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Divorzio: i confini dell’utilizzo in giudizio dei messaggi scambiati dal coniuge in un sito di incontri online nella violazione del diritto alla privacy. Nota a CEDU, sez. IV, 7 settembre 2021 (Affaire M.P. c. Portugal)

autore: F. Ferrandi

Sommario: 1. Il caso. - 2. L’art. 8 CEDU: il diritto alla vita privata e il rispetto della privacy. - 3. La fine dell’affectio maritalis tra diritto alla prova e diritto alla privacy: uno sguardo ai casi affrontati e alle soluzioni offerte sul tema dalla nostra giurisprudenza. - 4. Conclusioni.



1. Il caso



La vicenda processuale riguarda la presunta violazione dell’art. 8 CEDU del diritto al rispetto della vita privata e della segretezza della corrispondenza, a fronte del comportamento di un marito che, avendo avuto accesso ai messaggi di posta elettronica scambiati dalla moglie durante incontri su un sito online, decideva di produrli nel giudizio di divorzio, al fine di attribuire, all’infedeltà della donna, la fine del loro matrimonio.

Una cittadina spagnola, residente a Madrid, aveva sposato, nel luglio del 2001, un cittadino portoghese e dalla loro unione sentimentale erano nati due figli. A fronte, però, dei rispettivi impegni lavorativi, la coppia si era ritrovata a vivere divisa tra il Portogallo e la Spagna. Così, nel corso del giugno 2011, essendosi la loro relazione coniugale deteriorata, la donna aveva, dapprima, deciso di vivere, in via definitiva, in Spagna assieme ai figli, e, successivamente, di promuovere di fronte al Tribunale di Madrid il giudizio di divorzio.

A sua volta, poi, il marito, nel mese di agosto dello stesso anno, decideva di presentare ricorso al Tribunale di Lisbona chiedendo che i figli fossero rimpatriati e che la loro residenza fosse stabilita in Portogallo, dal momento che i bambini avevano sempre vissuto lì, e lui stesso aveva sempre provveduto a loro, a differenza della moglie, che, a suo dire, al contrario, aveva anteposto sempre le sue esigenze personali e professionali a quelle della famiglia.

In particolare, a sostegno della domanda avanzata, e nell’ottica di attribuire la responsabilità della fine della loro relazione alla moglie, il marito aveva allegato al fascicolo le email dallo stesso trovate, nel novembre 2010, sul computer di famiglia e che la moglie aveva scambiato con degli uomini iscritti, come lei, a un sito di incontri online: secondo il marito, infatti, la corrispondenza in questione dimostrava come la donna avesse avuto rapporti extraconiugali nel corso del loro matrimonio, e, quindi non fosse in alcun modo un esempio per i loro figli minorenni. Successivamente, nell’ottobre 2011, il marito promuoveva altresì un giudizio di divorzio in Portogallo, lamentando che la moglie aveva portato illegalmente i figli della coppia in Spagna e che la stessa era venuta meno, nei suoi confronti, ai doveri di fedeltà e lealtà, come dimostrava la corrispondenza dalla stessa intrattenuta, con altri uomini, nel sito di incontri online e da lui prodotta ora anche di fronte ai giudici portoghesi.

Nel procedimento civile così avviato in Portogallo, la moglie chiedeva che le sue email fossero rimosse dal fascicolo, in quanto sosteneva che il marito aveva avuto accesso alla sua casella di posta elettronica senza il suo consenso e, quindi, in modo illecito. A detta della donna, infatti, l’utilizzo della predetta corrispondenza aveva solo il fine di umiliarla. Inoltre, sosteneva che il Tribunale della famiglia di Lisbona non fosse competente a conoscere il caso, in quanto il primo Tribunale ad essere stato adito era stato quello di Madrid.

Con sentenza del 16 luglio 2015, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, chiamata a statuire quale fosse l’autorità competente a decidere la controversia, dichiarava che, in una situazione come quella del caso di specie, il Tribunale competente era quello che era stato adito per primo, ossia quello spagnolo. Al termine del procedimento di divorzio promosso in Spagna, il Tribunale di Madrid pronunciava il divorzio dei coniugi, mentre, in data 28 gennaio 2016, il Tribunale di Lisbona il non luogo a giudicare relativamente alla procedura di divor-

zio avviata dal marito.

Accanto ai giudizi civili, vi era, poi, anche il procedimento penale a carico del marito e pendente a Lisbona. La moglie, infatti, nel marzo 2012, lo aveva denunciato per violazione del segreto della corrispondenza, ai sensi dell’articolo 194 del codice penale portoghese, il quale punisce chi acceda al contenuto di lettere o telecomunicazioni senza il consenso dell’interessato.

In particolare, la moglie accusava il marito di: aver eseguito l’accesso all’account di posta elettronica che la stessa utilizzava su un sito di incontri occasionale; di aver stampato i messaggi che si era scambiata con altri uomini ivi iscritti e di averli prodotti nel procedimento civile da lui promosso per ottenere il rimpatrio dei figli. Durante l’indagine, quest’ultimo fascicolo è stato inserito anche in quello penale.

Tale procedimento si concludeva con l’accoglimento della richiesta di archiviazione, in quanto era emerso che era stata la moglie a permettere al marito di accedere ai messaggi incriminati: nel caso in questione, infatti, a detta degli inquirenti, non vi era stata alcuna violazione della corrispondenza della donna da parte del marito, in considerazione del fatto che l’accesso a tali messaggi era avvenuto mentre la coppia era ancora sposata. Secondo l’accusa, quindi, c’era tra i coniugi un presunto accordo sull’accesso alla corrispondenza, compresa quella elettronica, gli uni degli altri, con la conseguenza che il loro uso, nell’ambito dei procedimenti civili più volte ricordati, non poteva dirsi sproporzionato.

Simili considerazioni sono state confermate anche in occasione del giudizio di appello.

La donna, quindi, decideva di adire la Corte Europea dei diritti dell’uomo, in quanto riteneva che l’utilizzo, da parte del marito, delle email nel giudizio di divorzio avesse violato l’articolo 8 della CEDU e, quindi, il suo diritto alla privacy ed alla segretezza della corrispondenza, dal momento che nessuna delle autorità giudiziarie portoghesi le aveva accordato la relativa tutela e nonostante il diritto portoghese punisca penalmente l’accesso al contenuto delle lettere o telecomunicazioni avvenuto senza il consenso del diretto interessato.



2. L’art. 8 CEDU: il diritto alla vita privata e il rispetto della privacy





L’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) dispone che: “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.

Scopo della norma è difendere l’individuo da ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri, tanto che, a tal fine, agli Stati contraenti è posto il divieto di ingerenza, fatte salve alcune specifiche deroghe espresse al riguardo previste dalla legge o motivate da una delle esigenze imperative di carattere generale, di cui al secondo comma della disposizione in esame. Accanto all’impegno avente carattere negativo da parte degli Stati, sussistono altresì obblighi di tipo positivo volti all’adozione di misure capaci di garantire l’effettivo rispetto della “vita familiare e della vita privata”: al riguardo, sebbene, non sia possibile, allo stato, definire con esattezza entrambi gli obblighi in questione, i principi ad essi applicabili sono, comunque, assimilabili. Lo Stato, nel cercare di adempiere tanto agli obblighi positivi (la cui violazione viene lamentata nel caso oggi annotato) che negativi, dovrà trovare il giusto equilibrio tra i diversi interessi in gioco (generali e dei singoli), il tutto nell’ambito del margine di apprezzamento accordatogli, dovendo siffatta procedura decisionale essere equa, proporzionata e capace di garantire il rispetto degli interessi coinvolti.

Orbene, spostando ora l’attenzione sull’espressione “vitaprivata” contenuta nell’art. 8 CEDU, preme fin da subito ricordare come essa sia un concetto ampio e in alcun modo suscettibile di una definizione esaustiva. Può comprendere l’integrità fisica e morale della persona e, quindi, riguardare molteplici aspetti della sua identità, quali, per esempio, l’identificazione e l’orientamento sessuale, il nome1, i diritti di immagine2. Il diritto al rispetto della “vita privata” di cui alla norma in commento implica, pertanto, che ciascuno possa declinare, in vario modo, la propria identità. E certamente, all’interno di tale concetto, possono essere incluse anche le informazioni personali che un individuo può legittimamente aspettarsi che non vengano pubblicate senza il suo consenso3. Affinché, però, possa venire in gioco una lesione dell’art. 8 della Convenzione, la violazione della reputazione personale deve essere di un certo livello di serietà e tale da arrecare pregiudizio al godimento personale del diritto al rispetto della vita privata4.

Ebbene, nel caso di specie, secondo la Corte, non vi era alcun dubbio in merito al fatto che i messaggi “incriminati” potessero rientrare nel campo di applicazione dell’art. 8 CEDU, dal momento che, considerato il loro carattere personale, la moglie poteva legittimamente aspettarsi che non fossero resi noti senza il suo consenso, rappresentando la loro divulgazione una notevole intrusione sia nella sua “vita privata” che nella sua “corrispondenza”.

Secondo la Corte, quindi, dal momento che la controversia aveva ad oggetto un’ingerenza nella vita privata della ricorrente, non da parte dello Stato, ma di un privato, essa doveva essere esaminata avuto particolar riguardo agli obblighi positivi incombenti sull’autorità nazionale in virtù di quanto disposto dall’art. 8 della Convenzione. Si trattava, dunque, di stabilire, da un lato, se il quadro giuridico esistente consentisse alla donna di fare valere il suo diritto al rispetto della “vita privata” e, dall’altro, se i Tribunali, presso i quali il caso era stato oggetto di attenzione, avessero debitamente soppesato i diversi interessi in gioco.

Ebbene, secondo i giudici di Strasburgo, in relazione a quanto previsto dal diritto penale portoghese, circa la divulgazione del contenuto delle lettere o telecomunicazioni senza il consenso dell’interessato, i Tribunali locali, avevano trovato un giusto equilibrio tra i diversi interessi in gioco: da una parte, il diritto della moglie al rispetto della sua vita privata e, dall’altra, quello del marito ad una ragionevole opportunità di presentare l’esistenza di tale corrispondenza nei due procedimenti civili che, per loro stessa natura, avevano attinenza con la vita privata della coppia. Secondo la Corte Edu, infatti, le email prodotte in giudizio dal marito, facevano parte della vita della coppia, in quanto quest’ultimo aveva nelle sue mani l’accesso all’account di posta elettronica che la moglie utilizzava sul sito di incontri; tale materiale, a detta della Corte, era, dunque, pertinente al procedimento civile, stante l’importanza di valutare la situazione dei coniugi e della famiglia nel suo complesso. Non solo, ma secondo la Corte Edu, il comportamento processuale del marito, era avvenuto nel rispetto della privacy della moglie, dal momento che il contenuto delle email era stato divulgato solo in giudizio; indi per cui, l’accesso pubblico agli stessi aveva subito dei limiti anche a fronte del fatto che, come hanno avuto modo di sottolineare i giudici di Strasburgo, i messaggi, dal punto di vista pratico, non erano stati neppure esaminati, non essendosi il Tribunale, investito della controversia, espresso sulla richiesta del marito di attribuire la fine della loro unione coniugale all’infedeltà della moglie.

Inoltre, come sottolineato dalla Corte Edu, l’accesso ai messaggi di posta elettronica oggetto della controversia, era stato possibile in quanto era stata proprio la moglie, tempo prima, a concedere al marito il pieno accesso a tale account: tali messaggi, quindi, secondo i giudici, facevano pienamente parte della vita privata della coppia.



3. La fine dell’affectio maritalis tra diritto alla prova e diritto alla privacy: uno sguardo ai casi affrontati e alle soluzioni offerte sul tema dalla nostra giurisprudenza



La sentenza in commento offre l’occasione a chi scrive, per spendere qualche considerazione in merito all’utilizzabilità, nel nostro ordinamento, al sorgere delle controversie familiari riguardanti la fine dell’affectio maritalis, delle prove raccolte “in rete”, della loro natura e delle modalità con cui esse possono essere acquisite, talvolta anche in violazione delle norme di legge, ed entrare nel processo.

In linea generale, preme fin da subito ricordare, che grava sulla parte che richieda l’addebito della separazione all’altro coniuge l’onere di provare sia la contrarietà del comportamento di costui ai doveri derivanti dal matrimonio, sia l’efficacia causale di questi comportamenti nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza5. Tuttavia, laddove la ragione dell’addebito sia costituita dall’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale, questo comportamento, rappresentando una violazione particolarmente grave che determina normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, se provato, giustifica l’addebito della separazione al coniuge responsabile6, dovendo, in questo caso, i fatti che escludono il nesso di causalità tra la violazione accertata e l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, essere allegati e provati dalla parte che resiste alla domanda di addebito della separazione7.

Ciò premesso, oggigiorno, come ben sappiamo, accanto alla messaggistica tradizionale (fax e sms), si è sviluppata quella online, grazie a piattaforme come Whatsapp, Telegram, iMessage e Facebook Messenger, le quali consentono di mettere in contatto tra loro due o più soggetti, escludendo gli altri utenti, di un determinato strumento tecnologico, dalla lettura dei suoi contenuti.

E, sempre più frequentemente, nei giudizi di separazione e divorzio (nonché in quelli di modifica delle loro condizioni), si assiste ad una copiosa produzione in giudizio, da parte dei coniugi, di fotografie ed informazioni personali tratte proprio dai profili dei social appena menzionati, il tutto al fine di fornire all’organo giudicante (come nel caso della sentenza giunto alla Corte Edu e oggetto della presente nota) tutti gli elementi necessari da cui poter desumere l’asserita infedeltà coniugale posta in essere dalla non più “dolce metà” o, in ogni caso, la sua condotta contraria ai doveri matrimoniali. Una produzione probatoria, quindi, di tipo documentale, da ricomprendere non nell’alveo delle prove atipiche, ma in quello dell’art. 2712 c.c.8, il quale, come noto, prevede che: le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formino piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime; e che il disconoscimento idoneo a farne perdere la qualità di prova, degradandole a presunzioni semplici, debba essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta9.

E se, ormai, non vi sono più dubbi riguardo alla possibilità di utilizzare, quali prove documentali, anche nei giudizi che investono la crisi coniugale, le fotografie e le informazioni pubblicate dall’ex sul proprio profilo social (quale ad esempio Facebook)10, lo stesso non può certamente dirsi in merito alle informazioni contenute nei messaggi scambiati attraverso il servizio di messaggistica (o di chat) fornito dallo stesso social network. Quest’ultimi, infatti, devono essere paragonati a forme di corrispondenza privata e, in quanto tali, ricevere la massima tutela per quanto riguarda la loro divulgazione, in ciò differenziandosi da quelle pubblicate sul proprio profilo personale, che in quanto destinate ad essere conosciute dalla “sola” platea delle “amicizie” del social, non possono di certo ritenersi assistite dalla stessa protezione, dovendo, al contrario, essere considerate alla stregua di mere informazioni conoscibili da terzi11.

Particolare attenzione merita, poi, il tema della liceità della produzione in giudizio di comunicazioni e di dati privati dell’ex partner, ottenute senza il suo consenso e prodotte allo scopo di provare la sua infedeltà.

Al riguardo, occorre fin da subito ricordare come, nel nostro Ordinamento, non sia previsto, neppure a seguito della riforma del Codice della privacy, operata dal d.lgs. n. 101 del 201812, un divieto di utilizzo di prove formate o assunte in violazione del diritto alla privacy. Pertanto, a differenza del processo penale in cui una prova è inutilizzabile laddove acquisita illegittimamente, in quello civile non si rinvengono indicazioni positive in merito all’ammissibilità di documenti ottenuti o formati in violazione di norme di diritto sostanziale: sarà il giudice, secondo la sua discrezionalità, a valutare la loro utilizzabilità o meno in giudizio. Di conseguenza, quindi, la parte (nel nostro caso il coniuge non infedele) potrà produrre il documento nel quale sarà contenuta la conversazione “incriminata”, rimettendosi, però, per quanto attiene alla sua ammissione nel giudizio, al prudente apprezzamento del giudice.

Sul punto, si registra un arresto del Tribunale di Roma, nel quale si è evidenziato come, in un contesto di coabitazione e di condivisione degli spazi, si assiste ad un affievolimento della sfera di riservatezza tra i coniugi, dovuto alla loro condivisione dei tempi e degli ambienti di vita: in particolare, secondo i giudici capitolini, in simili ipotesi, sussiste un’implicita manifestazione del consenso di ciascun partner alla conoscenza di dati e comunicazioni di natura anche personale dell’altro, ogniqualvolta non vi sia un comportamento specifico volto ad evitarlo, quale potrebbe essere, ad esempio, l’inserimento di una password di accesso al proprio dispositivo digitale13.

Prima ancora era stato il Tribunale di Torino14, a ritenere possibile la produzione in giudizio di messaggi telefonici e di posta elettronica contenenti le prove di una relazione extraconiugale ed ottenuti in violazione delle norme di legge, data l’assenza, come già detto, nel nostro codice di procedura civile di norme che vietino l’utilizzo di prove acquisite in modo illecito, ossia commettendo un reato contro l’altrui privacy.

In controtendenza, invece, si segnala la posizione del Tribunale di Larino15, che, analizzando una richiesta di separazione dei coniugi, ha raffrontato tutti gli aspetti delle condotte dei due, i quali ritenevano, per diverse motivazioni, che fosse divenuta intollerabile la prosecuzione della loro convivenza. Nel caso in questione, da una parte, il marito si sentiva trascurato e lamentava che la moglie avesse fatto prelievi smodati ed ingiustificati dal conto corrente approvvigionato solo dalle proprie rimesse, dall’altro, la donna affermava di aver scoperto i comportamenti fedifraghi dell’uomo, avendo trovato le relative prove sull’hard disk di quest’ultimo, e ne chiedeva l’ammissione come prove a sostegno della propria tesi. A detta del Tribunale, però, la fine dell’affectio maritalis era già avvenuta prima dei tradimenti del marito, e, quindi, non ne avevano costituito la causa principale: pertanto, la domanda di addebito della separazione al marito veniva respinta e negato l’utilizzo nel processo del materiale fotografico e video delle condotte libertine dell’uomo, a tutela della sua riservatezza, poiché contenute in dispositivi riservati, sebbene utilizzati anche dalla moglie.

Curioso, poi, il caso affrontato, invece, dal Tribunale di Trento16, dove a provare l’infedeltà del marito è stata la testimonianza resa della figlia che, utilizzando il cellulare del padre, era venuta a conoscenza della relazione extraconiugale di quest’ultimo grazie alla lettura degli sms dell’amante. I giudici, in questa occasione, hanno ritenuto valida la deposizione della ragazza a dimostrazione dell’illecito comportamento del padre contro i doveri del matrimonio e tale da fondare una pronuncia di addebito, sebbene fosse stata non la moglie ma la figlia, in questo caso, ad appropriarsi del telefonino dell’uomo.

Interessanti, infine, due recenti arresti della Suprema Corte relativi alla problematica della violazione della privacy e alla possibilità di utilizzare messaggi ed email private del coniuge nell’ambito dei giudizi riguardanti la crisi coniugale.

In particolare, nell’ambito di una causa di separazione, in cui un marito aveva tentato di attribuire alla moglie la fine della loro unione sentimentale, per essersi la donna allontanata dalla casa coniugale, gli Ermellini non solo hanno escluso la violazione dell’obbligo di coabitazione da parte della moglie, ma hanno ravvisato, al contrario, nella condotta del marito, consistita nel cercare proprio online relazioni extraconiugali, la violazione degli obblighi matrimoniali di fedeltà di cui all’art. 143 c.c. Simile condotta, quindi, è stata ritenuta una circostanza oggettivamente idonea a compromettere l’affectio maritalis, a provocare l’insorgere della crisi matrimoniale posta all’origine della separazione e a rendere comprensibile l’allontanamento da parte della donna dalla casa coniugale proprio in ragione della violazione dell’obbligo di fedeltà posta in essere dal partner17.

Il tema dei siti di incontri online è tornato, poi, da ultimo, di nuovo all’attenzione della Corte di Cassazione, quando gli Ermellini, hanno dovuto decidere sulla domanda, avanzata da una moglie, di richiesta di addebito della separazione al marito, in quanto la donna aveva scoperto e prodotto in giudizio come prove gli sms, i pagamenti per siti di incontri online con donne e fotografie a lui riconducibili18. In questo caso, il marito ha tentato di difendersi lamentando, oltre ad un meglio precisato tradimento della donna nei suoi confronti, la carenza dei caratteri della precisione, della concordanza e della gravità degli indizi sui quali i giudici di merito avevano basato la loro decisione, nonché sulla mancata ammissione dei mezzi di prova da lui prodotti. Secondo la Suprema Corte, però, nel caso de quo, non vi erano ragioni per discostarsi dalla decisione assunta dei giudici di merito in quanto la decisione si presentava ben motivata relativamente alla mancata ammissione delle istanze istruttorie; di conseguenza, gli Ermellini hanno confermato la condanna del marito al mantenimento della moglie e la richiesta di addebito della separazione, essendo venuta in evidenza la sua iscrizione ad un sito di incontri online.



4. Conclusioni



A fronte dei casi giurisprudenziali esaminati nei paragrafi che precedono, possiamo affermare che, oggi, specie in virtù di quanto affermato dalla Corte Edu nella pronuncia oggetto di attenzione, gli sms, le chat e tutti i messaggi scambiati attraverso piattaforme virtuali e dispositivi digitali, possono entrare a pieno diritto tra le prove documentali di cui le parti possono avvalersi al fine di dimostrare, nelle cause che ci occupano, quali quelle di separazione e divorzio, l’infedeltà del partner.

La giurisprudenza, infatti, in assenza di una norma che vieti, nel nostro ordinamento, conformemente a quanto prevede l’art. 191 c.p.p., di utilizzare prove formate o assunte in spregio del diritto alla privacy, sembra sempre più aperta al loro utilizzo in giudizio anche se illecitamente acquisite.

Tuttavia, considerata l’importanza dei diritti coinvolti, spetterà al giudice, come sempre, bilanciare gli interessi in gioco per decidere se una prova possa essere legittimamente utilizzata o meno ed effettuare una non semplice opera di composizione tra diritti ugualmente costituzionalmente garanti, ma in alcune occasioni confliggenti: il diritto alla prova (art. 24 Cost.) e il diritto alla privacy (nel quale si realizza la dignità dell’individuo ex art. 2 Cost.).





NOTE

* La sentenza è pubblicata sul sito www.osservatoriofamiglia.it.

1 Cfr. Corte Edu, sent., 5 dicembre 2013, V sez., Henry Kismoun contro Francia, in tema di cambiamento del cognome e del nome delle persone fisiche, in www.echr.coe.int/Pages/home.aspx?p=applicants/ita&c (consultato in data 27 ottobre 2021).

2 Cfr. Corte Edu, sent., 7 febbraio 2012, Grande Camera, Von Hannover contro Germania, § 95-96, in www.echr.coe.int/Pages/home.aspx?p=applicants/ ita&c (consultato in data 27 ottobre 2021).

3 Cfr. Corte Edu, sent., 6 aprile 2010, IV sez., FLinkkila and Others contro Finlandia, §75, in www.echr.coe.int/Pages/home.aspx?p=applicants/ita&c (consultato in data 27 ottobre 2021).

4 Cfr. Corte Edu, Axel Springer AG c. Germania [GC], n. 3954/08, § 83, 7 febbraio 2012; Bedat c. Svizzera [GC], n. 56925/08, § 72, 29 marzo 2016; Denisov v. Ucraina [GC], n. 76639/11, § 112, 25 settembre 2018 e Beizaras e Levickas c. Lituania, n. 41288/15, § 117, 14 gennaio 2020, reperibili in www.echr. coe.int/Pages/home.aspx?p=applicants/ita&c (consultato in data 27 ottobre 2021).

5 Sul punto cfr. Cass. civ., sez. III, 20 luglio 2016, n. 14840 e Cass. civ., sez. I, 11 giugno 2005, n. 12383 entrambe in www.leggiditalia.it (consultato in data 27 ottobre 2021).

6 Cfr. Cass. civ., sez. I, 12 aprile 2006, n. 8512, in Resp. civ., 2006, 10, 817 con nota di R. PARTISANI e in Fam. e dir., 2007, 3, 249 con nota di L.A. SCARANO; Cass. civ., sez. I, 12 giugno 2006, n. 13592; Cass. civ., sez. I, 7 dicembre 2007,

n. 25618 e Cass. civ., sez. I, 14 ottobre 2010, n. 21245 tutte in www.leggiditalia. it (consultato in data 27 ottobre 2021).

7 Cfr. Cass. civ., sez. I, 14 febbraio 2012, n. 2059, in Foro It., 2012, 9, 1, 2434 e in Corr. giur., 2012, 5, 645 con nota di M. DE MARzO.

8 Per un approfondimento v. ex multis G.C. ChIAROMONTE, Il valore dell’email nel quadro della disciplina dei documenti informatici, in Riv. dir. civ., 2021, 3, 427 (1); C. IMBROSCIANO, Prove documentali 2.0: sms, e-mail e messaggi WhatsApp nei processi della famiglia, in Fam. e dir., 2020, 6, 568 (1); G. COLOMBO, Valore probatorio dei documenti e delle riproduzioni informatiche e natura giuridica delle attribuzioni tra conviventi, in Corr. giur., 2019, 11, 1323 (1); P. CRISTOFANI MENCACCI, I social network e le prove nei procedimenti in materia di diritto di famiglia, in questa Rivista, III, 2, 2019 e A. GENTILI, I documenti informatici: validità ed efficacia probatoria, in Dir. Internet, 2006, 3, 297 (1).

9 Cfr. Cass. civ., sez. VI-1, 13 maggio 2021, n. 12794, e Trib. di Pavia, 10 marzo 2021 entrambe in www.osservatoriofamiglia.it (consultato in data 27 ottobre 2021); in senso conf. v. Cass. civ., sez. lav., 2 settembre 2016, n. 17526, in Foro It., 2017, 2, 1, 633 e Cass. civ., sez. lav., 17 febbraio 2015, n. 3122, in www. leggiditalia.it (consultato in data 27 ottobre 2021).

10 Cfr. Trib. di Rimini, 1 febbraio 2021, in www.osservatoriofamiglia.it (consultato in data 27 ottobre 2021), in cui con riferimento alla pronuncia dell’addebito della separazione, è stata determinante la condotta tenuta dal marito sui social network. Il marito, infatti, non solo aveva lasciato la moglie, trasferendosi presso la nuova compagna, ma aveva “pubblicizzato” la propria relazione extraconiugale sul proprio profilo Facebook, postando foto che lo ritraevano in atteggiamenti di intimità con la nuova partner e la scansione di due biglietti aerei intestati alla nuova coppia. E prima ancora in senso conf. v. Trib. di Prato, 28 ottobre 2016, in www.osservatoriofamiglia.it (consultato in data 27 ottobre 2021) dove una madre, rendendo pubblica tramite social network, la propria relazione adulterina, aveva fornito alla figlia un pessimo esempio coinvolgendola in fotografie inopportune e trattandola più come una compagna di avventure; e Trib. di Roma, 12 gennaio 2016, n. 456, in www.osservatoriofamiglia.it (consultato in data 27 ottobre 2021) in cui, nel corso di un giudizio di separazione, è stato ritenuto dimostrato sia dalla produzione documentale che dall’istruttoria svolta, che il marito aveva instaurato una relazione extraconiugale con un’altra donna nel corso del matrimonio, rendendola finanche pubblica su un noto social network.

11 Trib. di Santa Maria Capua Vetere, 13 giugno 2013, in www.ilcaso.it (consultato in data 27 ottobre 2021).

12 Modifica operata dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, recante “Disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/697 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati”. Pubblicato sulla G.U. del 4 settembre 2018, n. 205.

13 Cfr. Trib. di Roma, sent. 30 marzo 2016, n. 6432, in www.leggiditalia.it (consultato in data 27 ottobre 2021) in cui si legge che: “in un simile contesto, non può ritenersi illecita la scoperta casuale del contenuto di messaggi, per quanto personali, facilmente leggibili su di un telefono lasciato incustodito in uno spazio comune dell’abitazione familiare dal momento che la produzione non può dirsi frutto di acquisizione illecita”.

14 Cfr. Trib. di Torino, ord. 8 maggio 2013, in www.ilcaso.it (consultato in data 27 ottobre 2021).

15 Cfr. Trib. di Larino, 9 agosto 2017, n. 398, in www.osservatoriofamiglia.it

(consultato in data 27 ottobre 2021).

16 Cfr. Trib. di Trento, 9 marzo 2015, n. 249, in www.leggiditalia.it (consultato in data 27 ottobre 2021), dove la deposizione in questione, non smentita da elementi di segno contrario, è stata ritenuta, di fatto, prova di una confessione stragiudiziale del convenuto, in virtù della quale si è ritenuto dimostrato che, in costanza di convivenza con la moglie, il marito ebbe effettivamente ad intrattenere una relazione extraconiugale.

17 Cass. civ., sez. I, 16 aprile 2018, n. 9384, in www.osservatoriofamiglia.it

(consultato in data 27 ottobre 2021).

18 Cass. civ., sez. VI-1, 16 febbraio 2021, n. 3879, in www.osservatoriofamiglia.it (consultato in data 27 ottobre 2021).