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La consulenza tecnica psicologica nei procedimenti di famiglia e gli interventi previsti a sostegno della genitorialità

autore: B. M. Lanza

SOMMARIO: 1. Le norme di soft law nei procedimenti di famiglia. Nuove fonti per la disciplina della consulenza psicologica. - 2. L’influenza delle prassi sui contenuti della legge delega n. 206/2021 a proposito di consulenza psicologica nei procedimenti familiaristici. - 3. Il monitoraggio, il percorso di sostegno alla genitorialità ed il trattamento terapeutico individuale. Diverse misure per diverse situazioni. - 4. La giurisprudenza di legittimità e di merito sulla coercibilità degli interventi a sostegno della genitorialità: un conflitto apparentemente non risolto. - 5. Il coordina- mento tra l’operato del consulente psicologico e gli interventi dei servizi socio-sanitari sulla coppia genitoriale. - 6. La consulenza tecnica ed il monitoraggio degli operatori del servizio sociale: la soluzione offerta dalle prassi per contenere i tempi processuali. - 7. L’utilizzo delle linee guida per regolare l’accesso agli atti da parte degli uffici giudiziari: tribunale ordinario e procura a confronto. - 8. Conclusioni.



1. Le norme di soft law nei procedimenti di famiglia. Nuove fonti per la disciplina della consulenza psicologica



La valutazione delle capacità genitoriali nelle relazioni familiari compromesse rappresenta uno dei momenti più delicati all’interno del contenzioso giudiziario, impegnando professionisti del diritto, dell’area medico-psichiatrica e psicologica in complessi dibattiti sulle procedure e sul metodo scientifico da applicare. Un confronto serrato posto che la consulenza psicologica, in quanto destinata a sciogliere uno dei nodi problematici della famiglia in crisi, vale a dire l’esercizio concreto delle responsabilità genitoriali, fornisce la trama per la decisione del giudice dalla quale difficilmente se ne discosterà, salvo riscontrare macroscopici errori procedurali o metodologici1.

Dagli accertamenti svolti in ambito peritale discendono, altresì, conseguenze che si riflettono anche sulle altre questioni di contenuto economico-patrimoniale, potendo orientare positivamente l’intero procedimento giudiziario, così da definirlo.

Tuttavia, nel mettere in relazione la consulenza psicologica con l’attuale impianto normativo, emerge come quest’ultimo non sia sufficiente a dirimere tutte le questioni che, nel corso del suo espletamento, potrebbero sorgere2. La disciplina di riferimento, contenuta nel nostro codice agli artt. 61 ss. e 191 ss. c.p.c., regola la nomina dei professionisti e le modalità di svolgimento del loro incarico, mentre l’art. 51 c.p.c. declina i motivi di astensione; una regolamentazione che, applicandosi a consulenze tecniche che toccano diverse aree di indagine, non potrebbe addentrarsi oltre.

Per questo motivo la consulenza psicologica spesso ricorre, nella prassi, ad un’integrazione dell’attuale disciplina mediante strumenti di soft law, quali linee guida e protocolli, documenti strutturalmente diversi e con un diverso livello di efficacia3.

Le prime, infatti, sono intese come un insieme di indicazioni funzionali a garantire la correttezza di una certa condotta, sono generalmente, ma non esclusivamente4, riconducibili ad una categoria di professionisti appartenenti al medesimo settore, che le utilizzano come parametro di riferimento nello svolgimento del proprio lavoro. Le raccomandazioni, nella maggior parte dei casi formulate in modo discorsivo, offrono in tema di consulenza psicologica suggerimenti tesi a ridurre il margine di errore attraverso l’utilizzo di una metodologia scientifica; ad esempio, uno dei campi in cui questo documento è più frequente è quello relativo all’ascolto del minore5. Nell’esperienza pratica, le linee guida sono più numerose rispetto ai protocolli e di più facile elaborazione, in quanto frutto del lavoro di professionisti appartenenti ad una medesima area di conoscenza6.

Funzione diversa è assolta dal protocollo, che si struttura in una analitica successione di regole cui attenersi mediante procedure maggiormente vincolanti, concordate tra diversi professionisti, generalmente appartenenti ad un ordine professionale. Tale documento è più simile, nella sua struttura formale, ad un articolato normativo declinato per capi7; tuttavia, il protocollo in tema di consulenza psicologica è meno frequente rispetto alle linee guida in tema di ascolto del minore, poiché il coordinamento di soggetti diversi richiede un maggior spiegamento di energie dirette al contemperamento di istanze talvolta in conflitto tra loro.



2. L’influenza delle prassi sui contenuti della legge delega n. 206/2021, a proposito di consulenza psicologica nei procedimenti familiaristici



Il protocollo d’intesa, quale strumento integrativo del complesso di norme già menzionato, si prefigge, attraverso il rigoroso rispetto del contraddittorio, l’acquisizione metodologicamente corretta di elementi valutativi per determinare la capacità genitoriale delle parti attraverso un articolato che orienti il consulente psicologico e consenta agli attori del processo un controllo sulle procedure seguite.

Nelle prassi correnti sono state adottare diverse modalità di redazione dei protocolli: alcuni di essi, normalmente i più risalenti nel tempo, sono stati pensati quali sezioni dei più generali protocolli sul processo di famiglia, sottoscritti dalla categoria forense e dalla magistratura; altri, invece, rappresentano il risultato di un percorso che ha progressivamente coinvolto diversi ordini professionali8, così da condividere un linguaggio ed un metodo attraverso la creazione di articolati che guidano le operazioni peritali9. In questo modo, si è ottenuto uno strumento multidisciplinare mediante il quale al consulente vengono date indicazioni di carattere tecnico su come muoversi all’interno del procedimento, suggerendo una griglia di comportamenti per valutare la capacità genitoriale delle parti con un metodo condiviso; nel contempo viene fornito ad avvocati e magistrati un modo per misurare la corretta sequenza delle operazioni peritali ed il rispetto del contraddittorio.

Così operando, le buone prassi, ispirate da esigenze concrete quale integrazione dell’impianto normativo esistente, hanno a loro volta stimolato il legislatore in un singolare circolo virtuoso. Un fenomeno, questo, non infrequente nel nostro sistema legislativo: si pensi, ad esempio, alla l. 18 giugno 2009 n. 69, che in tema di consulenza tecnica ha introdotto importanti modifiche legate al rispetto del contraddittorio ed al principio di economia processuale. L’intervento legislativo, infatti, ha normato ciò che le prassi correnti già applicavano, vale a dire l’invio dal consulente d’ufficio della bozza dell’elaborato peritale ai consulenti di parte le cui considerazioni venivano, riscontrate nell’elaborato peritale finale; in questo modo si consentiva di anticipare il contraddittorio su questioni controverse emerse durante lo svolgimento delle operazioni peritali. Ebbene, prima dell’intervento normativo tale ipotesi era già stata prevista all’interno di un protocollo sui procedimenti di famiglia ed inserita nella sezione dedicata alle consulenze psicologiche10.

Da allora, questo fenomeno si è ripetuto ispirando in vario

modo il legislatore, così come emerge nelle note illustrative alle proposte di intervento in materia di processo civile e di strumenti alternativi allo stesso, laddove il Presidente della Commissione, il prof. F.P. Luiso, ha positivamente rimarcato il riverbero di dette pratiche nel lavoro di riforma realizzato dalla Commissione11.

In particolare, nella relazione introduttiva è stata raccolta l’esigenza, promossa da più parti, di disciplinare in modo specifico la consulenza tecnica d’ufficio psicologica prevedendo l’indicazione, nell’albo dei consulenti tecnici d’ufficio, delle loro specifiche competenze, posto che le funzioni assegnate all’interno dei procedimenti che si occupano di relazioni familiari compromesse possono coinvolgere accertamenti diversi per l’età dei minori e per il tipo di indagini che dovrebbero effettuarsi. L’intervento assume connotazioni differenti a seconda che debba essere analizzata la mera conflittualità familiare oppure si sia in presenza di indici di maltrattamento fisico o sessuale sui minori12.

Viene, quindi, ribadita la necessità della predisposizione di

autonoma regolamentazione della consulenza tecnica psicologica anche attraverso l’inserimento nell’albo dei consulenti tecnici d’ufficio di indicazioni relative alle specifiche competenze. Non sono stati creati, quindi, degli albi ad hoc per i consulenti psicologici, ma si è cercato di rafforzare quelli già esistenti declinando le competenze del professionista13 e richiamando, nello svolgimento della consulenza tecnica, il metodo scientifico ed i protocolli.

La questione era già stata rilevata dai tre protocolli più corposi esistenti in materia, per i quali era necessario che il consulente tecnico dichiarasse preliminarmente la propria formazione: in questo senso, ad esempio, il protocollo di Verona del 2018 considera necessario inserire nella domanda da presentare per l’iscrizione all’albo dei consulenti psicologici il percorso di studio, il profilo professionale, la specializzazione o l’ambito di attività prevalente del consulente; il protocollo di Torino del 2019, che ha ricalcato in larga parte il primo, esige identiche qualifiche per il professionista14; da ultimo il protocollo di Milano del 2021 il quale, pur non facendo riferimento agli albi dei consulenti tecnici, richiede che al momento dell’accettazione dell’incarico questi siano tenuti a depositare il proprio curriculum vitae in formato europeo.

La formazione dell’esperto, la declinazione delle sue competenze professionali (ad esempio in materia di psicologia infantile e dell’età evolutiva) e la frequentazione di corsi di psicologia forense deve garantire l’accesso a professionisti preparati ed orientati ad accertare le capacità genitoriali della coppia ascoltando la voce della prole.



3. Il monitoraggio, il percorso di sostegno alla genitorialità ed il trattamento terapeutico individuale. Diverse misure per diverse situazioni



Ad esito di una consulenza psicologica potrebbe rendersi necessario intervenire sulla coppia genitoriale con un monitoraggio o un percorso di sostegno alla genitorialità e potrebbe persino essere suggerito un supporto psicoterapico individuale per uno od entrambi i genitori.

Molti provvedimenti di merito e di legittimità, nel prendere posizione rispetto a tali misure, le utilizzano come sinonimi, confondendole, nonostante gli obiettivi e le modalità di approccio siano differenti, così come diverse sono le conseguenze nel caso di una loro inosservanza.

Un buon dizionario della lingua italiana precisa che monitorare significa osservare, verificare l’andamento di un certo fenomeno. Il monitoraggio viene normalmente disposto dopo un accertamento già effettuato mediante una consulenza psicologica, cui è seguito un provvedimento che ne ha recepito le conclusioni. Tale strumento, limitandosi ad osservare l’andamento della relazione genitori-figli oppure la ripresa del loro rapporto, realizza quindi un mero compito di vigilanza. Esso non ha, infatti, alcuna implicazione trasformativa rispetto ai soggetti coinvolti se non in modo indiretto, ad esempio prospettando ad uno dei due genitori, in caso di mancato adattamento alle indicazioni fornite, conseguenze rilevanti che potrebbero incidere sulla responsabilità genitoriale. Tale sorveglianza potrebbe essere messa in atto sia dallo stesso consulente tecnico, sia dal servizio socio-sanitario.

Il percorso di sostegno alla genitorialità si configura, al contrario, come un intervento di accompagnamento per gli adulti che vivono con difficoltà il proprio ruolo genitoriale. Gli incontri mirano a migliorare la comprensione del rapporto tra i genitori e tra genitori e figli, con la conseguenza che ciascuno, durante il percorso, dovrebbe rivedere il proprio stile comunicativo, migliorandolo in funzione della prole ed ampliando le proprie strategie educative. Il sostegno alla genitorialità, quindi, interviene attraverso un confronto all’interno della coppia genitoriale, assumendo una natura più pedagogica che psicologica, avendo quale obiettivo principale il benessere della prole.

Tale strumento presuppone che il consulente tecnico abbia rilevato in capo ad entrambi i genitori la presenza di risorse che, sebbene affaticate, possono essere utilmente messe in campo e rivitalizzate in funzione del benessere dei figli.

Diversa finalità persegue, infine, la psicoterapia individuale, un processo di cura della sofferenza psichica che pone al centro l’individuo favorendo una maggiore conoscenza di sé e dei propri stili relazionali, affettivi e comportamentali. In questo modo si rinforza l’approccio comunicativo del singolo, mitigando o sostituendo gli aspetti caratteriali che generano disagio e difficoltà per conseguire la migliore realizzazione di se stessi, delle proprie capacità e potenzialità. Ne consegue che il positivo riverbero sul minore è solo un effetto indiretto, ma non è l’obiettivo principale di tale misura.



4. La giurisprudenza di legittimità e di merito sulla coercibilità degli interventi a sostegno della genitorialità: un conflitto apparentemente non risolto





La distinzione degli strumenti a disposizione del consulente tecnico e del giudice consente di comporre il conflitto esistente tra giurisprudenza di legittimità e giurisprudenza di merito che, alla luce di quanto precedentemente esposto, potrebbe essere solo di natura apparente avendo riguardo al contenuto dell’intervento stesso.

In proposito la Suprema Corte15, con un orientamento granitico, si è pronunciata sulle prescrizioni dei percorsi psicoterapeutici ai genitori, statuendo che non sarebbe condivisibile l’invito ad un supporto di psicoterapia per superare le criticità registrate in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale. Tale indicazione, anche se effettuata sotto forma di invito e non di obbligo, andrebbe infatti a collidere con la libertà di autodeterminazione dei genitori alla cura della propria salute, tutelata a livello costituzionale dall’art. 32 Cost. Il giudice, invero, non può imporre ai genitori immaturi percorsi psicoterapeutici individuali e di coppia, avendo statuito la Corte di Cassazione che la prescrizione ai genitori di sottoporsi ad un percorso psicoterapeutico individuale e a un percorso di sostegno alla genitorialità da seguire insieme è lesiva del diritto alla libertà personale costituzionalmente garantito e alla disposizione che vieta l’imposizione, se non nei casi previsti dalla legge, di trattamenti sanitari. Secondo questo orientamento, la prescrizione ai genitori di seguire un percorso psicoterapeutico individuale unitamente ad un sostegno alla genitorialità comporterebbe comunque un condizionamento contrastante con gli artt. 13 e 32, co. II, Cost. Secondo i giudici di legittimità, infatti, mentre l’intervento per diminuire la conflittualità, richiesto dal giudice al servizio sociale, è collegato alla possibile modifica dei provvedimenti adottati nell’interesse del minore, quella prescrizione è connotata dalla finalità, estranea al giudizio, di realizzare la maturazione personale delle parti, rimessa esclusivamente al loro diritto di autodeterminazione.

La posizione della giurisprudenza di legittimità potrebbe essere condivisa se si assumesse che il trattamento di psicoterapia individuale ed il sostegno alla genitorialità – che, si ribadisce, è rivolto ad entrambi i genitori – abbiano le medesime finalità, assimilandoli ad un trattamento sanitario; invece, gli obiettivi dei due strumenti sono molto diversi, spostandosi dalla cura della sofferenza dell’individuo alla realizzazione del miglior interesse della prole attraverso una ripristinata comunicazione dei genitori.

È, invece, condivisibile la posizione assunta dalla giurisprudenza di merito, ben sintetizzata in un motivato provvedimento del tribunale di Lucca il quale, pur non assumendo come presupposto la diversità degli interventi oggetto di esame, ritiene prevalente nel bilanciamento degli interessi contrapposti quello del minore in base al principio di autoresponsabilità16.

Il percorso logico seguito dai giudici di merito ritiene che lo strumento del sostegno alla genitorialità si scontrerebbe con la riserva di legge di cui agli artt. 13 e 32 della Costituzione solo nel caso in cui si configurasse quale comando teso ad applicare una restrizione della libertà personale, senza la collaborazione del destinatario, come se fosse un ordine imperativo suscettibile di coazione fisica.

Invece il sostegno alla genitorialità sarebbe compatibile con il principio di autodeterminazione della parte, trattandosi di prescrizione che si limita ad un mera esortazione, sotto forma di invito, priva di natura cogente, poiché il meccanismo di condizionamento indiretto suscettibile di derivarne – nei modi qui appresso descritti – si traduce in un sacrificio bilanciato dal perseguimento del superiore interesse del minore che deve orientare ogni decisione giurisdizionale che lo riguardi, secondo il parametro enunciato dall’art. 337-ter, comma 2, c.c.17.

Giuridicamente, quindi, il sostegno alla genitorialità sarebbe finalizzato a rimuovere un ostacolo all’esercizio del diritto del minore ad una piena bigenitorialità, la cui inottemperanza, frutto di una libera scelta del genitore che ne è onerato, costituisce un ostacolo allo sviluppo del rapporto del minore con l’altro genitore. L’inosservanza delle direttive ricevute dal genitore potrebbe produrre significative conseguenze dalla richiesta di applicazione dell’art. 709-ter c.p.c., a misure che incidono sulla capacità genitoriale delle parti, con provvedimenti ablativi o sospensivi della responsabilità genitoriale18.

Una posizione che, secondo i giudici di merito, sarebbe coerente con i principi contenuti nell’art. 8 C.E.D.U. posto che, secondo l’insegnamento della Corte E.D.U., gli Stati Contraenti hanno l’obbligo di adottare misure specifiche per assicurare la frequentazione dei figli con il genitore, ovvero con il familiare non convivente19.

Le misure di sostegno alla genitorialità, quindi, diventano funzionali all’adozione dei provvedimenti del giudice nell’interesse della famiglia, non dovendosi aprioristicamente negare la validità di pronunce che incidano sulla libertà dei genitori, quanto piuttosto contemperando contrapposti interessi riservando a quello del minore la preminente considerazione20. Ciò premesso, se si coniugano le motivazioni di alto profilo giuridico con la sostanza degli interventi in esame, ne deriva che, fatta eccezione per i trattamenti di psicoterapia individuale, veri e propri trattamenti sanitari, si offre l’opportunità al consulente tecnico d’ufficio, all’interno di un più ampio progetto approvato dall’autorità giudiziaria, di indicare per entrambi i genitori la necessità/opportunità di un percorso di

sostegno alla genitorialità.



5. Il coordinamento tra l’operato del consulente psicologico e gli interventi dei servizi socio-sanitari sulla coppia genitoriale



L’intervento del consulente psicologico può essere preceduto o contemporaneo a quello dei servizi sociosanitari, così come essere disposto da autorità giudiziarie differenti quali il tribunale per i minori e il tribunale ordinario.

In questi casi gli operatori socio-sanitari possono essere chiamati ad intervenire in senso lato a supporto della famiglia in difficoltà21, per ridurre la conflittualità tra i genitori o accertarne le capacità genitoriali operando, in rapporto al procedimento giudiziario, con diverse modalità ed effetti.

In linea generale l’intervento dei servizi è molto ampio e, laddove coinvolga gli adulti, spazia dalla valutazione alla presa in carico terapeutica della coppia o del singolo genitore, estendendo l’indagine sui minori, delineandone il profilo psicologico con valutazioni diagnostiche psicologiche o neuropsichiatriche nonché, più in generale, osservando la relazione genitori-figli.

Questo evidenzia il potenziale rischio di una sovrapposizione, se non addirittura di un’interferenza, con l’operato del consulente psicologico, gravando la collettività di un inutile costo sociale e rischiando di fornire elementi di valutazione tra loro contrastanti e, di conseguenza, compromessi.

Si è, quindi, rilevata la necessità di un coordinamento tra l’operato del servizio socio-sanitario e del consulente tecnico, proprio attraverso le norme protocollari che si prefiggono di non disperdere energie processuali e di tutelare il minore dai plurimi ascolti, preservando le sue relazioni con ciascun genitore e rispettando il contraddittorio.

L’ipotesi più frequente è quella in cui l’azione del servizio socio-sanitario, inteso come percorso di supporto alla genitorialità, abbia preceduto la consulenza tecnica, occorrendo in tal caso chiedersi se il professionista nominato dal tribunale abbia accesso ai dati acquisiti dal servizio, nei limiti del detto percorso22. La risposta è di segno affermativo a condizione che il giudice abbia, nel proprio quesito, autorizzato il consulente23. Più delicata è la richiesta di accesso al servizio pubblico psichiatrico di diagnosi, o al dipartimento delle dipendenze, per verificare se un genitore sia conosciuto o meno alla struttura, qualora ciò sia funzionale all’accertamento delle capacità genitoriali24. Anche in questo caso, e limitatamente all’interferenza che la patologia mentale abbia sulle capacità genitoriali, è possibile che il consulente, autorizzato dal magistrato, possa relazionarsi con il predetto servizio.

Alcune prassi hanno ritenuto di regolare anche questa ipotesi fornendo risposte parzialmente differenti ma ugualmente efficaci, come la sommaria verbalizzazione dell’incontro con i colleghi del servizio, sottoscritta dai partecipanti con una specifica assunzione di responsabilità25, o addirittura l’audio video registrazione26. Elemento comune ad entrambe le ipo-tesi è il rigoroso rispetto del contraddittorio, con la possibilità di valutare nel prosieguo le risultanze dell’incontro.

Le regole dettate non mutano qualora il professionista sia stato chiamato ad intervenire in una situazione familiare compromessa, nell’ambito di un procedimento giudiziario ove la consulenza tecnica venga disposta per il fallimento dell’intervento del servizio, per cui si richiede un approfondimento tecnico delle capacità genitoriali delle parti, oppure perché le parti non concordano sul risultato acquisito dagli operatori. In tal caso, fermo il fatto che le relazioni dei servizi socio-sanitari fanno parte del processo e, quindi, sono nella materiale disponibilità del collegio peritale, qualora si rendesse necessario un contatto con gli operatori si dovrà procedere con la verbalizzazione sommaria o con l’audio video registrazione dell’incontro.

Ultima ipotesi riguarda la coesistenza di un’indagine dei servizi socio sanitari e di una consulenza psicologica, per interventi riconducibili a diverse autorità giudiziarie in quanto disposti, ad esempio, nell’ambito di un procedimento ablativo o sospensivo della responsabilità genitoriale avanti al giudice minorile con il coinvolgimento attivo dei servizi socio sanitari, compresi quelli facenti capo al Comune e nell’ambito di un accertamento ordinario sull’esercizio delle responsabilità genitoriali disposto dall’autorità giudiziaria.

Non sempre è possibile stabilire a priori chi debba proseguire nel proprio incarico, pertanto si è reso necessario stabilire un coordinamento tra i diversi interventi per evitare di duplicare le attività svolte. Le norme di soft law esaminate hanno, pertanto, stabilito che consulente e servizi, una volta appreso del rispettivo intervento, debbano darne comunicazione al giudice che ha conferito l’incarico per un auspicabile coordinamento dei diversi uffici giudiziari coinvolti per attività di indagine accomunate dal medesimo scopo.



6. La consulenza tecnica ed il monitoraggio degli operatori del servizio sociale: la soluzione offerta dalle prassi per contenere i tempi processuali





Rimane da esaminare il rapporto tra l’elaborato peritale del consulente tecnico, le cui conclusioni siano state accolte nel provvedimento giudiziario, e l’intervento del servizio socio-sanitario chiamato per un monitoraggio o un percorso di sostegno alla genitorialità. Un raccordo, questo, che non può essere ricavato dalle norme processuali oggi esistenti e che rende necessario il ricorso alle norme protocollari, efficaci soprattutto in funzione di un contenimento dei tempi.

Appare necessario, tuttavia, partire dall’analisi delle funzioni svolte dai servizi socio-sanitari, i quali non si limitano ad erogare prestazioni essenziali di assistenza previsti dal piano sanitario nazionale e regionale, ma svolgono un ruolo importante all’interno dei procedimenti giudiziari anche in termini di valutazione, supporto alla genitorialità e vigilanza.

Un intervento che, divenendo uno dei momenti cruciali del processo, richiede di avere ben chiara la distinzione tra monitoraggio, percorso di sostegno alla genitorialità e trattamento di psicoterapia individuale, soprattutto in rapporto alla loro coercibilità.

La fattispecie più frequente si verifica nell’ipotesi in cui il lavoro del consulente tecnico si sia concluso, o sia in corso di definizione, con la conseguenza che la valutazione sulle capacità genitoriali delle parti sia già stata effettuata ed accolta dal giudice, anche solo in via provvisoria. In questo caso, se l’intervento richiesto consiste nel monitoraggio della relazione familiare, il consulente tecnico ha due strade: monitorare personalmente la situazione ovvero demandare l’incarico agli operatori socio-sanitari. In detto ultimo caso il servizio coinvolto dovrà limitarsi a verificare che un genitore, o entrambi, rispettino una programmazione già definita dal consulente tecnico (si pensi, ad esempio, ad un determinato assetto di frequentazione tra genitore e figli) verificandone l’andamento. Qualora il servizio socio-sanitario registrasse il mancato adattamento dei genitori a detta programmazione, la circostanza dovrebbe essere segnalata, a seconda della fattispecie, al consulente tecnico o al giudice, con la conseguente possibile adozione di interventi volti ad incidere sulla capacità genitoriale.

Nel percorso di sostegno alla genitorialità, si presuppone un accertamento che, seppur definito, possa essere migliorato attraverso un lavoro più incisivo di recupero delle risorse genitoriali affaticate dal conflitto. Il sostegno alla genitorialità, accettato dalle parti, presuppone che il lavoro già svolto dal consulente tecnico si apra ad una fase successiva, nell’ambito della quale i genitori trovano uno spazio critico di confronto. Lo scopo, infatti, non è la terapia individuale, ma la ricerca di soluzioni e strategie riguardanti la corretta comunicazione tra i genitori e la condivisione delle scelte per i figli, essendo tale misura finalizzata al conseguimento del miglior interesse per la prole. Pertanto, mentre nel monitoraggio è già stata raggiunta una programmazione cui i genitori devono attenersi (con eventuali conseguenze gravi in caso di mancato adeguamento), nel sostegno alla genitorialità vi sono ancora delle risorse che entrambi i genitori potrebbero mettere in campo nell’interesse dei figli.

La strada indicata, tuttavia, presuppone necessariamente

che la praticabilità del progetto sia stata preliminarmente verificata proprio con il servizio socio-sanitario per valutarne la fattibilità27. E questo al fine di evitare che, qualora il servizio ritenesse di non poter dare seguito a quanto proposto dal consulente d’ufficio, la coppia genitoriale venga ulteriormente “rimbalzata” avanti al giudice ed al consulente tecnico per la valutazione di diverse ed ulteriori possibilità di intervento.

In tutte le fattispecie qui considerate è necessario che il tribunale disponga l’invio della consulenza tecnica ai servizi socio-sanitari, posto che la realizzazione del progetto presuppone la conoscenza degli elementi sulla scorta dei quali è stato costruito, anche per evitare il reiterarsi di strumenti valutativi. L’invio dell’elaborato peritale da parte del tribunale garantisce, inoltre, quella terzietà e neutralità che verrebbe a mancare se la consegna avvenisse ad opera di uno dei genitori o dei loro difensori.

Nella trasmissione dell’elaborato peritale al servizio socio-sanitario non sarebbe, invece, richiesta l’allegazione di protocolli testistici28, la cui somministrazione non si rivela necessaria, fatta salva l’esigenza di accertare patologie che interferiscano oggettivamente con la capacità genitoriale di una parte come, ad esempio, un disturbo psicotico. Poiché rappresentano una parte della consulenza tecnica, la trasmissione di detti protocolli potrebbe di conseguenza rivelarsi inutile.

Qualora, al contrario, il servizio socio-sanitario ritenesse tale allegazione dirimente ai fine della prosecuzione del proprio incarico, vista la delicatezza degli accennati aspetti, è necessaria una preventiva e motivata richiesta degli operatori all’autorità giudiziaria, che valuterà nel contraddittorio delle parti l’utilità della produzione degli allegati29.

Nel caso in cui il servizio sociale manifestasse una diversa valutazione rispetto a quella espressa dal consulente, o ritenesse non percorribile il progetto del medesimo, gli operatori dovranno darne motivata comunicazione all’autorità giudiziaria, la quale provvederà nel rispetto del contraddittorio delle parti. La fattispecie da ultimo considerata, tuttavia, implica il procrastinarsi dei tempi e rappresenta l’estrema ratio, posto che la preliminare condivisione all’avvio del progetto tra collegio peritale e servizi socio-sanitari dovrebbe ridurre in modo significativo la possibile compromissione dell’operato di questi ultimi.

Altra ipotesi, seppur meno frequente, vede coinvolti il tribunale ordinario ed il tribunale per i minorenni nel caso in cui i servizi e il consulente tecnico siano stati incaricati in ordine alla medesima fattispecie. Si pensi, ad esempio, alle ipotesi in cui siano denunciati episodi di maltrattamento sui minori tali da richiedere, da un lato, un provvedimento ablativo o sospensivo della responsabilità genitoriale e, dall’altro, un collaterale accertamento sulle capacità genitoriali. In tal caso i due organismi dovrebbero riferire tra loro l’esistenza di diverse procedure al fine di promuoverne il coordinamento30.



7. L’utilizzo delle linee guida per regolare l’accesso agli atti da parte degli uffici giudiziari: tribunale ordinario e procura a confronto



Alcuni uffici giudiziari hanno avvertito la necessità di regolare l’accesso agli atti nell’ipotesi in cui un giudizio civile coesista con un procedimento penale in fase di indagini preliminari laddove l’indagato e la persona offesa, sia un componente della coppia genitoriale, ovvero qualora persona offesa sia uno dei figli. È stata, infatti, avvertita l’esigenza di contenere la dispersione di energie processuali, anche evitando la sovraesposizione del minore a plurimi ascolti.

Poiché si tratta di soggetti appartenenti ad uffici giudiziari “contigui”, la procura ed il tribunale, l’accesso agli atti è stato correttamente disciplinato mediante lo strumento delle linee guida31.

È più frequente di quanto si possa immaginare che penda avanti al tribunale ordinario un giudizio in cui due genitori contestino reciprocamente le rispettive capacità genitoriali, da accertarsi con consulenza tecnica, per asseriti maltrattamenti fisici o sessuali verso un minore o anche un genitore; e che, contestualmente, penda avanti all’autorità giudiziaria penale altro giudizio in cui uno dei genitori sia indagato per il maltrattamento, inteso in senso ampio, nei confronti della prole o del coniuge.

Assumendo come presupposto che il pubblico ministero sia parte necessaria del processo civile ai sensi dell’art. 70 c.p.c., si è giunti alla conclusione che lo stesso goda di ampia facoltà di accesso agli atti del giudizio civile, senza necessità di alcuna specifica autorizzazione da parte del magistrato di detto ultimo procedimento.

Per converso, nel procedimento civile non verrebbe riconosciuta una corrispondente facilità di accesso agli atti di quello pendente in procura. Infatti, qualora ai fini della propria decisione il magistrato del giudizio civile ritenesse necessario consultare il fascicolo presso la procura ordinaria, la relativa domanda dovrebbe essere vagliata dal pubblico ministero quale titolare dell’indagine, chiamato a decidere quali atti siano ostensibili e, quindi, trasmissibili, e quali invece siano coperti dal segreto investigativo.

A cascata, tale coesistenza ha reso necessario riflettere sui i rapporti con i professionisti, pubblici e privati, coinvolti nei procedimenti in esame, ossia gli operatori socio-sanitari ed i consulenti tecnici nominati in sede civile e penale.

Con riguardo ai primi incaricati in un procedimento civile, è stato previsto che gli stessi – una volta venuti a conoscenza della pendenza di un procedimento penale che veda quale indagata e/o persona offesa una parte del giudizio civile – debbano relazionarsi preventivamente con il pubblico ministero per ricevere indicazioni su quanto potrà essere esposto nella relazione da depositare nel fascicolo civile, così garantendo la segretezza delle indagini preliminari.

La prassi, tuttavia, ha sollecitato l’attenzione degli operatori giuridici rispetto ad un’altra fattispecie concreta, ossia quando i servizi coinvolti nel giudizio civile abbiano conoscenza della pendenza del procedimento penale e le indicazioni ricevute dalla Procura rendessero difficoltoso l’adempimento dell’incarico conferito ai servizi sociali, questi dovrebbero darne immediata comunicazione al giudice del procedimento civile; viceversa, nel caso in cui le parti del giudizio civile non siano a conoscenza della pendenza del procedimento penale, il pubblico ministero, titolare delle indagini, contatterà direttamente il magistrato civile così da coordinarsi di volta in volta, e rimettendo a quest’ultimo ogni valutazione in ordine all’oggetto dell’incarico del servizi sociali.

Ultima ipotesi presa in esame dalle linee guida si configura qualora nel procedimento civile sia ammessa una C.T.U. – sia essa volta ad accertare la capacità genitoriale delle parti, a stabilire il collocamento del minore, la tipologia di affidamento o le modalità di frequentazione – ed uno dei due genitori, collateralmente, abbia sporto una denuncia penale per maltrattamenti nei confronti dell’altro o di un minore.

In questa prospettiva, non essendo possibile escludere il rilievo di una condotta oggettivamente maltrattante, sia essa intesa come condotta attiva od omissiva, ma anche come denuncia strumentale, ne consegue che il consulente tecnico dovrà informare tempestivamente il giudice della causa civile, il quale adotterà i provvedimenti necessari che potrebbero condurre ad una sospensione delle operazioni peritali in attesa dell’esito delle indagini.

Se nell’ambito delle indagini svolte dalla procura sia stata, quindi, ammessa una consulenza tecnica o sia stato sentito il minore ed i relativi atti siano ostensibili, le parti e/o il consulente tecnico potranno chiedere di acquisirne copia nel giudizio civile, rimettendo ogni valutazione sul punto al giudice titolare di detto ultimo procedimento. Strategia che rende possibile evitare duplicazioni di ascolto che sottoporrebbero il minore ad inutili stress emotivi, o peggio, potrebbero intaccare l’autenticità del suo racconto32.

Le linee guida si concludono concordando sull’opportunità di dare priorità alla definizione dei procedimenti penali collegati a procedimenti civili, richiamando la norma costituzionale di cui all’art. 30 Cost. a protezione della famiglia, così come declinato nella norma ex art. 337-ter c.c.

Agli uffici giudiziari in questione va riconosciuto il merito di aver affrontato un tema che coinvolge la coesistenza di due procedimenti che coinvolgono il minore. Regolamentare il reciproco accesso agli atti dovrebbe, infatti, rendere più agevole lo scambio di informazioni, ridurre l’esposizione ai plurimi ascolti del minore, contenere la portata di situazioni ansiogene e, da ultimo, fornire al giudice civile elementi valutativi necessari per decidere se allontanare il minore da un nucleo familiare a lui pregiudizievole ovvero reintegrarlo nelle relazioni ingiustamente sospese con un genitore.

Il documento, tuttavia, avrebbe potuto avere una diversa e più incisiva efficacia se il confronto si fosse concretamente allargato all’avvocatura, sia penale che civile, ed agli operatori sociosanitari come parte attiva del lavoro svolto. Non sfugge, infatti, che molte decisioni che i due uffici assumono lasciano sullo sfondo i difensori delle parti in attesa di decisioni che sono rimesse alla sola magistratura. Condividere una prassi significa, al contrario, confrontare modalità operative, valutarne la praticabilità e definendo gli ambiti operativi di ciascuno e garantendo, in questo modo, maggiori possibilità di applicazione.



8. Conclusioni



I protocolli, così come le linee guida, esprimono la necessità di regolamentare situazioni concrete che non possono essere risolte solo dal nostro sistema normativo, divenendo fonte di ispirazione per il legislatore, quando registrano con elevata frequenza problematiche non risolte.

La condivisione di un metodo di lavoro ancorato a parametri scientifici ed all’osservanza di procedure volte al rispetto del contraddittorio nonché al risparmio di energie processuali, evitando la duplicazione di strumenti dotati di analoghe finalità, concorre a dare contenuto all’interesse del figlio che, troppo spesso richiamato, rischia di diventare un contenitore vuoto.

La consulenza tecnica, nelle situazioni familiari compromesse, rappresenta quindi uno degli strumenti attraverso cui è possibile acquisire la voce del minore al di fuori delle pressioni del conflitto che la coppia, afflitta dalla dissoluzione del rapporto affettivo, riverbera sui figli. Per raggiungere questo obiettivo molto dipende anche dalle modalità operative e dalle progressioni temporali osservate, nel rispetto del contraddittorio. Ciò, infatti, consente di evitare inutili rinnovazioni della consulenza psicologica, con il procrastinarsi dei tempi processuali e con il rischio di un adattamento dei minori ad una situazione disfunzionale.

NOTE

1 La Cassazione, a tal proposito, ha espresso un orientamento granitico precisando che il contenuto dell’elaborato peritale non ha un’efficacia vincolante per il giudice, potendo questi legittimamente disattenderlo laddove, attraverso una valutazione critica congruamente motivata ed ancorata alle risultanze processuali, siano indicati gli elementi erronei di cui il consulente tecnico d’ufficio si sia avvalso, con l’ulteriore individuazione degli elementi probatori, dei criteri di valutazione e degli argomenti logico-giuridici necessari per giungere ad una decisione contrastante con quella del consulente. V. Cass. civ., sez. I, 3 marzo 2011, n. 5148; Cass. civ., sez. II, 30 ottobre 2009, n. 23063, in www.italgiure. giustizia.it. A conferma di questo orientamento va segnalata la recente ordinanza della Corte di Cassazione in tema di decadenza dalla responsabilità genitoriale. Il giudice di legittimità ha ritenuto di riformare una decisione della Corte d’Appello, sez. minori che ha dichiarato la decadenza dalla responsabilità genitoriale di una madre e disposto l’affidamento eterofamiliare nonostante detta decisione fosse fondata su ben due consulenze psicologiche. Precisano gli ermellini che il giudice di merito era tenuto ad accertare la veridicità della condotta materna, ritenuta alienante da parte del giudice minorile. Infatti il processo decisionale del giudice di secondo grado avrebbe dovuto includere una valutazione del possibile impatto (positivo o negativo) della decisione sul minorenne, come anche la consulenza tecnica avrebbe dovuto accertare v. Cass. civ., sez. I, n. 9691 del 26 gennaio 2022.

2 Per un’opinione contraria v. A. sCOLARO, Consulenza tecnica d’ufficio, in Il Familiarista, aprile 2015, su www.ilfamiliarista.it, ove la consulenza psicologica viene definita un mezzo di prova.

3 A. CORdIANO, Approcci interdisciplinari e conciliativi nella crisi familiare: la soft law nel diritto di famiglia, in Avvocati di Famiglia, 2014, 2, 34-39. Il contributo approfondisce le fonti dei protocolli d’intesa come una particolare fonte di soft law nel diritto di famiglia.

4 La Carta di Noto è un esempio di linea guida elaborata da un gruppo di professionisti appartenenti all’area giuridica, psicologica e medica. Si tratta di suggerimenti diretti a garantire l’attendibilità dei risultati degli accertamenti tecnici e la genuinità delle dichiarazioni rese da un minore, assicurandogli la dovuta protezione psicologica ed osservando i principi costituzionali del giusto processo e gli strumenti del diritto internazionale. Le linee guida valgo- no per qualunque soggetto che, nell’ambito di un determinato procedimento, instauri un rapporto con il minore. Il primo documento, risalente al 1996, è stato aggiornato dal medesimo gruppo di lavoro per tre volte e l’ultima stesura, Carta di Noto IV, linee guida psicoforensi, risale al 14 ottobre 2017. v. www. fondazionegulotta.it.

5 Un esempio corposo di linea guida, orientata prevalentemente a fornire indicazioni per l’ascolto dei minori nelle separazioni e nei divorzi, è contenuta nelle Linee guida/2, L’ascolto del minore, 2011-2012, con ampia bibliografia in calce, pubblicato in www.minori.gov.it; si segnala inoltre: Il diritto all’ascolto delle persone di minore età in sede giurisdizionale. Indagine relativa alle modalità messe in atto sul territorio nazionale dai tribunali per i minorenni, tribunali ordinari e relative procure della Repubblica, aprile 2020, in www.garanteinfanzia.org.

6 Si vedano, tra le altre, le seguenti linee guida: Le buone prassi d’ufficio e di parte in ambito civile, Ordine degli psicologi della Toscana, in www.ordinepsicologito- scana.it; Guida pratica sulla CTU in tema di separazione, divorzio, affidamento dei figli, Ordine degli Psicologi della Calabria, in www.marcopingitore.it; Linee guida sulla consulenza tecnica d’ufficio nei procedimenti in materia di rapporti familiari, redatta nel 2016 a cura del Gruppo di Lavoro Separazioni e Divorzi della Commissio- ne CTU - Area Funzioni Giudiziarie del CNDCEC, in www.milanosservatorio.it; Linee guida per lo psicologo esperto in Psicologia giuridica in ambito civile e penale, approvate dal Consiglio Direttivo dell’Associazione Italiana di Psicologia, in www.ai- pgitalia.org.

7 Nelle prassi esaminate, tuttavia, sono emersi diversi esempi di contami- nazione tra le strutture formali dei due documenti: ad esempio, le Linee guida dell’Unione Camere Minorili sul curatore speciale hanno una forma più simile al protocollo, così come anche la Carta di Noto soprattutto in relazione alle prime elaborazioni, in particolare quella del 1996.

8 Si segnala sul punto l’esperienza del foro veronese, che dopo aver dedicato alla consulenza tecnica in materia di famiglia una stringata sezione del più ampio protocollo di famiglia siglato il 13 febbraio 2009, attraverso due aggiornamenti successivi ha coinvolto inizialmente l’ordine professionale dei medici chirurghi, degli assistenti sociali, dei servizi sociosanitari dipendenti delle aziende sanitarie e del Comune, cui si è aggiunto nell’ultima stesura l’Ordine degli Psicologi.

9 V. il Protocollo d’intesa per l’adozione di linee guida in materia di consulenza tecnica nei procedimenti di diritto di famiglia, siglato a Verona il 3 dicembre 2018; il Protocollo d’intesa per le buone prassi per la consulenza tecnica d’ufficio in materia di conflitto familiare e protezione giudiziaria dei minori tra Tribunale ordinario di Torino, Tribunale per i Minorenni di Torino, Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Torino e Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Torino, Ordine degli avvocati di Torino, Ordine degli psicologi del Piemonte, Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Torino, Ordine degli assistenti sociali del Piemonte, siglato il 2 ottobre 2019; il Documento congiunto Tribunale di Roma I sezione civile e Ordine degli Psico- logi del Lazio, 2020 e, più recentemente, le Indicazioni operative per la CTU su famiglia e minori del Tribunale di Milano, siglato il 6 ottobre 2021, tutti in www.osservatoriofamiglia.it. Una diversa colorazione assume il documento defi- nito Protocollo di Napoli, La consulenza psicologica in caso di violenza, nella cornice della convenzione di Istanbul, Linee guida per la consulenza tecnica in materia di affidamento dei figli nella separazione dei genitori, pubblicato il 21 ottobre 2021 in www.osservatoriofamiglia.it. Il documento, frutto del confronto tra cinque psicologhe impegnate nel contrastare la violenza di genere, osserva il fenomeno anche secondo la prospettiva della vittimizzazione secondaria di don- ne e minori che si consuma ogni giorno. Il documento siglato a Napoli afferma alcuni principi: la necessità di separare il momento della valutazione psicologica da quello della terapia e del trattamento, considerare sempre la possibilità di vio- lenza in situazioni di altre conflittualità e assumere misure idonee, considerare il minore come attore e rispettarne desideri e volontà, non considerare teorie come quella dell’alienazione genitoriale a prescindere dal motivo scientifico. Quali- ficato come protocollo, non sembra tuttavia averne le caratteristiche essendo assimilabile più a delle linee guida.

10 V. Protocollo di Famiglia siglato in Verona il 13 febbraio 2009, cit.

11 F.P. LUIsO, Proposte normative e note illustrative, in www.osservatoriofamiglia.it.

12 F.P. LUIsO, op. ult. cit., 134. Nella relazione viene altresì puntualizzato che dovrà essere delimitato il campo di valutazione delle capacità genitoriali delle parti, per evitare che tale strumento si fondi su un giudizio non sostenuto da criteri scientifici e per evitare la reiterazione degli ascolti, che possono assumere un forte impatto emotivo sui minori, intaccando la genuinità del loro raccon- to. In questo senso sono state previste specifiche disposizioni per disporre la registrazione audio, o audio video, degli incontri con il minore nel corso delle consulenze.

13 Il Consiglio Nazionale degli Psicologi, con una delibera del 20 settembre 2003, ha indicato i requisiti minimi per l’inserimento degli psicologi appartenenti all’ordine negli elenchi degli esperti e degli ausiliari dei giudici presso i tribunali, vale a dire l’anzianità di iscrizione all’albo degli psicologi da almeno tre anni, uno specifico percorso formativo post laurea in ambito di psicologia giuri- dica e forense, specifiche competenze relative alle aree di svolgimento dell’attività (clinica, psicodiagnostica, del lavoro, delle organizzazioni ecc.). Per operare nell’area dei minori sono inoltre state ritenute necessarie particolari competenze in materia di psicologia dello sviluppo e di dinamiche della coppia e della fami- glia. Va segnalato come il 24 maggio del 2018 il Consiglio Nazionale Forense, unitamente al Consiglio Superiore della Magistratura e alla Federazione Nazio- nale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, abbia sottoscritto un protocollo d’intesa per armonizzare i criteri e le procedure di formazione degli albi dei periti e dei consulenti tecnici. Si veda www.consiglionazionaleforense.it.

14 Il Protocollo di Torino offre un importante elemento di novità, richieden- do che i consulenti più competenti sulla base dell’esperienza maturata, dei titoli e dell’aggiornamento scientifico documentato, accolgano i nuovi iscritti per un periodo di affiancamento prima della loro nomina, così favorendo l’acquisizione dell’inestimabile patrimonio dell’esperienza. L’esperienza del praticantato non è sconosciuta per coloro che vogliano esercitare la professione forense. Infatti, in base al combinato disposto dell’art. 41 della l. n. 247/2012 rubricato “contenuti e modalità di svolgimento del tirocinio” e dell’articolo 3 del d.m. Giustizia n. 70/2016, il tirocinio forense consiste nell’addestramento teorico e pratico del praticante avvocato, della durata di 18 mesi, finalizzato al conseguimento delle capacità necessarie per l’esercizio della professione e per la gestione di uno stu- dio legale, nonché all’apprendimento dei principi etici e delle regole deontolo- giche. Detto tirocinio consiste altresì, nella frequenza obbligatoria con profitto, sempre per un periodo non inferiore a 18 mesi, di corsi di formazione di indiriz- zo professionale tenuti da ordini e associazioni forensi. Se, quindi, per esercitare la professione forense occorre conseguire la capacità necessaria per l’esercizio della professione, non si comprende per quale motivo non debba richiedersi al- trettanto sacrificio al professionista che voglia iscriversi nelle liste dei consulenti psicologici attesa la delicatezza della materia.

15 V. Cass. civ., sez. I, 5 luglio 2019, n. 18222, in www.sentenze.laleggepertutti. it; Cass. civ., sez. I, 1° luglio 2015, n. 13506, in www.altalex.com.

16 Trib. Lucca, decr. 18 marzo 2020, in www.pluris-cedam.utetgiuridica.it.

17 In tema di affidamento e sulla centralità dell’interesse del minore v. Cass. civ., sez. VI, 19 luglio 2016, n. 14728, in www.sentenze.laleggepertutti.it; Cass. civ., sez. VI, 23 ottobre 2015, n. 18817, in www.osservatoriofamiglia.it; Cass. civ., sez. I, 27 giugno 2006, n. 14840, in www.italgiure.giustizia.it.

18 Peraltro il nostro ordinamento ammette anche l’adozione di provvedimenti contenitivi o restrittivi di diritti individuali di libertà dei genitori – in un’accezione ben più invasiva da quella qui prospettata – basti pensare alle prove ematologiche cui deve necessariamente sottoporsi un genitore ai fini dell’accertamento della paternità, ritenendo nel conflitto di interessi superiore quello del minore (v. Cass. civ., sez. I, 24 maggio 2018, n. 12954, in www.famigliavvocato.it; Cass. civ., sez. I, 4 novembre 2013, n. 24683, in www.altalex.com).

19 V. Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sez. I, causa G. c. Italia, 15 settembre 2016; Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sez. IV, causa B. c. Italia, 17 novembre 2015; Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sez. II, causa M. e N. c. Italia, 20 gennaio 2015; Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sez. II, causa L. c. Italia, 29 gennaio 2013; Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sez. II, causa R. e

B. c. Italia, 21 novembre 2006, tutte in www.giustizia.it.

20 Il nostro ordinamento, ponendo come obiettivo la tutela di alcuni diritti personalissimi, conosce forme di coercizione indiretta dell’altrui libertà di disposizione del proprio corpo, ammettendo che la prova dello status filiationis possa desumersi anche solo dal rifiuto del presunto genitore di sottoporsi alla prova ematologica, il cui esperimento implica, con ogni evidenza, un’ingerenza nella più intima sfera di autodeterminazione. Così il tribunale di Lucca nel citato decr. 18 marzo 2020, che a sua volta richiama: Cass. civ., sez. I, 6 luglio 2015, n. 13885, in www.altalex.com; Cass. civ., sez. I, 25 marzo 2015, n. 6025; Cass. civ., sez. I, 21 maggio 2014, n. 11223; Cass. civ., sez. I, 24 luglio 2012, n. 12971, tutte in www.italgiure.giustizia.it; Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sez. II, causa

S. e K. c. Italia, 12 luglio 2011, in www.giustizia.it.

21 Per una disamina di carattere generale sulle funzioni dei servizi socio-sani- tari, v. Servizi sociosanitari e giustizia. Protezione e cura dei soggetti deboli e tutela dei diritti della persona, a cura di G.B. CAMERINI, G. sERGIO, Rimini, 2013.

22 Non sarebbe, invece, possibile fornire informazioni rispetto ai contenuti a percorsi individuali o terapeutici di coppia, le cui finalità nulla hanno a che vedere con l’accertamento delle capacità genitoriali.

23 Il consulente può valutare scientificamente i fatti già provati ed acquisire gli elementi necessari per verificare la veridicità delle circostanze documentate ed allegate dalle parti in giudizio. Il consulente non può introdurre nel processo fatti nuovi o ricercare la prova dei fatti costitutivi della domanda della parte. Può, tuttavia, estendere le sue indagini solo nel caso in cui si tratti di “fatti accessori e rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza” v. Cass. civ., sez. I, 15 giugno 2018, n. 15774, in www.italgiure.giustizia.it. È, invece, tassativamente escluso che il consulente possa acquisire documentazione non prodotta in corso di causa, in quanto una prova documentale può essere utilizzata solo allorché il giudice ne abbia chiesto l’esibizione ex art. 210 c.p.c., v. Cass. civ., sez. I, 2 di- cembre 2010, n. 24549; Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 1995, n. 11133, entrambe in www.italgiure.giustizia.it.

24 Non può escludersi che nel corso di un procedimento civile sia necessario acquisire informazioni, o chiedere di svolgere indagini, al dipartimento sulle dipendenze (il Serd) o al Dipartimento di salute mentale per accertare le capacità genitoriali delle parti. L’eventuale indagine del primo servizio dovrebbe limitarsi alla storia del rapporto del soggetto interessato con il servizio stesso, alla sintesi degli interventi effettuati, all’anamnesi del rapporto con le sostanze, al programma terapeutico in atto con i tempi di realizzo e all’andamento del percorso. È escluso che il servizio possa effettuare valutazioni sulla personalità del genitore, non rientrando nelle proprie specifiche competenze. Analogamente il diparti- mento di salute mentale, ad esito di una richiesta da parte del tribunale con le medesime finalità sopra indicate, potrebbe trasmettere le seguenti informazioni: storia del rapporto tra il soggetto ed il servizio, descrizione diagnostica, sintesi degli interventi effettuati, programma terapeutico e andamento del percorso. Per un’analisi del riparto di competenze tra servizi e limiti di indagine, v. Protocollo d’intesa in ambito di separazioni/divorzi e procedimenti compresenza di figli tra Tribunale, Comune gli altri comuni della conferenza dei sindaci dell’Usll 20, Usll 20, Usll 21, Usll 22, Ordine, Aiaf, Ondif, Camera Minorile, Cammino, UGCI, tutti di Verona, in www.tribunaleverona.it.

25 V. Protocollo di Verona del 2018 cit., art. 10.

26 V. Protocollo di Torino del 2019, sezione guida metodologica, cit.

27 V. Protocollo di Verona, 3 dicembre 2018 cit., art. 10, 6-7; Protocollo d’intesa sulle buone prassi in materia di consulenza tecnica d’ufficio in materia di conflitto familiare e protezione giudiziaria dei minori, Guida Metodologica, sottoscritto il 2 ottobre 2019, art. 3 cit.; nessun cenno in ordine alla problema- tica si rinviene, invece, nelle recentissime Indicazioni operative per la CTU su famiglie e minori, cit.

28 Sull’utilizzo dei test psicologici in sede di consulenza tecnica, vanno segna- late le Linee Guida per l’utilizzo dei test psicologici in ambito forense in www. aipgitalia.org, ove si puntualizza che i test psicologici sono strumenti tipici della professione di psicologo e, nelle consulenze, costituiscono parte integrante del più ampio e complesso lavoro di accertamento e di inquadramento psicodiagnostico. La somministrazione di batterie di test deve essere posta in essere solo da chi ne abbia una specifica conoscenza e sappia tradurli e contestualizzarli secondo la finalità propria del contesto giudiziario. Infatti la somministrazione di un proto- collo testistico serve laddove sia necessario per il campo di indagine del consulente tecnico, ad esempio in funzione dell’accertamento di patologie psichiatriche già in atto o in situazioni di gravissimo maltrattamento nei confronti della prole; di fatto la somministrazione di un test, laddove non opportuna, potrebbe evidenziare tratti della personalità del soggetto il cui rilievo non è funzionale al lavoro da svolgersi, ad esempio rivelando un diverso orientamento sessuale del genitore.

29 V. Procollo sulla CTU di Verona del 2018, art. 10, cit.

30 L’indicazione contenuta in alcuni protocolli appare un po’ generica, forse per l’assenza di uno dei contraddittori che avrebbe dovuto partecipare al tavolo ossia il tribunale per i minori.

31 Sulle Linee Guida per l’accesso agli atti famiglia-penale, v. Trib. di Verona, 11 febbraio 2021, in www.osservatoriofamiglia.it, sez. documenti.

32 Rimane da considerare la sorte degli accertamenti condotti in sede civile

in attesa del completamento di quelli compiuti in sede penale. Non è chiaro, infatti, se il consulente che stia operando in sede civile debba sospendere ogni attività in attesa del completamento delle indagini, ovvero sino a che punto e con quali limiti possa proseguire il proprio incarico valutativo. La questione non è di secondaria importanza laddove si consideri che una parte delle denunce per maltrattamento è strumentale, e potrebbe aver generato comunque una sospensione dei rapporti con l’asserito genitore maltrattante.