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Spunti comparativi in materia di diritto di famiglia canonico e civile (II parte)

autore: A. P. Tavani

SOMMARIO: 1. Errore e dolo. - 2. Vis vel metus. - 3. Il consenso condizionato. - 4. L’incapacità. - 5. La presunzione di validità del matrimonio. - 6. Annotazioni conclusive.



1. Errore e dolo





L’errore di persona rende invalido il matrimonio (ad esempio nel caso di un matrimonio celebrato per procura o con un fratello gemello) (can. 1097 § 1 CIC), così come rende nullo il matrimonio l’errore sulla qualità della persona, se tale qualità sia stata intesa “directe et principaliter” (can. 1098 CIC). È il caso di colui che fa prevalere la qualità sulla stessa persona che intende sposare. In alcuni luoghi, ad esempio, la qualità della verginità nella donna è intesa in modo principale, per cui la sua mancanza invaliderebbe il matrimonio1. Naturalmente non rileva la valenza oggettiva della qualità ma la valutazione soggettiva operata dal contraente, il quale vuole sposare la qualità considerata, cioè, “un astratto tipo di persona che è costituita dall’astrazione di quella qualità (ad es. la vergine, il nobile, il musicista, il diplomatico, l’americano, ecc.)”2.

Ai fini della nullità è necessario dimostrare che l’errante aveva mostrato una forte predilezione per una determinata qualità della quale riteneva dotata l’altra parte e che assume un ruolo di primo piano nella decisione matrimoniale: è il caso di una donna che per realizzare il sogno di diventare madre sposa un uomo che scopre essere incapace a generare.

Il diritto di famiglia civile prevede una disciplina molto simile a quella canonica; anzi, nei Tribunali ordinari si registrano diverse cause di nullità del matrimonio per questo capo di nullità. Il legislatore civile richiede che l’errore debba essere “essenziale” e tale requisito sussiste quando, “tenute presenti le condizioni dell’altro coniuge, si accerti che lo stesso non avrebbe prestato il suo consenso se le avesse esattamente conosciute”. Per questa ragione l’errore deve essere determinante, ovvero “dotato di efficacia causale nella prestazione del consenso”3. Le cause che possono determinare l’errore possono riguardare specifiche situazioni personali tassativamente indicate dal codice civile e, cioè, una malattia fisica o psichica o un’anomalia o deviazione sessuale tale da impedire lo svolgimento della vita coniugale; l’esistenza di una sentenza di condanna alla reclusione per delitto non colposo; la dichiarazione di delinquenza abituale o professionale; la condanna alla reclusione non inferiore ai due anni per delitti concernenti la prostituzione; lo stato di gravidanza causato da persona diversa dal nubente a condizione che vi sia stato disconoscimento di paternità, se la gravidanza è stata portata a termine (art. 122, 3° comma, nn. 1-5).

Con particolare riguardo alle malattie fisiche e psichiche va rilevato che, ai fini della nullità, non è l’esistenza della malattia oggettivamente considerata che determina la fattispecie, ma piuttosto l’errore in cui versa il coniuge ignaro della stessa (la casistica varia dall’assunzione di sostanze stupefacenti, alla sieropositività al virus HIV, sclerosi multipla, psicosi maniaco-depressiva, ecc.). Va da sé che l’origine della malattia deve essere antecedente alla celebrazione del matrimonio, in virtù del principio di solidarietà che vige nell’ambito dell’unione coniugale; essa, peraltro, deve essere stata determinante nell’impedire lo svolgimento di una vita di coppia normale sulla base delle aspettative del coniuge incorso in errore. La condotta assunta dall’errante, una volta venuto a conoscenza della patologia, costituirà un ulteriore elemento di prova.

Nell’anomalia o deviazione sessuale cui fa riferimento l’art. 122 c.c. viene contemplata l’ipotesi dell’impotenza, che un tempo costituiva un impedimento autonomo come previsto dalla disciplina canonistica. In tal caso l’errore verte sia sull’impotentia coeundi sia su quella generandi. Vengono considerate deviazioni sessuali il transessualismo, l’omosessualità, il feticismo, la ninfomania. Sia l’anomalia sia la deviazione sessuale devono essere tali da impedire lo svolgimento della vita coniugale.

Nella fattispecie dell’errore sulla qualità della persona rientrano anche le condanne penali che devono essere state comminate in epoca prenuziale.

La nullità per errore sulla paternità presuppone un’azione di disconoscimento della paternità.

A differenza del diritto canonico della famiglia che prevede anche la fattispecie del dolo, il legislatore civile ha ritenuto di non contemplare tale ipotesi di vizio del consenso. Tuttavia, il raggiro provocato dal dolo potrebbe aver indotto nell’errore sulle qualità personali dell’altro coniuge e, pertanto, anche tale ipotesi rientrerebbe nella fattispecie dell’errore.

Oltre l’errore di persona e l’errore sulla qualità della persona, il legislatore canonico ha ritenuto di individuare una terza figura, nel c.d. errore doloso, definito anche semplicemente dolo, disciplinato per la prima volta nel nuovo codice di diritto canonico del 1983. I requisiti richiesti dal legislatore canonico sono tassativi: deve trattarsi di un inganno, ordito per ottenere il consenso e non per altre ragioni. L’inganno può provenire anche da una terza persona, ad esempio da un parente, deve essere esercitato contro un soggetto al fine di indurlo a contrarre il matrimonio. È una fattispecie autonoma che si differenzia dall’errore perché quest’ultimo può formarsi spontaneamente nell’animo del contraente, indipendentemente dall’inganno diretto a provocarlo.

Come avviene nell’ipotesi di errore, il dolo deve vertere su una qualità o un attributo della persona dell’altro contraente. Non rileva, pertanto, ai fini della fattispecie dell’efficacia invalidante per dolo, una tara familiare di cui è affetto un parente del coniuge oppure la decisione di porre la residenza in una città lontana rispetto alla famiglia di origine della sposa come concordato. Tale qualità, piuttosto, è posta dal can. 1098 in stretta correlazione con la vita coniugale; essa deve, infatti, per sua natura perturbare gravemente la comunità di vita coniugale, pregiudicando l’armonia all’interno della famiglia (sterilità, malattie inguaribili o contagiose, vita libertina). Non avranno alcuna valenza probatoria quelle qualità che non siano riconducibili alla vita coniugale (laurea, abilità artistiche, ricchezze). Nella valutazione della qualità sarà opportuno considerare se questa possa perturbare la vita coniugale secondo il comune sentire, ma anche tenendo presente il modo di pensare e di intendere la vita del contraente ingannato che possiede caratteristiche peculiari e irripetibili rispetto a qualsiasi altra persona. Per tali ragioni il dolo sulla medesima qualità potrà avere effetto invalidante o meno, anche sulla base delle valutazioni della personalità della vittima.

Nella prassi giudiziaria tra le varie ipotesi esaminate, quella

relativa all’errore di persona è la fattispecie meno diffusa; anzi l’ipotesi eccezionale dello scambio di persona dovrebbe essere ampliato per ricomprendere anche l’errore su quegli attributi o connotazioni che concorrono in maniera determinante a caratterizzare e quasi a comporre un certo soggetto, così da renderlo una specifica e concreta persona. Anche in tal caso, il nubente viene a trovarsi sposato con una persona diversa, in senso sostanziale, da quella con cui credeva e intendeva unirsi in matrimonio.



2. Vis vel metus





In ossequio al principio secondo il quale un atto umano, qual è il consenso matrimoniale, per definirsi tale deve essere ragionevole e libero, determinato cioè da una volontà libera da ogni forma di coercizione, fisica o psicologica, che consenta un’autodeterminazione nell’agire e una scelta consapevole, la normativa sia canonica sia civile considera invalido il consenso prestato per sfuggire ad un male non diversamente evitabile.

Il codice di diritto canonico contempla l’ipotesi della vis vel metus disciplinata dal can. 1103 secondo il quale è invalido il matrimonio contratto a causa di violenza o timore grave proveniente dall’esterno se una persona, per liberarsene, sia costretta a scegliere di contrarre le nozze. Trattasi di una condizione di timore (metus) provocata da una violenza (vis), dove il metum patiens opta per la celebrazione del matrimonio nonostante l’aversio, a causa delle minacce inferte (coactio) dal metum incutiens. Naturalmente deve trattarsi di timore grave e la gravità sarà relazionata alle condizioni personali del metum patiens (indole, età, sesso, stato di gravidanza, periodo di depressione) che possono rendere il soggetto più facilmente vulnerabile e meno reattivo; deve provenire ab extrinseco, ovvero da una persona che eserciti pressioni non necessariamente finalizzate alla celebrazione del matrimonio e, pur tuttavia, le nozze devono rappresentare l’unica via per liberarsi dal male minacciato, ovvero minacce di espulsione da casa, da rimproveri, percosse, minacce di morte e di suicidio, ecc. È il caso tipico della ragazza che si sposa per sottrarsi alle percosse di un genitore aggressivo4.

Diverso è il caso, estremamente raro, della violenza assoluta o vis corpori illata.

Nella giurisprudenza rotale si riscontrano pochissimi casi, peraltro molto risalenti, che oggi potrebbero suscitare qualche ilarità, come quello di una giovane cristiana che si opponeva ad esprimere il proprio consenso sull’altare e che venne indotta ad abbassare la testa e a inchinarsi, in segno di assenso, con un colpo inferto sul capo.

Invece un’ipotesi particolare di metus è rappresentata dal timore reverenziale che si differenzia da quello comune per il fatto che è incusso da una persona nei confronti della quale il metum patiens ha un rapporto di subordinazione (genitori, datore di lavoro). In questo caso il timore presenta una particolarità, perché non riguarda un male fisico ma la paura di dare un dispiacere, ad esempio, al genitore che insiste con preces e suasiones affinché il figlio acconsenta a celebrare le nozze con una persona che diversamente non avrebbe scelto come moglie.

Il legislatore civile ha invece previsto due distinte ipotesi di nullità: quella generata da violenza morale e quella determinata dal timore di eccezionale gravità (art. 122 c.c.). Anche nella prassi dei tribunali ordinari l’ipotesi della violenza fisica è assai rara. La violenza morale si caratterizza secondo i criteri mutuati dalla disciplina contrattuale, sebbene parametrati a situazioni di natura personale e non patrimoniale. La minaccia deve provenire dall’esterno, ovvero non da personali suggestioni, e deve essere idonea a coartare la volontà di una persona che teme il male minacciato per sé e per i suoi beni (ad esempio, una minaccia di querela). La fattispecie del timore di eccezionale gravità si differenzia dalla violenza morale: non scaturisce, infatti, da minacce direttamente finalizzate ad indurre la persona al matrimonio, ma da condizionamenti indiretti provenienti dall’ambiente familiare o sociale. In questi casi è opportuno dimostrare il nesso di causalità tra le circostanze esterne al metum patiens e il timore di eccezionale gravità o, almeno, la probabilità che il matrimonio abbia rappresentato l’unico mezzo per evitare il male. Rientrano in questa fattispecie il timore derivante dalle minacce di suicidio o quello derivante dalla morte di un familiare in precarie condizioni di salute. Le caratteristiche tipiche del metus reverentialis che abbiamo visto nel diritto canonico della famiglia non trovano un riconoscimento formale nella legislazione statuale: tra le cause di annullamento dei contratti (art. 1437 c.c.), infatti, non si ravvisa la soggezione psicologica del soggetto verso i genitori o terze persone, salvo il caso in cui non si dimostri che le intimidazioni siano state realmente determinanti nella scelta matrimoniale: in tal caso da reverentialis il metus recupera la caratteristica di eccezionale gravità e rientra nella disciplina dell’art. 122 del codice civile.



3. Il consenso condizionato





Contrariamente a quanto avviene di solito negli ordinamenti civili, in cui non è disciplinato il matrimonio sottoposto a condizione e dove un’eventuale condizione apposta dalle parti si considera come non apposta (art. 108 c.c.), il diritto canonico prevede ben due ipotesi distinte: il matrimonio celebrato sotto condizione futura e il matrimonio celebrato sotto condizione passata o presente (can. 1102 CIC).

La condizione de futuro sospende la validità del matrimonio fino al verificarsi dell’evento futuro ed incerto: ti sposo, ad esempio, se riceverai una donazione da parte dei genitori, se smetterai di lavorare per dedicarti alla famiglia, se ti converti alla mia religione, se smetti di bere, se accetti di trasferirti con me in Cina. Se l’evento non si verifica, il matrimonio non è stato voluto ed è pertanto invalido. La condizione passata o presente si verifica quando viene meno il presupposto della condizione: ad esempio, dato che desidero ardentemente un figlio e dubito sulla tua capacità a generare, accetto di celebrare il matrimonio a condizione che tu sia dotato di una normale attitudine alla generazione della prole. Tale fattispecie può sembrare simile a quella dell’errore sulla qualità della persona intesa direttamente e principalmente come prima abbiamo osservato: in entrambi i casi il nubente vuole sposare una persona con una certa qualità. Vi è tuttavia una differenza: l’errante di fronte al bivio prende la strada sbagliata, chi appone la condizione si ferma in cerca di informazioni.

Il diritto canonico della famiglia attribuisce rilevanza alla condizione facendone dipendere non l’efficacia ma la validità del negozio o dalla semplice apposizione della condizione o dall’esistenza o meno dell’evento dedotto. Atteso il principio della insostituibilità del consenso più volte richiamato, il legislatore canonico non avrebbe potuto considerare la condizione come non apposta. Peraltro la ratio della diversità tra i due ordinamenti, italiano e canonico, risiede nella differente rilevanza attribuita al consenso: per il diritto canonico è importante il matrimonium in fieri rispetto al matrimonium in facto esse che assume rilievo per legislatore statale.



4. L’incapacità

Il codice di diritto canonico del 1917 non disciplinava espressamente la capacità dei nubendi a prestare il consenso matrimoniale; semplicemente la presumeva, ma era ammessa la prova contraria. Ciò obbligava i canonisti e la giurisprudenza rotale a dedurre le differenti ipotesi di incapacità naturale sulla scorta dell’espressione “personae iure habiles” di cui al can. 1081 § 2. Il limitato riferimento legislativo di cui godeva l’incapacità aveva come conseguenza logica l’apertura di un maggiore spazio di interpretazione nelle cause di incapacità rispetto agli altri capi di nullità che già trovavano una propria collocazione nel codice del 1917.

Infatti, la formulazione del can. 1095 del codice vigente è frutto dell’elaborazione interpretativa della dottrina e soprattutto della giurisprudenza posteriori al codice precedente, arricchita dalla riflessione dei Padri conciliari, tesa a valorizzare il carattere di impegno personale che il matrimonio involge, senza trascurare il progresso delle scienze umane (antropologia, psicologia e psichiatria).

Anche l’ordinamento civile prevede la fattispecie dell’incapacità naturale di intendere e di volere (art. 120 c.c.), nonché l’impedimento inderogabile a contrarre matrimonio da parte dell’interdetto per infermità di mente (art. 85 c.c.). Tuttavia l’elaborazione della giurisprudenza rotale può costituire senza dubbio un riferimento anche per le legislazioni civili grazie alla considerevole casistica in questa materia.

La nuova codificazione canonica, sulle orme della giurisprudenza rotale, ha disciplinato con una normativa ad hoc le incapacità naturali ad emettere il consenso matrimoniale, raggruppandole in tre grandi capitoli nel can. 1095, il quale sancisce che sono incapaci a contrarre matrimonio: 1° coloro che mancano di sufficiente uso di ragione; 2° coloro che difettano gravemente di discrezione di giudizio circa i diritti e i doveri matrimoniali essenziali da dare e accettare reciprocamente; 3° coloro che per cause di natura psichica, non possono assumere gli obblighi essenziali del matrimonio.

L’uso di ragione di cui al n. 1 è necessario affinché il matrimonio possa essere definito come atto umano. Il significato dell’espressione risiede nella necessità che la sfera conoscitiva, la capacità di conoscere-capire la realtà esteriore all’uomo non siano sostanzialmente pregiudicate. Pertanto qualunque infermità mentale che impedisca lo sviluppo e l’esercizio delle stesse, impedirà inevitabilmente la realizzazione di un atto umano e, pertanto, la prestazione di un valido consenso matrimoniale. La carenza di uso di ragione può essere abituale o attuale, totale (amentia) o parziale (dementia): è indifferente. Ciò che è importante è sapere se la persona, al momento del consenso,

godeva delle sue facoltà mentali.

Non si rinviene un elenco analitico dei vari tipi di malattie mentali né nel codice di diritto canonico, né in dottrina e in giurisprudenza, giacché, ai fini del giudizio di validità o nullità di un matrimonio, è irrilevante il tipo di patologia; importanti, invece, sono gli effetti che la malattia produce sulla capacità nuziale del soggetto, cioè l’incidenza che ha la malattia sia sulla personalità e sull’atto del consenso, sia sull’oggetto del consenso.

Il legislatore canonico, evitando di elencare le patologie specifiche rientranti rispettivamente nei numeri 1, 2 e 3 del can. 1095 ha individuato solo i requisiti generali che possono generare un’incapacità nuziale. Spetta al giudice, con l’ausilio, in tali casi, indispensabile del perito (salvo che la patologia non risulti altrimenti provata), inquadrare definitivamente la patologia nella fattispecie più appropriata di cui ai numeri 1, 2 e 3 del can. 1095, sulla base delle risultanze processuali.

Varie possono essere le cause della perdita del sufficiente uso di ragione. Nell’ambito della giurisprudenza rotale si individuano le seguenti categorie di persone che soffrono di una radicale incapacità: gli adulti che non sono giunti all’uso di ragione (oligofrenia o frenastenia) o che, pur avendolo, lo hanno successivamente perduto (demenza); gli adulti che manifestano un grave disturbo dell’uso di ragione (psicosi).

Gli adulti che, pur godendo abitualmente dell’uso di ragione, lo perdono per un disturbo mentale attuale (per assunzione di droga o alcool)5.

Fra le altre cause di perdita del sufficiente uso di ragione individuate dalla giurisprudenza rotale ricordiamo il ritardo mentale, caso in cui la capacità intellettiva è molto al di sotto della media del Q.I. normale e provoca un deterioramento della condotta adattativa.

Rientrano anche in tale fattispecie i disturbi mentali organici accompagnati da gravi alterazioni emozionali, da una diminuzione del controllo degli istinti e impulsi, da un deterioramento del giudizio sociale.

La discrezione di giudizio, ex can. 1095 n. 2, presuppone una perfetta integrazione degli aspetti psicologici, affettivi, sessuali e psicosociali della personalità; consiste nella presenza di un senso critico, estimativo e valutativo dei diritti e doveri del matrimonio.

Essa si caratterizza per la presenza della facoltà conoscitiva, che consiste nell’apprendimento astratto dell’oggetto del consenso, della facoltà critica, che presuppone il c.d. giudizio pratico (valutazione non più astratta, ma concreta) e della libera scelta dell’oggetto stesso.

In altre parole il soggetto è in possesso della discrezione di giudizio solo quando può percepire nel proprio intimo il valore del mondo che lo circonda e quindi anche del matrimonio (facoltà conoscitiva); solo quando può valutare i pro e i contra sulla possibilità di contrarre quel determinato matrimonio (attraverso il giudizio pratico); solo quando può scegliere la propria moglie o il proprio marito liberamente (capacità volitiva).

Affinché abbia rilevanza nel diritto canonico il difetto di discrezione di giudizio deve essere grave, deve avere per oggetto i diritti e i doveri essenziali del matrimonio, deve sussistere al momento della celebrazione delle nozze. Non si richiede al soggetto la capacità di valutare cosa sia il matrimonio, ma cosa il matrimonio comporta.

Sulla base delle decisioni rotali è possibile ricostruire una panoramica generale per quanto concerne le cause patologiche prese in esame nel corso degli anni. Solitamente si fa riferimento al numero 2 del can. 1095 CIC. in presenza di quelle anomalie che non possono definirsi vere e proprie malattie mentali, ma che non permettono al soggetto il raggiungimento di un sufficiente livello di consapevolezza o di libertà nella scelta degli obblighi del matrimonio. Possono dunque ricondursi a tale fattispecie casi di nevrosi, psicastenia, isteria, personalità psicopatiche, ed anche casi di soggetti particolarmente ansiosi ed insicuri; persone impulsive, irritabili, ipertimiche, depresse, amorali, disforiche, fanatiche, instabili, ambiziose6.

Tuttavia appare opportuno specificare che non vi è automatismo: la presenza di una patologia non comporta sic et simpliciter la nullità del matrimonio; ciò che deve essere analizzato è se il nubente, a causa della patologia, non ha potuto valutare concretamente, non in astratto, il significato dell’assunzione degli obblighi matrimoniali.

In tali casi il matrimonio è nullo per il principio nihil volitum nisi praecognitum.

Si fa rientrare nell’ipotesi di cui al n. 2 del can. 1095 CIC anche il caso di immaturità affettiva. Al riguardo attenta dottrina osserva: “Può accadere… che dei giovani, per motivi accidentali, pur non essendo dei malati e portatori di personalità abnormi dal punto di vista strutturale […], pur avendo l’età nuziale, non abbiano ancora maturata una sufficiente capacità di discrezione di giudizio o di oblazione di sé, a causa di immaturità psicologico-conoscitiva o di immaturità affettiva o di entrambe”7. Tuttavia maturità non significa conoscenza piena e perfetta di ciò che il matrimonio comporta.

Sempre alla medesima fattispecie di cui al n. 2 del can. 1095 CIC può ricondursi anche un altro vizio del consenso denominato “difetto di libertà interna”.

Laddove manca la libertà non può esserci un vero giudizio critico; ciò si verifica allorché il soggetto non si sente internamente libero di scegliere in un senso o nell’altro, non perché manca di facoltà conoscitiva o di facoltà critica per valutare cos’è il matrimonio, ma perché si trova in una condizione tale da essere privato della necessaria libertà interna di autodeterminarsi (come ad esempio può avvenire nel caso in cui, per particolari condizioni psicologiche, una donna si senta obbligata a contrarre matrimonio perché in stato di gravidanza). La fattispecie si differenzia dal metus dove, come abbiamo visto, il timore è incusso ab externo.

Al n. 3 del can. 1095 si prevede che sono incapaci a contrarre matrimonio coloro che per cause di natura psichica non possono assumere gli obblighi essenziali del matrimonio.

Tale ipotesi di incapacità è emersa soprattutto nella trattazione della ninfomania (iperestesia sessuale) e di omosessualità. Infatti in entrambi i casi non è possibile instaurare quella comunità di vita e di amore coniugale che costituisce la sostanza dell’istituto matrimoniale e produce nel soggetto che ne è affetto una vera e propria incapacità a direzionare il proprio consenso su quello che ne rappresenta l’oggetto e il fine specifico. Tale forma di incapacità è stata estesa anche ad altri casi di deviazioni o perversioni sessuali nonché a disturbi di carattere psichico e caratteriale tali da non consentire la costituzione di un consortium totius vitae ordinato al bonum coniugum e al bonum prolis. Gli obblighi essenziali nei cui confronti deve manifestarsi l’incapacità sono le proprietà dell’unità e dell’indissolubilità e il fine del bene dei coniugi, della prole: la ninfomane è incapace di instaurare una vera comunione di vita matrimoniale con il proprio coniuge, le carenze affettive possono pregiudicare la capacità di assumere il ruolo di padre o di madre. Naturalmente la patologia ha efficacia invalidante se si prova l’esistenza in epoca prenuziale.

Oggetto di particolare attenzione in dottrina e anche in giurisprudenza è stata l’individuazione di una nuova figura, quella della incapacità relativa o relazionale, che impedirebbe al soggetto l’adempimento degli obblighi coniugali, appunto relativamente a quel matrimonio o relativamente a quella determinata persona. Sulla base dell’impostazione personalistica del Concilio Vaticano II, si è prospettato il matrimonio come relazione interpersonale e cioè come realtà di vita fortemente caratterizzata dal profilo esistenziale dei nubendi. Conseguentemente assumerebbe rilievo, al fine di determinare l’esistenza di una incapacità, l’analisi della personalità di entrambi i contraenti sia uti singuli sia nella loro reciproca relazione8: in buona sostanza l’incapacità nasce solo nell’ambito della relazione di coppia.

La giurisprudenza della Rota Romana, tuttavia, in passato ha individuato il pericolo per cui tale ipotesi avrebbe permesso di attribuire rilievo all’incompatibilità caratteriale tra i coniugi, finendo così col rendere nulli i matrimoni solo infelici o falliti; pertanto, ha interpretato restrittivamente tale fattispecie, poiché un’apertura nel senso appena profilato avrebbe consentito una equiparazione surrettizia tra la dichiarazione di nullità matrimoniale e la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Va evidenziato, tuttavia, che spesso il fallimento di un matrimonio nasconde uno o più casi di nullità.



5. La presunzione di validità del matrimonio





Se negli anni ’70 ci si poneva il problema di come la mentalità divorzista avrebbe negli anni a seguire influito sull’istituto del matrimonio e soprattutto sulla valida formazione del consenso del matrimonio canonico, attualmente l’interrogativo che ci si pone è se possa ancora presumersi nei contraenti quella intentio generalis faciendi id quod facit Ecclesia9.

In altre parole è lecito chiedersi fino a che punto operi e sia attuale la presunzione iuris tantum di conformità tra la dichiarazione e la volontà (can. 1101 § 1 CIC) secondo cui “internus animi consensus praesumitur conformis verbis vel signis in celebrando matrimonio adhibitis” che si collega all’altra presunzione, più generale, di validità, in caso di dubbio, del matrimonio (can. 1060 CIC)10. Si pone il problema se è lecito o meno presumere, in una società secolarizzata, che il nubente che celebra un matrimonio canonico abbia intenzione di contrarre un matrimonio secondo i principi della Chiesa e cioè uno, indissolubile, ordinato alla procreazione della prole, al bonum coniugum, alla fedeltà ecc., proprio quando “lo spirito della società post-cristiana o non cristiana contemporanea orienta sempre più la volontà degli individui nel senso dell’esclusione del matrimonio stesso, di un suo elemento o di una sua proprietà essenziali”11.

In dottrina non è mancato chi ha sottolineato il nesso causale tra secolarizzazione e relativismo etico da un lato e il progressivo aumento delle sentenze di nullità matrimoniale per simulazione del consenso12.

Non è chi non veda la reale fondatezza del dubbio circa l’effettiva portata della presunzione ex can. 1101 § 1 CIC: sarebbe più opportuno trasformare quest’ultima in presunzione di invalidità del matrimonio, dovendosi pertanto dimostrarne la validità.

Difatti, la portata della presunzione del can. 1101 § 1 del codice del 1983 risulta indubbiamente indebolita nella società odierna rispetto a quella, sostanzialmente identica13, contenuta nel can. 1086 § 1 del codice del 1917, che risultava maggiormente coerente alla realtà sociale dell’epoca, fortemente connotata dai valori cristiani.

Intanto si può parlare di simulazione del matrimonio canonico in quanto si faccia riferimento ad un contesto sociale in cui sono ancora forti ed avvertiti i valori cristiani, in cui, pertanto, possa ragionevolmente presumersi la conoscenza del modello di matrimonio previsto dalla legislazione canonica. Per converso, in una società come quella odierna il cui tratto caratteristico sembra essere quello della secolarizzazione e del relativismo, sembra più ragionevole presupporre che il modello di matrimonio comunemente considerato sia quello del matrimonio solubile, non già del matrimonio connotato dagli elementi e proprietà essenziali di cui al codice di diritto canonico. Ciò porta quindi a ritenere che difficilmente possa configurarsi da parte di un individuo l’esclusione del modello del matrimonio proposto dalla Chiesa, atteso che tale paradigma gli è estraneo, o quanto meno lontano dalla propria concezione relativistica di tale istituto.

Allora sarà la fattispecie dell’error la collocazione corretta delle molteplici ipotesi di nullità matrimoniale che hanno la loro ragion d’essere nella secolarizzazione della società14.



6. Annotazioni conclusive

Al termine della disamina delle fattispecie previste dagli ordinamenti canonico e civile appare opportuno ribadire che la diversità delle normative risiede prevalentemente sulla differente rilevanza attribuita al consenso: per la Chiesa il matrimonio è, oltre che un sacramento, un istituto naturale retto dal diritto divino e nessuna potestà umana, civile o ecclesiastica, potrà modificarne le basi naturali e la struttura giuridica. Lo Stato, invece, propende per una concezione storicistica del matrimonio, basta su ragioni di certezza e stabilità del rapporto coniugale e, quindi, sull’effettiva convivenza, piuttosto che su quella della validità del consenso.

Non a caso per alcuni vizi del consenso comuni a quelli disciplinati dal diritto canonico, come abbiamo visto, lo Stato prevede la sanatoria dopo un anno dalla effettiva convivenza dei coniugi. Per non parlare dell’importanza attribuita recentemente alla convivenza da parte della Corte di Cassazione al fine di negare la delibazione delle sentenze di nullità.

Dall’analisi dei vari capi di nullità possiamo riassumere alcune differenze tra il modello canonistico e quello civilistico di matrimonio. Innanzitutto il principio fondamentale di indissolubilità si contrappone al divorzio. Per quanto l’art. 143

c.c. preveda l’obbligo reciproco alla fedeltà, la sua inosservanza è priva di qualsiasi sanzione civile e penale, potendo costituire solo motivo di addebitabilità della pronuncia di separazione giudiziale solo ove si sia estrinsecata in comportamenti che offendono il decoro e l’onorabilità dell’altro coniuge. Sembrerebbe, pertanto, che gli obblighi nascenti dal matrimonio (bonum coniugum o obbligo di assistenza morale e materiale, l’obbligo di collaborare nell’interesse della famiglia) siano tutelati dalla buona volontà dei coniugi.

Sul bonum prolis è da dubitarsi che esso costituisca oggi un elemento essenziale del matrimonio civile, essendo in vigore la legge sull’aborto.

Per quanto concerne la simulazione, nel diritto civile essa provoca l’invalidità del matrimonio solo nell’ipotesi di accordo tra le parti che si impegnano reciprocamente a non rispettare gli obblighi e i diritti propri del matrimonio (art. 123 c.c.). Viceversa, nel diritto canonico si riconosce anche la simulazione c.d. unilaterale, come anche la stessa riserva mentale.

La differenza più rilevante è rappresentata dalla circostanza che nell’ordinamento canonico tutte le nullità sono insanabili, tanto che è previsto un procedimento amministrativo ad hoc per la convalidazione del matrimonio nullo. Nel matrimonio civile, invece, le nullità in molti casi sono sanabili: è sanabile l’impedimento di età (art. 117 c.c.), la nullità del matrimonio dell’interdetto dopo un anno di coabitazione dalla revoca dell’interdizione (art. 119, 2° comma, c.c.), dell’incapace naturale dopo un anno dalla riacquisizione della pienezza delle facoltà mentali (art. 120, 2° comma c.c.). È sanato il vizio del consenso dopo un anno di coabitazione dalla cessazione della violenza, del timore o dalla scoperta dell’errore (art. 122, ultimo comma, c.c.), nonché trascorso un anno di coabitazione dalla celebrazione del matrimonio in caso di simulazione (art. 123, 2° comma c.c.).

L’istituzione matrimoniale, come ogni altra istituzione umana, è sempre suscettibile di variazioni più o meno radicali in rapporto all’evoluzione delle sensibilità, delle visioni del mondo e dei costumi sociali e civili. Tuttavia, ciò che appare normale e scontato nell’ambito del vivere comune, non può essere trasferito, sic et simpliciter nella sfera religiosa che coinvolge l’aspetto intimo, legato al trascendente, di ogni credente che si rispetti (è noto che religio significa legame tra cielo e terra). Le leggi civili, i costumi, la Weltanschauung possono essere soggetti a modificazioni, non invece i dogmi religiosi e, pertanto, neanche le leggi canoniche che si fondano sul diritto divino. Altrimenti, non di religione si tratterebbe, ma di una filosofia, mutevole e suscettibile di critiche come tante altre.

NOTE

1 È così stata riconosciuta la nullità di un matrimonio a causa di un errore sulla verginità della sposa da parte di un cittadino dello Sri Lanka, dove per costume e radicata cultura si ritiene imprescindibile che la ragazza si presenti vergine al matrimonio. Rota Romana, 26 maggio 1989, coram Faltin.

2 O. GIACChI, Il consenso nel matrimonio canonico, Milano, 1973, 73.

3 G. FERRANdO, Il matrimonio, cit., 608 ss.

4 Cfr. per tutti AA.VV., La “vis vel metus” nel consenso matrimoniale canonico (can. 1103), Città del Vaticano, 2006.

5 “Con l’espressione alcoolista cronico si intende definire quell’individuo al quale il vizio del bere ha arrecato, senza possibilità di dubbi, grave pregiudizio nella salute del corpo o della mente, o nella posizione sociale”: cfr. E. BLEULER, Trattato di psichiatria, Milano, 1967, 358. Sull’alcoolismo cronico cfr. S.R.R.D. c. Stankiewicz, 21 gennaio 1982, in Monitor Ecclesiasticus 107 (1982), 124-153. Sulle fasi acuta, cronica, subacuta, cfr. S.R.R.D. c. Ragni, 11 ottobre 1982, in

M.E. 108 (1983), 254-268; per lo studio completo, cfr. S. pANIZO ORALLO, Alcoholismo, Droga y Matrimonio, Salamanca, 1984. L’alcoolismo cronico contiene in sé già una condizione psichica abituale: cfr. c. Stankiewicz, 21 gennaio 1982, Vol. LXXIV; cfr. G.C. spIROLAZZI, v. “Psicosi tossiche”, in Dizionario di psicopatologia forense, Milano, 1969, 274.

6 M.F. pOMpEddA, Nevrosi e personalità psicopatiche nel consenso matrimoniale canonico, in Studi di diritto matrimoniale canonico, Milano, 1993, 20.

7 L. MUssELLI, Manuale di diritto canonico e matrimoniale, Bologna, 1995, 171.

8 Cfr. J.M. sERRANO RUIZ, La incapacidad relativa como causa de nulidad del matrimonio en el canon 1095, 3º, in Curso de Derecho Matrimonial y Procesal Canónico para profesionales del foro, XII, Salamanca, 1996, 171-172.

9 Acutamente Dalla Torre a conclusione di un suo studio sull’evoluzione del diritto di famiglia scrive che “si potrebbe forse osservare, con gli occhi della storia, che questo singolare fenomeno è anche l’amaro frutto d’una società che da oltre un secolo, contrapponendo il matrimonio civile al matrimonio religioso, sradicando la realtà familiare dall’humus sacrale che le è proprio in ogni civiltà, ha prodotto con la secolarizzazione la progressiva fine dell’istituto civile”.

G. dALLA TORRE, Motivi ideologici e contingenze storiche nell’evoluzione del diritto di famiglia, in AA.VV., Famiglia, diritto e diritto di famiglia, studi raccolti da F. D’Agostino, Milano 1985, 58.

10 Sulla differenza tra le due presunzioni cfr. Id., Il valore della presunzione, cit., 65.

11 Id., Motivi, cit., 62.

12 Id., Il valore della presunzione, cit., 72.

13 La formula del nuovo canone rispetto a quella contenuta nel codice piano-benedettino è decisamente più attenuata. Non è un caso, infatti, che il legislatore del codice del 1983 abbia eliminato l’avverbio semper contenuto nel precedente codice quasi a voler significare che non sempre l’internus animi consensus può presumersi conforme alle parole e ai segni adoperati in celebrando matrimonio.

14 Ed è quanto la giurisprudenza rotale ha evidenziato: “quo tenacior est error, eo debilior est gressus ad positivum voluntatis actum” S.R.R.D., sent. 19 aprile 1926, c. Grazioli; 31 luglio 1943, 16 aprile 1946, 7 luglio 1949, c. Canestri; 6 dicembre 1954, c. Bonet; 13 luglio 1966, c. Fagiolo; 18 maggio 1968, c. Ewers; 6 novembre 1969, c. Abbo; 19 febbraio 1985, c. Masala; contra: 23 giugno 1978, 14 ottobre 1978, c. Stankiewicz; 23 luglio 1982, c. Bruno; 11 aprile 1984, c. De Lanversin. Cfr. I. pARIsELLA, De pervicaci seu radicato errore circa matrimonii indissolubilitatem, in Miscell. in hon. R. Bigador, Romae, 1972, 511-540.