza con riguardo al diritto alla autodeterminazione procreativa della donna.

In proposito, come noto, la concessione del provvedimento atipico di cui all’art. 700 c.p.c. è subordinato alla verifica della sussistenza del verificarsi – nel tempo occorrente ad ottenere un provvedimento di merito – di un danno o pregiudizio imminente e irreparabile21.

Oltre a tale elemento il giudice del cautelare dovrà valutare la sussistenza del fumus boni iuris.

Venendo alla fattispecie in esame, con riguardo al requisito del periculum in mora, è sufficiente osservare come il pericolo nel ritardo sia conseguente alla condizione della gestante, per la quale il decorrere del tempo necessario per la tutela ordinaria cagionerebbe certamente un pregiudizio non risarcibile alla salute fisica e psichica. Non vi è dubbio che la mancata esecuzione della pratica abortiva negli strettissimi termini indicati dalla legge comporterebbe alla donna un pregiudizio irreparabile.

Quanto al requisito del fumus boni iuris sarà sufficiente per la donna allegare la sussistenza dei requisiti richiesti dalla l. 194/1978 per poter chiedere l’interruzione volontaria di gravidanza ovvero che il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione a “lo stato di salute, le condizioni economiche o sociali o familiari, le circostanze in cui è avvenuto il concepimento, le previsioni di anomalie o malformazioni del concepito”. Ovvero qualora, dopo i primi novanta giorni, la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna ovvero quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinano un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna. Acclarata l’astratta esperibilità della tutela d’urgenza, il vero ostacolo al suo utilizzo, a mio avviso è rappresentato dai tempi tecnici per ottenere un provvedimento cautelare che ordini alla struttura sanitaria di procedere all’intervento di interruzione di gravidanza che difficilmente potranno essere contenuti nei novanta giorni22.



NOTE

1 Cfr., G. FERRANDO, Libertà, responsabilità e procreazione, Padova, 1999, 187- 228; F. GUARRIELLO, Diritto alla procreazione e cosciente e dovere di informazione: responsabilità del sanitario, in Giur. di merito, 2000, I, 307-319.

2 S. ROSSI, La Cassazione e la nascita indesiderata (Profili costituzionali di Cass. civ., 2 ottobre 2012, n. 1675), in Forum Quad. cost., 2012, 293 ss.

3 Cass., sez. un., 22 dicembre 2015 n. 25767, in Guida. dir., 2016, 38.

4 Corte cost., 23 dicembre 2008, n. 438, in cortecostitutizionale.it.

5 In particolare, ai sensi dell’art. 5 l. 194/1978 “Il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto. Quando la donna si rivolge al medico di sua fiducia questi compie gli accertamenti sanitari necessari, nel rispetto della dignità e della libertà della donna; valuta con la donna stessa e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della per- sona indicata come padre del concepito, anche sulla base dell’esito degli accertamenti di cui sopra, le circostanze che la determinano a chiedere l’interruzione della gravidanza; la informa sui diritti a lei spettanti e sugli interventi di carattere sociale cui può fare ricorso, nonché sui consultori e le strutture socio-sanitarie”.

6 Si evidenzia che l’art. 1, comma 24, lett. c, l. delega 21 novembre 2021, n. 206 “Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata”, dispone che le materie che sono oggi di competenza del giudice tutelare siano trasferite all’articolazione circondariale in composizione monocratica dell’istituendo tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie. Il tribunale unico dovrebbe divenire operativo entro due anni dall’approvazione dei decreti legislativi, unitamente all’introduzione di un rito unificato applicabile a tutti i procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie. Sul tema v. C. CECCHELLA, Il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie della legge delega di riforma del processo civile, in Quest. giust., 2021, 239 ss.; M.A. LUPOI, Il processo di famiglia, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2021, 1008 ss.; F. DANOVI, Le ragioni per una riforma della giustizia familiare e minorile, in Fam. e dir., 2022, 323 ss.

7 Sul procedimento de quo v. A. NASCOSI, L’interruzione volontaria di gravidanza della minore di età. Aspetti processuali, in Resp. medica, in corso di pubblicazione; G. FINOCCHIARO, Sul procedimento di autorizzazione dell’aborto della minore, in Ragiusan, 2016, 136 ss.; BILÒ, sub art. 12, legge 194/1978, in Codice della famiglia, a cura di Sesta, Milano, 2015, 2101 ss.; F. PICCALUGA, Aborto della minore e limiti di intervento del giudice tutelare, in Giur. di merito, 2003, 1675 ss.;

E. CECCARELLI, Il giudice tutelare e l’aborto delle minorenni, in Quest. giust., 1984, 375 ss.; FOTI, sub art. 12 l. 22 maggio 1978, n. 194, in Commentario del Codice ci- vile, Della famiglia, Leggi collegate, III, diretto da Gabrielli, Torino, 2018, 433 ss.;

B. DE FILIPPIS, G. CASABURI, Il giudice tutelare nella dottrina e nella giurisprudenza, Padova, 1999, 387 ss.

8 Corte cost., 25 maggio 1987, n. 196, in Foro it., 1988, I, c. 758.

9 In generale sui procedimenti in camera di consiglio v. G. ARIETA, voce Pro- cedimenti in camera di consiglio, in Dig. disc. priv., Sez. civ., XIV, Torino, 1996, 435 ss.; M.G. CIVININI, I procedimenti in camera di consiglio, in Giur. sist. dir. proc. civ., diretta da Proto Pisani, Torino, 1994; L. LAUDISA, voce Camera di consiglio. I, Procedimenti in camera di consiglio. Diritto processuale civile, in Enc. giur. Treccani, V, Roma, 1988, 1 ss.; G.A. MICHELI, voce Camera di consiglio (dir. proc. civ.), in Enc. dir., V., Milano, 1959, 981 ss.; A. PROTO PISANI, Usi e abusi della procedura camerale ex artt. 737 e ss. c.p.c., in Riv. dir. civ., 1990, I, 393 ss.; A. CERINO CANOVA, Per la chiarezza di idee in tema di procedimento camerale e di giurisdizione volontaria, in Riv. dir. civ., 1987, I, 431 ss.

10 Si deve escludere la possibilità per il giudice tutelare di avvalersi dell’obiezione di coscienza, così come prevista dall’art. 9 della l. 194/1978 per i sanitari, per astenersi dalla decisione sull’interruzione di gravidanza adducendo ragioni etiche. Sul punto è intervenuta la Corte cost., 25 maggio 1987, n. 196, cit., che ha dichiarato la non fondatezza, in riferimento agli art. 2, 3, 19 e 21 Cost., della questione di legittimità costituzionale degli art. 9 e 12 della l. n. 194/1978 sulla base del fatto che le funzioni svolte dai sanitari e dal magistrato non sono assimilabili. La Corte cost. esclude ogni profilo di violazione della Cost. poiché il “magi- strato è tenuto ad adempiere con coscienza appunto […] ai doveri inerenti al suo ministero: si ricompongono in tal modo, nella realtà oggettiva della pronuncia, e i suoi convincimenti e la norma obiettiva da applicare. È propria del giudice, invero, la valutazione, secondo il suo “prudente” apprezzamento: principio questo proceduralmente indicato, che lo induce a dover discernere – secondo una significazione già semantica della prudenza – intra virtutes et vitia. Ciò beninteso in quei moduli d’ampiezza e di limite che nelle singole fattispecie gli restano obiettivamente consentiti realizzandosi, in tal guisa, l’equilibrio nel giudicare”.

11 Sul punto v. le importanti decisioni della Corte cost., 10 maggio 2012, n. 126, in Giust. civ, 2013, I, 1345, con nota di G. FINOCCHIARO, Un grave sospetto: il sindacato di legittimità costituzionale in via incidentale può essere abusivo e mascherare l’obiezione di coscienza del giudice tutelare nel procedimento di autorizzazione dell’aborto della minore? ed in Giur cost., 2012, 1792, con nota di L. PRINCIPATO, La capacità dei minori, la potestà genitoriale ed il controllo giurisdizionale: tassonomia della volontà nell’interruzione di gravidanza, nonché Corte cost. 19 luglio 2012, n. 196, in Foro it., 2012, 2553 ss. (con nota di G. DE MARZO, Alcune questioni ancora aperte in tema di interruzione volontaria di gravidanza), le quali hanno affermato che al giudice tutelare non spetta alcun potere decisionale o codecisionale, trattandosi di una scelta insindacabile della donna. V. anche Corte cost., 15 marzo 1996, n. 76, ivi, 1997, I, 41, con nota di F. GIARDINA, L’ultimo atto di una storia senza fine: l’incostituzionalità dell’art. 12 della legge sull’interruzione volontaria della gravidanza. Cfr. R. MASONI, Il giudice tutelare, Milano, 2018, 106-107.

12 Nel senso che la verifica compiuta dal giudice tutelare abbia natura procedimentale e limitata alla regolarità formale Corte cost., 25 giugno 1981 n. 109, in Giur. cost., 1981, I, 948; Pret. Roma, 10 aprile 1980, in Dir. fam., 1981, 569; Pret. Monza, 9 maggio 1987, in Foro it., 1987, I, 2877. In senso conforme G. CAMPESE, Il giudice tutelare e la protezione dei soggetti deboli, Milano, 2008, 488. Mentre secondo C. DE ANGELIS, I procedimenti civili minorili, Milano, 2019, 615, reputa che il giudice tutelare è tenuto ad effettuare un esame approfondito di quanto risulta dagli accertamenti socio-sanitari. In senso contrario, ovvero che al giudice competa un potere discrezionale nella concessione dell’autorizzazione: G. SPAGNOLO, Studio sull’interruzione della gravidanza, in Riv. it. dir. proc. pen., 1993, 1281; C. CASINI, F. CIERI, La nuova disciplina dell’aborto (Commento alla legge 22 maggio 1978, n. 194), Padova 1978, 196; L.V. MOSCARINI, voce Aborto, I. Profili costituzionali e disciplina legislativa, in Enc. giur., Roma, 1988, 5.

13 Trib. Mantova, 29 febbraio 2016, in www.ilcaso.it.

14 Cass., 5 marzo 2014, n. 5097, in ilfamiliarista.it.

15 Sull’argomento v. RUSSO, La partecipazione del minore al processo nella riforma del rito civile, in Fam. dir., 2022, 647 ss.; A. ARCERI, Il minore nel nuovo processo familiare: le regole sull’ascolto e la rappresentanza, in Fam. dir., 2022, 386 ss.; R. DONZELLI, Prime riflessioni sul minore come parte del processo alla luce della riforma del processo civile, in judicium; B. POLISENO, Il curatore speciale del minore, in La riforma del giudice e del processo per le persone, per i minori e per le famiglie, a cura di Cecchella, Torino, 2022, 85 ss.

16 Nel senso della reclamabilità con applicazione analogica dell’art. 739

c.p.c. v. MORETTI, in Moro, Manuale di diritto minorile, a cura di A.C. Dossetti, C. Moretti, M, Moretti, G. Vittorini, Bologna, 2019, 407. In senso contrario, ovvero sulla non reclamabilità del provvedimento negativo, G. CAMPESE, op. cit., 486; A. SCARAMUZZINO, La scelta di Laura (Note su minorenni e interruzione di gravidanza a margine di una vicenda di cronaca), in Quest. giust., 2000, 345; E. CECCARELLI, op. cit., 376; BILÒ, op. cit., 2105.

17 Sul procedimento di interdizione v. L. BASSORA, Le misure di protezione dei soggetti deboli: interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno, in Diritto processuale di famiglia (a cura di) Graziosi, Torino, 2016, 339 ss.

18 In ordine a tale procedimento v. B. DE FILIPPIS, G. CASABURI, op. cit., 444 ss.

19 B. DE FILIPPIS, G. CASABURI, op. cit., 447.

20 Relazione del Ministero della salute sull’attuazione della legge 194/78 tra- smessa al Parlamento in data 8 giugno 2022.

21 In generale sui provvedimenti d’urgenza v. G. ARIETA, I provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c., Padova, 1982; C.E. BALBI, voce Provvedimenti di urgenza, in Dig. disc. priv., Sez. civ., XVI, Torino, 1997; F. CARBONARA, Limiti oggettivi all’“anticipazione” giuridica, “strumentalità attenuta” ed ulteriori riflessioni in tema di provvedimenti cautelari nel nuovo rito societario, in AA.VV., Davanti al giudice. Studi sul processo societario, a cura di Lanfranchi e Carratta, Torino, 2005, 373.

22 Da un esame della giurisprudenza è stato possibile rintracciare solo due precedenti sul punto che attengono però al caso dell’aborto selettivo dopo una pratica di fecondazione assistita – prima dell’introduzione della legge che con- sente oggi l’analisi pre-impianto. V. Trib. Cagliari 29 giugno 2004 e 5 giugno 2004, in Dir. fam., 2006, 1734. In particolare, il tribunale, verificata l’urgenza (conseguente al fatto che, per entrambe le ricorrenti, le gravidanze erano già avanzate) ordinava alla A.s.l. ex art. 700 c.p.c. di procedere agli interventi di interruzione di gravidanza, limitatamente ad un feto, non diversamente identificato nel primo caso (quello della gravidanza trigemina a seguito di fecondazione artificiale) ed al feto portatore di malattia genetica nell’altra fattispecie.