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L’eccessivo formalismo della Suprema Corte circa i canoni redazionali del ricorso in cassazione. La CEDU condanna l’Italia

autore: A. Riccioli

SOMMARIO: 1. La condanna dell’Italia da parte della CEDU, l’Affaire succi et autres c. Italie. - 2. Il principio di autosufficienza del ricorso in cassazio- ne. - a. La nomofilachia della Corte di cassazione. - b. Origine giurisprudenziale del principio di autosufficienza. - c. Una prima codificazione: la riforma del 2006. - d. Il Protocollo d’intesa Cassazione-Consiglio Nazionale Forense del 17 dicembre 2015 concernente le “regole redazionali dei motivi di ricorso in materia civile e tributaria”. - e. Il Protocollo d’intesa Cassazione-Consiglio Nazionale Forense del 17 dicembre 2015 con- cernente le “regole redazionali dei motivi di ricorso in materia civile e tributaria”. - f. Conclusione. - 3. L’affaire Succi et autres c. Italie. - 4. Riforma Cartabia. - a. Giudicato amministrativo anticomunitario. - b. La revisione del giudicato penale.



1. La condanna dell’Italia da parte della CEDU, l’Affaire succi et autres c. Italie



Recentemente la Corte europea dei diritti dell’uomo ha avuto modo di esprimersi circa la violazione del right of access to a court, di cui all’art. 6 § 11 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Tale violazione viene imputata dai ricorrenti all’eccessivo formalismo con il quale la Suprema Corte giudica l’ammissibilità o meno dei ricorsi che le vengono presentati.

La sentenza, di cui questo articolo intende trattare, è stata resa dalla Corte lo scorso 28 ottobre nell’affaire Succi et autres

c. Italie2. Otto cittadini italiani, attraverso tre distinti ricorsi, poi riuniti – nn. 55064/11, 37781/13 e 26049/14 – agiscono contro la Repubblica italiana di fronte alla Corte Edu, sulla base dell’articolo 34 della Convenzione3.

I ricorrenti lamentano un eccessivo formalismo utilizzato dalla Corte di cassazione nella valutazione attinente i criteri di redazione del relativo ricorso, con conseguente giudizio di inammissibilità di tale atto introduttivo. La Corte di cassazione, nello specifico, ha ritenuto che tali ricorsi fossero lesivi del principio di autosufficienza che la redazione di un ricorso in Cassazione dovrebbe rispettare.

Risulta utile sottolineare fin da subito, al fine di una migliore comprensione della questione, che solo con riferimento ad uno dei ricorsi – n. 55064/11 – la Corte Edu ha effettivamente ravvisato la violazione del menzionato articolo 6, con conseguente condanna dello Stato italiano4. È, dunque, da notare come negli altri due casi posti all’attenzione della Corte, essa legittimi il principio di autosufficienza, avvalorando la posizione del governo italiano e dunque il giudizio promosso dalla Suprema Corte. Alla base del principio in esame, infatti, la Corte Edu rinviene la garanzia delle funzioni di certezza del diritto e buona amministrazione della giustizia, “condannandone esclusivamente un’applicazione sproporzionata ed eccessivamente formalistica”5.

Affermato lo scopo legittimo del principio, dunque, ciò su cui la Corte Edu si è maggiormente spesa riguarda la valutazione della proporzionalità della restrizione – i.d. l’inammissibilità pronunciata dalla Cassazione – derivante dall’osservanza del principio di autonomia, sancendone l’inapplicabilità solo in caso di sproporzionato e irragionevole utilizzo dei canoni formali di redazione del ricorso per cassazione.



2. Il principio di autosufficienza del ricorso in cassazione



a. La nomofilachia della Corte di cassazione

Al fine di comprendere la ragione dietro l’esistenza di un canone formale di redazione del ricorso in cassazione, sul quale le sentenze in esame si concentrano, è necessario innanzitutto comprendere la funzione nomofilattica rivestita dalla Suprema Corte. La nomofilachia (lett. custodia delle norme) è ben delineata all’interno dell’art. 65 dell’ordinamento giudiziario, § 1, secondo cui “La corte suprema di cassazione, quale organo supremo della giustizia, assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale”6. Tale fondamentale e specifica funzione rivestita dalla Cassazione è funzionale a garantire la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, valori che, tuttavia, non riuscirebbero ad essere perseguiti qualora la Cassazione fosse eccessivamente oberata di lavoro, impedendo l’effettività che la tutela giurisdizionale dovrebbe avere al fine di garantire quei diritti di cui è posta a presidio7. Tale problematica giustifica l’esistenza del principio di autonomia del ricorso in cassazione, che ha quindi il fine di permettere alla Cassazione di comprendere la questione a lei posta sulla base di quanto descritto all’interno del ricorso presso di essa depositato e quindi ha il fine di alleggerirne il lavoro. In questo senso si capisce come tale principio debba essere correttamente bilanciato con i due valori sopraesposti al fine di garantire un’applicazione proporzionata che non leda il diritto di difesa della parte8.



b. Origine giurisprudenziale del principio di autosufficienza

Il principio di autosufficienza è di origine pretoriana9 e viene originariamente pensato come corollario del canone di specificità e completezza del motivo di ricorso10. Progressivamente, la lettura che ne viene data risulta sempre più rigida11, laddove la ratio di questa interpretazione del concetto di autosufficienza si rinviene nell’intento di permettere alla Cassazione di conoscere tutti gli elementi necessari alla decisione senza dover consultare altri atti se non, appunto, quello introduttivo12. Sostanzialmente, con questa lettura la giurisprudenza di legittimità13 sancisce il divieto per la Corte Suprema di compiere ulteriori indagini integrative e quindi di valutare gli atti e i documenti prodotti nelle precedenti fasi di merito, salvo che i vizi processuali non configurino errores in procedendo. Successivamente, la giurisprudenza di legittimità ha esteso la portata del principio, che quindi riguardava qualsiasi vizio censurato nel ricorso, a prescindere dalla qualificazione di error in iudicando o in procedendo14.

Facendo specifico riferimento, inoltre, al motivo di ricorso

di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c., la Corte di Cassazione aveva previsto l’onere di integrale trascrizione ed allegazione delle fonti normative richiamate dal ricorrente15. Si sottolinea che il principio di autosufficienza del ricorso in cassazione16, in particolare in questa sua forma più rigida, non viene condiviso dalla maggior parte della dottrina17. Viene infatti autorevolmente osservato che da un lato, tale limitazione ai poteri di cognizione della Suprema Corte non ha alcuna base normativa18 e dall’altro si osserva come tale lettura del principio favorisca la redazione di atti prolissi e sovrabbondanti, causando inutili ritardi e inefficienze19.



c. Una prima codificazione: la riforma del 2006

Tale principio viene per la prima volta codificato con il D. Lgs. 2 febbraio 2006 n. 4020, che aggiunge un ulteriore elemento di forma-contenuto che deve essere inserito nel ricorso a pena di inammissibilità, ovvero la “specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” di cui all’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c.21. Questa normativizzazione del principio ne comporta un ridimensionamento22, tale che dal 2006 in poi l’autosufficienza del ricorso viene intesa come obbligo di “localizzazione” dell’atto o del verbale di causa al quale il vizio lamentato nel ricorso fa riferimento23. Si ammette, inoltre, il rinvio per relationem24.

Tuttavia, la Corte di cassazione, anche dopo la riforma in esame, ha sostenuto una lettura rigida del principio, sancendo l’inammissibilità in caso di mancata integrale trascrizione degli atti a cui le doglianze facevano riferimento25.

Alcune sentenze successive permettono, però, di aprire la strada verso una lettura più attenuata del principio, che viene qualificato come “un corollario del requisito della specificità dei motivi di impugnazione, tradotto nelle più definite e puntuali disposizioni contenute negli art. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ.”26.



d. Il Protocollo d’intesa Cassazione-Consiglio Nazionale Forense del 17 dicembre 2015 concernente le “regole redazionali dei motivi di ricorso in materia civile e tributaria”

In tale contesto interpretativo e normativo si inserisce il Protocollo d’intesa tra la Corte Suprema e il Consiglio Nazionale Forense sulle regole redazionali dei motivi di ricorso in Cassazione. La ratio giustificatrice di questo tipo di accordo risiede nella volontà di una significativa semplificazione degli atti di parte, al fine di una maggiore chiarezza e celerità della decisione.

Superando la lettura più rigida della giurisprudenza precedente, il Protocollo precisa che “il rispetto del principio di autosufficienza non comporta un onere di trascrizione integrale nel ricorso e nel controricorso di atti o documenti ai quali negli stessi venga fatto riferimento” talché lo stesso “deve ritenersi rispettato quando: 1) ciascun motivo articolato nel ricorso risponda ai criteri di specificità imposti dal codice di rito”27.

Nonostante le diverse interpretazioni circa la valenza del suddetto Protocollo28, è pacifico che nonostante esso non delinei una nuova causa di inammissibilità, ne consegue comunque la necessità di interpretare in modo conforme la norma sui requisiti di contenuto-forma. di cui all’art. 366 c.p.c., sulla base della constatazione che il Protocollo è frutto di una decisione concordata29.



e. Conclusione

Ad oggi, si può notare come la giurisprudenza abbia aderito alla nuova lettura del principio in esame ritenendo non necessaria la trascrizione integrale nel ricorso di atti o documenti ai quali venga fatto riferimento nell’impugnazione.

La lettura odierna legge il principio di autonomia nel senso che il ricorso debba contenete non “tutto”, ma “tutto ciò che serve in relazione ai motivi di ricorso” nel rispetto dei principi di sinteticità e chiarezza espositiva degli atti processuali”30. Tale principio, dunque, persegue lo scopo, di interesse pubblico, di snellire l’attività degli organi giudiziari al fine di garantire il rispetto del giusto processo e di effettività della tutela, intendendosi per questa l’efficacia della giustizia che il sistema è in grado di offrire. A questo tipo di ragionamento, se ne aggiunge un altro che si pone su un piano più pragmatico. Si deve infatti pensare che i giudici della Cassazione non hanno altro luogo in cui svolgere il proprio operato se non la Camera di Consiglio, e, dunque, necessitano di valutare il ricorso nelle mura domestiche, dovendosi quindi portare, materialmente, il lavoro a casa (ricorso e sentenza). Questa esigenza, contestualmente alla considerazione che la Suprema Corte, in Italia più che in altre esperienze è già oberata di lavoro31, rende evidente l’estrema necessità di garantire un principio di sinteticità sul quale si delineino i canoni redazionali del ricorso.



3. L’affaire Succi et autres c. Italie



Al fine di meglio comprendere l’orientamento che la Corte Edu ha adottato circa la lettura del principio di autosufficienza del ricorso in cassazione, è primariamente necessario valutare quale siano stati i motivi che hanno spinto la Suprema Corte a dichiarare l’inammissibilità dei tre ricorsi in esame.

Circa la prima domanda, n. 55064/11, la Corte di cassazione ne aveva sancito l’inammissibilità, valutando che vi fosse stata una violazione dell’art 366, nn. 4 e 6, c.p.c., secondo cui il ricorrente che lamenti l’erronea valutazione o l’omissione di un documento dalla decisione di merito ha il duplice obbligo di metterlo agli atti e di specificarne il contenuto32.

Per quanto riguarda invece la seconda domanda, n. 37781/13, con sentenza n. 3652 del 2013, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ai sensi degli articoli 366, § 1, comma 4, 366-bis e 375, § 1, comma 5, c.p.c. In tale sentenza la Corte di cassazione afferma che: “le questioni di diritto che concludono i motivi di ricorso non sono conformi allo schema elaborato da questa Corte (indicazione dei fatti rilevanti e della loro valutazione da parte del giudice di merito, indicazione dell’interpretazione alternativa proposta dal ricorrente). Ne consegue che sono astratti e generici e non hanno alcuna connessione con il caso”33. Inoltre, secondo la Cassazione tale ricorso non rispetta neanche l’art. 366, paragrafo 1, punto 6,

c.p.c. laddove si critica l’erronea valutazione o l’assenza di valutazione dell’atto senza riprodurne le parti pertinenti, ma limitandosi a citarlo, oppure, laddove effettivamente le parti pertinenti fossero trascritte, omettendo di individuare i riferimenti che avrebbero reso reperibili gli atti in questione34.

Infine, per quanto riguarda il terzo ricorso, ovvero l’Applicazione n. 26049/14, la Corte di cassazione, con l’ordinanza 17 settembre 2013, n. 21232, ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo che non rispettasse il requisito di cui all’articolo 366, paragrafo 3, c.p.c., in quanto riproduceva quasi integralmente gli atti del procedimento dinanzi ai giudici di merito35.

Come già previamente accennato, di questi tre ricorsi, solo il primo viene accolto dalla Corte Edu, che ha in questo caso ravvisato l’effettiva violazione dell’art. 6 sopracitato, evidentemente dovuta ad un errore del collegio di legittimità dato che tale violazione, dal punto di vista dei rimedi interni, sarebbe stata idonea a fondare un motivo di revocazione ex art. 395,

n. 4, e 391-bis c.p.c.36. Rispetto a questa prima domanda, la Corte ha ritenuto che dal ricorso emergesse chiaramente il contenuto delle doglianze e che ivi erano opportunamente richiamati e trascritti i documenti e atti del caso, valutando che in questo caso la declaratoria di inammissibilità fosse stata emessa dalla Cassazione sulla base di una lettura eccessivamente formalistica del principio di autosufficienza. Lo scopo legittimo perseguito da questo principio si individua nella garanzia della certezza del diritto e nella corretta amministrazione della giustizia37. Ecco che, specificatamente rispetto a questa domanda, nel paragrafo 92, ritiene che il formalismo di cui la Suprema Corte ha dato prova non possa essere giustificato alla luce dei sopracitati principi e che dunque, eccedendo lo scopo, esso risulti eccessivo.

Sulla stessa ratio, la Corte Edu rigetta, invece, gli altri due ricorsi, dato che nel secondo (n. 37781/13) il ricorrente non aveva indicato né trascritto gli atti e documenti invocati, e nel terzo (n. 26049/14) l’esposizione sommaria dei fatti di causa ai sensi dell’art. 366, n. 3, c.p.c., era stata impropriamente sostituita, secondo la tecnica del c.d. assemblaggio38, da una trasposizione integrale e acritica del testo del giudizio precedente, che risultava, dunque, incomprensibile, rendendo impossibile alla Suprema Corte la valutazione nel merito del ricorso. Pertanto, in entrambi i casi, la Corte Edu ha escluso una violazione dell’art. 6 § 1 della Convenzione.

La valutazione della Corte è espressa a partire dal § 71 della sentenza de qua. Come già precedentemente accennato, la valutazione della corte si fonda su due punti: da un lato verificare se vi è un scopo legittimo dietro al principio di autosufficienza (e la Corte ritiene di si, sulla base di valori quali la buona amministrazione e la certezza del diritto, avvallando quanto sostenuto dal governo (§ 64, cit.), ovvero giustificando la necessaria autonomia dei ricorsi in cassazione anche alla luce del ruolo nomofilattico rivestito dalla Cassazione (così come spiegato nel § 73 ss., cit.). Accertata la legittimità dello scopo perseguito, la Corte si concentra sulla proporzionalità della misura, dunque se in questo caso possa dirsi giustificata (o al contrario eccessiva) l’applicazione rigida del canone formale di redazione del ricorso sulla base del quale la Cassazione ha dichiarato l’inammissibilità dei ricorsi. Nel suo ragionamento, laddove si propone di valutare se la declaratoria di inammissibilità si traduca o meno in una violazione del “diritto al tribunale”, la Corte richiama propri precedenti, come i casi Zubac. c. Croazia e Trevisanato c. Italia39.

In conclusione, “la regola dell’autosufficienza, con i conseguenti oneri redazionali imposti al difensore, è ritenuta legittima e opportunamente imposta”40 purché graviti all’interno di un adeguato bilanciamento rispetto ai fini sopracitati.



La Corte fonda tale ragionamento anche alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale interno. In particolare, la Corte richiama le regole del processo amministrativo, collocando sullo stesso piano la regola dell’autosufficienza e i principi di specificità, chiarezza e sinteticità degli atti giudiziali41, alla giurisprudenza della S.C. sullo stesso principio di autosufficienza e sull’ormai abrogato quesito di diritto ex art. 366bis c.p.c.42; al Protocollo tra Corte di Cassazione e C.n.f. del 2015; nonché agli obiettivi enunciati nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) in materia di efficienza della giustizia civile, in punto di sinteticità degli atti giudiziali43.

In conclusione, si può osservare che la sentenza acquista importanza alla luce di una spinta verso un utilizzo

ragionevole e proporzionato dei canoni formali di redazione del ricorso per cassazione (e, più in generale, di un qualsiasi atto di impugnazione, come per la specificità richiesta per la redazione dei motivi di appello, a pena di inammissibilità, ex art. 342 c.p.c.).



4. Riforma Cartabia



Una delle riforme qualificanti del PNRR, riguarda proprio la riforma del processo civile. Il 21 settembre 2021 l’Assemblea ha rinnovato la fiducia al Governo dando il via libera all’emendamento completamente sostitutivo del d.d.l. n. 1662 “Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata”. I campi sui quali la riforma, che ha molteplici declinazioni, introduce un punto di novità che risulta di particolare interesse rispetto all’argomento qui in esame, contenuto nell’art. 8 del suddetto decreto44, che attribuirebbe alla Corte Edu la facoltà non solo di condannare l’Italia in caso di violazione di una norma della CEDU, ma anche di revocare la sentenza impugnata, lasciando però la possibilità di esperire il rimedio revocatorio interno di cui all’art. 395 c.p.c. qualora la violazione emerga a seguito del passaggio in giudicato della sentenza e non sia possibile rimuovere la violazione tramite tutela per equivalente.



a. Giudicato amministrativo anticomunitario

Riguardo al tema di un possibile effetto caducativo delle sentenze della Corte Edu sul giudicato, la giurisprudenza e la dottrina si sono già precedentemente concentrate sull’introduzione di un’ulteriore ipotesi di revocazione del giudicato nazionale valutato come anticomunitario. In particolare, la frizione tra i diversi livelli di tutela45 si è avuto con riferimento al giudicato amministrativo anticonvenzionale, laddove la regula iuris cristallizzata nella sentenza, ormai definitiva, del giudice amministrativo risulta non conforme ai canoni della CEDU a seguito di una sopravvenuta sentenza della Corte Edu. Risulta interessante sottolineare come tale contrasto tra giudicati sia in qualche modo fisiologico rispetto a come è costruito tale sistema di giustizia convenzionale, dato che, posta l’esistenza della regola del previo esaurimento dei rimedi interni ex art. 35 CEDU, il giudicato convenzionale sarà sempre necessariamente conseguente alla formazione del giudicato formale. Il disegno di legge di cui sopra, frutto del più ampio piano delineato dalla Riforma Cartabia, è giustificato dall’inesistenza, attualmente, di un rimedio a questa antinomia sistemica, né sul piano amministrativo, né sul piano processualcivilistico. Benché questi due piani rimangano tra loro distinti, tale che le conclusioni valevoli per l’uno non necessariamente si applicano all’altro, è utile richiamare brevemente le riflessioni già sviluppatesi intorno al piano amministrativo, al fine di poter acquisire un’idea più chiara circa l’eventuale evoluzione che potrebbe avere la soluzione caducatoria qui in esame anche sul piano processualcivilistico.

Riguardo l’incidenza del diritto sovranazionale sul regime di validità degli atti amministrativi e giurisdizionali nazionali, vale la regola della tendenziale non incidenza delle sentenze della Corte di Strasburgo sull’ordinamento interno. Con ciò si intende che la primazia riconosciuta al diritto sovranazionale non modifica il regime di stabilità degli atti, amministrativi e giurisdizionali, dell’ordinamento nazionale. Il principio di primazia del diritto comunitario non postula la rimozione degli atti nazionali divenuti definitivi (atti amministrativi inoppugnabili; giudicato), sebbene in contrasto con il diritto sovranazionale. Dunque, constatata la natura dichiarativa delle sentenze della CEDU, un corollario di ciò è il margine di apprezzamento rimesso agli Stati nella scelta dei mezzi e dei modi per dare esecuzione al dictum europeo. Tuttavia, al di là di questo margine di discrezionalità, sugli Stati grava l’obbligo, anzitutto, di porre fine alla violazione e, ove possibile, di porre il ricorrente nella situazione in cui si sarebbe trovato se la violazione non si fosse verificata (restitutio in integrum). In particolare, se la violazione riscontrata ha leso il diritto al giusto processo si pone la questione di stabilire se lo Stato debba revocare la sentenza definitiva che abbia concluso il processo dichiarato iniquo. Questa possibile soluzione, però, è stata espressamente esclusa dalla Corte Costituzionale per quanto riguarda il giudicato amministrativo anticomunitario, con la sentenza 123 del 201746, con la quale è stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale delle norme sulla revocazione della sentenza non penale, nella parte in cui non prevedevano un diverso caso di revocazione della sentenza volto all’ottemperamento di una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo che abbia accertato la violazione dei canoni dell’equo processo47.

La ragione principale per cui la riapertura del processo non risultava una soluzione percorribile nel sistema processuale amministrativo si rinviene nella disciplina convenzionale dell’istituto dell’intervento (art. 36, CEDU). Il processo che si sviluppa di fronte alla Corte Edu non prevede come parti necessarie gli eventuali interessati e controinteressati che abbiano preso parte al giudizio nazionale, essendo il loro intervento subordinato alla valutazione discrezionale del Presidente della Corte europea, il quale “può invitare […] ogni persona interessata diversa dal ricorrente a presentare osservazioni per iscritto o a partecipare alle udienze” (art. 36, § 2, CEDU). Quindi, dato che la Convenzione non prevede un diritto di intervento dei terzi nel processo convenzionale, qualora si ammetteste la cedevolezza del giudicato amministrativo a seguito della decisione convenzionale, si potrebbe configurare una violazione del diritto di difesa dei terzi, e quindi una violazione dell’art. 24 Cost.



b. La revisione del giudicato penale

Il piano comune su cui si muovono le riflessioni circa questi interventi giurisprudenziali e dottrinali, sia nel già richiamato ambito amministrativo, sia nell’ambito penalistico qui in esame, è la perdurante inerzia del legislatore rispetto all’obbligo di conformarsi alle sentenze pronunciate dalla Corte europea, ex art. 46 CEDU, è stata interamente demandata al lavorio della elaborazione giurisprudenziale.

In ambito penalistico, sul punto si è raggiunta una svolta definitiva quando la Corte costituzionale con la sentenza n. 113 del 201148 ha finito per introdurre l’istituto della revisione europea. Con tale sentenza, la Corte Cost. ha sancito l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 c.p.p., così introducendo una nuova ipotesi di revisione del giudicato nazionale, al fine di avere una rinnovazione dei giudizi per una violazione della Convenzione. Tale sentenza additiva di principio ha permesso di introdurre, sia pure soltanto in ambito penale, l’istituto della c.d. revisione europea, il quale, pur prendendo forma sul modello della revisione del giudicato prevista agli artt. 630 ss. c.p.p., ha natura atipica rispetto al rimedio generale49.

NOTE

* La sentenza della Cedu 28 ottobre 2021, Affaire Succi et autres c. Italie, è pubblicata sul sito www.osservatoriofamiglia.it.

1 Art 6 (Diritto ad un equo processo) CEDU, § 1: Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia.

2 C. Eur. Dir. Uomo, sentenza 28 ottobre 2021, Requêtes nos 55064/11 et 2 autres, Affaire succi et autres c. Italie.

3 Art. 34 (Ricorsi individuali) CEDU: La Corte può essere investita di un ricorso da parte di una persona fisica, un’organizzazione non governativa o un gruppo di privati che sostenga d’essere vittima di una violazione da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi protocolli. Le Alte Parti contraenti si impegnano a non ostacolare con alcuna misura l’esercizio effettivo di tale diritto.

4 Il potere di condanna della Corte deriva dall’applicazione dell’articolo 41 della Convenzione, derubricato come “Equa soddisfazione” e che recita: “Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa” (C. Eur. Dir. Uomo, sent. 28 ottobre 2021, cit., § 116). Il ricorrente, nel ricorso n. 55064/11, ha avanzato una richiesta di risarcimento da parte dello Stato pari ad almeno 26.000 euro (EUR) per i danni materiali ed un importo pari ad almeno un terzo di tale somma per i danni morali che ritiene di aver subito. La Corte, non riscontrando alcun nesso causale tra la violazione riscontrata e il danno materiale denunciato e volendo evitare qualsiasi tipo di speculazione su quale sarebbe stato l’esito del procedimento in assenza della violazione riscontrata, si limita a riconoscere al ricorrente 9.600 euro (EUR) per il danno morale, più l’eventuale importo dovuto su tale somma a titolo di imposta (§ 117 ss., ult. cit.).

5 C.M. BARONE, La Corte di Strasburgo sul principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in www.questionedigiustizia.it.

6 Sulla funzione nomofilattica della Cassazione si veda F.P. LUISO, Diritto processuale civile II, XII, Milano, 2020, 425.

7 L’effettività della tutela giurisdizionale è desumibile dall’art. 24 Cost. V. nota successiva.

8 Nel nostro ordinamento garantito attraverso l’art. 24 Cost. che tutela contestualmente il diritto di azione (§ 1) e il diritto di difesa (§ 2), da leggere alla luce di quel “giusto processo” di cui all’art. 111, § 1, Cost., così come riformulato a seguito della Riforma del 1999. Coerentemente, sul piano sovranazionale, il diritto in questione è tutelato nel già richiamato art. 6 CEDU.

9 Il riferimento è a Cass., sent. 18 settembre 1986, n. 5656/1986. In dottrina, cfr. G. AMOROSO, Il giudizio civile in cassazione, Milano, 2012, 181.

10 Per un approfondimento circa una prima esegesi applicativa, si veda in giurisprudenza: Cass. civ., Sez. II, 19 giugno 1995, n. 6927. In dottrina, v. A. GIUSTI, L’autosufficienza del ricorso per cassazione civile, in Giust. civ., 2013, 247.

11 In giurisprudenza, di veda Cass. civ., Sez. III, 25 luglio 2008, n. 20437; Cass. civ., Sez. III, 11 febbraio 2009, n. 3338, Cass. civ., Sez. III, 5 marzo 2003,

n. 3284; Cass., civ., Sez. III, 10 marzo 2000, n. 2802; Cass. civ., Sez. II, 25 marzo 1999, n. 2838.

12 È interessante richiamare le riflessioni di S. RUSCIANO, In tema di autosufficienza del ricorso per cassazione, in Giur. it., 2005, 1670 ss., secondo cui la Cassazione dovrebbe evitare di svolgere un’autonoma ricerca degli atti e dei documenti prodotti nelle fasi di merito dato il rischio di soggettivismo interpretativo nella individuazione stessa di quegli atti.

13 Cfr. Cass. civ, Sez. II, 24 novembre 1999, n. 10017; Cass. civ, Sez. III, 9 aprile 2009, n. 8708.

14 Si veda S. RUSCIANO, Il contenuto del ricorso per cassazione. La formulazione dei motivi: il principio di autosufficienza, in Corr. giur., 2007, 279 ss.; A. NAPPI, Il sindacato di legittimità nei giudizi civili e penali di cassazione, Torino, 2011, 275 ss. Rispetto agli errores in procedendo, in particolare, v. ex multis, Cass. civ., Sez. Lav., 23 marzo 2005, n. 6225; Cass. civ., Sez. III, 8 ottobre 2008, n. 24791; Cass. civ., Sez. II, 19 marzo 2007, n. 6361, Cass. civ., Sez. III, 18 giugno 2007, n. 14133.

15 Con maggiore precisione, si sottolinea che l’obbligo di integrale trascrizione riguardava alcune fonti normative, ad esempio quando le censure sollevate comportavano l’esame di regolamenti comunali e provinciali (in tal senso Cass. civ., Sez. Lav., 15 dicembre 2008, n. 29322; Cass. civ., Sez. III, 18 febbraio 2000,

n. 1865; in senso conforme, Cass. civ., Sez. Trib., 6 novembre 2005, n. 23093; contra, Cass. civ., Sezioni Unite, 16 giugno 2005, n. 12868) ovvero la sentenza di merito impugnata, qualora il ricorrente avesse lamentato un errore di diritto nell’interpretazione della pronuncia medesima (cfr. Cass., civ., Sez. III, 29 settembre 2007, n. 20594).

16 Sul principio di autosufficienza, cfr. A. GIUSTI, L’autosufficienza del ricorso, in

M. ACIERNO, P. CURzIO, A. GIUSTI (a cura di), La Cassazione civile. Lezioni dei magistrati della Corte Suprema italiana, Bari, 2020, 213 ss., e N. GIALLONGO, I requisiti del ricorso in cassazione: il principio della c.d. autosufficienza, in Judicium, 2019, 1, 5 ss.; Conforti, Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, Salerno, 2014, 91 ss.; con riferimento all’applicazione del principio nel processo penale, v. A. ChELO, L’autosufficienza del ricorso per cassazione nel processo penale, Padova, 2020.

17 In dottrina, gli Autori si sono espressi perlopiù criticamente su un principio di origine pretoria (sebbene la stessa Suprema Corte lo riconduca al dettato dell’art. 366, n. 6, c.p.c.): si veda, ex multis, B. SASSANI, Il nuovo giudizio di cassazione, in Riv. dir. proc., 2006, 1, 217 ss., 228 ss.; E.F. RICCI, Sull’autosufficienza del ricorso per cassazione: il deposito dei fascicoli come esercizio ginnico e l’Avvocato Cassazionista come amanuense, in Riv. dir. proc., 2010, 3, 736 ss.

18 Al contrario, nel codice di rito si rinvengono norme che, sebbene in modo implicito, disciplinano un potere-dovere del giudice di legittimità di conoscere tutti gli atti di causa delle precedenti fasi di merito, come ad esempio nell’art. 384, comma 4, c.p.c. secondo cui “Non sono soggette a cassazione le sentenze erroneamente motivate in diritto, quando il dispositivo sia conforme al diritto; in tal caso la Corte si limita a correggere la motivazione”.

19 In dottrina, v. C. CONSOLO, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, Padova, 2008, 245; In giurisprudenza, v. Cass. civ., Sez. Trib., 19 dicembre 2019, n. 33915; Cass. civ., Sez. III, 17 ottobre 2019, n. 26331; Cass. civ., Sez. Trib., 4 aprile 2018, n. 8245; Cass. civ., Sezioni Unite, 11 aprile 2012, n. 5698.

20 Recante “Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato”.

21 Nel tema, si vedano le riflessioni di A. CARRATTA, La riforma del giudizio in cassazione (relazione al Congresso giuridico per l’aggiornamento forense, organizzato dal Consiglio nazionale forense, Roma, 28-30 marzo 2006), in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, 1105 ss. e in Studi in onore di Carmine Punzi, III, Torino 2008, 21 ss.

22 Cfr. B. SASSANI, Il nuovo giudizio di Cassazione, in Riv. dir. proc., 2006, 228.

23 La canonizzazione del principio, da cui si delinea una forma più elastica rispetto alla lettura che ne era data precedentemente, è confermata anche dalla modifica che il suddetto decreto compie circa l’art 369 n. 4 c.p.c., che prevede a carico del ricorrente l’ulteriore onere di depositare, a pena di improcedibilità, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda.

24 Così, G. BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile. Il processo ordinario II, Bari, 2012, 415; C. CONSOLO, Deleghe processuali e partecipazione alla riforma della Cassazione e dell’arbitrato, in Corr. giur., 2005, 1189.

25 Ex multis, cfr. Cass. civ., Sez. VI, 16 marzo 2012, n. 4220; Cass. civ., Sez.

Lav., 30 luglio 2010, n. 17915; Cass. civ., Sez. Trib., 11 maggio 2010, n. 11423;



Cass. civ., Sez. I, 19 aprile 2010, n. 9300; Cass. civ., Sez. III, 23 marzo 2010, n. 6937; Cass. civ., Sez. II, 3 marzo 2010, n. 5091; Cass. civ., Sez. Trib., 24 febbraio

2010, n. 4434; Cass. civ., Sez. II, 15 febbraio 2010, n. 3507; Cass. civ., Sez. III,

3 febbraio 2010, n. 2506; Cass. civ., Sez. III, 17 novembre 2009, n. 24221.

26 Così Cass. civ., Sezioni Unite, 22 maggio 2012, n. 8077, citata anche nella sentenza della Cedu in esame, § 31, in particolare nel passaggio in cui la Corte di Cassazione afferma che: “il giudice di legittimità […] è investito del potere di esaminare direttamente gli atti e i documenti che sono alla base del ricorso. [Ciò a condizione che il reclamo sia stato presentato dall’attore nel rispetto delle norme stabilite al riguardo […] in particolare, nel rispetto dei requisiti dettati dagli articoli 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4 del c.p.c.”. Nel medesimo senso, Cass. civ., Sez. Lav., 17 gennaio 2014, n. 896; Cass. civ., Sez. VI, 25 marzo 2013, n. 7455.

27 Il Protocollo richiede, altresì, che: “nel testo di ciascun motivo sia indicato l’atto, il documento, il contratto o l’accordo collettivo su cui si fonda il motivo stesso (art. 366, c. 1, n. 6), cod. proc. civ.), con la specifica indicazione del luogo (punto n. 1) dell’atto, del documento, del contratto o dell’accordo collettivo al quale ci si riferisce” (punto n. 2); “nel testo di ciascun motivo siano indicati il tempo (atto di citazione o ricorso originario, costituzione in giudizio, memorie difensive, ecc.) del deposito dell’atto, del documento, del contratto o dell’accordo collettivo e la fase (primo grado, secondo grado, ecc.) in cui esso è avvenuto” (punto n. 3).

28 Una parte della dottrina attribuisce al Protocollo valore di soft law (in tal senso C. CONSOLO, Il ricorso per cassazione tra sinteticità e completezza il Protocollo redazionale C.n.f.; Cassazione: glosse a un caso di scuola di soft law (… a rischio di essere riponderato quale hard black letter rule), in Giur. it., 2016, 2768 ss.). Altri lo hanno considerato una regolamentazione pattizia che completa il regime legale del ricorso per cassazione (v. C. PUNzI, Il principio di autosufficienza e il “Protocollo d’intesa” sul ricorso in Cassazione, in Riv. dir. proc., 2016, 585 ss.; A. PANzAROLA, La difesa scritta ed orale in cassazione dopo il Protocollo d’intesa Mascherin-Santacroce e la legge 25 ottobre 2016 n. 197, in Il giusto processo civile, 2016, 1061 ss.). Altri autori gli attribuiscono, invece, una valenza peculiare sia perché “frutto dell’accordo di soggetti istituzionali, sia perché detta regole la cui violazione è correlata alla valutazione che il giudice compie nella liquidazione delle spese”,

G. MAzzONE, Il principio di autosufficienza del ricorso civile per cassazione, in www. diritto.it (in tal senso I. PAGNI, Il ricorso per cassazione tra sinteticità e completezza chiarezza e sinteticità negli atti giudiziali: il Protocollo d’intesa tra Cassazione e C.n.f., in Giur. it, 2016, 2768 ss.).

29 Si veda R. FRASCA, Glosse e commenti sul protocollo per la redazione dei ricorsi civili convenuto fra Corte di cassazione e Consiglio nazionale forense, in www. judicium.it. In giurisprudenza, è conforme Cass., Sez. I, 24 aprile 2018, n. 10112 che ha affermato “il Protocollo testimonia di un condiviso orientamento interpretativo che ha la sua base nel dato normativo, sia per quanto attiene all’esigenza di specificità, sia per quanto attiene all’esigenza di autosufficienza, sicché legittima l’interpretazione della norma in conformità al protocollo, con l’ulteriore conseguenza che la violazione delle regole del protocollo dà luogo ad inammissibilità laddove esso rifletta opzioni interpretative di quel dato”. Da tale sentenza, consegue il seguente principio di diritto: “La violazione delle regole per la redazione del ricorso per cassazione secondo il Protocollo siglato il 17 dicembre 2015 dalla Corte di Cassazione e dal Consiglio nazionale forense, a mezzo dei loro presidenti, in merito alle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia civile e tributaria, dà luogo ad inammissibilità, laddove tale violazione implica la violazione – non già, ovviamente, del Protocollo in sé, bensì – del dato normativo di riferimento nell’interpretazione recepita nello stesso Protocollo”.

30 In tal senso, Cass. civ., Sez. Trib., 4 aprile 2018, n. 8245; Cass. civ., Sez. Trib., 19 dicembre 2019, n. 33915; Cass. civ., Sez. III, 17 ottobre 2019, n. 26331; Cass. civ., Sezioni Unite, 11 aprile 2012, n. 5698.

31 Ogni anno vengono presentati in Cassazione più di 30.000 ricorsi civili e 50.000 ricorsi penali. “Un dato quantitativo unico nell’esperienza giuridica internazionale”, P. CURzIO, Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2020, 29 gennaio 2021, Roma.

32 Come si legge nella sentenza in esame, CEDU, sent. 28 ottobre 2021, cit., § 7: “In altre parole, quando il ricorrente si lamenta che un documento è stato erroneamente valutato o omesso dalla decisione di merito, ha un duplice obbligo di metterlo agli atti e di specificarne il contenuto. Il primo obbligo si adempie indicando la fase del procedimento a cui appartiene il documento e in quale fascicolo si trova, e il secondo riproducendo o riassumendo il contenuto del documento nel ricorso”.

33 Riprendendo la spiegazione che la stessa Corte Edu dà nella sentenza in esame: “[Esse non consentono, alla semplice lettura di esse (sentenze delle sezioni unite nn. 2658/2008, 3519/2008, 7433/2009, sentenza n. 8463/2009), di individuare la soluzione adottata nella decisione impugnata e i termini della controversia (sentenze delle sezioni unite nn. 20360/2007, 11650/2008, 12645/2008), e non offrono alla [Corte di cassazione] la possibilità di limitare la sua decisione all’accettazione o al rigetto [della questione]”.

34 Conformi, Cass. civ., Sez. Un., sentenza 3 novembre 2011, n. 22726; Cass., sentenza 12 dicembre 2008, n. 29279; Cass., sentenza 5 ottobre 2009, n. 15628; Cass., sentenza 23 settembre 2009, n. 20535.

35 Cfr. Cass., Sez. Un., sentenza 17 luglio 2009, n. 16628; in particolare, Cass., sentenza 11 aprile 2012, n. 5698, sancisce un principio di sinteticità nella formulazione dei motivi di impugnazione, ovvero un obbligo di sintesi nella redazione dei ricorsi in cassazione, ritenendo che l’esposizione dei fatti di causa realizzata tramite la pedissequa riproduzione degli atti processuali non soddisfa il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, che prescrive “l’esposizione sommaria dei fatti della causa”; così, anche, Cass., sentenza 23 giugno 2010, n. 15180, secondo la quale “La sommarietà della esposizione prevista a pena di inammissibilità dalla normativa processuale implica un lavoro di sintesi e di selezione dei profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice”.

36 Sulla revocazione delle pronunce di cassazione v., per tutti, C. CONSOLO, La revocazione delle decisioni della Cassazione e la formazione del giudicato, Padova, 1989.

37 Così come espresso da CEDU, sent. 28 ottobre 2021, cit., § 72

38 Così, da ultimo, Cass. 13 luglio 2021, n. 19949, laddove si afferma che il ricorso contenente un assemblaggio di parti eterogenee di materiale di causa è inammissibile per difetto di autosufficienza “quando ciò renda incomprensibile il mezzo processuale, perché privo di una corretta ed essenziale narrazione dei fatti processuali (ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), della sintetica esposizione della soluzione accolta dal giudice di merito, nonché dell’illustrazione dell’errore da quest’ultimo commesso e delle ragioni che lo facciano considerare tale, addossando in tal modo alla S.C. il compito, ad essa non spettante, di sceverare da una pluralità di elementi quelli rilevanti al fine del decidere”.

39 CEDU, sent. 5 aprile 2018, Zubac c. Croazia; CEDU, sent. 15 settembre 2016, Trevisanato c. Italia. Nel caso Trevisanato, in particolare, la Corte di Strasburgo aveva ritenuto che la formulazione dei quesiti di diritto, imposta sulla base dell’ormai abrogato art. 366-bis c.p.c. non costituisse una misura sproporzionata e un onere eccessivo per il ricorrente tale da integrare una violazione dell’art. 6 § 1 CEDU. Nel § 76 la Corte fa riferimento a questo caso (citato nei §§ 36 e 37) per affermare che la “questione di diritto” oggetto del ricorso n. 37781/13 soddisfa i requisiti di certezza e di corretta amministrazione della giustizia.

40 BARONE, La Corte di Strasburgo sul principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, cit.

41 Come osserva A. GIUSTI, L’autosufficienza del ricorso per cassazione civile, in Giust. civ., 2016, 4-5, 247 ss., e come precedentemente descritto in questo articolo, il principio di autosufficienza, priva di diventare canone formale di redazione dei ricorsi, nasce come mera formula di sintesi dei requisiti di specificità dei motivi di ricorso. In tal senso si nota come, mentre nel codice di procedura civile non possa rinvenirsi una norma contenente il principio di sinteticità (benché si rinvengano norme che ne sono una spia, come il riferimento, per gli atti del giudice, alla “concisa” esposizione e alla “succinta” motivazione contenuti negli artt. 132 e 134 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c.; laddove, al contrario, per gli atti di parte, vige il principio di libertà delle forme ex art. 121 c.p.c.). Nel codice di procedura amministrativa, invece, l’art. 3, comma 2, afferma: “Il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica, secondo quanto disposto dalle norme di attuazione”. Spesso, nel dichiarare l’inammissibilità dei ricorsi, la Cassazione richiama la norma del codice di procedura amministrativa appena citata, interpretata come principio generale e quindi applicata anche al processo civile. Si veda, ex multis, Cass., sentenza 3 novembre 2020, n. 24432; Cass. 21 marzo 2019, n. 8009; Cass. 20 ottobre 2016, n. 21297. Sul tema, cfr.

A.M. TEDOLDI, Chiarezza e sintesi tra mito e realtà, in Riv. dir. proc., 2018, 3, 669 ss.; L.P. COMOGLIO, Esposizione “assemblata” dei fatti ed inammissibilità del ricorso in cassazione, in La Nuova Giur. civ. comm., 2018, 2, 199 ss.; R. FRASCA, Intorno al Protocollo fra Corte di cassazione e C.N.F. sui ricorsi civili; C. CONSOLO, Il Protocollo redazionale C.n.f.-Cassazione: glosse a un caso di scuola di soft law (… a rischio di essere riponderato quale hard black letter rule); e P. PAGNI, Chiarezza e sinteticità negli atti giudiziali: il protocollo d’intesa tra Cassazione e C.n.f., in Giur. it., 2016, 12, 2768 ss.; per avere aggiornati riferimenti si rinvia ai recenti contributi di C. SPACCAPELO, La redazione chiara e sintetica degli atti processuali civili (in particolare di quelli di impugnazione) tra protocolli, riforme e principi giurisprudenziali, in N. DONADIO, A. MANIACI (a cura di), Tecniche e strategie difensive nel processo civile tra storia e attualità, Milano, 2020, 297 ss.; F. DE GIORGIS, Principio di sinteticità espositiva e inammissibilità del ricorso per cassazione, in Riv. dir. proc., 2020, 1, 244 ss.; nonché all’opera monografica di F. DE VITA, Efficienza del processo civile e formazione degli atti, Napoli, 2018, passim.

42 Sul tema, cfr. C. CONSOLO, G. COSTANTINO, Un giusto no al quesito di diritto (requisito di forma-contenuto dei soli ricorsi per cassazione) nel regolamento di giurisdizione; un discutibile “sì” alla giurisdizione contabile sulle azioni “accessorie”, in Corr. giur., 2008, 2, 243 ss.

43 BARONE, ult. cit.

44 Art. 8. (Revocazione a seguito di sentenza emessa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo): 1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, il decreto o i decreti legislativi recanti modifiche al codice di procedura civile in materia di revocazione a seguito di sentenze emesse dalla Corte europea dei diritti dell’uomo sono adottati nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi: a) prevedere che, ferma restando l’esigenza di evitare duplicità di ristori, sia esperibile il rimedio della revocazione previsto dall’articolo 395 del codice di procedura civile nel caso in cui, una volta formatosi il giudicato, il contenuto della sentenza sia successivamente dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo contrario, in tutto o in parte, alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ovvero a uno dei suoi Protocolli e non sia possibile rimuovere la violazione tramite tutela per equivalente;

b) prevedere che, nell’ambito del procedimento per revocazione a seguito di sentenza emessa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, siano fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede che non hanno partecipato al processo svoltosi innanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo; c) prevedere che, nell’ambito del procedimento per revocazione a seguito di sentenza emessa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, la legittimazione attiva a promuovere l’azione di revocazione spetti alle parti del processo svoltosi innanzi a tale Corte, ai loro eredi o aventi causa e al pubblico ministero; d) prevedere, nell’ambito del procedimento per revocazione a seguito di sentenza emessa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, un termine per l’impugnazione non superiore a novanta giorni che decorra dalla comunicazione o, in mancanza, dalla pubblicazione della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ai sensi del regolamento della Corte stessa; e) prevedere l’onere per l’Agente del Governo di comunicare a tutte le parti del processo che ha dato luogo alla sentenza sottoposta all’esame della Corte europea dei diritti dell’uomo e al pubblico ministero, la pendenza del procedimento davanti alla Corte stessa, al fine di consentire loro di fornire elementi informativi o, nei limiti consentiti dal regolamento della Corte europea dei diritti dell’uomo, di richiedere di essere autorizzati all’intervento; f) operare gli adattamenti delle disposizioni del codice di procedura civile, del codice civile e di altre leggi dell’ordinamento che si rendano necessari in seguito all’adozione delle norme attuative dei princìpi e criteri direttivi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e).

45 Il riferimento è alla tutela nazionale e comunitaria dei diritti umani. Il tema dei diritti umani comporta una sempre maggiore inarrestabile tendenza verso una tutela multilivello, laddove l’individuo è tutelato da tre Carte dei diritti3 (la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la Carta di Nizza e la Costituzione nazionale) e, di riflesso, da tre corti (la Corte europea, la Corte di Giustizia e la Corte costituzionale), la cui interazione ha lo scopo di garantire la massima tutela possibile di tali diritti. Sul tema, cfr. A. D’ALOIA, Europa e diritti: luci e ombre dello schema di protezione multilevel, in Dir. un. eur., 2014, 1, 1 ss., in alcuni Stati membri della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, “i cataloghi sono più di tre, perché si aggiungono le Costituzioni statali subnazionali (pensiamo ai Länder in Germania), che contengono sempre un titolo dedicato ai diritti fondamentali, non completamente corrispondente al catalogo della Costituzione nazionale”.

46 C. Cost, sentenza del 7 marzo 2017, n. 123. Tale sentenza della Corte costituzionale era stata preceduta da due note sentenze, le c.d. sentenze gemelle,

C. Cost., sentenze n. 348 del 22 ottobre 2007 e n. 349 del 24 ottobre 2007, entrambe in RDI, 2008, 197 ss. Esse chiariscono la portata e gli effetti del limite del rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali, previsto dall’art. 117, primo comma, Cost. quale limite per la potestà legislativa statale e regionale, con riferimento alle norme della Cedu. Per un approfondimento su queste sentenze si veda R.S. DE FAzIO, Alcune osservazioni sull’orientamento delle Corti nel decennale delle “sentenze gemelle”, in Osservatorio sulle fonti, 2018, 1.

47 C. Cost, sentenza del 7 marzo 2017, n. 123 è stata oggetto di varie critiche, in particolare in ordine al contenuto dell’obbligo di conformazione alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo e, in secondo luogo, in relazione al rapporto tra la restitutio in integrum e l’equa soddisfazione. Tuttavia, la decisione della Corte costituzionale era obbligata, essendo necessario un intervento del legislatore per regolare le situazioni di conflitto tra il giudicato nazionale e le sentenze della Corte europea (così, G.V.A. PETRALIA, Conflitto tra giudicato nazionale e sentenze delle corti europee: nota a margine di corte costituzionale n. 123/2017, in Rivista AIC, 2017, 4).

48 Della pronuncia n. 113/2011 si è lungamente interessata la dottrina. Tra i tanti, si rimanda a M. CAIANIELLO, La riapertura del processo per dare attuazione alle sentenze della Corte europea dei diritti: verso l’affermarsi di un nuovo modello, in Quaderni costituzionali, 2011, 3, 668 ss.; L. CALÒ, Il giudice nazionale dinanzi alla giurisprudenza Cedu. La metafora dei “tre cappelli”, in Foro it., 2013, 1, 814 ss.; A. CERRUTI, Considerazioni in margine alla sent. n. 113/2011: esiste una “necessità di integrazione” tra ordinamento interno e sistema convenzionale?, in Giur. it., 2012, 1, 29 ss.; M. ChIAVARIO, La Corte costituzionale ha svolto il suo compito: ora tocca ad altri, in Leg. pen., 2011, 2, 495 ss.; A. DIDDI, La “revisione del giudizio”: nuovo mezzo straordinario di impugnazione delle sentenze emesse in violazione della C.e.d.u., in La giustizia penale, 2011, 1, 139 ss.; M. GIALUz, Una sentenza “additiva di istituto”: la Corte costituzionale crea la “revisione europea”, in Cass. pen., 2011, 10, 3308 ss.; R. GRECO, Dialogo tra Corti ed effetti nell’ordinamento interno. Le implicazioni della sentenza della Corte Costituzionale del 7 aprile 2011, n. 113, in Giurcost.org, 2013, 1 ss.;

M. GRIFFO, Un ibrido “creato” dalla Corte costituzionale, in La giustizia penale, 2012, 11, 564 ss.; A. LOGLI, La riapertura del processo a seguito della sentenza CEDU. Questioni interpretative sul nuovo caso di “revisione europea”, in Cass. pen., 2012, 3, 933 ss.; L. PARLATO, Revisione del processo iniquo: la Corte costituzionale “getta il cuore oltre l’ostacolo”, in Dir. pen. e proc., 2011, 7, 833 ss.; G. REPETTO, Tra continuità e nuovi scenari: l’efficacia della CEDU alla luce delle sentt. nn. 80 e 113/2011 della Corte costituzionale, in www.diritti-cedu.unipg.it, 2011; RUGGERI, La cedevolezza della cosa giudicata all’impatto con la Convenzione europea dei diritti umani… ovverosia quando la certezza del diritto è obbligata a cedere il passo alla certezza dei diritti, cit., 481 ss. e

G. UBERTIS, La revisione successiva a condanne della Corte di Strasburgo, cit., 1542 ss.

49 Le peculiarità di un istituto quale quello della revisione europea sono di tali da portare la dottrina a definire la pronuncia n. 113 del 2011 come una sentenza “additiva di istituto”, sottolineando l’autonomia dell’istituto introdotto dalla sentenza rispetto a quello della revisione “ordinaria”. Cfr. GIALUz, Una sentenza “additiva di istituto”: la Corte costituzionale crea la “revisione europea”, cit., 3308 ss.