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Una nuova stagione nella tutela dei diritti relazionali

autore: C. Fossati

SOMMARIO: 1. Una riforma da tempo attesa. - 2. La svolta del rito uniforme. - 3. Storia senza fine dell’art. 38 disp. att. c.c. - 4. Un giudice univoco di prossimità. - 5. Obiettivo speciale competenza. - 6. Diritti disponibili vs. diritti indisponibili. - 7. Contrasto alle violenze domestiche, all’aliena- zione, ai comportamenti ostacolanti. - 8. Giustizia integrativa: negoziazione assistita, mediazione delegata, mediazione familiare, coordinazione genitoriale. - 9. Riconosciuta la posizione processuale del minore. - 10. Stop agli interventi amministrativi senza garanzie ex art. 403 c.c.



1. Una riforma da tempo attesa



In seguito all’approvazione della legge delega di riforma del processo civile da parte delle Camere, n. 206 del 26 novembre 2021, nel testo integrato dagli emendamenti governativi, possiamo dire di essere oggi di fronte ad una svolta nella tutela dei diritti delle persone, siano esse di minore età, ovvero adulte, titolari entrambi di diritti fondamentali alla vita privata e familiare (artt. 2, 29, 30 e 31 Cost. e 8 CEDU).

Questo settore del diritto da tempo reclamava una riforma ampia, organica, sistematica1.

La legge delega appena approvata comporta che il Parlamento affida al governo il compito di riscrivere le nuove regole, che attengono in misura prevalente al processo, tenendo conto dei principi direttivi ivi indicati.

Per la parte relativa al settore del diritto di famiglia, viene compendiato un nuovo sistema di regole che vanno a costituire un settore finalmente unificato e uniforme.

Per ottenere un buon testo normativo il Ministro si è affidato ad esperti, la commissione presieduta dal Prof. Francesco Paolo Luiso2, alla quale è stato chiesto di redigere una proposta di disegno di legge in tempi assai ristretti, motivati dall’esigenza di dar corso al più presto al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

È auspicabile che anche per quanto concerne i decreti delegati di riordino il legislatore si affidi ad esperti di analoga caratura.

Il disegno di legge dal quale prendeva le mosse, la c.d. riforma dell’allora Ministro Bonafede, non prevedeva interventi nel settore del diritto di famiglia, in quanto originariamente finalizzato esclusivamente all’efficientamento del processo civile ed alla implementazione degli strumenti di risoluzione alternativa. Con i passaggi dalla commissione giustizia del Senato e l’integrazione conseguente agli emendamenti governativi, il progetto si è arricchito delle ulteriori misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone

e delle famiglie.

Gli inserimenti non sono stati sempre coerenti e mostrano evidenti i segnali di interventi riconducibili a differenti mani. L’auspicio è che il legislatore delegato sia capace di correggere le aporie e le contraddizioni che la “blindatura” del testo, decisa attraverso il voto di fiducia, non ha consentito.

Il settore del diritto di famiglia e minorile richiede da tempo l’unificazione delle competenze e una vera specializzazione, avendo nel proprio orizzonte tre scopi fondamentali, ai quali fornire risposta: 1. l’obiettivo di una giustizia sostanziale, rispetto alla quale il processo non può che porsi in funzione ancillare, 2. l’uguaglianza effettiva di situazioni analoghe, quali ad esempio la parificazione dei figli di genitori coniugati e non; 3. il perseguimento del migliore interesse del minore, da sempre al centro di accesi dibattiti.

A fronte dell’evoluzione ottenuta attraverso le riforme sostanziali del diritto di famiglia, non ha fatto seguito, negli anni che ci separano dall’entrata in vigore del codice di procedura civile, era il 1940, il necessario adeguamento delle regole processuali e delle competenze giurisdizionali.

Al cospetto di una vera e propria cavalcata dei diritti, caratterizzata dalle svolte epocali raggiunte attraverso le leggi sul divorzio (1970), la riforma del diritto di famiglia (1975), l’interruzione di gravidanza (1978), l’affidamento condiviso dei figli (2006), la parificazione della filiazione (2012-2013), le unioni civili e convivenze (2016), non ha fatto da contraltare l’opportuno adeguamento delle regole che sovraintendono alla gestione dei processi, né una razionale organizzazione degli uffici giurisdizionali chiamati ad amministrare questo delicato settore del diritto.

Sono trascorsi quasi novant’anni dall’istituzione del Tribunale per i Minorenni – era il 1934 – e le norme che regolano i processi che vi si celebrano sono rimaste pressoché inalterate, retaggio di un’epoca culturalmente e socialmente lontanissima. Diversi i progetti di riforma susseguitisi negli anni, senza mai trovare lo sbocco dell’approvazione, soprattutto a causa della levata di scudi degli operatori controinteressati, rappresentati in special modo dall’Associazione dei magistrati mi-

norili Aimmf.

Questi ultimi temono in particolare la perdita della specificità dell’intervento del giudice minorile, il venir meno della collegialità e della multidisciplinarietà data dalla componente onoraria dei collegi3.

Sul fronte opposto si è fatto riferimento alle criticità più evidenti: dalla polverizzazione4 o frammentazione dei riti5, alla frantumazione delle competenze, per rendere efficacemente l’idea di quello che è stato definito lo stato di dissesto6 nel quale si è trovata ad operare l’avvocatura specialista nel settore del diritto di famiglia e minorile.

Si è ricordato7 altresì quante volte l’Italia è stata oggetto di pronunce di condanna da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo8 per non aver tutelato efficacemente, nei tempi richiesti dalla natura degli interessi coinvolti, utilizzando un arsenale giuridico adeguato, i diritti relazionali, soprattutto nei confronti di soggetti in rapida evoluzione e formazione quali sono le persone di minore età.

La riforma sembra poter arrivare a chiusura di un percorso accidentato, fatto di riforme mancate, di progetti poco coraggiosi, di interventi parziali e frammentari, non in linea con le mutate esigenze dell’attuale contesto sociale e culturale.

Il giudizio complessivo sull’impianto della legge delega è positivo, pur con la consapevolezza dell’importanza di tradurre correttamente in norme adeguatamente funzionali e tecnicamente ineccepibili i principi espressi nella delega.



2. La svolta del rito uniforme



Dal punto di vista del processo la riforma si preannuncia, come è stato evidenziato, epocale9, perché consente di unificare l’informe coacervo dei differenti riti che si trovano oggi applicati nelle aule di giustizia nelle materie del diritto di famiglia e minorile, mettendo mano finalmente alla diaspora che ha permesso il proliferare di regole processuali differenti per casi simili, prive di giustificazione: il rito camerale, nato per rispondere alle esigenze originariamente assai modeste, quanto a volume di affari, della volontaria giurisdizione, vale a dire per gestire esigenze di amministrazione di interessi non necessariamente contrapposti, ha finito per rappresentare il modello processuale al quale il legislatore ha guardato nel tempo come riferimento più diffuso nella materia familiare, in ragione anche dell’evoluzione sociale, che ha visto l’inarrestabile fenomeno espansivo delle convivenze, rispetto al dato inesorabilmente decrescente delle famiglie fondate sul matrimonio.

Le forme del processo camerale, sul quale da tempo si erano appuntate le critiche della dottrina più avveduta10, oggetto di numerosi tentativi di salvataggio ad opera delle giurisdizioni superiori (si v. le sentenze della Corte Costituzionale n. 202 del 1975 e n. 573 del 1989; quella della Corte di Cassazione Cass., sez. un., 19 giugno 1996 n. 562911), percepito come una delle principali cause della mancata attuazione dei principi del giusto processo, saranno abbandonate in favore di un nuovo, unitario modello processuale, caratterizzato dalla marcata capacità di pronta risposta ai bisogni di tutela im-mediata, insiti nelle esigenze di salvaguardia delle relazioni personali, ove il più delle volte l’aspettativa prioritaria è data dalla necessità di una regolamentazione, sia pur provvisoria, dei rapporti fra i genitori e i figli.

La riforma va anche nella direzione del superamento della natura da sempre ibrida, mai definita univocamente, dei procedimenti di separazione e divorzio, caratterizzati da forme assimilabili al processo ordinario quanto al primo grado di giudizio, ma ricondotti ad un rito speciale in virtù delle forme camerali del grado di appello, con tutte le conseguenti ricadute sulla possibilità di far valere diritti o istanze ulteriori nel medesimo processo, quali ad esempio le domande di risarcimento del danno.

Pertanto non sarà più il rito camerale, con il suo “contenitore neutro”, la scatola vuota da riempire, lasciata alla sensibilità del singolo magistrato, ma neppure il rito speciale ordinario della separazione e del divorzio, a regolare il futuro assetto delle famiglie – opportunamente declinate al plurale per dare riconoscimento alla pluralità di forme nelle quali oggi si estrinseca l’universo familiare – bensì un nuovo processo delineato su alcuni principi fondamentali: un rito snello che dell’esperienza e delle specificità proprie del processo di separazione e divorzio conserva la possibilità di emissione di provvedimenti provvisori ed urgenti della fase iniziale, quella già chiamata presidenziale, onde fornire una celere risposta ad esigenze di tutela tipicamente sommaria, ma vi aggiunge la possibilità, auspicata perché oggetto di contrasti12, di un’impugnativa generalizzata e articolata sul modello del processo cautelare uniforme.

Il nuovo rito si ispirerà a criteri di estrema concentrazione, supplendo in tal modo alle criticità emerse nell’esperienza dei giudizi di separazione e divorzio, caratterizzati da una complessa e talvolta eccessiva scansione processuale, tenuto conto di tutte le fasi nelle quali oggi si scompone (fase presidenziale, memorie integrative, memorie istruttorie ex art. 183 c.p.c., udienza di ammissione delle prove, udienze istruttorie, udienza di precisazione delle conclusioni e termini per le memorie difensive conclusive), le quali si sono rivelate sovrabbondanti rispetto alle esigenze di definizione di questo tipo di contenziosi.

Il nuovo processo, come delineato dal legislatore della legge delega, dovrebbe consentire di concentrare alla prima udienza la definizione delle domande e dei mezzi di prova, permetterà l’emissione di provvedimenti provvisori ed urgenti necessari a fini di regolamentazione anticipata e nel contempo l’ammissione dei mezzi di prova, ovvero la definizione di quei procedimenti, per esempio i processi di separazione o divorzio, nei quali non siano state formulate domande accessorie.

Sempre nel segno della speditezza delle procedure, ma tenendo anche conto delle riserve e critiche espresse rispetto ad un regime che era apparso eccessivamente rigoroso, nel corso della discussione del testo è stato poi inserito un temperamento, dato dall’introduzione di termini intermedi che seguono gli atti introduttivi, finalizzati a definire, modificare le domande, le eccezioni e le richieste di prova, alla luce delle difese della controparte (la previsione è stata inserita nella lettera i) di cui al comma 23).

Viene esplicitamente fatta salva la possibilità di formulare o introdurre nel giudizio domande nuove, se afferiscono all’affidamento ed al mantenimento dei figli minori o maggiorenni, ma portatori di handicap grave, ovvero in caso di sopravvenienza di fatti, anche di introdurre domande nuove relative al mantenimento delle parti o dei figli.

Si agevola nella tempistica anche lo svolgimento della fase decisoria, dal momento che viene sopppressa l’udienza dedicata alla precisazione delle conclusioni.

Ulteriore effetto acceleratorio deriva, sempre nella fase decisoria, dalla fissazione a ritroso dei termini per la precisazione delle conclusioni, che sarà contestuale al deposito delle comparse conclusionali, rispetto all’udienza di assegnazione della causa in decisione.

Un’esigenza di celerità che tuttavia deve sapersi coniugare con la necessità di assicurare a tutte le parti l’esercizio dei propri diritti, nell’ambito di un corretto ed effettivo contraddittorio.

Pregevole nel disegno di riordino del legislatore delegante, oltre alla riconduzione ad unità dei riti, anche l’intento di razionalizzazione sistematica: in tal modo tutte le questioni che afferiscono al processo delle persone, dei minorenni e delle famiglie, saranno trattate con il nuovo processo di merito a cognizione piena, abbandonandosi in tal modo ogni ipotesi di processo speciale a cognizione sommaria di rito camerale, grazie anche all’inserimento sistematico delle relative norme di procedura in un titolo nuovo, il quinto, posto nel libro secondo del codice di rito, dalla denominazione inequivoca “norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie”.

Restano invece esclusi dalla riforma, pertanto invariati nell’assetto procedimentale definito dalle leggi speciali, le materie dell’adozione di cui alla legge 184 del 1983 e dell’immigrazione di cui alla legge 46 del 2017. Peccato, perché uno sforzo di integrale uniformazione sarebbe stato apprezzabile. Viene altrettanto opportunamente inserito, in linea con la normativa sovranazionale ed europea, un criterio univoco anche per quanto concerne la competenza territoriale, optando univocamente per la residenza abituale del minore, che corrisponde al luogo nel quale si trova di fatto il centro dei suoi interessi al momento della proposizione della domanda, precisandosi, altrettanto acutamente, che non varranno a modificare

la competenza eventuali trasferimenti attuati illecitamente. Tale criterio, come detto, consente di uniformare la normativa nazionale a quella internazionale vigente in materia, in specie il Regolamento (CE) n. 2201/2003 e la Convenzione sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori conclusa a L’Aja il 19 ottobre 1996 e ratificata con legge 18 giugno 2015, n. 101. Puntuali disposizioni riguardano la forma ed il contenuto degli atti introduttivi: la preferenza è andata all’introduzione del giudizio mediante ricorso (comma 23 lettera f), caratterizzato da una forma sintetica; nel quale, oltre ai consueti elementi identificativi delle parti e della domanda, si richiede, in relazione alle sole domande aventi ad oggetto diritti disponibili, l’indicazione a pena di decadenza dei mezzi di prova e dei documenti dei quali la parte intende avvalersi.

Lo stesso è a dirsi con riferimento alla comparsa di costituzione del convenuto, caratterizzata anch’essa dalle forme della sinteticità e dalla completa disclosure anche con riguardo ai mezzi di prova.

Tra le novità previste quanto agli elementi da offrire subito al contraddittorio, l’indicazione di procedimenti penali in cui una delle parti o il minore sia persona offesa; il deposito non solo delle dichiarazioni dei redditi, bensì anche della documentazione attestante disponibilità mobiliari, immobiliari e finanziarie degli ultimi tre anni, con previsione di sanzioni in caso di omesse allegazioni, ovvero di documentazione inesatta o incompleta, in analogia con alcune prassi già invalse presso alcune sedi giudiziarie13.

Spicca altresì fra le novità l’obbligo di inserimento, allorché la domanda abbia ad oggetto l’affidamento dei figli, del piano genitoriale, contenente gli impegni e le attività quotidiane dei minori, afferenti tutti i possibili aspetti della vita dei figli, dalle attività scolastiche a quelle extrascolastiche.

Ove le parti omettano di proporre un piano genitoriale in funzione delle esigenze dei loro figli, il giudice stesso sarà chiamato ad elaborare una proposta in tal senso, nella quale saranno illustrati la complessiva situazione di vita del minore e le sue esigenze dal punto di vista dell’affidamento e dei tempi di frequentazione dei genitori, nonché del mantenimento, dell’istruzione, dell’educazione e dell’assistenza morale del minore, nel quale dovrà dare atto degli aspetti sui quali vi è l’accordo dei genitori.

Il mancato rispetto di quanto previsto nel piano genitoriale costituirà motivo di provvedimenti sanzionatori ai sensi dell’art. 709-ter c.p.c. (norma ampliata sino a ricomprendere anche le sanzioni già oggetto di quanto previsto all’art. 614bis c.p.c., vale a dire le sanzioni in caso di inosservanza degli obblighi di fare infungibile).

La data dell’udienza andrà fissata dall’ufficio giudiziario entro novanta giorni dal deposito del ricorso introduttivo, con termine per la notifica e per la costituzione del convenuto ed espressa previsione, anche qui assai opportuna data la diffusa prassi contraria, della possibilità di assunzione di provvedimenti d’urgenza anche prima dell’instaurarsi del contraddittorio, pertanto anche inaudita altera parte.

L’adozione generalizzata del criterio di sinteticità degli atti processuali, sia quelli del giudice sia delle parti, consentirà auspicabilmente di snellire le procedure ed al contempo di ridurre le condotte e le attività meramente defatigatorie o dilatorie di chi non ha interesse ad una pronta soluzione.

Alle stringenti preclusioni previste in riferimento ai diritti disponibili, fa da contrappeso il riconoscimento della possibilità di presentazione di domande nuove afferenti i diritti indisponibili, quali ad esempio le istanze relative all’affidamento e mantenimento dei minori, con la possibilità in questo caso anche di emissione di provvedimenti d’ufficio, nonché di mezzi di prova disposti autonomamente dal giudice, a tutela dei minori, ma anche – e ciò costituisce ulteriore novità del sistema – a tutela delle vittime di violenze, che pertanto ampliano il catalogo degli interventi ufficiosi svincolati dalle istanze di parte.

Con una forte accentuazione dei caratteri speciali attribuiti al processo afferente le relazioni familiari, vengono attribuiti rilevanti poteri d’intervento in capo al giudice a protezione del minore, e non solo.

Il giudice potrà, previo ascolto diretto del minore, attività questa che non sarà più delegabile a terzi e dovrà essere sempre videoregistrata, assumere provvedimenti a sua tutela anche in assenza di domande di parte; potrà inoltre assumere mezzi di prova a tutela di minori e di vittime di violenze.

L’attività istruttoria ufficiosa, avente ad oggetto le indagini patrimoniali, dovrà essere disciplinata nel dettaglio da parte del legislatore delegato, ma è sin d’ora evidente come si sia al cospetto di una rilevante deroga ai principi di terzietà del giudice, nonché agli obblighi allegazione ricollegabile alla posizione di parte nel processo.

In questo quadro rinnovato assume rilevanza, in ipotesi di assunzione diretta di prove da parte del giudice, l’opportuno richiamo del legislatore delegante alla garanzia del contraddittorio tra le parti “a pena di nullità del provvedimento” (comma 23 lettera “t”): il giudice sarà pertanto chiamato a sollecitare il contraddittorio delle parti in caso di assunzione ufficiosa delle prove, in deroga rispetto al criterio generale dell’onere di parte tipico del processo civile.

A mitigare almeno parzialmente la rigidità e rigorosità del suddetto schema concernente le preclusioni iniziali, è riconosciuta la possibilità di presentare modifiche alle domande formulate e nuove istanze istruttorie, ove l’esigenza sia sorta in conseguenza del mutato assetto delle situazioni di fatto, ciò che risponde all’ontologica natura dei procedimenti di cui si discute, soggetti alle variazioni delle vicende familiari ed alla regola rebus sic stantibus.

Anche l’attività diretta all’ascolto del minore riceve un opportuno riassetto. Attualmente l’ascolto viene effettuato in modi fra loro assai diversi: a cura del Giudice Onorario presso il Tribunale per i Minorenni; da parte del giudice togato, da solo ovvero coadiuvato da un esperto, nelle prassi dei Tribunali Ordinari, ovvero soltanto da un esperto incaricato dello specifico incombente, ovvero dal perito nell’ambito di una disposta consulenza tecnica d’ufficio, talvolta dai Servizi Sociali su mandato dell’Autorità Giudiziaria.

La riforma prevede un’unica modalità di esperimento dell’incombente affidata esclusivamente al giudice togato.

Ciò non esclude che il magistrato possa farsi coadiuvare ed affiancare nell’espletamento da quel giudice onorario al quale sinora tale attività veniva delegata in autonomia.

Si introduce e generalizza la prassi che già ora vede una sostanziale conversione dei procedimenti di separazione in divorzio con l’assegnazione allo stesso magistrato14, con la novità rappresentata dalla conservazione di un unico fascicolo, che nasce come avente ad oggetto la domanda di separazione dei coniugi e si trasforma in itinere in un’istanza di divorzio al mero raggiungimento, nel corso del processo, del periodo minimo previsto dalla legge per promuovere la domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, i dodici mesi introdotti dalla legge 55 del 2015.

Vi è chi15 ha paventato i rischi insiti nella riforma, nel trattare le questioni che afferiscono alle capacità dei genitori ed all’analisi dei bisogni dei minori, con l’unico metro rappresentato dall’efficienza e dalla rapidità della risposta, come conseguenza delle rigide preclusioni di un rito “simil lavoristico”. Il timore è che sull’altare della salvaguardia del contraddittorio si sacrifichi troppo l’analisi, che perderebbe, secondo questa tesi, la componente diacronica, l’accuratezza e la profondità, per farsi assai più semplicistica.

Riteniamo che siffatto timore possa essere dissipato grazie alla considerazione che la riforma attribuisce al giudice la prevalente funzione di buon governo di strumenti di gestione più affinati rispetto a quelli sinora utilizzati, quali la mediazione familiare, la disclosure iniziale, il piano genitoriale, l’ascolto del minore, la figura del coordinatore genitoriale, le sanzioni espressamente previste in caso di inottemperanze.

Il processo di famiglia si qualifica per essere un procedimento dal carattere spiccatamente gestorio, e di questo suo significativo aspetto il legislatore ha tenuto conto nel configurare un modello che oseremmo definire “a fisarmonica”, la cui latitudine può restringersi, ovvero ampliarsi, in funzione delle esigenze sottese alla fattispecie concreta oggetto di osservazione e valutazione.

Del resto una funzione gestoria affidata ad organi giurisdizionali, adattabile ai singoli casi concreti, è già stata sperimentata, riteniamo con successo, nei procedimenti aventi ad oggetto la tutela dei soggetti fragili, in special modo quanto alle procedure di amministrazione di sostegno avviate grazie alla legge

n. 6 del 2004, la quale ebbe ad introdurre un innovativo rito, che si svolge dinnanzi al Giudice Tutelare, estremamente snello, deformalizzato ed adattabile ai casi concreti, rispetto al rito ordinario delle procedure di inabilitazione e interdizione16, peraltro formalmente, benché immotivatamente – a parere dello scrivente – ancora vigenti17.



3. Storia senza fine dell’art. 38 disp. att. c.c.



È noto come non vi sia un orientamento uniforme in tema di competenza fra Tribunale per i minorenni e Tribunale ordinario, in riferimento al noto criterio di riparto adottato dall’art. 38 delle disposizioni di attuazione al codice civile, già oggetto di modifiche precedentemente apportate18.

È il motivo che ha spinto la Commissione presieduta dal Prof. Luiso a ritenere che “In attesa del riordino e dell’unificazione dei riti in materia familiare, appare di immediata urgenza la riforma dell’articolo 38”19.

Nella prospettiva compiuta della riforma il tribunale ordinario, o meglio l’istituendo tribunale per le persone, i minorenni e le famiglie, arriverà ad assorbire tutte le competenze ora ripartite fra tribunale ordinario, giudice tutelare e tribunale per i minorenni.

In attesa di questa unificazione, dovremo accontentarci dell’obiettivo prospettico che copre (auspicabilmente) un arco temporale di un biennio, per vedere finalmente attuata l’unificazione degli organi giurisdizionali, che da tempo sono accusati di determinare contrasti di giudicati e duplicazione di attività giudiziarie, peraltro scarsamente coordinate fra loro.

Sino ad allora permarrà ancora una ripartizione di competenze fra il tribunale ordinario e il tribunale per i minorenni. In attesa dell’istituzione del nuovo tribunale unico delle famiglie, si interviene sull’art. 38 delle disposizioni per l’attuazione al c.c. in tema di riparto di competenze fra tribunale ordinario e tribunale per i minorenni, in relazione al quale sino ad oggi non si era avuto un orientamento uniforme, con una soluzione ponte, che tuttavia già indica l’intento di accentrare presso un unico tribunale tutte le competenze, ma che, per quello che si dirà infra, lascia ancora dubbi irrisolti e non poche perplessità. L’intervento del legislatore della riforma sull’art. 38 disp. att.

c.c. presenta tuttora aspetti contraddittori e poco coerenti con una logica di sistematizzazione.

Esso infatti mantiene, seppure su un piano diverso, la doppia competenza fra tribunale per i minorenni e tribunale ordinario nelle materie relative all’esercizio della responsabilità genitoriale, artt. 330 e seguenti c.c., attribuendo però al tribunale ordinario un criterio di attrazione svincolato dall’elemento temporale della preventiva instaurazione del procedimento20.

Pertanto in tutti i casi nei quali viene instaurato fra le stesse parti un procedimento dinnanzi al tribunale ordinario, sia esso di separazione, divorzio, di accertamento della filiazione, ovvero riguardante contrasti sull’esercizio della responsabilità genitoriale, non solo il tribunale per i minorenni, ma anche il pubblico ministero minorile, sia che siano aditi preventivamente, come anche successivamente, saranno tenuti a trasmettere gli atti agli omologhi magistrati presso il tribunale ordinario, presso i quali si concentrerà la competenza.

Si può dire che il criterio di concentrazione delle tutele e la vis actrattiva a favore del tribunale ordinario dovrebbe in tal modo operare sempre.

Si supera quindi quel criterio della prevenzione, di origine prettamente giurisprudenziale21, che tante difficoltà interpretative ha portato con sé; pertanto anche in caso di instau-razione successiva di un procedimento dinnanzi al tribunale ordinario, opererà sempre l’effetto attrattivo o devolutivo.

Sino ad oggi il principio di concentrazione delle tutele operava solo se la domanda ex artt. 330-333 c.c. era stata proposta al Tribunale per i Minorenni successivamente ad un giudizio già instaurato presso l’autorità giudiziaria ordinaria22.

Ci si chiede però perché il legislatore della riforma non abbia adottato da subito una netta distinzione ed una scelta di fondo in favore dell’opzione univoca in favore dell’autorità giudiziaria ordinaria, lasciando ancora operare una prorogatio, ovvero una competenza residuale del tribunale per i minorenni, soggetta a venir meno, a decadere, nel momento in cui, anche solo strumentalmente, una sola parte decida di attivare la domanda dinnanzi al tribunale ordinario.

Meglio, crediamo, avrebbe fatto il legislatore a realizzare da subito quel trasferimento di competenze al tribunale ordinario, al quale già ora mostra di attribuire valenza attrattiva prevalente.

A critiche ancora maggiori si espone la seconda parte della norma, il comma 28 (dell’unico articolo), ove si fa riferimento all’art. 709-ter del codice di rito, che del tutto irragionevolmente sembra attribuire al tribunale per i minorenni una competenza esclusiva in materia di contrasti, inadempienze e violazioni, di assai difficile riconduzione a coerenza di sistema. La relazione illustrativa alle proposte di riforma della Commissione Luiso richiama, anche per questo profilo, il principio di concentrazione delle tutele e farebbe ritenere plausibile una competenza del tribunale minorile ex art. 709-ter c.p.c., esclusivamente nei casi in cui sia stato adito ai sensi degli artt.

330 e segg. c.c.

Tale opzione parrebbe adottata allo scopo di rispettare il principio secondo il quale, all’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento dei figli, provvede lo stesso giudice del merito (art. 337-ter, 2° comma, come modificato dal d.lgs. n. 154/2013).

Secondo questa ipotesi ermeneutica, l’unica plausibile giustificazione della noma si potrebbe rinvenire nella persistenza di una competenza residua del Tribunale minorile nei soli casi nei quali lo stesso si sia pronunciato, in quanto adito in via esclusiva ai sensi degli artt. 330-333 c.c., e si richieda, all’esito del giudizio, l’attuazione dei provvedimenti dallo stesso emessi.

Resta il fatto che, permanendo il tenore della norma quale quello licenziato, è facile prevedere che esso comporterà ancora una volta notevoli difficoltà interpretative ed assai probabili contrasti negli orientamenti giurisprudenziali che potranno venirsi a creare, contrasti che lasceranno non solo l’interprete, ma anche l’operatore professionale, in balia della discrezionalità giurisprudenziale, con l’adozione non prevedibile di criteri disomogenei sul territorio nazionale da parte delle diverse sedi giudiziarie.

Rimane poi nella vacatio, sino all’introduzione del nuovo tribunale unificato, la competenza del tribunale per i minorenni in materia di rapporti fra i minori e gli ascendenti, anche questa priva di una ragionevole giustificazione sin dalla sua introduzione, ad opera del d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, che ha sostituito l’art. 317-bis c.c. e ha dato vita ad un’inedita legittimazione attiva degli ascendenti, attribuendola però alla competenza del tribunale minorile, in forza dell’ennesima modifica applicata al testo dell’art. 38 disp. att. c.c., in direzione peraltro contraria rispetto al principio di concentrazione delle tutele, più volte richiamato23.



4. Un giudice univoco di prossimità





Per quanto attiene il superamento dell’attuale assetto ordinamentale, è prevista, come detto, una vacatio di durata biennale, che confidiamo non diventi pretesto per successive proroghe, alle quali siamo stati più volte abituati da parte di un legislatore poco determinato a perseguire fino in fondo gli obiettivi di efficienza di questo importante comparto della giustizia24.

Nell’impianto dei lavori della Commissione presieduta dal Prof. Luiso, uno degli elementi che ha giocato un ruolo fondamentale nell’opzione a favore del giudice monocratico di primo grado è stata l’esigenza di offrire adeguata risposta ai bisogni ed alle necessità di una giustizia di prossimità.

Giustizia perciò quanto più vicina possibile al cittadino, ma al tempo stesso garantita dalla possibilità estesa di un giudizio di riesame, attribuito ad un organo collegiale, in ipotesi di valutazione non sufficientemente ponderata da parte del giudice in composizione monocratica.

Il Tribunale della famiglia avrà pertanto un duplice assetto: un ufficio monocratico circondariale, costituito da un componente togato specializzato, ed un organismo collegiale su base distrettuale.

Il Tribunale di nuova istituzione, sostanzialmente distinto rispetto al Tribunale ordinario, in quanto dotato di una propria pianta organica e di personale amministrativo e dotazioni allo stesso esclusivamente assegnate, viene ad essere composto da sezioni distrettuali costituite presso ciascuna sede di Corte di appello o di sezione di Corte d’appello, e da sezioni circondariali, costituite presso ogni sede di Tribunale ordinario.

L’assetto così delineato è coerente con l’obiettivo di massima celerità della risposta, sottesa alle esigenze di tutela delle relazioni familiari e personali, e contemporaneamente assicura quella di specializzazione e di attenta valutazione del caso; nonché di riesame e revisione, ove occorrente, da parte di un organo collegiale.

Si concilia in questo modo l’urgenza, con una possibile rivalutazione ponderata e a più voci del caso.

E se la valutazione del singolo magistrato di “prima linea”, benché specializzato, non dovesse bastare, si potrà usufruire del rimedio costituito dal riesame da parte di un collegio di magistrati dotati di speciale competenza.

È importante che il giudice monocratico possa pronunciarsi in tempi ragionevoli e certi ed è fondamentale, in ottica di necessario contrappeso, che tutti i suoi provvedimenti siano reclamabili immediatamente, affinché il sistema delle garanzie si presenti sistematicamente coerente.

Si ottiene in tal modo una giustizia celere e certa, senza abdicare alle maggiori garanzie date da una valutazione collegiale, ove si renda necessario. Si individua pertanto un unico faro, rappresentato dal giudice della famiglia, più vicino al cittadino, nel contempo si acquista la garanzia di revisione immediata del giudizio attraverso la valutazione specialistica del tribunale in composizione collegiale.

Si tratta di un compromesso accettabile, finalizzato ad un più agevole e corretto funzionamento del sistema giudiziario. Del resto il falso mito della superiorità del giudizio attribuito ad un organo collegiale va ricondotto nei suoi esatti termini e sfatato, essendo a tutti noto, per essere stato più volte riconosciuto dagli stessi operatori della giustizia magistrati25, che le prassi e le dinamiche interne ai collegi giudicanti fanno sì che di fatto il collegio si fidi del giudice relatore e che la decisione venga assunta sostanzialmente da costui e meramente ratificata dal collegio, il quale

non è in condizioni di poter conoscere ogni fascicolo.

Nell’impostazione fatta propria dal legislatore della riforma la collegialità non viene abbandonata, è invece garantita in grado di appello e quest’ultimo, del tutto ragionevolmente, non è limitato al reclamo dell’ordinanza presidenziale, bensì opportunamente esteso a tutti i provvedimenti emessi nel corso del procedimento dal giudice monocratico.

Anche rispetto ai timori di coloro che paventano vada disperso il patrimonio di esperienze acquisite nell’arco di tutti questi anni da parte dei venti tribunali per i minorenni, va detto che siffatte conoscenze non saranno perdute, non verranno meno le professionalità acquisite, le quali saranno poste a servizio del nuovo istituendo organo e si evolveranno. Del resto l’ottica con la quale il Tribunale per i Minorenni è stato istituito costituisce retaggio di altra e ben diversa epoca, nella quale si prevedevano interventi correttivi e sanzioni di stampo tipicamente penale; anche da questo punto di vista

l’organo giudiziario richiedeva una robusta riforma.

Quanto alla componente laica, si supera l’anomalia rappresentata dalla latitudine, ampia e per lo più incontrollata, delle attività devolute ai giudici onorari, dall’uso sinora distorsivo della loro funzione, ed essi vengono ricondotti al ruolo loro proprio di supporto, non sostitutivo, alle attività propriamente giudiziarie.

Verrà quindi superata quella prassi che, lungi dal riscontrare attività svolte dal collegio del Tribunale minorile, vede viceversa un giudice onorario che sostituisce in tutte le attività da svolgere il giudice togato: a partire dalle udienze di comparizione e audizione delle parti, alle udienze istruttorie, per quanto le attività istruttorie siano fortemente limitate e per prassi ridotte ad incarichi di monitoraggio ai servizi del territorio, sino all’ascolto del minore.

Al giudice onorario la riforma attribuisce un più corretto ruolo di supporto alle attività del giudice togato, un ruolo capace di esaltare la diversa formazione propria di tale componente privata.

L’istituendo ufficio del processo costituirà la sfida della magistratura: permetterà al giudice titolare di delegare a tale ufficio tutta una serie di attività, quali, a solo titolo di esempio: il tentativo di conciliazione, indicazioni d’indirizzo generale sulla mediazione familiare e le altre procedure alternative (c.d. ADR26), le ricerche sugli orientamenti giurisprudenziali, l’acquisizione di informazioni, l’affiancamento e supporto al giudice togato nell’ascolto del minore.

Vanno tuttavia segnalate altresì alcune aporie rinvenibili nel testo della legge di riforma, quasi certamente causate dalla fretta e dal lavoro svolto a più mani, che speriamo possano essere oggetto di opportune correzioni in sede di articolato da parte del legislatore delegato. Appare infatti fonte di possibili fraintendimenti e contraddizioni il fatto che il legislatore delegante abbia da un lato precostituito una duplice composizione del tribunale della famiglia, monocratica e collegiale, ma al contempo abbia mantenuto la norma che prevede la composizione collegiale delle cause nelle quali è obbligatoria la partecipazione del Pubblico Ministero27; così come singolare il riferimento (comma 23 lettera c) ad un tribunale in composizione collegiale, con facoltà di delega per la trattazione e l’istruzione ad un giudice relatore28, mentre al comma 24 lettera n) si prevede che, nei procedimenti civili le sezioni circondariali giudichino in composizione monocratica e le sezioni distrettuali in composizione collegiale, lasciando al presidente della sezione distrettuale la decisione in ordine all’applicazione dei giudici, nonché con riguardo alla possibilità che le udienze, in caso di applicazione, possano svolgersi con modalità di scambio di note scritte (c.d. modalità cartolare) o di collegamento da remoto, ovvero con possibilità per il giudice di tenere udienza in luogo diverso dall’ufficio, con probabile buona pace dei criteri di uniformità e prossimità declamati e una prospettiva, alla quale non vogliamo credere, di disomogenea applicazione di criteri nelle diverse sedi giudiziarie.



5. Obiettivo speciale competenza



Il percorso avviato dalla riforma è segnato da una direzione ben precisa che è quella della specializzazione, ovvero della speciale competenza, di tutti gli operatori professionali ed istituzionali coinvolti: non solo pertanto l’avvocatura, che in questi anni si è dedicata assiduamente alle scuole di formazione specialistica, bensì anche la magistratura, gli esperti consulenti tecnici, gli operatori dei servizi socio-sanitari coinvolti, tutti chiamati dal legislatore ad una attività di acquisizione di conoscenze qualificate.

Su questo importante aspetto la legge delega avrebbe potuto essere più precisa e puntuale; l’auspicio è che il legislatore delegato sappia rivelarsi tale.

La complessità dei problemi da affrontare richiede una specifica e adeguata formazione, anche di stampo psicologico, in primo luogo dei magistrati addetti a questi delicati affari. L’introduzione di una formazione specialistica e interdisciplinare è assolutamente auspicabile per quella magistratura da assegnare al costituendo tribunale per la famiglia, in quanto potrà consentire ai giudici una più marcata consapevolezza delle funzioni loro affidate, una migliore interazione con le diverse professionalità che hanno a che vedere con il sistema giustizia, una più efficace capacità di attenuare e prevenire i conflitti e di risolvere le controversie.

In questo senso si rivelerebbe assai utile l’acquisizione di strumenti che possano consentire ai giudici di effettuare con maggiore consapevolezza l’ascolto dei minori, peraltro a loro esclusivamente affidato dalla riforma, come anche l’acquisizione di tecniche di gestione dei conflitti nella direzione della conciliazione e della mediazione.

A proposito di competenza, la legge delega sembra voler andare in questa direzione: il comma 24 lettere a), b) e c) del disegno di legge prevede l’assegnazione esclusiva dei magistrati al Tribunale Unico della famiglia e la lettera f) contempla la previsione che i giudici assegnati siano scelti tra quelli dotati di specifiche competenze nelle materie attribuite all’istituendo tribunale.

Tutto da verificare nel prosieguo dei decreti delegati il criterio discretivo che sarà adottato.

Come ha osservato l’avv. Daniela Giraudo, componente della commissione famiglia e consigliera del Consiglio Nazionale Forense: “Questo farà sì che le competenze dei giudici non vengano perse ma valorizzate in percorsi che porteranno ad una risposta di giustizia molto più adeguata rispetto alle casistiche che si affrontano”29. Ai magistrati si richiede un’inedita attenzione alla formazione specifica anche con riferimento alla mediazione. È infatti prevista l’istituzione di percorsi di formazione in mediazione

per i giudici.

Da questo punto di vista si è segnalata la necessità che, oltre al rinnovamento delle regole processuali, si lavori anche nella direzione di un cambiamento culturale di tutti gli operatori, a tutti i livelli, a partire dalle università, affinché i protagonisti di questo delicato settore del diritto si impadroniscano delle soluzioni e degli strumenti adatti per l’utilizzo più consapevole delle tecniche di mediazione e negoziazione assistita30.

Si è rilevato come spesso sia mancato il necessario coordinamento fra le autorità giudiziarie civile e penale, fra le procure ordinarie e quelle minorili e come tutto ciò abbia determinato ricadute a cascata anche nella loro interazione con i servizi del territorio.

Per quanto concerne le Consulenze Tecniche d’Ufficio, si impone ai periti il rispetto dei protocolli e delle metodologie riconosciute dalla comunità scientifica, senza effettuare valutazioni su caratteristiche e profili di personalità estranee agli



stessi (comma 23 lettera b).

Non viene più citata la Sindrome da Alienazione Parentale (PAS), alla quale invece faceva riferimento una prima versione del testo dell’emendamento31.

Il fenomeno alienazione è in verità oggi ricondotto più opportunamente ad un fenomeno, ad un problema relazionale, mentre non è più inquadrato in un disturbo di personalità ovvero una patologia32.

Si richiede inoltre ai consulenti il possesso di particolari prerogative quanto alle conoscenze connesse al fenomeno della violenza domestica o di genere.

Trattasi di modalità di lavoro che non fanno che attribuire il crisma dell’ufficialità alle migliori prassi di svolgimento degli incarichi cui era pervenuta la comunità scientifica, anche per quanto concerne le relazioni di consulenza tecnica ad opera degli esperti incaricati dall’autorità giudiziaria.

Il Protocollo di Milano del 17 marzo 2012, contenente le Linee guida per la consulenza tecnica in materia di affidamento dei figli a seguito di separazione dei genitori, contributi psico-forensi, contiene, quanto al ruolo ed ai limiti dell’esperto, una Guida metodologica33.

Al punto 2.3 dal titolo “Relazionare in maniera accurata quanto emerso dalla consulenza tecnica”, prevede che “L’esperto ha cura di sintetizzare in un documento scritto – attraverso l’impiego di un linguaggio il più possibile chiaro ed evitando inutile tecnicismi difficilmente comprensibili dai non esperti

– quanto emerso dalle operazioni peritali, nonché le risposte ai quesiti formulati. L’esperto dovrà preliminarmente indicare nel suo elaborato il suo approccio teorico-metodologico di riferimento, utilizzato per impostare e valutare le risultanze cliniche dei colloqui. Inoltre espliciterà gli strumenti utilizzati per la valutazione, indicandone gli specifici scopi di analisi. L’esperto presta altresì particolare attenzione alla distinzione tra i fatti e le riflessioni/conclusioni professionali a cui perviene, cercando di separare gli elementi descrittivi, informativi e di racconto da quelli interpretativi. In particolare esplicita il rapporto tra le informazioni raccolte, l’interpretazione dei dati, e le valutazioni espresse sulle questioni oggetto della consulenza. Nel redigere le conclusioni e rispondere al quesito il CTU espone una sintesi di quanto emerso nel corso delle indagini, la sua valutazione, le indicazioni e le proposte ritenute più idonee rispetto alle modalità di affidamento dei figli, di collocamento prevalente degli stessi e di frequentazione dell’uno e dell’altro genitore nonché su qualunque intervento si reputi necessario a sostegno del minore (terapia, sostegno educativo, ecc.) e/o della genitorialità, tenuto conto delle risorse presenti sul territorio di riferimento in ambito pubblico o privato; egli espone anche i limiti del proprio elaborato e le ragioni che li hanno determinati (ad esempio spiegando perché non è stato possibile compiere un determinato accertamento e come tale mancanza può riverberarsi sui risultati della consulenza). Ove lo ritenga necessario può proporre il riesame della situazione, indicando i tempi più adatti”.

Anche per quanto riguarda gli elenchi tenuti presso le sedi distrettuali delle Corti d’Appello, si va verso un riconoscimento più puntuale dei requisiti richiesti agli esperti.

Anche in questo caso l’evoluzione normativa non è altro che l’esito di un percorso che era già stato avviato, a partire da una serie di riflessioni scaturite da alcuni fatti di cronaca, seppure attinenti per lo più a fattispecie penali.

La comunità scientifica fu infatti investita della necessità di elevare il livello di competenza dei consulenti operanti in ambito criminologico e nel settore del diritto di famiglia.

Parallelamente si sentì il bisogno di dotarsi di strumenti che fossero più possibile oggettivi, replicabili e verificabili, così come suggerito anche dalla giurisprudenza, in particolare con riguardo ai criteri “Daubert”34 della generalità, controllabilità, grado di conferma e accettazione da parte della comunità scientifica internazionale, come recepiti dal giudice di legittimità, in particolare le sentenze “Franzese” del 200235 e “Cozzini” del 201036, che chiedono ai CTU di utilizzare strumenti oggettivi e verificabili in modo tale da ridurre il più possibile l’influenza soggettiva del valutatore.

Per tutti questi motivi si era andati incontro ad una revisione dei requisiti richiesti per l’iscrizione nell’elenco dei CTU, i criteri di valutazione della speciale competenza, innalzando da tre a cinque anni l’anzianità d’iscrizione all’ordine di appartenenza; si era parlato poi di una conoscenza teorica e pratica in psicologia forense, quindi più strutturata, una conoscenza teorica e pratica in psicodiagnostica e nell’ambito della consulenza familiare e di coppia.

Seppure più restrittivi, i suddetti criteri nel corso del tempo non sono risultati comunque soddisfacenti, proprio per la difficoltà di verificarne l’effettiva presenza, a fronte della presentazione di un mero curriculum vitae.

In considerazione di queste difficoltà si era arrivati ad una terza definizione, l’ultima in ordine di tempo, nel 201137, che fa anzitutto una distinzione fra psicologi e psicoterapeuti e che fissa per la prima volta anche un monte ore per il corso di psicologia giuridica.

Su questa situazione in evoluzione interviene ora anche la legge delega, introducendo una serie di norme deputate a rendere più rigorosi i criteri di accesso agli elenchi tenuti presso i tribunali, ma al contempo consentirne uno svecchiamento.

Così il comma 16 prevede:

– la revisione del percorso di iscrizione dei consulenti presso i tribunali, favorendo l’accesso ai più giovani;

– una distinzione delle varie figure professionali, favorendo la formazione di associazioni nazionali di riferimento;

– la creazione di un albo nazionale unico, cui possano attingere sia i magistrati sia gli avvocati, al fine di individuare la figura più confacente alle necessità del caso;

– favorire la mobilità dei professionisti;

– prevedere la formazione continua dei consulenti e periti;

– tutelare la maternità e la salute dei consulenti;

– istituire commissioni di verifica deputate al controllo della regolarità delle nomine.

Al comma 34 si provvede ad implementare le categorie dei consulenti previste nell’art. 13 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, inserendo un nuovo elenco di cui al n. 7) che comprende quelle della neuropsichiatria infantile, della psicologia dell’età evolutiva e della psicologia giuridica o forense.

Con riferimento a queste nuove categorie di consulenti, viene precisato che la speciale competenza tecnica sussiste al ricorrere dei requisiti indicati, anche alternativamente, più precisamente:

1. comprovata esperienza professionale in materia di violenza domestica e nei confronti di minori;

2. possesso di adeguati titoli di specializzazione post-universitari in psichiatria, psicoterapia, psicologia dell’età evolutiva o psicologia giuridica o forense, purché iscritti da almeno cinque anni negli albi;

3. aver svolto per almeno cinque anni attività clinica con minori presso strutture pubbliche o private.



6. Diritti disponibili vs. diritti indisponibili



Per la prima volta il legislatore introduce un regime differenziato di preclusioni a seconda della tipologia dei diritti, se disponibili o meno, coinvolti. Il richiamo si trova al comma 23, lettera f).

Si introduce in tal modo un regime assai stringente quanto alle decadenze, con riferimento ai diritti disponibili.

In sostanza le parti hanno l’onere di dedurre subito, con gli atti introduttivi, i mezzi di prova utili all’accoglimento delle rispettive domande allorché queste concernano appunto i diritti disponibili.

Nessuna norma però fornisce una definizione del concetto di disponibilità ed indisponibilità dei diritti. La distinzione richiama l’elaborazione fatta propria nel campo del diritto privato per differenziare i diritti dei quali un soggetto può disporre liberamente, da quelli per i quali siffatta disponibilità è esclusa.

Tradizionalmente l’area dei diritti disponibili è quella che corrisponde alla sfera della libera negozialità dei privati, peraltro in forte espansione negli ultimi anni, persino ad opera dello stesso legislatore della riforma (si pensi all’ampliamento della negoziazione assistita ad ambiti in precedenza attribuiti in esclusiva alla valutazione dell’autorità giudiziaria, quali l’una tantum e le questioni afferenti il figlio maggiorenne e gli alimenti).

Con riferimento all’area dei diritti disponibili il legislatore attribuisce ai privati due possibilità: da un lato quella di un’autonoma negozialità, vale a dire la scelta a favore di una soluzione delle loro controversie con modalità alternative al contenzioso giudiziario, attraverso le forme dell’arbitrato, della mediazione e della negoziazione assistita; dall’altro, ove le parti optino invece per le forme del tradizionale contenzioso giudiziario di risoluzione dei conflitti, richiede alle parti di essere leali, trasparenti, puntuali e precisi da subito, con gli atti introduttivi.

Cambia pertanto radicalmente l’approccio rispetto a quanto invalso sino ad oggi: si richiede un’ampia disclosure quanto ai redditi, non più limitata alle formali dichiarazioni a fini fiscali, bensì allargata alla documentazione attestante le disponibilità mobiliari, immobiliari e finanziarie degli ultimi tre anni, prevedendosi sanzioni per il mancato deposito o per il deposito di documentazione incompleta o inesatta.

Si richiede inoltre la presentazione di un piano genitoriale che contenga gli impegni e le attività quotidiane dei minori.

Dall’altra parte si assiste ad una forte accentuazione dei poteri di impulso e di intervento ufficiosi del giudice: anche al di là dei casi di violenza, ovvero di figlio che rifiuta un genitore, è data al giudice la facoltà di adottare provvedimenti e di assumere prove, oltre quelle allegate su impulso delle parti, ovvero anche in assenza di istanze.

Il tutto a tutela di minori ovvero di vittime di violenza.

Un rinnovato potere d’ufficio che si estrinseca anche in altri aspetti: dall’ascolto del minore attribuito esclusivamente al giudice togato, all’ampliamento dei casi di nomina del curatore del minore, alla possibilità di farsi coadiuvare da un coordinatore genitoriale, come anche, nel segno di un accentuata capacità d’intervento sanzionatorio, in casi di inottemperanza: l’art. 709ter c.p.c., in caso di comportamenti di un genitore che siano tali da ostacolare il mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo con l’altro genitore, si estende a ricomprendere le sanzioni per ogni inosservanza già previste dall’art. 614-bis c.p.c.

Di rilievo il forte richiamo al principio del contraddittorio nei casi di assunzione della prova d’ufficio, nelle ipotesi di indisponibilità dei diritti, sottolineato anche dalla sanzione della nullità del provvedimento che venisse assunto sulla base di prove acquisite d’ufficio, senza aver posto le parti in condizioni di poter prendere posizione.



7. Contrasto alle violenze domestiche, all’alienazione, ai comportamenti ostacolanti





Gli interventi oggetto degli emendamenti proposti in materia di contrasto alle violenze di genere ovvero alla violenza assistita nonché al fenomeno della c.d. vittimizzazione secondaria, tradiscono un’impostazione a dire il vero piuttosto ideologica e hanno finito per produrre inserimenti non sempre organici e coerenti con il disegno complessivo.

Può essere certamente considerato lodevole l’intento che ha mosso gli estensori, meno apprezzabile il prodotto finale che ne è derivato, apparendo queste novità delle vere e proprie incursioni nel testo licenziato.

Così, subito dopo aver disposto l’introduzione di nuove norme regolatrici del processo in materia di persone, minorenni e famiglie, (comma 23, lettera a), la lettera successiva della norma si apre alla previsione degli interventi necessari in presenza di – sole – allegazioni di violenza domestica o di genere. Sono così assicurate, quali misure di salvaguardia, quelle previste dagli ordini di protezione (art. 342-bis c.c.), modalità di coordinamento con le altre autorità giudiziarie, l’abbreviazione dei termini processuali e specifiche disposizioni, non meglio definite, atte ad evitare il fenomeno della c.d. vittimizzazione secondaria.

Conoscendo gli effetti perversi che da tempo producono denunce strumentali effettuate a scopo ritorsivo è opportuno che siano apprestate tutte le cautele del caso.

In effetti la prima versione dell’emendamento, come proposto dalla senatrice Valente, prevedeva: “a-bis) l’obbligo per tutti i soggetti istituzionali che entrano in contatto con i minorenni di garantire che i diritti di affidamento e di visita siano assicurati tenendo conto delle violenze, anche assistite, rientranti nel campo di applicazione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011, ratificata e resa esecutiva con legge 27 giugno 2013, n. 77, allegate, denunciate, segnalate o riferite; l’obbligo di protezione del minore da qualsiasi forma di violenza, anche assistita che il giudice civile o minorile accerta, con urgenza, incidentalmente e senza formalità, ai fini dell’emissione di ogni provvedimento che li riguardi, per evitare la vittimizzazione secondaria loro e del genitore che non ha esercitato violenza; la previsione che l’accertamento incidentale della violenza non sia delegabile da parte del giudice”38.

Ora la versione licenziata dal Senato ed infine approvata da

entrambe le Camere, sembra andare nella direzione di apprestare dei contrappesi e delle cautele, in quanto prevede una sorta di accertamento incidentale, all’interno del processo di famiglia, avvalendosi delle norme e delle misure previste dagli artt. 342-bis e ter c.c., vale a dire le norme in materia di ordini di protezione contro le violenze.

È certamente auspicabile che il legislatore delegato precisi e coordini meglio questo passaggio cruciale, affinché vi sia garanzia di un esame giurisdizionale delle ipotesi di violenza, onde scongiurare un uso distorto della denuncia, nonché il triste fenomeno delle false accuse in danno di un genitore.

La violenza sembra assurgere a motivo di paralisi del tentativo di conciliazione da parte del giudice, così come della mediazione familiare, in una forma però che appare francamente eccessiva, in una sorta di malintesa interpretazione autentica ed applicazione dei principi della Convenzione di Istanbul sul contrasto alle violenze domestiche.

Sul versante ideologicamente opposto, vengono apprestati rimedi anche nei casi di comportamenti ostacolanti la relazione genitore-figli.

Un analogo obiettivo di accelerazione e abbreviazione dei termini processuali è predisposto allorché si assista a comportamenti dell’un genitore diretti a frapporre ostacoli nella relazione con i figli (comma 23 lettera aa)).

Anche in questo caso si fa riferimento a “mere allegazioni o segnalazioni” di comportamenti tali da ostacolare il mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo con l’altro genitore, ovvero con gli ascendenti, e in questo caso il rimedio è dato dalla rapida e concreta attuazione dei provvedimenti assunti nell’interesse del minore.

Si è voluto accuratamente evitare ogni riferimento a fenomeni o a definizioni quale quella di alienazione parentale, che tante discussioni hanno suscitato negli ultimi anni nel dibattito giuridico, scientifico, dogmatico.

Il contrasto a tali comportamenti è ottenuto attraverso più rimedi: allorché il figlio minore rifiuti di incontrare il genitore, il giudice sente personalmente il minore e accerta con urgenza le cause del rifiuto (comma 23, lettera b)).

Possono inoltre essere chiamati ad intervenire i servizi sociali, al fine di garantire l’effettivo rispetto degli incontri e l’eventuale accompagnamento del minore.

È inoltre esplicitamente richiamata la possibilità di adottare le sanzioni – sulla falsariga delle astreintes di diritto francese

– in caso di inottemperanza, previste dall’art. 614-bis c.p.c. In tal modo si supera, assai opportunamente, l’attuale in-

certezza applicativa conseguente ai diversi orientamenti giurisprudenziali in materia39, laddove erano emersi contrasti e obiezioni in merito alla possibile applicazione del meccanismo sanzionatorio di cui all’art. 614-bis c.p.c. in riferimento agli obblighi di facere in subiecta materia.

Il disegno di legge sembra in qualche misura voler tener conto degli esiti, invero sconcertanti e disarmanti, del rapporto sulla violenza di genere e domestica nella realtà giudiziaria, contenuto nella relazione approvata dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul “femminicidio” nella seduta del 17 giugno 2021, comunicata alla Presidenza del Consiglio il 21 giugno 202140.

Fra le molte criticità ivi segnalate, emerge la scarsa applicazione delle misure di protezione contro le violenze; il mancato, o modesto numericamente, coordinamento fra autorità giudiziaria penale, procure e autorità giudiziaria civile, in difformità rispetto a quanto previsto dalla legge n. 69 del 19 luglio del 2019, meglio nota come “Codice rosso”, la quale prevede, all’art. 14, che quando è in corso un procedimento civile di separazione, di affidamento dei minori o relativo all’esercizio della responsabilità genitoriale, il giudice civile deve essere informato dal pubblico ministero o dal giudice penale dell’esistenza di misure cautelari poste a tutela e a danno delle persone che sono parte della causa civile, dell’avviso della conclusione delle indagini, dell’eventuale provvedimento che ha decretato l’archiviazione della notizia di reato o dell’emissione di una sentenza nell’ambito di un procedimento penale che ha come protagonista una delle parti in causa (secondo quanto previsto dall’art. 64-bis disp. att. c.p.p.).

Nel rapporto viene dato atto che solo nel 31,5% dei tribunali (41 su 130) vengono sempre acquisiti atti e provvedimenti del procedimento penale che riguarda le stesse parti della causa civile.

Si spiega pertanto il richiamo al comma 23 dell’art. 1, lettera b) alla previsione di “necessarie modalità di coordinamento con altre autorità giudiziarie, anche inquirenti, l’abbreviazione dei termini processuali”; nonché “specifiche disposizioni processuali e sostanziali per evitare la vittimizzazione secondaria”.

Per vittimizzazione secondaria si intende una condizione di sofferenza e oltraggio psicologico e sociale ulteriori vissuti dalla vittima, in relazione ad un atteggiamento di insufficiente attenzione da parte delle agenzie di controllo.

Per affrontare l’altro tema assai sensibile, in quanto oggetto di forti contrasti anche presso la comunità scientifica, quello già citato e che va sotto il nome di “alienazione parentale”, il legislatore delegante, pur evitando accuratamente la predetta definizione, ha inteso intervenire optando per l’attribuzione al magistrato del compito di accertare con urgenza le cause del rifiuto di un figlio minore di incontrare uno o entrambi i genitori.

Pertanto in caso di violenze, anche psicologiche, scatta l’abbreviazione dei termini e si richiede un intervento risoluto da parte del magistrato41.

Si stabilisce che sia il giudice personalmente a sentire il minore e, assunta ogni informazione ritenuta necessaria, accertate con urgenza le cause del rifiuto, ad assumere i provvedimenti necessari nel superiore interesse del minore, considerando anche, ai fini della determinazione dell’affidamento dei figli e degli incontri con i figli, eventuali episodi di violenza.

Si prevede inoltre di garantire in ogni caso che gli eventuali incontri tra i genitori e il figlio avvengano, se necessario, con l’accompagnamento dei servizi sociali, facendo in modo che non compromettano la sicurezza della vittima.

L’esigenza, con tutta probabilità, è quella di tacitare le critiche e le prese di posizione di fronte a casi scandalistici portati alla ribalta dell’attenzione pubblica, anche grazie all’effetto amplificatore dei mezzi di comunicazione mediatici.

Specifiche disposizioni sono poi previste allo scopo di stabilire i presupposti ed i limiti della misura dell’affidamento dei minorenni al servizio sociale. Anche in questo caso si tratta di criticità diffusamente ed ampiamente avvertita sia fra gli addetti ai lavori, sia nell’opinione pubblica.

L’intento è quello di disciplinare in dettaglio i presupposti e i limiti della misura dell’affidamento dei minori ai servizi sociali, che tanto ha fatto discutere in questi anni di applicazione. La previsione invero sconta un elevato grado di genericità e dovrà trovare, si auspica, una significativa e circostanziata

maggiore definizione in sede di decreti attuativi.



8. La giustizia integrativa: negoziazione assistita, mediazione delegata, mediazione familiare, coordinazione genitoriale



Sin dalle primigenie intenzioni del progetto di riforma “Bonafede”42 si prevedeva una revisione ai fini di incentivazione degli strumenti di risoluzione alternativi al contenzioso giudiziario.

Questi intendimenti sono stati poi fatti propri e rafforzati dal successore al Dicastero della Giustizia, il Ministro Cartabia, a parere del quale, nella giustizia civile, per ridare efficienza al processo italiano, occorre implementare gli strumenti di mediazione dei conflitti, va esteso l’utilizzo della mediazione che “porterebbe un indiscutibile valore aggiunto”, come nelle controversie in materia di famiglia e filiazione, anche prevedendo incentivi, processuali, economici, fiscali, valorizzando la “mediazione delegata” dal giudice (o endoprocessuale).

E si deve farlo per tempo perché gli effetti economici della pandemia, “stanno determinando forti squilibri nei rapporti giuridici, quindi la giustizia preventiva e consensuale rappresenterà una strada necessaria per il contenimento del contenzioso quando cesseranno i provvedimenti che bloccano gli sfratti, i licenziamenti, il contenzioso bancario”.

L’intento è stato poi rafforzato nella progressiva elaborazione del testo, attraverso molteplici indirizzi di sviluppo: nella direzione di un ampliamento delle materie oggetto di mediazione obbligatoria, negli incentivi fiscali; nella promozione della mediazione delegata dal giudice; nell’allargamento della negoziazione assistita familiare alle coppie non coniugate e nell’ampliamento delle questioni che possono essere oggetto di negoziazione assistita, sottoposte alla valutazione del ceto forense in luogo di quella dell’organo giurisdizionale; in un più forte richiamo all’utilizzo della mediazione familiare, che entra per così dire anche nei tribunali, con la previsione della istituzione di appositi elenchi di mediatori familiari iscritti presso le associazioni di settore, dotati di adeguata formazione e specifiche competenze nella disciplina giuridica della famiglia, in materia di tutela dei minori e di violenza contro le donne e domestica.

Inoltre si assiste al riconoscimento della figura del Coordinatore Genitoriale, professionista dotato di specifiche competenze, in grado di coadiuvare il giudice per determinati interventi sul nucleo familiare, per superare conflitti e gestire le relazioni fra le parti con i minori.

Il comma 20 lettera ee) recita: “che sia prevista la facoltà per il giudice, anche relatore, su richiesta concorde di entrambe le parti, di nominare un professionista, scelto tra quelli iscritti nell’albo dei CTU, ovvero anche al di fuori dell’albo in presenza di concorde richiesta delle parti, dotato di specifiche competenze in grado di coadiuvare il giudice per determinati interventi sul nucleo familiare, per superare conflitti tra le parti e per fornire ausilio per i minori e per la ripresa o il miglioramento delle relazioni genitori figli”.

Questa nuova figura professionale è da ricondursi senz’altro a quella del Parenting Coordinator (Coordinatore Genitoriale), alla quale pertanto il legislatore sembra voler attribuire formale riconoscimento.

In precedenza, con il disegno di legge S.735 del 2018, Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità, noto per il nome del proponente e primo firmatario, Senatore Pillon, si era tentato di regolamentare ed istituire la figura del coordinatore genitoriale, oltre a quella del mediatore familiare.

Si è assistito sinora ad un dibattito circa l’inquadramento della figura del coordinatore, vale a dire se sia da considerare una risorsa stragiudiziale, da ricondurre nell’alveo delle procedure alternative al contenzioso giudiziario, secondo l’acronimo ADR, ovvero quale ausiliario dell’Autorità Giudiziaria, pure in considerazione dei precedenti giurisprudenziali italiani.

Il legislatore della riforma sembra indirizzato verso la seconda soluzione, quale strumento utile alla deflazione del contenzioso giudiziario in ambito familiare, soprattutto nel suo aspetto più deficitario, quello relativo all’attuazione dei provvedimenti, notoriamente foriera di molte inefficienze, come del resto attestano le numerose condanne dell’Italia da parte della CEDU.

In Italia la soluzione prevalente per molto tempo è stata l’invio della coppia genitoriale disfunzionale al servizio sociale, seppur con scarsi benefici.

La coordinazione viene intesa come uno strumento volto a facilitare:

– la risoluzione delle dispute tra genitori altamente conflittuali43, i quali non possano essere trattati attraverso lo strumento della mediazione familiare;

– a ridurre l’eccessivo ricorso ad azioni giudiziarie;

– a guidare le parti a negoziare ed accordarsi sul tempo da trascorrere e condividere con i figli, con conseguente riduzione degli effetti dannosi che il conflitto genitoriale provoca sul benessere psicofisico dei figli44.

La soluzione ottimale, da più parti suggerita45, resta comunque quella del riconoscimento formale ed inquadramento professionale, attraverso una normativa specifica, di entrambe le figure del mediatore familiare e del coordinatore genitoriale.

Si fa strada fra gli addetti ai lavori la consapevolezza che, affinché le alternative al contenzioso giudiziario possano assurgere al ruolo di opzioni alternative diffuse, vale a dire siano oggetto di convinta preferenza da parte degli utenti del servizio giustizia, serve una risposta giudiziaria univoca, spedita, prevedibile, perché solo a fronte di questi caratteri chi ha oggi interesse a dilatare i tempi, a giocarsi l’incertezza degli orientamenti giurisprudenziali, potrà arrendersi all’idea che non conviene e optare per le alternative disponibili.

Quanto alla negoziazione assistita, si tratta di strumento che ha dato miglior prova in particolare proprio nell’ambito delle crisi familiari. I dati statistici attestano infatti una netta prevalenza della materia familiare negli accordi raggiunti con procedura di negoziazione assistita da avvocati.

La riforma pone rimedio ad una serie di incomprensibili limiti ed esclusioni: la negoziazione sarà pertanto applicabile anche alle questioni afferenti l’affido dei figli di coppie di genitori non coniugati; ingiustamente sinora tagliate fuori da questa soluzione extraprocessuale; inoltre amplia l’ambito di intervento anche alle questioni afferenti i figli maggiorenni economicamente non autosufficienti, a quelle relative al diritto agli alimenti, nonché alla valutazione, prima di esclusiva competenza del tribunale, circa l’an ed il quantum della soluzione una tantum di cui all’art. 5, comma 8 L. 898/70.

Anche per le procedure di mediazione e negoziazione assistita si apre alla esperibilità per via telematica, vale a dire alla possibilità che gli incontri negoziali si tengano da remoto, come del resto il periodo di lockdown e la legislazione emergenziale determinati dalla pandemia ci ha costretti a sperimentare.

Altri criteri di semplificazione della procedura di negoziazione assistita, probabilmente adottati allo scopo di vincere ancora una certa diffusa ritrosia all’utilizzo dello strumento da parte dell’avvocatura, riguardano la possibilità che sia utilizzato un modello di convenzione elaborato dal Consiglio Nazionale Forense.

Si apre anche alla possibilità di esperire attività di acquisizione delle prove di tipo stragiudiziale nell’ambito delle procedure di negoziazione assistita, consistenti in assunzione di dichiarazioni di soggetti terzi, ovvero nell’invitare la controparte a rendere dichiarazioni di carattere confessorio per iscritto.

Sempre nell’ambito di queste inedite attività definite “di istruzione stragiudiziale”, si introducono salvaguardie dirette ad assicurare modalità garantite nella verbalizzazione, sanzio-ni penali in caso di dichiarazioni false, l’utilizzabilità delle prove raccolte anche nell’eventuale successivo giudizio, sanzioni disciplinari per l’avvocato che dovesse macchiarsi di abusi nel compimento delle attività di acquisizione probatoria.

A dire il vero analoghi tentativi già in passato promossi di promozione dello svolgimento di attività istruttorie demandate all’attività dei legali delle parti non erano stati in grado di modificare le prassi e di incidere sul carico di lavoro dei tribunali. Si consideri l’innovazione della testimonianza scritta introdotta con l’art. 257-bis la quale non ha avuto alcuna fortuna.

Fra gli scopi espressi dal legislatore della legge di riforma c’è anche la valorizzazione ed incentivazione della mediazione demandata dal Giudice di cui all’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 28/2010 attraverso la collaborazione con:

– gli uffici giudiziari,

– le università,

– l’avvocatura,

– gli organismi di mediazione,

– gli enti e le associazioni professionali e di categoria sul territorio.

Il legislatore dichiara di voler assicurare la formazione degli operatori, il monitoraggio delle esperienze e la tracciabilità dei provvedimenti giudiziali che demandano le parti alla mediazione., anche attraverso:

– l’istituzione di percorsi di formazione in mediazione per i magistrati;

– la valorizzazione dei contenziosi definiti a seguito di mediazione o comunque mediante accordi conciliativi;

Trattasi – si legge – di parametri che giocheranno un ruolo fondamentale anche ai fini della valutazione della carriera dei magistrati.

La Corte EDU ha ricordato in più occasioni46 che è dovere dello Stato mettere in campo una serie di misure idonee a garantire il diritto di visita e a proteggere al tempo stesso il minore, e che sono appropriate allo scopo, oltre all’imposizione di sanzioni, il ricorso alla mediazione o comunque a strumenti atti a facilitare la collaborazione delle parti.



9. Riconosciuta la posizione processuale del minore



Sono introdotte ed ampliate ipotesi tipizzate di nomina del curatore speciale del minore.

Certo si sarebbe potuto pervenire ad un riconoscimento più esplicito della figura del difensore del minore, come del resto evocato dalla più attenta dottrina47; ma rinvenibile anche grazie ad altre sollecitazioni: le Linee guida per una giustizia a misura di minore, adottate dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 17 novembre 2010, al punto 37 affermano che “I minori dovrebbero avere il diritto di essere rappresentati da un avvocato in nome proprio, nei procedimenti in cui vi è, o vi potrebbe essere, un conflitto di interessi tra il minore e i genitori o altre parti coinvolte”.

La legge in materia di adozione di minori, 4 maggio 1983

n. 184, come modificata dalla legge 149 del 2001, aveva adottato la seguente esplicita dicitura (art. 8, IV comma): “Il procedimento di adottabilità deve svolgersi fin dall’inizio con l’assistenza legale del minore e dei genitori o degli altri parenti, di cui al comma 2 dell’articolo 10”.

Quella del curatore speciale del minore è di fatto la figura dell’avvocato del minore, peraltro riconosciuta in altre esperienze giuridiche quale quella d’oltralpe, nella quale il sistema di diritto francese attribuisce al minore la speciale capacità di nominare validamente il proprio avvocato48.

Una novità che spicca come innovazione assoluta, da apprezzare, è rappresentata anzitutto dalla possibilità di nomina di un curatore speciale per il minore su richiesta del diretto interessato che abbia raggiunto i quattordici anni.

Si tratta finalmente, seppure a distanza di oltre trent’anni, della concreta realizzazione degli auspici contenuti nelle Convenzioni, a partire da quella di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 (ratificata dall’Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176), nonché la Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo in data 25 gennaio 1996 (ratificata dall’Italia con la legge 20 marzo 2003, n. 77) che hanno messo in rilievo come il minore è titolare di diritti e interessi suoi propri, distinti da quelli del nucleo familiare cui appartiene, che deve essere ammesso ad esercitare personalmente, nella misura in cui lo consente la sua capacità di discernimento, anche per mezzo dell’ascolto, che costituisce un diritto del fanciullo (art. 12 Convenzione New York); per la stessa ragione deve essere ammesso a partecipare anche al processo, sia pure con le cautele rese necessarie dalla sua minore età.

Alla nomina si perviene non soltanto nelle procedure di

adozione, ma tutte le volte in cui il Pubblico Ministero o uno dei genitori abbia chiesto la decadenza della responsabilità genitoriale di uno o di entrambi i genitori.

Altro caso che viene introdotto come codificato è quello in cui viene adottato un provvedimento ex art. 403 c.c., ovvero un provvedimento di affidamento del minore ai sensi degli artt. 2 e segg. della legge sulle adozioni 184/1983.

Assai condivisibile anche l’altra ipotesi di ampliamento dei casi di possibile nomina di un curatore speciale per il minore, in specie quelli nei quali si verifica una grave e pregiudizievole conflittualità tra i genitori, tale da precluderne l’adeguata rappresentanza e comportare conseguenze sul minore sino al punto da minare il suo sviluppo psicofisico e, in alcuni casi più gravi, anche la salute; situazioni che, benché parimenti pregiudizievoli per l’equilibrata crescita di un soggetto di minore età, tuttavia non siano tali da sfociarenecessariamente nell’avvio di un procedimento sulla responsabilità genitoriale (artt. 330-333 c.c.).

C’è infine una clausola finale che fa salva la possibilità per il giudice di dar corso alla nomina del curatore ogni qual volta i genitori appaiano, per gravi ragioni, temporaneamente inadeguati a rappresentare gli interessi del minore.

In questi casi il giudice è chiamato a verificare in concreto l’esistenza, anche solo potenziale, di una situazione d’incompatibilità tra gli interessi del rappresentante e quello del rappresentato e la figura del curatore speciale dei minori si rende necessaria allorché i genitori si rivelino, anche solo temporaneamente, inadeguati a proteggere il figlio dal conflitto fra loro acceso.

Se poi guardiamo al dato esperienziale constatiamo che, al di là dei provvedimenti giudiziari emessi dall’autorità giudiziaria, il genitore che non intenda ottemperare alle prescrizioni date dall’Autorità Giudiziaria, riesce di fatto a boicottare il piano genitoriale, a neutralizzare gli effetti delle misure assunte, con un sostanziale fallimento dell’intervento autoritativo.

Al curatore il legislatore prevede possano essere affidati, oltre ai poteri processuali, anche specifiche funzioni sostanziali.

Forse qui varebbe la pena valutare se non sia il caso di affidare già normativamente al curatore tutta una serie predeterminata di facoltà e poteri, che gli consentano una rappresentanza piena e una ben definita assunzione di responsabilità, al pari delle figure affini del tutore e dell’amministratore di sostegno.



10. Stop agli interventi amministrativi senza garanzie ex art. 403 c.c.



La riforma interviene su una norma che era rimasta incredibilmente immutata sino ad oggi, quella dell’art. 403 c.c., che consente l’allontanamento del minore dalla propria famiglia, ponendo rimedio ad un macroscopico vulnus alle garanzie di controllo giurisdizionale dell’intervento degli organi dell’amministrazione nella vita privata e familiare del cittadino.

Il dispositivo dell’art. 403 c.c. prevede che quando il minore sia moralmente o materialmente abbandonato o sia allevato in locali insalubri e pericolosi, oppure da persone che possano recare allo stesso un pregiudizio, la pubblica autorità può collocarlo in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione.

A promuovere siffatte iniziative sono generalmente i servizi socioassistenziali.

La mancanza di garanzie procedurali ha determinato sino ad oggi prassi assai diversificate, nient’affatto giustificabili, quando non veri e propri abusi49.

La proposta, in attesa del riordino e dei riti e ordinamentale, si rende opportuna proprio al fine di garantire uniformità e regole procedimentali alle prassi applicative sul territorio.

Poiché la misura prevista dall’art. 403 c.c. incide pesantemente su diritti di rango costituzionale, non solo del minore, ma anche dei genitori, si dispone affinché essa sia sottoposta nei tempi più stretti al vaglio dell’autorità giudiziaria.

Ciò a valere non solo nei casi di allontanamento disposto nei confronti di entrambi i genitori, ma anche allorché l’allontanamento sia deciso nei confronti di uno solo dei genitori, quando ad esempio il figlio, unitamente all’altro genitore, sia inserito in una comunità rifugio.

Il meccanismo prevede due fasi: l’autorità amministrativa deve dare immediato avviso orale al Pubblico Ministero presso il Tribunale per i Minorenni, ed entro le ventiquattrore successive deve trasmettere il provvedimento, corredato di tutta la documentazione utile, nonché sintetica relazione descrittiva dei motivi dell’intervento. Ove l’autorità requirente ritenga palesemente insussistenti i presupposti per l’adozione del provvedimento ex art. 403 c.c., provvederà, entro le successive settantadue ore, a revocare il collocamento del minore nella struttura nella quale sia stato nel frattempo inserito. Diversamente il Pubblico Ministero dovrà sottoporre il provvedimento al Tribunale minorile per la sua convalida. Questo esame da parte del Tribunale sarà necessariamente sommario e fondato su accertamenti d’ufficio e andrà effettuato entro le successive quarantotto ore, ma a questa ulteriore fase dovrà seguire una fase giurisdizionale a contraddittorio pieno.

Il tutto, come si vede, sarà disciplinato sulla base di rigide scansioni temporali: il Tribunale, assunte informazioni e svolti gli accertamenti ritenuti necessari, dovrà emettere un decreto con il quale convalida o meno e nel primo caso fissa entro quindici giorni l’udienza nel contraddittorio delle parti, alle quali il decreto va notificato entro quarantotto ore. A seguito dell’udienza dispone di altri quindici giorni per l’emissione del provvedimento.

I valori in campo, di rango costituzionale, sono presidiati dalla possibilità del reclamo in appello e dalla previsione di cessazione di ogni effetto del provvedimento, ove i rigorosi termini indicati non siano rispettati.

Viene opportunamente precisato che il collocamento del minore in comunità di tipo familiare è ipotesi residuale da applicare come extrema ratio, in ragione dell’accertata impossibilità di adottare soluzioni alternative; in tal caso si applicano le norme in tema di affidamento familiare.

Con il decreto il Tribunale provvede altresì alla nomina del curatore speciale al minore.



NOTE

1 Significative le parole di un magistrato minorile, C.M. LENDARO in proposito: “È centrale, all’evidenza, la modifica ordinamentale e l’istituzione del c.d. Tribunale della Famiglia, una riforma epocale che attendevo da 20 anni se non di più, sin dagli anni ’90; una riforma che era attesa da tanti giudici della famiglia e minorili. Un sogno che si realizza, ma anche un momento di civiltà frutto di un lungo cammino evolutivo che segue quello della società italiana, così profondamente mutata negli anni”, in Giudicedonna.it, 2021, 2.

2 Composta, oltre al Presidente Francesco Paolo Luiso, già Ordinario di Diritto processuale civile presso l’Università degli studi di Pisa, dal Vice Presidente Filippo Danovi, Vice capo dell’Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia, nonché da: Paolo Biavati, Ordinario di Diritto processuale civile presso l’Università degli Studi di Bologna; Antonio Carratta, Ordinario di Diritto processuale civile presso l’Università degli Studi Roma Tre; Sebastiana Ciardo, Consigliere presso la Corte d’Appello di Palermo; Alberto Giusti, Consigliere presso la Corte di Cassazione; Paola Lucarelli, Ordinario di Diritto commerciale presso l’Università degli Studi di Firenze; Guido Romano, Giudice della Sezione Specializzata in materia di imprese presso il Tribunale di Roma; Carmelo Sgroi, Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione; Monica Velletti, Presidente di Sezione del Tribunale di Terni.

3 C. MAGGIA, Ancora una volta i tribunali per i minorenni messi al margine della giurisdizione, in Questione Giustizia, 20 settembre 2021 (visitato il 22 novembre 2021I.

4 M.G. RUO, Proposta di riforma del processo in area famiglia, relazioni familiari e minorenni: un passo avanti condivisibile in the long, long way to il giusto processo minorile, in Giustiziainsieme.it.

5 La stessa relazione finale della Commissione presieduta dal Prof. Luiso fa riferimento alla frammentazione dei riti che comporta disparità di trattamento per vicende sovrapponibili.

6 Di “situazione caotica” ha parlato la relazione di accompagnamento della Commissione Luiso.

7 M.G. RUO, Area persona, relazioni familiari e minorenni: la riforma Cartabia risponde alle necessità di tutela effettiva, in Giustiziainsieme, 19 novembre 2021.

8 Tra le altre sentenze CEDU: 2 novembre 2010 Piazzi c. Italia; 29 gennaio 2013, Lombardo c. Italia; 17 dicembre 2013 Santilli c. Italia; 15 settembre 2016 Giorgioni c. Italia.

9 C. CECChELLA, Altro che pericolosa: questa riforma sui minori è una svolta epocale, in IlDubbio, 20 ottobre 2021.

10 C. CECChELLA, Diritto e processo nelle controversie familiari e minorili, Bologna, 2018, 142; A. PROTO PISANI, Usi e abusi sella procedura camerale ex artt. 737 ss. c.p.c., in Riv. dir. civ., 1990, I, 393.

11 In Foro it., 1996, I, 1, c. 3072, con nota di CIVININI.

12 Cfr. A. SIMEONE, Reclamo contro le ordinanze presidenziali e le ordinanze del G.I., in IlFamiliarista, 25 marzo 2015; Cass. civ. sez. VI, 4 luglio 2014, n. 15416, in Giustiziacivile.com, 2015, 14 maggio, con nota di C. SOSCIA; nella fattispecie la Corte d’Appello di Genova aveva sollevato avanti alla Corte di Cassazione regolamento di competenza d’ufficio in ordine all’individuazione del giudice competente a decidere sull’impugnativa dei provvedimenti del giudice istruttore di modifica/revoca dei provvedimenti presidenziali nel procedimento di separazione personale dei coniugi, ai sensi dell’art. 709, comma 4, c.p.c. La Corte ha dichiarato non impugnabili i provvedimenti emessi dal G.I.

13 Qui la previsione ha risentito delle prassi invalse presso alcune sedi giudiziarie: in particolare presso il Tribunale di Roma e di Monza, in E. FALLETTI, La necessità della disclosure nei procedimenti di separazione e divorzio, in Altalex, 8 ottobre 2018; ma si veda anche le Linee guida nella redazione degli atti in materia



di diritto di famiglia, sottoscritte dai presidenti della Corte d’Appello di Milano, del Tribunale di Milano, del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano e dell’Osservatorio della Giustizia civile di Milano il 21 marzo 2019.

14 A. SIMEONE, L’assegnazione del processo di divorzio al giudice della separazione. Verso il divorzio diretto per creazione giurisprudenziale?, in IlFamilirista, 6 settembre 2016.

15 E. ITALIA, Rito unificato per persone, minorenni, famiglie: opportunità o crisi del sistema?, in giudicedonna.it, 2021, 2.

16 Si è parlato di procedimento “dotato di una sua autonomia e peculiarità” (Cass., 16 novembre 2007, n. 23743). Dunque il procedimento di amministrazione rappresenta un modello autonomo con proprie specificità, pur tuttavia sempre riconducibile alla volontaria giurisdizione, anche se non si tratta di un procedimento camerale in senso proprio.

17 È tuttora all’esame del Parlamento il d.d.l. S1972 del 8 ottobre 2020 di Abrogazione dell’interdizione e dell’inabilitazione e rafforzamento dell’amministrazione di sostegno.

18 Con la riscrittura dell’art. 38 disp. att. c.c. ad opera dell’art. 3 legge 10 dicembre 2012, n. 219, il legislatore ha inteso che se un giudizio di separazione è in corso al momento della proposizione della domanda diretta all’adozione di un provvedimento de potestate si verifica l’effettivo attrattivo della competenza, in favore del giudice davanti al quale è in corso il giudizio di separazione.

19 Commissione per l’elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile e di strumento alternativi. Proposte normative e note illustrative, 24 maggio 2021, 113.

20 “L’infelice formulazione dell’art. 38 disp. att. aveva spezzato in due l’istituto, attribuendo al giudice specializzato la competenza sulle decisioni di decadenza, mentre altri tipi di limitazioni potevano essere trattate dal giudice ordinario” (G. VASSALLO, Riforma del processo: il tribunale unico per la famiglia e le persone, in Altalex, 30 settembre 2021).

21 Cass. civ. sez. VI, 12 febbraio 2015, n. 2833, nota di L.M. COSMAI, Art. 38 disp. att. c.c.: resta la competenza del Tribunale per i Minorenni se è adito per primo, in IlFamiliarista, 27 maggio 2015.

22 Anche la recente pronuncia di Cass. 11 febbraio 2021 n. 3490 ribadisce il “principio di diritto secondo cui, se è in corso, un giudizio di separazione (o divorzio o ex art. 316 c.c.), al momento della proposizione della domanda diretta all’adozione di un provvedimento de potestate (ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c.), si verifica l’effetto attrattivo della competenza in favore del giudice davanti al quale è in corso siffatto giudizio, il tutto nell’ottica, voluta dal legislatore del 2012, di concentrazione delle tutele in capo ad uno stesso giudice per le questioni attinenti al rapporto genitori-figli minori, così garantendosi l’armonia tra le decisioni e scongiurando il rischio di una loro frammentazione fonte di possibili contrasti”, in Diritto & Giustizia 2021, 12 febbraio, con nota di S. MENDICINO.

23 Il procedimento relativo all’affidamento dei figli, promosso ex art. 337-ter

c.c. da uno dei genitori, è di competenza del tribunale ordinario anche nel caso in cui il p.m. minorile abbia precedentemente instaurato un procedimento ex art. 333 c.c. avanti al tribunale per i minorenni. Cass. civ. sez. VI, 29 luglio 2015,

n. 15971, in GiustiziaCivile.com, 2016, 12 aprile.

24 Si consideri quanto occorso in occasione della proroga di ben sette anni all’entrata in vigore della legge 28 marzo 2001, n. 149 che aveva apportato modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”; al fatto che l’art. 37 nella sua formulazione originaria prevedeva al comma III la modifica dell’art. 336 con il seguente testo: “Per i provvedimenti di cui ai commi precedenti, i genitori e il minore sono assistiti da un difensore, [anche a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge]”, ma quest’ultima previsione è stata poi abrogata dall’art. 299 del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 sulle spese di giustizia.

25 Cfr. C.M. LENDARO, op. cit., 12, che a questo proposito scrive: “Ritengo quanto alla ‘collegialità’, che sia certamente importante e che possa essere ulteriormente implementata nell’articolato, ma osservo al contempo che non può essere sottaciuto che attualmente in primo grado la maggior parte delle decisioni vengano assunte da singolo giudice e (giuste o sbagliate che siano…) che esse permangono per lungo tempo ‘senza possibilità di controllo’, sino a quando il medesimo non ne riferisce al collegio al termine dell’istruttoria”. L’impossibilità di un giudizio collegiale è riconosciuta anche dalla dott.ssa Ienzi, Presidente del Tribunale di Roma, al Convegno organizzato il 26ottobre 2021 dall’Ordine degli Avvocati di Roma dal titolo La riforma del processo di famiglia in discussione alla camera, visibile sul canale Youtube del COA Roma.

26 Cfr. l’esperienza del c.d. rito partecipativo attuato presso il Tribunale di Milano.

27 Comma 13 lettera a) ridurre i casi in cui il tribunale provvede in composizione collegiale, limitandoli alle ipotesi in cui è previsto l’intervento del pubblico ministero

28 Il dott. Riccardo Greco, Presidente del Tribunale per i Minorenni di Bari, l’ha definita “giurisdizione a geometria aperta o variabile” in occasione del convegno del 10 dicembre 2021 organizzato dalla sezione di Trani dell’Osservatorio, dal titolo “Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende”, registrazione pubblicata nella sezione e-learning del sito www.osservatoriofamiglia.it.

29 Nel corso dell’audizione alla Commissione giustizia della Camera, in S. OCChIPINTI, Geografia giudiziaria: specializzazione e prossimità alle persone si incontrano nel tribunale unico per la famiglia, in Altalex, 8 novembre 2021.

30 Cfr. M. MONEGAT, Nel diritto di famiglia servono più avvocati e magistrati specializzati, in IlDubbio, 14 luglio 2021.

31 La prima versione dell’emendamento così recitava: “prevedere, anche alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimità, la possibilità per il giudice di far riferimento solo a disturbi del comportamento rilevanti ai fini della decisione

sull’affido condiviso riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale”.

32 L’alienazione parentale è un fenomeno psicoforense che rappresenta un fattore di rischio per l’instaurarsi di problematiche affettivo-relazionali nel figlio triangolato nel conflitto di coppia. Esso non va considerato come una vera e propria “sindrome”, ma un problema relazionale che si verifica allorché le dinamiche conflittuali della coppia genitoriale condizionano il figlio tanto da provocare una sorta di scissione interna tra due opposte rappresentazioni dei genitori: da un lato quella positiva del genitore percepito più forte e risoluto nella disputa per l’affidamento; dall’altro quella negativa dell’altro genitore considerato più debole e meno capace di affrontare il conflitto, apparendo agli occhi del minore come meno significativo. G.B. CAMERINI, M. PINGITORE, Alienazione parentale: ostacolo alla bigenitorialità, in IlFamiliarista, 29 aprile 2016.

33 In www.FondazioneGulotta.org./documenti (ultima visita, 3 ottobre 2021).

34 Si tratta degli standard, piuttosto rigorosi, enunciati dalla Corte Suprema statunitense nel caso appunto Daubert nel 1993

35 Non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, così che, all’esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l’interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto o elevato grado di credibilità razionale” o “probabilità logica”, Cass. pen., Sez. Unite, 10 luglio 2002, n. 30328 in Foro It., 2002 nota di DI GIOVINE.

36 Cass. pen. sez. IV, 13 dicembre 2010, n. 43786 in Diritto penale e processo

11/2011, 1341, con nota di TONINI.

37 Per quanto concerne il Lazio e l’Ordine degli Psicologi si tratta della delibera n. 251 del 2011.

38 Modifica all’emendamento 15.0.8

39 In particolare la pronuncia della Cass., sez. I civ., ordinanza 6 marzo 2020,

n. 6471 in contrapposizione con la giurisprudenza di merito e tra questa ad es. Tribunale di Bari, ordinanza 10 febbraio 2020, in www.osservatoriofamiglia.it; sul punto S.U. DE SIMONE, Art. 614-bis c.p.c. e diritto-dovere di visita del genitore non collocatario alla luce dei recenti sviluppi giurisprudenziali, in Osservatorio sul dir. famiglia, 2020, 3, 29; sia consentito il richiamo a C. FOSSATI, Le misure ex artt. 709-ter e 614-bis c.p.c., la loro funzione preventiva diretta a dissuadere comportamenti che ostacolano l’esercizio da parte del figlio del suo diritto alla vita privata e familiare, in Osservatorio sul dir. famiglia, 2020, 1, 87.

40 Pubblicata anche in www.osservatoriofamiglia.it, urly.it/3gsmh.

41 Queste modifiche fanno parte di una serie di emendamenti presentati dalla senatrice PD Valeria Valente, nonché di altre modifiche presentate dal Senatore della Lega Simone Pillon..

42 Dal nome del Ministro della Giustizia del Governo Conte.

43 D.K. CARTER, traduzione di S. MAzzONI, Coordinazione genitoriale. Una guida pratica per i professionisti del diritto di famiglia, Milano, 2014, 272.

44 PICCINELLI, in La coordinazione genitoriale nella definizione delle Linee guida internazionali, in IlFamiliarista, 22 gennaio 2008, ricorda che “Negli USA, in alcuni Stati, lo strumento della coordinazione genitoriale è normato da leggi che possono prevederne l’obbligatorietà al verificarsi di determinate condizioni, quali la sussistenza dell’elevata conflittualità parentale e la motivazione del superiore interesse del minore”.

45 M. FIORENDI, C. VENDRAMINI, La mediazione familiare nel nuovo processo civile: una lettura critica della riforma, in IlFamiliarista, Focus del 10 gennaio 2022.

46 CEDU, 2 novembre 2010 Piazzi c. Italia; CEDU 29 gennaio 2013, Lombardo c. Italia; CEDU 17 dicembre 2013 Santilli c. Italia; CEDU, 15 settembre 2016 Giorgioni c. Italia.

47 Imprescindibile il riferimento a G. DOSI, L’avvocato del minore, Torino, 2010.

48 Art. 338-7 c.p.c.: Si le mineur demande à être entendu avec un avocat et s’il ne choisit pas lui-même celui-ci, le juge requiert, par tout moyen, la désignation d’un avocat par le bâtonnier.

49 In un caso di allontanamento di una bambina, attuato su impulso dei servizi sociali con provvedimento del Sindaco ai sensi dell’art. 403 c.c., per presunti abusi attribuiti al padre da una maestra d’asilo, il Comune è stato ritenuto responsabile e condannato al risarcimento del danno per l’improntitudine del personale addetto ai suoi servizi sociali, il quale non aveva saputo esercitare alcun vaglio critico sulle dichiarazioni e convinzioni espresse dalla maestra e inoltre ha ritenuto di poter svolgere un’istruttoria del tutto irrituale ed estranea ai poteri esercitabili da un’amministrazione pubblica. Corte di Cassazione, 16 ottobre 2015 n. 20928, in Responsabilità Civile e Previdenza, 2016, 1, 297.