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Onere probatorio e diritto alla riservatezza delle parti e del terzo: ricerca della verità e violazione della privacy

autore: M. Labriola

SOMMARIO: 1. Il diritto alla riservatezza. - 2. La consulenza tecnica e il trattamento dei dati. - 3. Classificazione delle prove. - 4. L’uso e la liceità delle prove nel diritto di famiglia.



1. Il diritto alla riservatezza



Il diritto alla riservatezza, e tutto ciò che ne consegue, è da annoverarsi tra i diritti fondamentali della persona.

Tra le maglie della Costituzione, ancorché non vi sia un esplicito riferimento alla privacy, dalla lettura degli artt. 14 e 15, emergono alcuni suggerimenti: l’inviolabilità del domicilio, l’inviolabilità della corrispondenza, e, non ultima, l’inviolabilità dell’immagine1.

Nello svolgimento dell’attività probatoria, all’interno del processo civile, la violazione del domicilio per carpire dati sensibili attraverso intercettazioni o la sottrazione di documenti quali prove utili alle proprie ragioni di diritto, come si vedrà in seguito, può anche non integrare l’ipotesi di una lesione della libertà altrui. Di contro, il produrre, nei casi di addebitabilità della separazione, le immagini di terzi in giudizio, può comportare la dichiarazione di inammissibilità della prova da parte del giudice, ma con alcune possibili attenuazioni dovute alle ragioni della difesa.

Solo di recente si è giunti ad una normativa codificata sulla tutela della privacy nella vita personale e privata; il legislatore ha preso le mosse dalla disciplina, che non era più rinviabile, del “trattamento dei dati personali”2. Col tempo, l’evoluzione tecnologica ha reso stringente la necessità di individuare nuovi criteri di controllo.

Il principio generale è che, per legge, chi detiene i dati personali altrui, c.d. titolare dei trattamenti, ha il divieto di diffondere alcuna notizia, in assenza di consenso.

Talune ipotesi di deroga all’obbligo del consenso erano previste, all’interno del primo sistema legislativo del 1996 sulla raccolta dei dati, nell’art. 123 che, nel disciplinare i casi di esclusione di autorizzazione, aveva stabilito che il diritto alla riservatezza ed anche quello all’oblio potessero essere recessivi rispetto a quelli necessari per far valere un diritto in sede giudiziaria.

Successivamente, nel 2003, è entrato in vigore il d.lgs. n. 1964 (cod. Privacy), che si è poi adeguato al Regolamento (UE) n. 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che ha abrogato la Direttiva 95/46/CE.

L’art. 1 del codice su menzionato fonda la sua ratio su principî costituzionali quali il rispetto della dignità umana, dei diritti e delle libertà fondamentali.

Inoltre, attraverso la disposizione di cui all’art. 167 si è disciplinato, analiticamente, il trattamento illecito di dati personali5 e le sanzioni previste sono molto gravi e, nell’attività di verifica della lesione prodotta, viene investita la figura del Garante della Privacy.

La sanzione in sede penale è in primo luogo funzionale al contenimento della violazione della riservatezza, coerentemente, in sede civile l’utilizzabilità dei dati trova il suo limite nel diritto al risarcimento del danno per la lesione subita dalla diffusione.

Per quel che riguarda la normativa sull’utilizzabilità o meno dei dati personali acquisiti in modo illecito all’interno dei pro-cedimenti giudiziari, l’art. 2-decies prevede un’eccezione e, con il richiamo all’art. 160-bis, rinvia la efficacia, la validità ed utilizzabilità degli atti, documenti e provvedimenti alle “pertinenti disposizioni giudiziali”, quindi alla valutazione del Giudice6.

Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite7 secondo cui non viola la normativa sulla tutela dei dati personali il difensore di una delle parti di un giudizio civile che, nel rispetto delle norme del codice di rito e in conformità alle indicazioni del giudice istruttore, abbia notificato a diversi destinatari l’ordine di esibizione di documenti e alcuni verbali d’udienza, che contengano dati personali, anche sensibili, della controparte. Nel senso che la titolarità del trattamento spetta all’autorità giudiziaria e, in tale sede, “vanno composte le diverse esigenze, rispettivamente, di tutela della riservatezza e di corretta esecuzione del processo, per cui, se non coincidenti, è il codice di rito a regolare le modalità di svolgimento in giudizio del diritto di difesa e dunque, con le sue forme, a prevalere in quanto contenente disposizioni speciali e, benché anteriori, non suscettibili di alcuna integrazione su quelle del predetto codice della privacy”.

A seguito dell’abrogazione dell’art. 15 cod. privacy, operata con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 101/20188, l’art. 82 del Regolamento U.E., sulla protezione dei dati personali9, risulta essere l’unica norma che regola la responsabilità civile in tale materia. Viene, quindi, dissipato qualsiasi dubbio circa il coordinamento tra norma interna e norma europea, in particolare si rimanda alla disciplina di cui agli artt. 1710 e 1811 del d.lgs. 2016 n. 679.

La giurisprudenza più recente ha affermato come la produzione in giudizio di documenti contenenti dati personali sia sempre consentita “ove necessaria per esercitare il proprio diritto di difesa, anche in assenza del consenso del titolare e quali che siano le modalità con cui è stata acquisita la loro conoscenza. La facoltà di difendersi in giudizio utilizzando gli altrui dati personali va tuttavia esercitata nel rispetto dei doveri di correttezza, pertinenza e non eccedenza previsti dall’art. 9, lettere a) e d) della legge n. 675 del 1996, sicché la legittimità della produzione va valutata in base al bilanciamento tra il contenuto del dato utilizzato, cui va correlato il grado di riservatezza, e le esigenze di difesa”12.

Inoltre, in via interpretativa è emerso come la diffusione di dati personali in sede giudiziaria sia da considerarsi lecita, anche senza il consenso dell’interessato, purché finalizzata alla difesa tecnico-giuridica, essendo illecita, viceversa, ove diretta a screditare, agli occhi del giudice di appello, il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata13.

In argomento, in ragione della tutela del diritto di conoscere le proprie origini, un provvedimento di merito ha sancito il principio per cui “qualora il soggetto nato da parto anonimo che desideri conoscere le proprie origini si avvalga dell’istituto dell’interpello ed emerga il dato per cui la madre sia defunta, non sarà possibile procedere alla divulgazione dei dati materni nel caso in cui si accerti che la de cuius aveva avuto altri figli durante la sua vita. Il diritto a conoscere le proprie origini necessita di essere bilanciato con il (qui preminente) diritto alla tutela della vita privata e familiare ex art. 8 CEDU: ne discende, pertanto, che la richiesta di rivelazione dei dati materni al nato da parto anonimo non può essere accolta in quanto non potrebbe che avvenire con modalità atte a ledere l’equilibrio psico emotivo degli altri figli, verosimilmente all’oscuro dell’esistenza di altri fratelli”14 .

Sul tema si segnala l’art. 24, lett. f, del codice della privacy che consente di prescindere dal consenso della parte interessata per il trattamento di dati personali, “quando quest’ultimo sia necessario per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, a condizione che i dati siano trattati esclusivamente per tale finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento; e ciò che rileva, ai fini della esimente del diritto di difesa, non è la concreta idoneità della documentazione prodotta in giudizio a provare la tesi difensiva (valutazione che compete al giudice della causa stessa), bensì la sua oggettiva inerenza a tale specifica difesa”15 ed inoltre, “il necessario requisito del nocumento richiesto per la configurazione del reato dall’art. 167 d.lgs. 196/2003 non può ritenersi sussistente, in caso di produzione in giudizio civile di documenti contenenti dati personali, ancorché effettuata al di fuori dei limiti consentiti per il corretto esercizio del diritto di difesa, in assenza di elementi fattuali oggettivamente indicativi di una effettiva lesione dell’interesse protetto, trattandosi di informazioni la cui cognizione è normalmente riservata e circoscritta ai soli soggetti professionalmente coinvolti nella vicenda processuale, sui quali incombe un obbligo di riservatezza”16.

Inoltre, non si viola la normativa sulla tutela dei dati personali qualora un avvocato, all’interno di un giudizio civile, “nel rispetto delle norme del codice di rito e in conformità alle indicazioni del giudice istruttore”, notifichi l’ordine di esibizione di documenti e alcuni verbali. Sul punto si sottolinea come il d.lgs. n. 196 del 2003, (codice privacy) stabilisce: “a) che è escluso il diritto di opposizione al trattamento dei dati da parte dell’interessato previsto dall’art. 7, quando il trattamento avvenga per l’esercizio del diritto in sede giudiziaria (art. 8, comma 2 lett. e); b) che il trattamento di dati personali non presuppone il consenso dell’interessato ove il trattamento avvenga per difendere un diritto in sede giudiziaria, e sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo necessario al loro perseguimento (art. 24); c) che la titolarità dei trattamenti dei dati in ambito giudiziario va individuata in capo al Ministero, al CSM, agli uffici giudiziari, con riferimento alle loro rispettive attribuzioni (art. 46);

d) che non è applicabile nella sua generalità la disciplina sul trattamento dei dati personali, ove gli stessi vengano raccolti e gestiti nell’ambito del processo (art. 47)”17.

Queste aperture, all’interno della attività processuale, danno la misura di come il diritto, costituzionalmente garantito, di agire e di difendersi in giudizio non sia recessivo rispetto agli ordinamenti generali sulla privacy, al fine di assicurarne l’effettiva tutela. La giurisprudenza è costante nel ritenere “la derogabilità della disciplina dettata a tutela dell’interesse alla riservatezza dei dati personali quando il relativo trattamento sia esercitato per la difesa di un interesse giuridicamente rilevante, e nei limiti in cui ciò sia necessario per la tutela di quest’ultimo interesse”18.



2. La consulenza tecnica d’ufficio e il trattamento dei dati



Sul fronte dell’accesso ai dati personali, nell’attività giurisdizionale, lo sguardo viene rivolto, principalmente, all’attività dei consulenti tecnici. Sotto il profilo legislativo sono state emanate le linee guida19 in materia di trattamento di dati personali da parte dei consulenti tecnici e dei periti ausiliari del giudice e del pubblico ministero, che sanciscono come, nell’espletamento delle funzioni, si possano acquisire altre informazioni di natura personale nel corso delle operazioni20, implicando il fatto che per tali trattamenti si applicheranno, comunque, le norme del Codice relative ai trattamenti effettuati presso uffici giudiziari di ogni ordine e grado “per ragioni di giustizia”21. Lo stesso dicasi per i consulenti delle parti private che, con riferimento ai procedimenti giudiziari22, possono trattare lecitamente i dati personali, “solo nell’ambito dell’accertamento demandato dall’autorità giudiziaria”. Di conseguenza, le informazioni acquisite nel corso di una consulenza tecnica, saranno comunicate alle parti attraverso il consulente di parte23.

È, altresì, previsto un lasso temporale entro il quale i dati debbano essere conservati ed è per il tempo necessario al perseguimento degli scopi per i quali essi sono stati raccolti e trattati. Tale ultimo aspetto riveste una particolare rilevanza atteso che è fatto divieto ai periti di conservare, in originale o in copia, in formato elettronico o su supporto cartaceo, informazioni personali acquisite nel corso dell’incarico su cui si sono svolti gli accertamenti. Questa previsione, fedele ai principî sottesi alla recente normativa, inibisce, altresì, alle parti la possibilità di ottenere dal CTU e dagli ausiliari del giudice l’accesso ai contenuti di quei dati utilizzati per la redazione della perizia.



3. Classificazione delle prove



Il diritto processuale civile è retto, tranne che nell’ipotesi di indisponibilità dei diritti, dal principio dispositivo dell’onere della prova, ai sensi degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c.

Di conseguenza, nei casi che coinvolgono i minori si è ipotizzato non essere applicabile la sanzione della nullità di prove acquisite con modalità ritenute non lecite, poiché manca una norma che la preveda espressamente. È compito del Giudice bilanciare gli interessi che si contrappongono, individuando la soluzione più corretta nell’esclusivo interesse del minore24. L’attività istruttoria riveste un ruolo decisivo nei procedimenti di diritto di famiglia, gli strumenti informatici introdotti nel processo hanno imposto una nuova riflessione sulla

nozione di prova.

La differenza tra le prove costituite e le prove costituende è il presupposto per comprenderne l’eventuale utilizzo nel processo civile.

Con riferimento alle prove costituite – già formatesi prima del processo (per esempio: documenti, indagini investigative, foto) – qualora se ne voglia contestare la liceità o legittimità in giudizio, non sarà corretto chiederne lo stralcio, ma la loro inutilizzabilità, diversamente, nell’ipotesi di prove costituende – che si creeranno nel corso della causa (per esempio: prove testimoniali, richiesta di esibizione dei documenti detenuti dal terzo, ctu) – è necessaria una preventiva valutazione di ammissibilità da parte del giudice. Non a caso, l’art. 116

c.p.c. fa riferimento al “prudente apprezzamento” delle prove da parte del giudice25.

Le prove, inoltre, con modalità sistematica, si possono inquadrare nelle seguenti tipologie: tipiche, atipiche, lecite, legittime, illecite ed illegittime.

La nozione di prova atipica è struttura sintattica dottrinaria e giurisprudenziale, atteso che non vi è alcuna tassatività codicistica nella formulazione delle prove tipiche. Una prova atipica può essersi formata fuori dal processo ed essere stata utilizzata come prova tipica in altro processo – è il caso, per esempio, delle dichiarazioni scritte provenienti da terzi, che non possono essere disconosciute, ma potranno essere contestate come mezzi di prova e non sono idonee di per sé sole a costituire fonte di convincimento del giudice ed hanno mero valore indiziario26 – o può concretizzarsi in una perizia stragiudiziale.

“La prova atipica, benché possa essere inutilizzabile in sede penale quando acquisita in violazione della privacy, in sede civile è ammessa se risponde ad esigenze fondamentali di accertamento del diritto fatto valere. Sono inutilizzabili solo le prove, acquisite illecitamente, che ledano i diritti costituzionalmente tutelati. Pertanto, i dati personali, conservati dal terzo titolare del trattamento, possono essere oggetto di indagine peritale, quale documentazione la cui acquisizione sia disposta dal giudice, qualora sia elemento decisivo per l’accertamento del diritto fatto valere dalla parte. La richiesta risarcitoria avanzata da parte del padre che dichiara, nel giudizio di riconoscimento di paternità inoltrato dal figlio maggiorenne, che gli sia stato sottaciuto con dolo e mala fede l’evento della nascita, ma che, al contempo, sia si opposto al riconoscimento di paternità, ancorché astrattamente possibile quale lesione non patrimoniale di un diritto alla funzione genitoriale, non può essere accolta in assenza della prova sia della sofferenza patita sia del dolo della controparte. Il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale è in re ipsa solo a tutela del figlio”27.

Inoltre, il verbale di udienza redatto in altro giudizio e che include alcune prove, è ammissibile con valore indiziario così come le perizie stragiudiziali, in entrambi i casi il giudice non sarà condizionato dalla valutazione datane dal collega precedente. Diversamente, gli atti dell’istruttoria penale o amministrativa, se formatisi fuori dal processo, sono ammessi perché provengono da pubblici ufficiali e sono validi sino a querela di parte28.

Per prova illecita o illegittima si intende quella che, benché prevista dalla legge, sia stata acquisita al di fuori delle regole stabilite dal diritto sostanziale o processuale o quando sia entrata nella disponibilità delle parti in maniera illecita o attraverso violazioni di norme penali o amministrative, ancorché allegate agli atti del processo.

Sul punto, la dottrina ha distinto tra “prove illecite endo-processuali” e “prove illecite eso-processuali”29 si valuterà la liceità solo in sede penale qualora integranti fattispecie di reato, come già evidenziato. In precedenza, dottrina e giurisprudenza, più rigorosamente, non ammettevano quasi mai la liceità delle prove illegittimamente acquisite prodotte in giudizio sia che avessero natura endo-processuale sia che avessero natura eso-processuale.

Quali prove eso-processuali, si annoverano le notizie diffuse in rete sui profili personali delle parti, utili per acquisire notizie sul contesto di vita delle stesse, la valutazione circa la loro attendibilità è propria di quella “comune esperienza” cui il giudice può attingere e di cui parla l’art. 115 c.p.c.

Sull’ammissibilità delle prove documentali illecitamente acquisite nel giudizio di separazione in violazione della privacy, “poiché manca nel codice di procedura civile una norma analoga a quella di cui all’art. 191 c.p.p. che sancisce l’inutilizzabilità, rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, delle prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge, nell’ambito civile esse sono ammissibili e liberamente valutabili dal giudice ai sensi dell’art. 116 c.p.c., e ciò in quanto l’eventuale illiceità si sarebbe verificata in una fase preprocessuale senza ripercuotersi sugli atti stessi, e fatti salvi i profili di responsabilità penale. Nel processo civile non è applicabile la sanzione della nullità di prove acquisite con modalità ritenute non lecite”30.

Sul materiale probatorio sottratto in maniera fraudolenta alla controparte che ne era in possesso, in un recente provvedimento di legittimità31 si legge che lo stesso “non può essere utilizzato nel processo civile (nella specie, nel corso di un giudizio di separazione uno dei coniugi aveva prodotto file audio con relativa traduzione giurata già di proprietà dell’altro coniuge)”. In tema di affidamento esclusivo della prole, non è utilizzabile il materiale probatorio raccolto illecitamente né il materiale sottratto fraudolentemente alla parte processuale che ne era in possesso. Al medesimo fine sono irrilevanti le conversazioni tra coniugi nel contesto di acquisizioni probatorie di cui il giudice ha potuto disporre nel giudizio.

Sotto il profilo penale, si legge in alcuni provvedimenti che “il

necessario requisito del nocumento richiesto per la configurazione del reato dall’art. 167 d.lgs. 196/2003 non può ritenersi sussistente, in caso di produzione in giudizio civile di documenti contenenti dati personali, ancorché effettuata al di fuori dei limiti consentiti per il corretto esercizio del diritto di difesa, in assenza di elementi fattuali oggettivamente indicativi di una effettiva lesione dell’interesse protetto, trattandosi di informazioni la cui cognizione è normalmente riservata a circoscritta ai soli soggetti professionalmente coinvolti nella vicenda processuale, sui quali incombe un obbligo di riservatezza”32.



4. L’uso e la liceità delle prove nel diritto di famiglia



Il valore probatorio della produzione depositata in giudizio, quali le fotografie e le informazioni personali estratte da profili dei social networks e le altre riproduzioni atipiche di matrice informatica pone l’interprete di fronte ad una alternativa: si tratta o di prove atipiche utili, ma solo con valore indiziario, o di prove tipiche e disconoscibili ai sensi dell’art. 2712 c. c., in questo secondo caso le prove saranno sottoposte alle eccezioni sostanziali della controparte. In un caso portato all’attenzione della S.C.33 sul disconoscimento di riproduzioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c. è stato dichiarato inammissibile il motivo di ricorso con il quale, lamentando che la sentenza di merito non aveva ritenuto tardivo il disconoscimento di una registrazione fonografica avvenuto soltanto dopo tre udienze dalla sua produzione in giudizio, non si era però puntualizzato, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, in che modo si fosse realmente atteggiata detta scansione processuale, in guisa da consentire di verificare se la controparte fosse stata effettivamente, e quando, posta in grado di conoscere il concreto contenuto di detta registrazione.

Sul punto, la distinzione appare di non poco momento, in quanto in tema di efficacia probatoria delle riproduzioni informatiche di cui all’art. 2712 c.c., il disconoscimento idoneo a farne perdere la qualità di prova, degradandole a presunzioni semplici, deve essere non solo tempestivo, soggiacendo a precise preclusioni processuali, ma anche chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta34.

Con riferimento ai social network, ormai, è consolidata la giurisprudenza che ammette la produzione delle immagini e delle informazioni, poiché spesso pubbliche ed accessibili a tutti, anche nell’ipotesi in cui il profilo dell’utente sia sottoposto a privacy. Mentre è illegittimo – e sarà necessario chiederne l’inutilizzabilità – il deposito dello scambio e-mail, chat e messenger tra terze persone estranee al giudizio, per quanto riguarda le parti in causa è ammesso lo scambio di e-mail, chat e messenger. Infine, la produzione delle stesse tra la controparte e terzi è consentita se le ragioni della decisione siano prevalenti rispetto alla tutela della privacy (è il caso della riproduzione di registrazioni o di screenshot estratti dal telefono cellulare del coniuge o dal computer per quanto riguarda le e-mail).

Sullo scambio di sms o whatsapp si è imposto un recente arresto giurisprudenziale che ammette come tali prove siano la rappresentazione di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti e che rientrano nell’ambito dell’art. 2712 c.c., con la conseguenza che forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne contesti la conformità ai fatti o alle cose medesime35. Analogamente, sul valore probatorio delle e-mail e sul disconoscimento di tali prove il su richiamato principio della Corte di legittimità ha sottolineato, che “forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne contesti la conformità ai fatti o alle cose medesime. Tuttavia, l’eventuale disconoscimento di tale conformità non ha gli stessi effetti di quello della scrittura privata previsto dall’articolo 215, co. 2, c.p.c., poiché, mentre, nel secondo caso, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo della stessa, la scrittura non può essere utilizzata, nel primo non può escludersi che il giudice possa accertare la rispondenza all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni. Quindi, nel processo civile gli sms e le mail hanno piena efficacia di prova”36.

Per il disconoscimento di queste comunicazioni, colui contro il quale esse sono prodotte deve dimostrare, con elementi concreti e in maniera circostanziata ed esplicita, la non rispondenza con la realtà. In particolare, il provvedimento citato ha stabilito che la semplice adesione con un sms alla iscrizione del figlio alla scuola materna, da parte del padre, debba comportare la condanna al pagamento della quota scolastica. Tale principio è stato avvalorato da altra Corte di merito per cui è stato confermato il provvedimento di prime cure che aveva respinto la richiesta di addebito della separazione avanzata dal marito ritenendo trascurabile il comportamento della moglie nel farsi ritrarre in un selfie con lo stesso uomo che, in altra foto, compare a torso nudo sul letto della casa da lei abitata e considera non probanti le frasi riportate da numerosi sms37.

Le prove relative alla richiesta di addebito per infedeltà, in sede id separazione personale, ben possono fondarsi su messaggi (sms) estratti dal telefono cellulare di un coniuge, di cui l’altro è entrato in possesso, essendo recessivo, rispetto al diritto di difesa in giudizio, quello alla inviolabilità della corrispondenza38.

Con una recentissima pronuncia anche la Corte EDU ha ammesso che “i messaggi privati pubblicati dal proprio coniuge su un sito di incontri possano essere usati nella causa di divorzio, sempreché la divulgazione della corrispondenza abbia un effetto limitato sulla sua privacy”39.

Per le produzioni di registrazioni sonore ad audiovisive, va specificato che la registrazione di una conversazione tra persone presenti è lecita, atteso che chi conversa accetta il rischio che il colloquio sia documentato mediante registrazione, tuttavia, si è in presenza di una violazione della privacy solo a seguito di diffusione per scopi diversi dalla tutela del diritto proprio o altrui, infatti, gli artt. 23 e 167 cod. privacy dispongono che i reati ivi previsti siano punibili soltanto se dal fatto deriva nocumento.

In senso opposto, nel caso in cui la registrazione venga effettuata da un soggetto non presente alla conversazione o non destinatario della telefonata, costituendo dunque una vera e propria intercettazione ambientale o telefonica, nell’ambito dei giudizi civili di separazione e divorzio, la sua utilizzabilità e il suo statuto appaiono più dubbi, potendo, qualora non siano acquisite illecitamente, paragonarsi alle produzioni investigative.

Così come la produzione in corso di causa della registrazione su nastro magnetico di una conversazione costituisce fonte di prova, il contestuale disconoscimento deve avvenire nel rispetto delle preclusioni processuali “ex art. 2712 c.c., se colui contro il quale la registrazione è prodotta non contesti che la conversazione sia realmente avvenuta, né che abbia avuto il tenore risultante dal nastro, e sempre che almeno uno dei soggetti, tra cui la conversazione si svolge, sia parte in causa; il disconoscimento, da effettuare nel rispetto delle preclusioni processuali degli artt. 167 e 183 c.p.c., deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito e concretizzarsi nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra la realtà fattuale e quella riprodotta”40.

Per quanto riguarda, infine, il valore probatorio delle investigazioni private, gli investigatori dovranno essere citati come testimoni al fine di confermare i fatti e le circostanze di cui sono venuti a conoscenza e che hanno personalmente riprodotto. Infatti, la sola prova fotografica non basta a contestare i fatti con essa provati, ma è necessario disconoscere la conformità della foto alle cose in essa rappresentate in quanto “la fotografia costituisce prova precostituita della sua conformità alle cose e ai luoghi rappresentati, sicché chi voglia inficiarne l’efficacia probatoria non può limitarsi a contestare i fatti che la parte che l’ha prodotta intende con essa provare, ma ha l’onere di disconoscere tale conformità”.

NOTE

1 Su quest’ultimo aspetto v. A SCALISI “il diritto all’immagine esiste in sé e per sé come diritto inerente la persona e come tale ha una sua ontologica esistenza giuridica ed è tutelato indipendentemente dall’offesa e dal danno, cioè anche laddove la riproduzione e/o la diffusione dell’immagine non arrechi danno alla persona”, in Il diritto alla riservatezza, Milano, 2002, 31.

2 L. 31 dicembre 1996, n. 675 (Modalità di raccolta e requisiti dei dati personali).

3 Art. 12 lett. h), Casi di esclusione del consenso, prevede che il consenso non è richiesto quando il trattamento: “è necessario ai fini dello svolgimento delle investigazioni di cui all’articolo 38 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, e successive modificazioni, o, comunque, per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento”.

4 Il cui iter di emissione è stato il seguente: la precedente l. 31 dicembre 1996 n. 675 è poi confluita nel c.d. Codice Privacy (Codice in materia di protezione di dati personali) d.lgs. 196/2003, a sua volta modificato e integrato dal d.lgs. n. 101/2018.

5 Art. 167, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, Trattamento illecito di dati.

6 Cass. 30 giugno 2009, n. 15327, Nuova giur. civ., 2010, I, 71

7 Cass. civ., sez. un., 8 febbraio 2011, n. 3034, in Foro it., 2012, 3, I, 843,

vedi anche Cass. civ., 28 agosto 2013, n. 19790, Cass. 20 settembre 2013, n.

21612, Cass. civ., sez. III, 27 aprile 2020, n. 8459.

8 D.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, Disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati).

9 Regolamento UE 2016/679, art. 82 (Diritto al risarcimento e responsabilità).

1. Chiunque subisca un danno materiale o immateriale causato da una violazione del presente regolamento ha il diritto di ottenere il risarcimento del danno dal titolare del trattamento o dal responsabile del trattamento.

10 Articolo 17 Diritto alla cancellazione (“diritto all’oblio”) 1. L’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento ha l’obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati personali, se sussiste uno dei motivi seguenti: a) i dati personali non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati; […] e se non sussiste altro fondamento giuridico per il trattamento; […] e) per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria.

11 Articolo 18 Diritto di limitazione di trattamento […] c) benché il titolare del trattamento non ne abbia più bisogno ai fini del trattamento, i dati personali sono necessari all’interessato per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria; d) l’interessato si è opposto al trattamento ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, in attesa della verifica in merito all’eventuale prevalenza dei motivi legittimi del titolare del trattamento rispetto a quelli dell’interessato. 2. Se il trattamento è limitato a norma del paragrafo 1, tali dati personali sono trattati, salvo che per la conservazione, soltanto con il consenso dell’interessato o per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria oppure per tutelare i diritti di un’altra persona fisica o giuridica o per motivi di interesse pubblico rilevante dell’Unione di uno Stato membro.

12 Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 2009, n. 3358, in Foro it., 2010, 1, I, 209, in applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che, in un giudizio avente ad oggetto il risarcimento dei danni subiti da un avvocato per effetto della cessazione del rapporto professionale con un cliente, aveva ritenuto legittima la produzione di una lettera dello stesso attore indirizzata a terzi, da cui risultava che i motivi della rinuncia all’incarico erano diversi da quelli dedotti in giudizio. Nel senso che l’art. 12, lett. h, l. 31 dicembre 1996 n. 675 esclude la necessità del consenso dell’interessato allorché si tratti di difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento, trattandosi di tutela di un diritto costituzionalmente garantito, la Cassazione ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva rigettato il ricorso avverso il provvedimento emesso dal Garante per la protezione dei dati personali, con cui era stata esclusa l’illegittimità del comportamento di un comune che, in un giudizio promosso nei suoi confronti dal coniuge del ricorrente, aveva prodotto il certificato di matrimonio di quest’ultimo ed un certificato di servizio da cui risultava che egli era dipendente del medesimo comune. Vedi Cass., 8 giugno 2005 n. 15076, in Guida al diritto, 2005, n. 31, 43; Cass., 7 dicembre 2004 n. 22923, in Dir. rel. ind., 2005, 1133.

13 Cass. civ., sez. III, 28 agosto 2013, n. 19790, in Giust. civ. mass., 2013.

14 Trib. Min. Genova, 23 maggio 2019, in Dir. fam. pers., 2020, 1, I, 201.

15 Cass. 20 settembre 2013, n. 21612, in Giust. civ., 2013, 11-12, I, 2341.

16 Cass. pen., 29 marzo 2019, n. 23808 in Guida dir., 2019, 26, 30.

17 Cass. civ., sez. un., 8 febbraio 2011, n. 3034, Conf. Trib. Milano 27 febbraio 2009 in Foro it., 2012, 3, I, 843.

18 Cass. civ., sez. lav., 30 giungo 2009, n. 15327, in Giust. civ., 2010, 9, 1983; Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 2009, n. 3358, in Giust. civ., 2009, 6, I, 1287, Cass. civ., sez. I, 15 maggio 2008, n. 12285, in Foro it., 2009, 2, I, 488, Cass. civ., sez. III, 24 aprile 2008, n. 10690, in Resp. civ. e prev., 2009, 1, 148 con nota di: PERON, Cass. civ., sez. III, 24 maggio 2003, n. 8239, in Giust. civ. mass., 2003, 5. Quest’ultima in particolare con riferimento a controversia avente ad oggetto la pretesa violazione della normativa a tutela della privacy che sarebbe stata determinata da un pignoramento presso terzi, vale a dire da una forma di esecuzione forzata prevista dall’ordinamento. In altri termini deve ritenersi che la disciplina generale in tema di trattamento dei dati personali subisca deroghe ed eccezioni quando si tratti di far valere in giudizio il diritto di difesa, le cui modalità di attuazione risultano disciplinate dal codice di rito.

19 Linee guida in materia di trattamento di dati personali da parte dei consulenti tecnici e dei periti ausiliari del giudice e del pubblico ministero (Gazz. Uff.,

n. 178 del 31 luglio 2008).

20 Art. 1.1 Scopo delle linee guida “l’attività svolta dai consulenti tecnici e dai periti è strettamente connessa e integrata con l´attività giurisdizionale, di cui mutua i compiti e le finalità istituzionali”.

21 Art. 47, comma 2, del Codice; cfr. Provv. del Garante 31 dicembre 1998, doc. web n. 39608; Provv. 27 marzo 2002, doc. web n. 1063421.

22 artt. 87, 194, 195 e 201 c.p.c.; artt. 225 e ss., 233 e 360 c.p.p. Liceità, finalità, esattezza, pertinenza.

23 Art. 6 Linee guida in materia di trattamento di dati personali da parte dei consulenti tecnici e dei periti ausiliari del giudice e del pubblico ministero “fermo l’obbligo per l’ausiliare di mantenere il segreto sulle operazioni compiute (art. 226 c.p.p.; cfr. anche art. 379-bis c.p.), eventuali comunicazioni di dati a terzi, ove ritenute indispensabili in funzione del perseguimento delle finalità dell’indagine, restano subordinate a quanto eventualmente direttamente stabilito per legge o, comunque, a preventive e specifiche autorizzazioni rilasciate dalla competente autorità giudiziaria”.

24 Trib. Roma, 20 gennaio 2017, Nel caso di specie, l’oggetto della prova riguardava condotte del padre potenzialmente pregiudizievoli per la figlia minore, ambito nel quale i poteri di ufficio riconosciuti al giudice procedente superano i limiti del processo dispositivo, permettendo l’acquisizione di ogni elemento idoneo per valutare correttamente la situazione del minore e scegliere la soluzione migliore nel suo esclusivo interesse, in http://www.studiofronzonidemattia.it/ wp-content/uploads/2017/10/18278.pdf.

25 Il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti. Il giudice può desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno a norma dell’articolo seguente, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni che egli ha ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo.

26 Cass. civile sez. I, 9 marzo 2000, n. 2668, “I documenti provenienti da terzi estranei alla controversia giudiziaria, non essendo soggetti alla disciplina sostanziale di cui all’art. 2702 c.c., né a quella processuale di cui all’art. 214 c.p.c., risultano inidonei a costituire, di per sé soli, l’unica fonte di convincimento per il giudice di merito –, pur essendo dotati di valenza probatoria sì come suscettibili di integrare il fondamento della decisione nel concorso di altri elementi che ne confortino la credibilità e l’attendibilità. (Principio affermato dalla S.C. con riferimento ad una lettera – di contenuto inequivoco – scritta dall’amante al marito della ricorrente che intendeva, attraverso la produzione di tale scritto, provare l’esistenza di una relazione extraconiugale intrattenuta dal marito stesso in costanza di matrimonio)”, in Giust. civ. mass., 2000, 557, vedi anche Cass. civ., sez. III, 12 marzo 2008, n. 6620, La scrittura proveniente da un terzo, prodotta in giudizio da una delle parti, pur non configurandosi come prova tipica, può costituire un indizio, del quale occorre valutare la rilevanza unitamente al comportamento processuale tenuto dall’altra parte nel corso del giudizio di merito. A tali documenti, pertanto, può riconoscersi valore di indizio idoneo a fornire argomento di convincimento e a essere posto a fondamento della decisione solo in difetto di contestazione della parte contro cui sono prodotti in causa e in concorso di altri elementi che ne suffraghino la credibilità e l’attendibilità, in Guida dir., 2008, 18, 80 (s.m.).

27 Cass. civ., sez. III, 27 aprile 2020, n. 8459, in Foro it., 2021, 1, I, 244,

Nel caso di specie per provare la paternità di una persona deceduta si è reso necessario accedere ai dati contenuti nella cartella clinica il cui rilascio è consentito ai sensi del Reg. UE n. 679/2016, art. 9, par. 1 e 2, lett. f) in quanto, il limite all’utilizzo dei dati personali non si applica nei casi in cui il trattamento si renda necessario per accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria o ogniqualvolta le autorità giurisdizionali esercitino le loro funzioni giurisdizionali.

28 Cass. civ., sez. II, 5 marzo 2010, n. 5440, in Giust. civ. mass., 2010, 3, 330, L’attestazione notarile contenente una specificazione del contenuto di un precedente atto pubblico redatto dallo stesso notaio rogante a guisa di “interpretazione autentica” non integra gli estremi di un nuovo atto pubblico, poiché tale forma di interpretazione può provenire solo dalle medesime parti che abbiano posto in essere la manifestazione volitiva produttiva degli effetti giuridici previsti dall’ordinamento, e non da parte di diversi soggetti, quand’anche si tratti del pubblico ufficiale che abbia rogato l’atto, il cui compito di interpretare e tradurre in termini giuridico-formali detta volontà non può essere svolto “a posteriori”, ma deve realizzarsi, nell’immediatezza della relativa manifestazione alla propria presenza, nella fedele rappresentazione del contenuto della stessa, rendendone edotti i dichiaranti prima della inerente sottoscrizione. (In applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha, perciò, qualificato come anomala – e, quindi, improduttiva di qualsiasi legittimo effetto – la prova riconducibile alla produzione in giudizio di un’attestazione notarile specificativa del contenuto di un precedente atto pubblico proveniente dallo stesso notaio che lo aveva rogato, così cassando con rinvio l’impugnata sentenza che aveva attribuito rilevanza probatoria a siffatta attestazione).

29 GRAzIOSI, Usi e abusi di prove illecite e prove atipiche nel processo civile, 915 ss.

30 Trib. Roma, 20 gennaio 2017, in Guida dir., 2018, 5, 39, vedi anche Trib. Milano, sez. IX, 9 maggio 2018, n. 5103, in Ilfamiliarista.it, 20 giugno 2018 (nota di: Pesce Riccardo), nel caso di in specie, l’oggetto della prova riguardava condotte del padre potenzialmente pregiudizievoli per la figlia minore, ambito nel quale i poteri di ufficio riconosciuti al giudice procedente superano i limiti del processo dispositivo, permettendo l’acquisizione di ogni elemento idoneo per valutare correttamente la situazione del minore e scegliere la soluzione migliore nel suo esclusivo interesse.

31 Cass. 8 novembre 2016, n. 22677, nel caso in esame, relativo ad un giudizio di separazione personale, acquisito mediante sottrazione fraudolenta di files audio con relativa traduzione giurata alla parte processuale che ne era in possesso, in Foro it., 2017, 5, 1689 con nota di MINAFRA.

32 Cass. pen., sez. III, 29 marzo 2019, n. 23808, in CED Cass. pen., 2019.

33 Cass. civ., sez. III, 22 aprile 2010, n. 9526, in Giust. civ. mass., 2010, 4, 581, Il disconoscimento delle riproduzioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c., che fa perdere alle stesse la loro qualità di prova, pur non essendo soggetto ai limiti e alle modalità di cui all’art. 214 c.p.c., deve, tuttavia, essere chiaro, circostanziato ed esplicito (dovendo concretizzarsi nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta) e – al fine di non alterare l’iter procedimentale in base al quale il legislatore ha inteso cadenzare il processo in riferimento al contraddittorio

– deve essere tempestivo e cioè avvenire nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla rituale acquisizione delle suddette riproduzioni, dovendo per ciò intendersi la prima udienza o la prima risposta successiva al momento in cui la parte onerata del disconoscimento sia stata posta in condizione, avuto riguardo alla particolare natura dell’oggetto prodotto, di rendersi immediatamente conto del contenuto della riproduzione. Ne consegue che potrà reputarsi tardivo il disconoscimento di una riproduzione visiva soltanto dopo la visione relativa e quello di una riproduzione sonora soltanto dopo la sua audizione o, se congruente, la rituale acquisizione della sua trascrizione.

4 Cass. civ., sez. VI, 13 maggio 2021, n. 12794, in Guida dir., 2021, 25; Cass. civ., sez. I, 6 settembre 2021, n. 24050, nel caso di specie il marito aveva disconosciuto in maniera generica, in Guida dir., 2021, 43.

35 Cass. civ. sez. I, 17 luglio 2019, n. 19155, lo “short message service” (“SMS”) contiene la rappresentazione di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti ed è riconducibile nell’ambito dell’articolo 2712 c.c., con la conseguenza che forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne contesti la conformità ai fatti o alle cose medesime. Tuttavia, l’eventuale disconoscimento di tale conformità non ha gli stessi effetti di quello della scrittura privata previsto dall’articolo 215 c.p.c., comma 2, poiché, mentre, nel secondo caso, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo della stessa, la scrittura non può essere utilizzata, nel primo non può escludersi che il giudice possa accertare la rispondenza all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni, 11 novembre 2019, con nota di GALLUzzO, vedi anche Cass. civ. sez. VI-1, ord., 4 settembre 2020, n. 18508, Nel caso di specie, pur essendosi riconosciuta piena natura probatoria ai messaggi, la Corte ne ha contestato la astratta decisività nel giudizio, non risultando in modo inequivoco dal testo dei messaggi allegati dal ricorrente che il perdono richiesto dalla moglie riguardi proprio la dedotta condotta di infedeltà coniugale, in https://dejure.it/.

36 Cit. nota 35.

37 App. Aquila, sent., 16 dicembre 2019 n. 2060, in https://dejure.it/.

38 Trib. Roma, 17 maggio 2017, in Foro it., 2018, 6, I, 2206 con nota di

MORACE PINELLI.

39 Corte EDU, sent. M.P. c. Portogallo, ricorso n. 27516/14. Per la Cedu dunque non vi è alcuna violazione dell’articolo 8 (Diritto al rispetto della vita privata e della corrispondenza) della Convenzione europea sui diritti umani nel caso di presentazione in giudizio della corrispondenza online del coniuge al fine di stabilire una responsabilità condivisa nella separazione, in https://ntplusdiritto. ilsole24ore.com/art/causa-divorzio-cedu-sdogana-uso-messaggi-coniuge-sito-incontri.

40 Trib. Roma sez. lav., 7 maggio 2019, n. 4317, in Giust. civ. mass., 2018, nella specie: il disconoscimento non è stato circostanziato ed in ogni caso le trascrizioni prodotte sono conformi a quanto effettivamente detto nella realtà fattuale nel corso della telefonata, in Red. Giuffrè, 2020; Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2018, n. 1250, che cassa con rinvio, App. Messina, 10 febbraio 2015.