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A margine di C.d.S., sez. III, ord. 30 dicembre 2020, n. 8540 e d’un recente orientamento giurisprudenziale toscano: brevi riflessioni intorno ad alcune condotte incompatibili con l’asilo e l’accoglienza del rifugiato tra giusnaturalismo e diritto romano tardo antico

autore: A. Grillone

Sommario: 1. Gli scopi dell’indagine e la questione aperta. - 2. L’esperienza moderna: le condizioni dell’asilo sovrano nel De iure belli ac pacis di Ugo Grozio. - 3. Presupposti negativi dell’asilo in ecclesias nel diritto romano tardoantico. - 4. Conclusioni.



1. Gli scopi dell’indagine e la questione aperta Con ordinanza n. 8540 del 20201 il Consiglio di Stato ha rinviato alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea il seguente quesito in via pregiudiziale:



se l’art. 20, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, osti ad una normativa nazionale che preveda la revoca delle misure di accoglienza a carico del richiedente “protezione internazionale” maggiore di età e non rientrante nella categoria delle “persone vulnerabili”, nel caso in cui il richiedente stesso sia ritenuto autore di un comportamento particolarmente violento, posto in essere al di fuori del centro di accoglienza, che si sia tradotto nell’uso della violenza fisica ai danni di pubblici ufficiali e/o incaricati di pubblico servizio, cagionando alle vittime lesioni tali da rendere per le stesse necessario il ricorso alle cure del Pronto Soccorso locale.



Come è noto2 , nonostante il diritto d’asilo trovi, nel nostro Ordinamento, solenne cristallizzazione costituzionale nell’art. 10, comma 3, Cost., per cui lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge, attraverso alterne vicende, la sua invocazione è divenuta, nella prassi e secondo il pacifico orientamento della Suprema Corte, mero prodromo strumentale all’avvio del procedimento amministrativo per il conseguimento degli status di protezione internazionale3 . Non rientra tra gli scopi di questa indagine tornare – chi scrive, del resto, per formazione, difetterebbe delle necessarie competenze – sulle copiose perplessità che questa scelta ha sollevato in dottrina per l’indebita compressione dell’originaria latitudine del diritto soggettivo contemplato nella “Carta” del 19484 ; diversamente, qui, il necessario confluire del diritto d’asilo nelle forme attuali, tipizzate, degli strumenti di protezione internazionale diventa stimolo per consegnare, ai fautori del dibattito in corso, alcuni orpelli storici, di cui il quesito sopracitato risveglia nell’antichista del diritto il deferente ricordo. Che, poi, tali suggestioni, da facezie, possano divenire stimolo per il ripensamento di alcuni aspetti della realtà giuridica contemporanea è circostanza in buona misura imponderabile nell’attesa delle statuizioni della Corte di Giustizia europea, che, come di consueto, imporranno a tutti un doveroso ossequio. Scongiurando il rischio di preliminari troppo lunghi, addentriamoci subito nel conflitto ordinamentale posto in rilievo dal sopraesposto quesito pregiudiziale. La direttiva 2013/33/UE è stata attuata in Italia tramite il d.lgs. 18 agosto 2015, n. 142 (Attuazione della direttiva 2013/33/ UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale) ed è parte integrante del “Sistema europeo di asilo”, istituito per dare completa applicazione alla Convenzione di Ginevra del ’51, come integrata dal Protocollo di New York del 19675 . Ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. 18 agosto 2015, n. 142, come ricorda la menzionata ordinanza, “il richiedente che ha formalizzato la domanda (id est: la domanda presentata ai sensi del d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25 – art. 6 ss. –, diretta ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria) e che risulta privo di mezzi sufficienti a garantire una qualità di vita adeguata per il sostentamento proprio e dei propri familiari, ha accesso, con i familiari, alle misure di accoglienza del presente decreto”6 . Esse consistono, ex art. 2 della direttiva 2013/33, in alloggio, vitto e vestiario, forniti in natura o in forma di sussidi economici o buoni, o una combinazione delle tre possibilità, nonché un sussidio per le spese giornaliere ed includono altresì, ex art. 7, la libertà di circolazione, il diritto a fruire di assistenza sanitaria (art. 19), di accedere al lavoro, all’istruzione, alla formazione professionale (artt. 14 e 16), l’assistenza di operatori qualificati e specificamente formati (art. 29). Venendo ora più stringentemente al merito del riportato quesito, un significativo conflitto normativo si è manifestato sul tema della revoca o riduzione delle misure di accoglienza per motivi disciplinari.

La normativa europea, infatti, al riguardo prevede, all’art. 20, un sistema improntato alla gradualità dell’intervento sanzionatorio statale, volto alla proporzionale limitazione delle misure assistenziali e, solo come extrema ratio, la revoca delle stesse. Nessuno dei casi espressamente delineati dai §§. 1-3, per altro, tratta della riduzione o della revoca delle misure di accoglienza a cagione dei comportamenti irrispettosi o violenti del rifugiato e soltanto ai §§. 4-5 si legge un generico riferimento alle sanzioni che potrebbero essere previste dai singoli Stati membri per reprimere le violazioni delle regole dei centri di accoglienza e altre forme gravi di oltraggio7 :



4. Gli Stati membri possono prevedere sanzioni applicabili alle gravi violazioni delle regole dei centri di accoglienza nonché ai comportamenti gravemente violenti.



5. Le decisioni di ridurre o revocare le condizioni materiali di accoglienza o le sanzioni di cui ai paragrafi 1, 2, 3 e 4 del presente articolo, sono adottate in modo individuale, obiettivo e imparziale e sono motivate. Le decisioni sono basate sulla particolare situazione della persona interessata, specialmente per quanto concerne le persone contemplate all’articolo 21 “persone vulnerabili”, tenendo conto del principio di proporzionalità. Gli Stati membri assicurano in qualsiasi circostanza l’accesso all’assistenza sanitaria ai sensi dell’articolo 19 e garantiscono un tenore di vita dignitoso per tutti i richiedenti.



L’Italia, dal canto suo, ha creduto possibile recepire questa parte della direttiva in un articolo, art. 23, d.lgs. 142/2015, significativamente intitolato alla Revoca delle condizioni di accoglienza, nel quale, in buona sostanza, il legislatore opta per tale sanzione in luogo di tutte le altre, così, immediatamente, ponendo il dubbio di come salvaguardare, nella sua applicazione, il principio di proporzionalità posto a fondamento della norma comunitaria8 :



1. Il prefetto della provincia in cui hanno sede le strutture “di accoglienza”, dispone, con proprio motivato decreto, la revoca delle misure d’accoglienza in caso di: …e) violazione grave o ripetuta delle regole delle strutture in cui è accolto da parte del richiedente asilo, compreso il danneggiamento doloso di beni mobili o immobili, ovvero comportamenti gravemente violenti.

2. Nell’adozione del provvedimento di revoca si tiene conto della situazione del richiedente con particolare riferimento alle condizioni di cui all’articolo 17 “persone vulnerabili”.



In ogni caso, solo amplificato dal sopracitato rigido dettato di quella nazionale, il principale problema interpretativo che ha posto alla dottrina e alla giurisprudenza la norma unitaria è come possa la revoca, ammesso che la stessa possa includersi nell’alveo dei possibili significati del più generico lemma sanzione, coniugarsi con l’onere di garantire un tenore di vita dignitoso per tutti i richiedenti9 . Come ricordato dallo stesso Consiglio di Stato nelle pagine dell’ordinanza, l’Italia non è stato l’unico Membro a doversi porre problematicamente di fronte alla conformità dell’avvenuta ricezione interna dell’art. 20, §§. 4-5 della direttiva 2013/33, giacché recentemente la Corte di Giustizia UE con sentenza del 12 novembre 2019, resa in causa C-233/18, si è dovuta intrattenere sul caso di Haqbin, minore non accompagnato, afgano, che aveva presentato domanda di protezione internazionale in Belgio e che era stato temporaneamente escluso dall’assistenza materiale, a seguito di una rissa con altri soggetti ospitati nel medesimo centro di accoglienza. In tale arresto, da un lato, la Corte ha ammesso che il termine sanzione possa, in linea di principio, includere una contrazione delle condizioni materiali di accoglienza, benché, differentemente dai §§. 1-3, il §. 4 non le citi espressamente; dall’altro, ha segnalato come il quinto paragrafo, per tramite del riferimento al pieno rispetto della dignità umana, vieti agli Stati di contemplare, nelle loro normative, l’adozione di provvedimenti che abbiano l’effetto di porre l’interessato in una situazione di estrema deprivazione materiale che non gli consenta di far fronte ai suoi bisogni più elementari (es. abluzione, vitto e alloggio). Simili provvedimenti, del resto, anche a fronte di comportamenti violenti del rifugiato, confliggono con l’obbligo di proporzionalità della misura sanzionatoria, invocato dalla direttiva. Rilievo, questo, che, a maggior ragione, vale quando sia possibile l’adozione di altre sanzioni efficaci da parte delle autorità competenti, pure se implicanti una limitata contrazione della libertà di circolazione e di movimento dell’interessato (es. ad una zona circoscritta del Centro di accoglienza), e, in special modo, ma la chiosa sembrerebbe tutto sommato non rivestire un ruolo centrale nella trattazione della Corte, se chi subisce l’applicazione della disposizione è un minore non accompagnato e, dunque, soggetto vulnerabile10. Ma veniamo al consolidato orientamento dell’appellato TAR Toscana. Nella gravata sentenza breve del 20 dicembre 2019, n. 1744, così come, poi, in seguito, in tre successive pronunce: la n. 437, del 15 aprile 202011, la n. 540, del 6 maggio 202012, nonché la n. 721, del 12 giugno 2020, ha sostenuto la tesi della necessaria immediata disapplicazione dell’art. 23, d.lgs. 142/2015, per incompatibilità con il prevalente diritto UE e asseritamente con l’art. 20, §§. 4-5 della direttiva 2013/33, come da ultimo interpretato dalla sentenza CGUE, resa in causa C-233/18. Con tali arresti il Giudice toscano ha ritenuto di conformarsi alle statuizioni della Corte di Giustizia, con precipuo riguardo al principio, secondo il suddetto Tribunale dirimente nella causa C-233/18, per cui:



l’articolo 20, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2013/33/UE, alla luce dell’articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro non può prevedere, tra le sanzioni applicabili ad uno straniero richiedente protezione internazionale in caso di gravi violazioni delle regole dei Centri di accoglienza o di comportamenti gravemente violenti, la revoca (anche solo temporanea) delle condizioni materiali di accoglienza (TAR Toscana, Firenze, sent. n. 437/2020).



E, nondimeno, riguardo al summenzionato precedente eguale arresto “breve” (TAR Toscana, Firenze, sent. n. 1744/2019), il Consiglio di Stato, nell’ordinanza di rimessione qui commentata, ha dimostrato di non condividere a pieno il sentimento dell’appellato Tribunale, per quattro essenziali ragioni:

– la prima, che, differentemente dal Caso Haqbin (causa C-233/18), il destinatario della revoca non era, in nessuno dei casi recentemente trattati dal TAR Toscana, soggetto ascrivibile alla categoria delle persone vulnerabili;

– la seconda, che, a prescindere dalla rigidità e, dunque, dalla coerenza complessiva del sistema sanzionatorio, delineato dall’art. 23, d.lgs. 142/2015, con il diritto UE, in caso di comportamenti violenti, particolarmente gravi, quali la violenza fisica ai danni di pubblici ufficiali e/o incaricati di pubblico servizio solo la previsione della revoca delle misure di accoglienza potrebbe garantire il rispetto del principio di proporzionalità della sanzione, a fronte della possibile loro riduzione in casi di “condotte – meramente – fraudolente, incidenti sul patrimonio pubblico”, di cui ai §§. 1-3, dell’art. 20 della direttiva;

– che, poi, l’applicazione, a condotte manifestamente violente, come quella oggetto dell’appellata pronuncia, ovvero al caso, risolto in modo analogo dal TAR Toscana in sentenza n. 721, del 12 giugno 2020, del condannato “definitivo” per reato di spaccio di sostanze stupefacenti, di una sanzione più mite della revoca, fosse pure la collocazione separata nel centro di accoglienza, non sembra rispondere al principio di effettività della reazione dell’Ordinamento, in quanto misure all’evidenza inefficaci sotto il profilo della prevenzione generale e speciale;

– che, infine, la dignità del richiedente protezione internazionale non è in discussione nelle maglie delle regole fondamentali del procedimento amministrativo italiano, nell’ambito del quale, pure, sarebbe possibile individuare una o più strutture private disposte ad accogliere il rifugiato, “con impegno – corrispettivo – in questo senso di dette strutture”

Se questo è il nucleo centrale dell’argomentazione offerta alla Corte di Giustizia UE, alcuni ulteriori profili di coerenza sistematica, posti in luce dal Consiglio di Stato, vanno oltre nella direzione in cui preme qui condurre il nostro discorso. Il sentimento di impunità che potrebbe generarsi nel rifugiato per un trattamento così mite, in rapporto “alla ben più rigorosa disciplina in materia di permesso di soggiorno di cui al d.lgs. n. 286/1998… per cui l’art. 4, comma 3, d.lgs. n. 286… recita: ‘non è ammesso in Italia lo Straniero… che sia considerato una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato… che risulti condannato, anche con sentenza non definitiva… per i reati previsti dall’art. 380, comma 1 e 2, del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia e dell’emigrazione clandestina dall’Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite… – ovvero – con sentenza irrevocabile, per uno dei reati previsti dalle disposizioni del titolo III, capo III, sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, relativi alla tutela del diritto di autore, e degli articoli 473 e 474 del codice penale nonché dall’articolo 1 del decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 66, e dall’articolo 24 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773’”, dovrebbe imporre, oggi, per lo meno, un coordinamento tra la disciplina della revoca delle misure di accoglienza ex artt. 23, d.lgs. 142/2015 e 20, §§. 4-5 della direttiva 2013/33 e gli art. 12-13, Diniego e Revoca dello status di rifugiato, del d.lgs. 251/2007, che, riformati con l. 132/201813, definiscono lo straniero pericoloso per l’ordine e la sicurezza pubblica, escludendolo o revocandolo dallo status di rifugiato.

Se, del resto, inverandosi la sentenza definitiva, costui verrebbe ad essere escluso – per quanto poco conti, oggi, a fronte della reiteratamente ribadita preclusione all’espulsione del “cessato protetto”14 – dallo status di rifugiato, nonché dalla protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 16, comma 1, lett. d-bis)15 del medesimo decreto, per essersi macchiato di reati associativi mafiosi o finalizzati al traffico di droghe e tabacchi di contrabbando, di terrorismo, strage, omicidio, rapina aggravata, ma anche di lesioni personali gravi, mutilazioni genitali femminili, furto in abitazione, ovvero aggravato dal porto d’armi o narcotici, resistenza a pubblico ufficiale, sarebbe altresì, evidentemente, conforme ad un principio di coerenza interna all’Ordinamento, che egli vedesse pure revocate, in questi casi, e forse anche in una frase prodromica al giudizio definitivo, le misure materiali di accoglienza a carico dello Stato ospitante. Impressione, questa, tutto sommato moderata nella sua logica interna16, e che, tuttavia, parrà – temo – poco più che un “castello di sabbia” di fronte alla prepotente marea dei diritti umani eutrofizzati, se la Corte vorrà spazzarla via, seguitando la strada delle tutele ad ogni costo, dei diritti senza doveri17.



2. L’esperienza moderna: le condizioni dell’asilo sovrano nel De iure belli ac pacis di Ugo Grozio



Non siano, queste, mere annotazioni di principio d’un neofita della materia al dotto dibattito in corso tra gli specialisti di settore: ciò che qui ci si prefigge è, infatti, come già nell’incipit si accennava, di indagare quali illustri precedenti muovano lo storico del diritto ad interessarsi e, di più, interrogarsi sulle post-moderne peculiarità del conflitto interpretativo sopraesposto, evidenziando la perdurante connessione che l’istituto “puro” dell’asilo, nel corso dei suoi plurimi mutamenti genetici attraverso le passate ere della storia giuridica occidentale, ha manifestato con il dovere di accoglienza materiale del richiedente, ma, pure, con il corrispettivo obbligo dell’asilato di ossequiare le regole del “luogo”, fosse esso Stato sovrano o tempio cristiano, che gli avesse donato protezione, astenendosi dal turbarne l’ordine e dal minacciarne con violenza la pace. La prima cristallizzazione legislativa, anzi, costituzionale del diritto d’asilo moderno è, come risaputo, contenuta nell’art. 120 della Costituzione rivoluzionaria del 24 giugno 1793; soggetto è il Popolo francese:



Il donne asile aux étrangers bannis de leur patrie pour la cause de la liberté. Il le refuse aux tyrans



Essa segna, nondimeno, il punto di arrivo – la fissazione normativa prima – d’un precedente lungo percorso d’emancipazione concettuale dell’asilo sovrano da ciò che fu, invece, l’asilo cristiano, nell’ambito del quale l’istituto, oggetto qui della nostra attenzione, diviene strumento di lotta non avverso il potere costituito in genere18, ma contro l’oppressione derivante dalla tirannia: non muove più, in altri termini, il dovere universale di ospitalità cristiana, che identificava nel rifugiato la figura di Cristo, ma la guerra al dispotismo19. Ne erano mutati in parte gli scopi; in toto, invece, il referente soggettivo: gli Stati nazionali affermavano la propria supremazia incondizionata sul territorio di propria competenza e non potevano tollerare un’opposizione interna al proprio potere di repressione criminale; potevano, d’altro canto, questo sì, offrire essi stessi un rifugio a chi fosse minacciato da un potere costituito estraneo e non più gradito ad “altra” autorità sovrana20. A monte di questi esiti, tra il XVI e il XVIII secolo, sta il pensiero di alcuni dei padri fondatori del diritto internazionale, che, pur non dedicando all’asilo opere specialistiche, trattano dell’istituto nei loro volumi di ius gentium nell’ambito della generale tematica degli scambi e dei rapporti tra popoli. Il dovere di accoglienza, non più fondato su prescrizioni divine, trova, nel nuovo diritto delle genti, in tutti i Paesi che abbiano raggiunto un certo grado di civiltà, il proprio fondamento nella supposta natura consensuale e nella consuetudine della neo-costituita “comunità internazionale”21. Nel 1625, per altro, quando Ugo Grozio scrive il suo De iure belli ac pacis, sono ben vivide, ancora, le conseguenze della Pace di Augusta del 1555, che aveva sancito il principio cuius regio, eius religio e la conseguente facoltà dei sovrani di espellere dai territori dello Stato i sudditi che non ne avessero voluto abbracciare la confessione22. Le persecuzioni di massa vengono sostituite da programmi di emigrazione forzata, in modo che il territorialismo religioso possa perpetrarsi “attraverso l’adozione spontanea di un poderoso scambio di popolazioni al fine di ristabilire l’unità religiosa dello Stato”23. È, come si capirà, un passaggio intermedio nella storia evolutiva del nostro istituto: esso assume già la veste che nella modernità sarà sua propria, ma il “profugo”, il perseguitato, viene ad identificarsi univocamente con colui il quale si veda costretto ad abbandonare la patria natia perché non condivide con il sovrano il proprio credo religioso. È esodo di nuclei familiari, se non talvolta di intere comunità di villaggio: non è, pertanto, solo una domanda di protezione che ne deriva, d’un rifugio ove aver salva la vita, il problema vero è quello dell’accoglienza in un paese estraneo, la cui terra è già, per larghi tratti, divisa ed assegnata in lotti di proprietà individuale. In un simile contesto storico, il tema più circoscritto dell’asilo degli individui “perseguitati” viene ad intersecare proficuamente la supposta generale libertà di movimento nell’ambito della società “civile” internazionale. Il pensiero di Grozio a riguardo non può dirsi, del resto, del tutto originale; si sviluppa, infatti, con perspicacia, a partire dall’idea della communitas orbis di Francisco de Vitoria, che postula, tra l’altro, nel quadro dei diritti naturali, una teoricamente illimitata libertà di circolazione24, ancorché doverosamente ossequiosa nei confronti del dogma proprietario25. In tal senso, de Vitoria affermava che, a meno di non poter identificare una specifica causa di rifiuto, presso ogni popolo vige il costume di offrire accoglienza agli stranieri:



Apud omnes enim nationes habetur inhumanum sine aliqua speciali causa hospites et peregrinos male accipere; e contrario autem humanum et officiosum bene habere erga hospites26.



È cosa inumana presso qualsiasi nazione, senza nessuna causa, ricevere malamente ospiti e pellegrini; è invece umano il contrario, cioè prestare accoglienza agli stranieri27. È qui, anzitutto, importante per noi quella specificazione: sine aliqua speciali causa, che sottende la non incondizionata portata di questo diritto e la necessità, poi raccolta e disambiguata dal Grozio, di individuare alcune limitazioni delle prerogative sottese allo ius migrandi. E seguiamo ora, allora, l’iter della trattazione di quest’ultimo Autore:



De Iure, Lib. II, Cap. II, §. XIII, n. 1: Sic et Terre, et flumina, et si qua pars maris in proprietatem populi alicuius venit, patere debet his qui transitu opus habent ad causas justas; puta, quia suis finibus expulsi quaerunt terras vacuas; …Ratio hic eadem quae supra, quia dominium introduci potuit cum receptione talis usus qui prodest his, illis non nocet…

§. XV, n. 1: Morari quoque aliquantisper praetervehentibus aut praetereuntibus, valetudinis, aut alia qua justa de causa, licere debet: nam est et hoc inter utilitates innoxias…



Si è obbligati, afferma il Grozio, a tollerare che possa passare per le terre, i fiumi, i mari che a noi appartengono territorialmente chi vuole andare altrove per giuste cause: come quando alcuni, essendo cacciati dalla loro patria, vogliano stabilirsi in terre che non sono di proprietà di nessuno. La ragione è che il diritto di proprietà è stabilito con riserva di questa consuetudine, se coloro che migrano per queste cause traggono da ciò un qualche profitto senza nuocere in alcun modo agli ospitanti. E ancora: deve altresì essere consentito loro di stabilirsi per qualche tempo nel nostro paese per ristabilire la loro salute o per altre legittime ragioni, poiché anche queste sono utilità per loro che non nuocciono agli altri. Due, ai nostri fini, i profili principali di interesse di questi segmenti dell’argomentazione groziana. Il primo, intanto, è l’evidente ribaltamento di prospettiva rispetto alla più generica affermazione di de Vitoria: per avere diritto all’ospitalità presso un altro Stato, lo spostamento deve essere confortato da una giusta causa, tra cui, per ovvio, l’essere perseguitati ed espulsi dal proprio paese. Il secondo, il rifugio in altro Stato, sia come semplice passaggio, sia come diritto a trascorrervi qualche tempo, è possibile a condizione che ciò non nuoccia ai legittimi proprietari di quelle terre28.



Queste constatazioni di carattere generale introducono poi al seguito, più puntuale, del capitolo II, dove nel paragrafo XVI leggiamo:



Sed et perpetua habitatio his, qui sedibus suis expulsi receptum quaerunt, deneganda non est externis, dum et imperium quod constitutum est suebant, et quae alia ad vitandas seditiones sunt necessaria: quam aequitatem recte observavit divinus Poeta, cum Aeneam inducit has ferentem conditiones: socer arma Latinus habeto, Imperium solenne socer



Nemmeno si può negare – sostiene, per quanto qui maggiormente interessa, Grozio – una fissa dimora agli stranieri che siano cacciati dal loro paese e chiedano di essere accolti: purché si sottomettano all’autorità e a ciò che è stabilito – cioè alle leggi dello Stato29 – facendo tutto quanto necessario per evitare sedizioni. Questa è la corretta equità dei rapporti tra chi chiede asilo e chi riceve, come ha osservato Virgilio, quando Enea, ospitato dal Re del Lazio, propose tra le altre condizioni, che Latino tenesse per sé, ancora e sempre, il comando delle milizie e l’autorità suprema. Ed eccoci al punto focale del discorso: si può e si deve ottenere protezione dallo Stato ospitante, se si abbiano i presupposti per essere qualificati come migranti forzati e alla condizione di rispettare, per l’intera durata del rifugio, le leggi in esso vigenti, evitando, a maggior ragione, ogni comportamento di natura sediziosa30. Ciò è coerente, dopotutto, con quanto l’autore preciserà ulteriormente, circa le condizioni negative dell’asilo, nel capitolo XXI, §. V, n. 1. Il diritto d’asilo è riservato alle vittime di ingiusta persecuzione, mentre i suoi benefici devono essere negati a coloro che abbiano commesso qualsiasi atto lesivo dei diritti altrui o contro gli interessi della società umana31:



Neque obstant illa adeo praedicata supplicum iura et asylorum exempla. Haec enim illis prosunt qui immerito odio laborant, non qui commiserunt quod societati humanae aut hominibus aliis fit injuriosum.



A dette condizioni – e ciò, sì, colpisce davvero per la nettezza con cui chiude il cerchio della riflessione qui proposta – l’ospitante non sarà solo obbligato ad accogliere, ma anche a fornire, nei limiti, per vero, delle sue possibilità, mezzi – in questo caso appezzamenti terrieri – per il sostentamento materiale degli stranieri accolti sul proprio territorio. Esemplificativo è, in tal senso, il § XVII del sopramenzionato capitolo II:



Sed et si quis intra territorium populi est deserti ac sterilis soli, id quoque advenis postulationibus concedendum est… Trojanis data a Latinis Aboriginibus jugera… agri septigenta… nihil peccant qui partem terrae incultant colunt.



Se, infatti, esplica il passo, nel territorio di uno Stato ci siano terre deserte ed incolte, dovranno essere concesse agli stranieri che ivi si sono rifugiati. Così dai Latini, ai Troiani, furono concessi settecento iugeri di terre incolte, in quanto a nessuno reca pregiudizio colui a cui venga concesso di coltivare un terreno in stato di abbandono32. Significativamente, da quel gesto rammentato dal Grozio avrebbe avuto origine, secondo leggenda, la gloriosa storia successiva di Roma.



3. Presupposti negativi dell’asilo in ecclesias nel diritto romano tardoantico



Prima della mutazione genetica sopradescritta33, il nostro istituto ebbe a proliferare nel Medioevo in una veste che, seppur notevolmente divergente rispetto a quella moderna, manteneva al centro la sua funzione salvifica: quella di fare scudo all’individuo da un potere costituito avverso34. L’asilo era, in quel tempo, divenuto la necessaria conseguenza dell’inviolabilità dei luoghi sacri da parte di ogni potere secolare e rappresentava il vessillo più luminoso della libertas ecclesiae, di quella indipendenza da ogni prerogativa sovrana che sarebbe stata combattuta dai neonati Ordinamenti statali fino alla completa cancellazione della protezione ecclesiastica, quando tra la metà del XVIII e la metà del secolo successivo il diritto d’asilo venne soppresso in tutti gli Stati italiani e nella gran parte di quelli continentali35. L’innocente, che fugge da un ingiusto castigo, siccome il peccatore devono essere ospitati: nel primo caso, chi accoglie il forestiero fuggiasco accoglie Cristo stesso, nel secondo, comunque, ha il merito di aprire a costui la via del pentimento e della redenzione, sottraendolo all’esecuzione di una subitanea e spesso violenta pena36. La violazione dell’asilo, così negli atti del Concilio Laterano del 1193, come in quelli di Trento del 1545, è un fatto grave, un sacrilegio punito con la scomunica: l’esclusione dalla comunità dei fedeli, la pena più grave che possa essere irrogata, che colpisce il reus con una sanzione che travalica i confini stessi dell’Ordinamento canonico, producendo le sue nefaste conseguenze anche in quello secolare37. Nondimeno, proprio la riscoperta, tra XII e XIII secolo, del diritto romano, aveva fatto riaffiorare le contraddizioni di un sistema, che non solo dava ricovero a criminali, i quali nessuna intenzione avevano di pentirsi, ma pure aveva spesso trasformato le È, infatti, nelle due grandi opere di compilazione legislativa dell’età tardoantica, il Codice Teodosiano e quello di Giustiniano, che viene descritto compiutamente, attraverso le costituzioni imperiali succedutesi in un arco temporale che va dalla fine del IV secolo all’intero secolo successivo, un sistema non passivamente recettizio di presupposti e limiti dell’asilo Cristiano, nel quale le ragioni di Dio vengono contemperate con il diritto dei Cesari39. In questo quadro, gli imperatori Valentiniano III e Teodosio II andranno oltre nella regolamentazione legislativa dell’istituto, non solamente prendendo atto della protezione che i luoghi di culto offrivano a vario genere di fuggitivi, servi, debitori pubblici e privati, criminali comuni, ma pure disciplinando normativamente taluni aspetti dell’accoglienza e, infine, cercando di proteggere i luoghi consacrati dalle conseguenze più nefaste di questa ospitalità. È quanto emerge, in particolare, dal lunghissimo testo di una costituzione del marzo 431, promulgata a Costantinopoli e diretta al prefetto del pretorio Flavio Antíoco, che è giunta a noi tanto nella versione latina, riportata dal Codice Teodosiano, quanto in quella greca, tramandata nella compilazione giustinianea. Per praticità del lettore riportiamo qui la versione latina a cominciare dal principium: chiese nella base logistica di malcelate forme di criminalità organizzata, in luoghi di violenze e oscenità38.

È, infatti, nelle due grandi opere di compilazione legislativa dell’età tardoantica, il Codice Teodosiano e quello di Giustiniano, che viene descritto compiutamente, attraverso le costituzioni imperiali succedutesi in un arco temporale che va dalla fine del IV secolo all’intero secolo successivo, un sistema non passivamente recettizio di presupposti e limiti dell’asilo Cristiano, nel quale le ragioni di Dio vengono contemperate con il diritto dei Cesari39. In questo quadro, gli imperatori Valentiniano III e Teodosio II andranno oltre nella regolamentazione legislativa dell’istituto, non solamente prendendo atto della protezione che i luoghi di culto offrivano a vario genere di fuggitivi, servi, debitori pubblici e privati, criminali comuni, ma pure disciplinando normativamente taluni aspetti dell’accoglienza e, infine, cercando di proteggere i luoghi consacrati dalle conseguenze più nefaste di questa ospitalità. È quanto emerge, in particolare, dal lunghissimo testo di una costituzione del marzo 431, promulgata a Costantinopoli e diretta al prefetto del pretorio Flavio Antíoco, che è giunta a noi tanto nella versione latina, riportata dal Codice Teodosiano, quanto in quella greca, tramandata nella compilazione giustinianea. Per praticità del lettore riportiamo qui la versione latina a cominciare dal principium:



CTh. 9.45.4 [=CJ. 1.12.3] pr. Impp. Theodos. et Valent. AA. Antiocho Pf. P. Pateant summi dei templa timentibus; nec sola altaria et oratorium templi circumiectum, quod ecclesias quadripertito intrinsecus parietum septo concludit, ad tuitionem confugientium sancimus esse proposita, sed usque ad extremas fores ecclesiae, quas oratum gestiens populus primas ingreditur, confugientibus aram salutis esse praecipimus, ut inter templum, quod parietum descripsimus cinctu, et post loca publica ianuas primas ecclesiae quicquid fuerit interiacens, sive in cellulis sive in domibus, hortulis, balneis, areis atque porticibus, confugas interioris templi vice tueatur. nec in extrahendos eos conetur quisquam sacrilegas manus immittere, ne qui hoc ausus sit, quum discrimen suum videat, ad expetendam opem ipse quoque confugiat. hanc autem spatii latitudinem ideo indulgemus, ne in ipso dei templo et sacrosanctis altaribus confugientium quemquam manere vel vescere, cubare vel pernoctare liceat: ipsis hoc clericis religionis causa vetantibus, ipsis, qui confugiunt, pietatis ratione servantibus.



Il primo scorcio testuale della normativa riconosce la legittimità della pratica dell’asilo in ecclesiam verso tutti coloro i quali possano definirsi timorati di Dio e, dunque, in buona sostanza, Cristiani40. Oltre a ciò delimita, estendendola, l’area dell’inviolabilità ecclesiale41 ad alcuni spazi limitrofi al tempio: non solo gli altari e l’oratorio godranno, d’ora in poi, di questo privilegio, ma tutto quanto incluso nelle mura perimetrali della chiesa sarà immune dalla giustizia secolare, così come gli eventuali balnea e le pertinenze annesse. Il motivo di una simile concessione è in calce e per noi è l’aspetto di maggiore interesse della disciplina: questa “latitudine”, infatti, è determinata dalla necessità di evitare che vitto e alloggio siano goduti dal rifugiato all’interno del tempio, nella parte propriamente dedicata al culto o, peggio, nelle vicinanze degli altari42. L’accoglienza cristiana, lo precisa, del resto, anche una legge dell’imperatore Leone di un trentennio più tarda, comporta per i chierici l’onere di offrire ove e di che vivere ai fugitivi, ma non li esenta dal far sì che l’asilo prestato non pregiudichi le ragioni del culto. Leggiamo, così, in un frammento della costituzione del 466 d.C., indirizzata dall’imperatore al prefetto del pretorio Eritrio43:



CJ. 1.12.6 pr. …Ex his ergo locis eorumque finibus, quos anteriorum legum praescripta sanxerunt, nullos expelli aut eici aliquando patimur nec in ipsis ecclesiis reverendis ita quemquam detineri atque constringi, ut ei aliquid aut victualium rerum aut vestis negetur aut requies…



Dunque – afferma Leone – da quei luoghi o dalle adiacenze dei medesimi, riguardo ai quali precedenti norme disposero, non permettiamo che nessuno sia estratto o scacciato e nemmeno che alcuno sia detenuto negli stessi in guisa che qualcosa gli sia negato per vitto o veste o riposo. Già, insomma, al suo primo manifestarsi in senso compiuto, la legislazione inerente al diritto del rifugiato connette, direi in buona misura inscindibilmente, la pratica dell’accoglienza con le misure volte al sostentamento materiale del richiedente. E, tuttavia, l’accoglienza non può accordarsi senza condizioni. È quanto risulta dal seguito di CTh. 9.45.4, §§. 1-3:



1. Arma quoque in quovis telo, ferro vel specie eos, qui confugiunt, minime intra ecclesias habere praecipimus, quae non modo a summi dei templis ac divinis altaribus prohibentur, sed etiam cellulis, domibus, hortulis, balneis, areis atque porticibus. 2. Proinde hi, qui sine armis ad sanctissimum dei templum aut ad sacrosanctum altare sive usquam gentium sive in hac alma urbe confugiunt, somnum intra templum sive ipsum altare vel omnino cibum capere absque aliqua eorum iniuria ab ipsis clericis arceantur, designantibus spatia, quae in ecclesiasticis septis eorum tuitioni sufficiant, ac docentibus, capitalem poenam esse propositam, si qui eos conentur invadere. quibus si perfuga non annuit, neque consentit, praeferenda humanitati religio est et a divinis ad loca, quae diximus, turbanda temeritas. 3. Hos vero, qui templa cum armis ingredi audent, ne hoc faciant, praemonemus; dein si telis cincti quovis ecclesiae loco vel ad templi septa vel circa vel extra sint, statim eos, ut arma deponant, auctoritate episcopi a solis clericis severius conveniri praecipimus, data eis fiducia, quod religionis nomine melius quam armorum praesidio muniantur. sed si ecclesiae voce moniti, post tot tantorumque denuntiationes, noluerint arma relinquere, iam, clementiae nostrae apud deum et episcoporum causa purgata, armatis, si ita res exegerit, intromissis, trahendos se abstrahendosque esse cognoscant et omnibus casibus esse subdendos. sed neque episcopo inconsulto, nec sine nostra sive iudicum in hac alma urbe vel ubicumque* iussione armatum quemquam ab ecclesiis abstrahi oportebit, ne, si multis passim hoc liceat, confusio generetur. dat. x. kal. april. Constantinopoli, Antiocho v. c. cos. et qui fuerit nuntiatus.



Il secondo segmento testuale, il §. 1, ci conduce, infatti, nel vivo della questione qui precipuamente discussa: in ogni luogo sopra menzionato sia vietato al rifugiato di tenere armi con sé. Esse divengono, in tal senso, in una società mediamente più violenta di quella attuale, la manifestazione evidente di intenti sanguinosi inconciliabili con la richiesta di asilo e la redenzione dell’anima. Di seguito, il §. 2 costituisce una summa di quanto precedentemente affermato: così l’asilato ha, certo, diritto di essere accolto e potrà fruire, secondo quanto si conviene, oltreché dell’intangibilità, di vitto e alloggio all’interno della “nuova dimora”, ma non se abbia ricusato di conformarsi alle prescrizioni imperiali, rifiutandosi di abbandonare le armi o arrecando con la propria condotta oltraggio ai luoghi consacrati dei quali è ospite. Chiude la costituzione un terzo paragrafo in cui è ribadito: che nessuno possa entrare in una chiesa cinto di armi; che, in tal caso, i ministri del culto debbano ammonirlo di deporle per affidarsi, in loro vece, alla protezione divina; che se questi, ancora, si rifiuti di ottemperare alle prescrizioni di questa costituzione possa, su ordine del Vescovo, essere espulso con l’impiego della forza armata44. Procedendo ora in ordine cronologico, insieme a questa costituzione deve essere letta una normativa introdotta l’anno successivo, nel 432 d.C., dagli stessi imperatori, che qui riporto nel testo compilato in CJ. 1.12.4, reso più penetrante, per la tematica che qui occupa, da un’opera di abbreviazione non ancora avvenuta nella versione inclusa in CTh. 9.45.545:



pr. Si servus cuiusquam ecclesiam alteriave armatus nullis hoc suspicantibus inopinatus inruerit, exinde protinus abstrahatur vel certe continuo domino vel ei, unde eum tam furiosa formido proripuit, indicetur eique mox abstrahendi copia non negetur. 1. Sed si armorum fiducia resistendi animos insania impellente conceperit, abripiendi extrahendique eum domino, quibus potest id efficere viribus, concedatur. quod si illum etiam confici in concertatione pugnaque contigerit, nulla erit eius noxa nec conflandae criminationis relinquetur occasio, si is, qui ex statu servili in hostilis et homicidae condicionem transiliit, occisus sit. * Theodos. et Valentin. AA. Hiero PP. *



La legge dispone che, se un servo, non perseguitato da alcuno, abbia fatto, armato, repentina irruzione in una chiesa o sugli altari, venga da là subito strappato e si conceda al padrone, al quale lo aveva sottratto questo quasi folle timore, di portarlo via. Che se poi costui, afferma il §. 1, confidando nella forza delle armi si proponga ancora di resistere, sia consentito al dominus di prelevarlo forzosamente con i mezzi di cui disporrà e se nella colluttazione e nello scontro armato da lui insanamente innescato sia trafitto, non possa il padrone essere perseguito per l’omicidio di colui che dallo stato servile passò allo stato ostile o, peggio, alla condizione di omicida.

Qualcosa, anzitutto, il passo dice, tra le righe, del presupposto oggettivo di ammissione all’asilo: il servo, infatti, a memoria dell’incipit, dovrebbe manifestare un giustificato timore di essere punito al fine di acquisire la facoltà di rifugiarsi in una chiesa, chiedendo protezione, altrimenti, la sua fuga si risolverebbe in una espropriazione ingiustificata del dominus; allo stesso tempo, in negativo, tanto il principium quanto il primo paragrafo, avvertono: che l’uso delle armi nel sacro tempio non resterà impunito; che per il portarle in chiesa o sugli altari si possa veder denegato l’asilo; che, a maggior ragione, di fronte alla resistenza armata ai ministri del culto, essi possano autorizzare il padrone ad intervenire con la forza per estrarre il servo fuggitivo fino alle estreme conseguenze, restando costui, pure, eventualmente impunito per averlo ucciso in duello46. Ritorna qui il tema dell’incompatibilità tra gli approcci violenti e irriguardosi della sacralità del luogo con il diritto al rifugio; il preteso rispetto per l’ospitante e per i locali in cui si compie l’accoglienza diventano presupposti impliciti per godere della protezione ecclesiastica. Sebbene, rispetto a quanto poco più sopra appreso dalla trattazione del Grozio, possa sembrare un paradosso, la legge imperiale si pone a difesa del luogo che con la sua immunità fa argine alla forza coercitiva secolare, appresta regole, che si impegna a far osservare, per la pace ed il rispetto dei templi in cui l’Ordinamento concorrente offre asilo a coloro che fuggono dalla sua stessa autorità. Nondimeno, in perfetta assonanza con l’evoluzione moderna dell’istituto, la disciplina imperiale impone un certo contegno al richiedente asilo: la rinuncia all’uso della violenza, siccome il formale rispetto dell’autorità dell’Ordinamento ospitante, nonché della sua pace interna; è quanto con nettezza emerge da una costituzione ad populum, datata al 451 d.C., dell’imperatore Marciano, che qui riporto nella versione compilata in CJ. 1.12.547:



Denuntiamus vobis omnibus, ut in sacrosanctis ecclesiis et in aliis quidem venerabilibus locis, in quibus cum pace et quiete vota competit celebrari, abstineatis omni seditione. nemo conclamationibus utatur, nemo moveat tumultum aut impetum committat vel conventicula collecta multitudine in qualibet parte civitatis vel vici vel cuiuscumque loci colligere aut celebrare conetur. nam si quis aliquid contra leges a quibusdam sibi existimet perpetrari, liceat ei adire iudicem et legitimum postulare praesidium. sciant sane omnes, quod, si quis contra huius edicti normam aut agere aliquid aut seditionem movere temptaverit, ultimo supplicio subiacebit. * Marcian. A. ad pop. *



Il tenore letterale del testo è già chiarificatore e, per quanto più ci importa, si lega perfettamente a quanto abbiamo letto nel §. XVI, capitolo II, libro II, del De Iure groziano, nell’imporre il divieto, a pena del supplizio capitale, di turbare la pace delle chiese e di altri venerabili luoghi di preghiera e devozione, con la minaccia di sedizioni, incitando o, in altro modo, fomentando la folla alla sommossa e al tumulto. La previsione della pena capitale diviene per noi significativa nella misura in cui esprime una valutazione di estremo – direi massimo – disvalore nei confronti di tutte le condotte dei rifugiati che mirino a turbare l’ordine interno dell’ospitante. Esse non solo tradiscono le ragioni dell’asilo e si pongono recisamente in contraddizione con la richiesta di protezione avanzata, ma pure manifestano una contrarietà complessiva alle regole dell’Ordinamento ospitante che merita di essere repressa quanto più severamente possibile come somma violazione della reciproca fiducia sottesa al rapporto tra rifugiato e suo salvatore.



4. Conclusioni



Lo si sarà intuito, quella che le pagine che precedono raccontano, in alcuni disuniti ma significativi passaggi, è una storia in parte segnata da continuità e in parte spezzata. Se l’elaborazione imperiale tardoantica dell’istituto giuridico dell’asilo in ecclesias, così come la sua riponderazione giusnaturalistica, quale strumento di protezione sovrana, avevano percepito già distintamente la corrispondenza biunivoca tra accoglienza e oneri materiali di assistenza del rifugiato, il quale non avrebbe potuto, in considerazione del suo status, essere abbandonato al proprio destino, quanto a possibilità di mantenersi, di fruire di un luogo dove vivere, lavarsi e pernottare, allo stesso tempo, si erano proposte di essere altrettanto rigorose circa il corrispettivo suo onere di tenere un comportamento, in primo luogo, non sedizioso, secondariamente, ossequioso nei confronti delle regole interne del luogo, fosse esso chiesa o Stato sovrano, dal quale era ospitato, pena l’esclusione dal suo stato privilegiato e conseguente immediata espulsione/ estrazione dall’entità che, fino a quel momento, gli aveva assicurato protezione. Oggi il quadro pare radicalmente mutato. Il Sistema europeo d’asilo e l’ossequio alla Convenzione di Ginevra, che, esattamente come le sopracitate forme di manifestazione storica dell’istituto, pongono a carico dello Stato ospitante l’onere di apprestare, a vantaggio del rifugiato, misure materiali di accoglienza volte ad assicurargli vitto, alloggio, accesso al lavoro e una certa qual minima indipendenza economica, hanno rescisso – certo per meritevoli ragioni umanitarie – l’intimo legame tra la fruizione di queste prestazioni e la buona condotta dell’avente diritto. E, non solo, che è circostanza indefettibile, vietando allo Stato membro ospitante il respingimento o l’espulsione del rifugiato, per aver commesso reati particolarmente gravi, accertati con sentenza passata in giudicato, quando nel Paese d’origine la sua vita o la sua libertà possano risultare minacciate e vi sia il rischio di gravi violazioni dei diritti fondamentali di costui, ma, pure, a fronte della violazione, anche ripetuta, delle regole del centro di accoglienza o di condotte particolarmente violente, impedendogli – così almeno pare in attesa della definitiva pronuncia della Corte di Giustizia europea – di revocare a suo discapito le misure di materiale assistenza.

NOTE

1 Cfr. Cons. di Stato, sez. III, Ord. 30 dicembre 2020, n. 8540, in www. osservatoriofamiglia.it.

2 Cfr. P. PassaGlia, Eutanasia di un diritto (la triste parabola dell’asilo), in Foro it., 2006, I, 2851 ss.; V. di Pasqua, Il diritto di asilo e il contrasto all’immigrazione irregolare, in Profili attuali di diritto costituzionale, a cura di e. catelani, s. Panizza, r. roMBoli, Pisa, 2015, 51 ss.; M. consito, I procedimenti amministrativi sul riconoscimento allo straniero degli status di protezione internazionale, in Dir. amm., XXV, 2017, 2, 396 ss.; M. acierno, Il diritto del cittadino straniero alla protezione internazionale: condizione attuale e prospettive future, in Immigrazione, asilo e cittadinanza. Discipline e orientamenti giurisprudenziali, a cura di P. Morozzo della rocca, Santarcangelo di Romagna, 20183, 73 ss.; M. BenVenuti, La forma dell’acqua. Il diritto di asilo costituzionale tra attuazione, applicazione e attualità, in Questione Giustizia, 2018, 2, 14 ss. e c. Panzera, Il diritto d’asilo. Profili costituzionali, Napoli, 2020, 97 ss.

3 Come risulta dal combinato di Cass. civ., sez. un., 26 maggio 1997, n. 4674, in www.leggiditalia.it: “In mancanza di una legge di attuazione del precetto di cui all’art. 10, terzo comma, Cost., infatti, allo straniero il quale chiede il diritto d’asilo null’altro viene garantito se non l’ingresso nello Stato, mentre il rifugiato politico, ove riconosciuto tale, viene a godere di uno status di particolare favore”; di Cass. civ., sez. I, 25 novembre 2005, n. 25028, in www.leggiditalia.it: “in assenza di una legge organica sull’asilo politico, non ha... contenuto legale diverso e più ampio del diritto a ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno per la durata dell’istruttoria della pratica attinente il riconoscimento dello status di rifugiato” e, da ultimo, di Cass. civ., sez. VI-1, sent., 23 giugno 2016, n. 13081, in www.leggiditalia.it: “l’asilo costituzionale è interamente assorbito dal sistema normativo della protezione internazionale composto dal rifugio politico, la protezione sussidiaria e la protezione umanitaria”.

4 Per l’averne, da un lato, soppresso l’immediata effettività, dall’altro, costretto la portata all’interno delle altre forme di protezione politico-umanitaria previste dall’Ordinamento italiano; e sul punto rinvio a: P. PassaGlia, Eutanasia di un diritto, cit., 2851 ss.; d. consoli, G. schiaVone, L’effettività negata del diritto all’asilo e del diritto al rifugio politico, in Questione Giustizia, 2006, 3, 539; e. caVasino, Ancora sui rapporti tra asilo e rifugio: la prima sezione della Cassazione non corregge il tiro, in Foro it., 2007, I, 1869; F. MastroMartino, Il diritto di asilo. Teoria e storia di un istituto giuridico controverso, Torino, 2012, 180; M. BenVenuti, Il diritto di asilo nell’ordinamento costituzionale italiano, Padova, 2007, 214 ss.; id., Andata e ritorno per il diritto di asilo costituzionale, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2010, 2, 36 ss.; id., La forma dell’acqua, cit., 19 ss.; acierno, Il diritto del cittadino straniero alla protezione internazionale, cit., 76; F. resciGno, Il diritto d’asilo e la sua multiforme (non) attuazione, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2020, 3, 103 s. e Panzera, Il diritto d’asilo, cit., 145 ss. In senso opposto, invece, depone la trattazione di c. FaVilli, La protezione internazionale nell’ordinamento dell’Unione europea, in Procedure e garanzie del diritto d’asilo, a cura di c. FaVilli, Padova, 2011, 143 e ead., L’Unione che protegge e l’Unione che respinge. Progressi, contraddizioni e paradossi del sistema europeo di asilo, in Questione Giustizia, 2018, 2, 30 ss., per la quale, stante la conformità strutturale dell’attuale sistema di protezione internazionale italiano a quello delineato dalle direttive europee in tema, in forza dello specifico obbligo attuativo relativo alla c.d. “direttiva qualifiche”, lo Stato membro non avrebbe il diritto di introdurre normative più favorevoli, che siano in contrasto con la definizione europea dello status di asilo, dato che in virtù del principio del primato gli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione essi prevalgono su qualsiasi norma di diritto nazionale, anche di rango costituzionale.

5 Cfr. di Pasqua, Il diritto di asilo, cit., 49 ss.; d. Belluccio, La revoca dell’accoglienza dei richiedenti asilo, in ASGI, giugno 2017, https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2017/07/scheda-pratica-revoca-accoglienza.pdf (consultato in data 10 aprile 2021), §. 1; FaVilli, L’Unione che protegge e l’Unione che respinge, cit., 28 ss.; resciGno, Il diritto d’asilo, cit., 99 ss. e n. PetroVic, Storia del diritto d’asilo in Italia (1945-2020). Le istituzioni, la legislazione, gli aspetti socio-politici, Milano, 2020, 23 ss., 124 s., 139 s.

6 Per un ragguaglio procedurale aggiornato alle ultimissime riforme parziali della disciplina: caMera dei dePutati. serVizio studi, Diritto di asilo e accoglienza dei migranti sul territorio, pubblicato in data 11 marzo 2021, https://www.camera.it/ temiap/documentazione/temi/pdf/1105104.pdf (consultato in data 11 aprile 2021).

7 Per un preciso commentario della disciplina euro-unitaria in raffronto con quella nazionale in tema, cfr. Belluccio, La revoca dell’accoglienza, cit., §. 2; sulle conseguenze pratiche della non coerente attuazione della norma e sulla sua possibile applicazione diretta: M. FlaMini, n. zorzella, Le misure di accoglienza. Asilo e protezione internazionale (nota a Tar Toscana, Firenze, sentenza n. 437/2020), in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2020, 2, https://www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/archivio-fascicoli/fascicolo-2020-n-2/100-rassegne-di-giurisprudenza-n-2-2020/rassegne-di-giurisprudenza-italiana-n-2-2020/167-asilo-e-protezione-internazionale (consultato in data 12 aprile 2021), e ancora in La revoca delle misure di accoglienza. Asilo e protezione internazionale (nota a Tar Toscana, Firenze, sentenza n. 1170/2019), in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2020, 1, https:// www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/archivio-fascicoli/fascicolo-2020-n-1/92-rassegne-di-giurisprudenza/rassegne-di-giurisprudenza-italiana-n-1-2020/155-asilo-e-protezione-internazionale (consultato in data 12 aprile 2021).

8 di Pasqua, Il diritto di asilo, cit., 57 e Belluccio, La revoca dell’accoglienza, cit., §§. 3 e 3b.

9 a. BraMBilla, Il diritto all’accoglienza dei richiedenti asilo in Italia: quali sfide dopo la legge 132/2018, in ASGI, maggio 2019, https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/asilo-accoglienza-dopo-legge-132-2018/ (consultato in data 12 aprile 2021), §. 4; t. de ViVo, Revoca delle condizioni materiali di accoglienza dei richiedenti asilo. Commento alla sentenza C-233/18 della Corte di giustizia dell’Unione europea. Caso Haqbin, in Opinio Juris. Law and Politics Review, gennaio 2020, https://www.opiniojuris.it/caso-haqbin/ (consultato in data 12 aprile 2021); c. cuttitta, Caso Haqbin: l’attuazione della pronuncia nel panorama europeo e italiano, in Eurojus.it., giugno 2020, http://rivista.eurojus.it/caso-haqbin-lattuazione-della-pronuncia-nel-panorama-europeo-e-italiano/ (consultato in data 12 aprile 2021).

10 de ViVo, Revoca delle condizioni materiali, cit.; cuttitta, Caso Haqbin, cit. e M. Borraccetti, F. Ferri, Limiti all’interruzione delle condizioni materiali di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale. Rassegna di giurisprudenza europea, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2020, 1, https://www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/archivio-fascicoli/fascicolo-2020-n-1/91-rassegne-di-giurisprudenza/ rassegne-di-giurisprudenza-europea-n-1-2020/161-rassegne-di-giurisprudenza-europea (consultato in data 12 aprile 2021).

11 Commentata: FlaMini, zorzella, Le misure di accoglienza, cit.

12 Commentata: cuttitta, Caso Haqbin, cit.

13 Art. 12. Diniego dello status di rifugiato. 1. Sulla base di una valutazione individuale, lo status di rifugiato non è riconosciuto quando: a) in conformità a quanto stabilito dagli articoli 3, 4, 5 e 6 non sussistono i presupposti di cui agli articoli 7 e 8 ovvero sussistono le cause di esclusione di cui all’articolo 10; b) sussistono fondati motivi per ritenere che lo straniero costituisce un pericolo per la sicurezza dello Stato; c) lo straniero costituisce un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica, essendo stato condannato con sentenza definitiva per i reati previsti dall’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale ovvero dagli articoli 336, 583, 583-bis, 583-quater, 624 nell’ipotesi aggravata di cui all’articolo 625, primo comma, numero 3), e 624-bis, primo comma, del codice penale. I reati di cui all’articolo 407, comma 2, lettera a), numeri 2), 6) e 7-bis), del codice di procedura penale, sono rilevanti anche nelle fattispecie non aggravate. Art. 13. Revoca dello status di rifugiato. 1. Fatto salvo l’obbligo del rifugiato di rivelare tutti i fatti pertinenti e di produrre tutta la pertinente documentazione in suo possesso, la revoca dello status di rifugiato di uno straniero è adottata su base individuale, qualora, successivamente al riconoscimento dello status di rifugiato, è accertato che: a) sussistono le condizioni di cui all’articolo 12; b) il riconoscimento dello status di rifugiato è stato determinato, in modo esclusivo, da fatti presentati in modo erroneo o dalla loro omissione, o dal ricorso ad una falsa documentazione dei medesimi fatti. Sulla necessità condivisibile, ma, in ogni caso, inascoltata nelle more della lavorazione del d.l. 130/2020, di espungere la “resistenza a pubblico ufficiale” dal novero delle fattispecie criminose menzionate dall’articolo, cfr. aa.VV., Alcune luci e molte ombre nel decreto-legge n. 130/2020 in materia di immigrazione e asilo, in ASGI, novembre 2020, https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2020/11/valutazioni-edemendamenti-ASGI-al-d.l.-n.-130-2030-4-11-2020-fin-1.pdf (consultato in data 12 aprile 2021), 15 s.: “Si tratta invero di una fattispecie incriminatrice che non può essere annoverata tra le condotte di particolare pericolo per la comunità, ipotesi che sola consente tali limiti sulla base della convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato e della direttiva UE sulle qualifiche dei titolari protezione internazionale”. Sul vuoto che, oggi, la revoca di questi status ingenererebbe in non pochi casi, a fronte della cancellazione, ad opera del d.l. 113/2018, della protezione umanitaria, e del marginale confinamento di alcune ipotesi nella stessa rientranti nel contesto della protezione “speciale”, cfr. a. alGostino, Il decreto “sicurezza e immigrazione” (decreto legge n. 113 del 2018): estinzione del diritto di asilo, repressione del dissenso e diseguaglianza, in Costituzionalismo.it, 2018, 2, 176 s., in questa direzione si veda anche a. del Guercio, Dal decreto Minniti-Orlando al decreto Salvini: decretazione d’urgenza, securitizzazione della politica d’asilo e compressione dei diritti fondamentali. Quando la legge genera vulnerabilità, in Persone fragili. La vita psichica dei migranti forzati tra cura ed esclusione, a cura di a. d’anGiò, M. Visconti, Milano, 2018, 49 ss. In prospettiva diacronica, sui fondamenti romanistici dell’intimo legame tra accoglienza e ragioni di ordine pubblico nella più vasta area del diritto pubblico dell’immigrazione, cfr. G. Valditara, Immigrazione nell’antica Roma: una questione attuale, Soveria Mannelli, 2015, 39 ss., 47 ss.

14 In base al principio per cui se anche tali persone abbiano commesso reati particolarmente gravi, accertati con sentenza passata in giudicato nello Stato membro interessato, e vedano per questo, dallo stesso, revocato il loro status di rifugiati, non possono ad ogni modo essere colpite da misura di respingimento o di espulsione verso il paese di origine, quando la loro vita o la loro libertà siano iviminacciateovisiailrischiochesianoviolatiilorodirittifondamentali:F.BuFFa, s. centonze, Conseguenze della condanna penale del rifugiato secondo la sentenza della Cgue del 14 maggio 2019, https://www.questionegiustizia.it/articolo/conseguenze-della-condanna-penale-del-rifugiato-secondo-la-sentenza-della-cgue-del-14-maggio-2019_14-06-2019.php (consultato in data 12 aprile 2021), e sul medesimo arresto, d. loPrieno, “Reo” ma rifugiato e, dunque, inspellibile. Nota a Sentenza, Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, 14 maggio 2019, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2019, 3, 226 ss. Per analoghe considerazioni in tema di protezione sussidiaria: a. di Martino, B. occhiuzzi, Condannato ma protetto contro l’espulsione. Un’intersezione fra diritto penale e della protezione internazionale, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2018, 3, 1 ss. C’è da dire che, già prima del consolidarsi di questo orientamento, il revocato rifugiato ai sensi del diritto nazionale sarebbe rimasto, comunque, rifugiato convenzionale, alla luce dell’Ordinamento internazionale e quindi protetto dal divieto di non-refoulement. In conseguenza di ciò, pertanto, lo Stato revocante sarebbe restato in una posizione mediana: non obbligato a proteggerlo, ma a trovare un altro Stato che si assumesse la responsabilità di accoglierlo, con un’obbligazione collettiva, gravante sull’intera comunità internazionale, di assicurargli una collocazione idonea a garantirgli vita e libertà dall’oppressione: F. MastroMartino, Il diritto di asilo. Funzione, contenuti e garanzie di un diritto soggettivo, in Parolechiave, 2011, 53 ss.

15 Art. 16. Esclusione. 1. Lo status di protezione sussidiaria è escluso quando sussistono fondati motivi per ritenere che lo straniero: ...d-bis) costituisca un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica, essendo stato condannato con sentenza definitiva per i reati previsti dall’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale ovvero dagli articoli 336, 583, 583-bis, 583-quater, 624 nell’ipotesi aggravata di cui all’articolo 625, primo comma, numero 3), e 624-bis, primo comma, del codice penale. I reati di cui all’articolo 407, comma 2, lettera a), numeri 2), 6) e 7-bis), del codice di procedura penale, sono rilevanti anche nelle fattispecie non aggravate. 2. Il comma 1 si applica anche alle persone che istigano o altrimenti concorrono alla commissione dei crimini, reati o atti in esso menzionati.

16 BraMBilla, Il diritto all’accoglienza dei richiedenti asilo in Italia, cit., §. 4, individua come limite alla possibilità di revoca delle misure di accoglienza, la circostanza che i comportamenti gravemente violenti, integrino una fattispecie di illecito penale ai sensi dell’Ordinamento dello Stato membro.

17 In maniera ben più radicale, ma pur sempre dubitando dell’utilità di quella che l’Autore definisce l’iperfetazione dei diritti umani nella più generale regolamentazione del diritto dei flussi migratori, si vedano i contributi di G. Valditara, Immigrazione, una scelta culturale, in G.c. BlanGiardo, G. Gaiani, G. Valditara, Immigrazione. Tutto quello che dovremmo sapere, Roma, 2016, 10 ss. e id., Immigrazione tra realismo e ideologismo, in Logos, 2017, http://www.logos-rivista.it/index.php?view=article&catid=114%3Acategoria-storico-febbraio-2017&id=1024%3Aimmigrazione-tra-realismo-e-ideologismo-g-valditara&format=pdf&option=com_content&Itemid=826 (consultato in data 10 aprile 2021).

18 E, sul punto, in rapporto all’elaborazione dell’istituto nei primi secoli della Cristianità, già mi sono intrattenuto in a. Grillone, Duae arces libertatis tuendae. Alle origini della difesa dal potere costituito, in Archivio Giuridico Serafini, 2021, II, 441 ss.

19 F.a. caPPelletti, Dalla Legge di Dio alla Legge dello Stato. Per una storia del diritto d’asilo, in Il diritto d’asilo, a cura di B.M. Bilotta, F.a. caPPelletti, Padova, 2006, 26 ss. e J. Fernandez, Droit et pratique de l’asile en France, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2017, 3, 2017, 1, 1 ss. E, diffusamente, sul testo normativo rivoluzionario: G.s. Pene Vidari, Storia del diritto. Età contemporanea, Torino, 2014, 37 ss.

20 c. latini, Il privilegio dell’immunità. Diritto d’asilo e giurisdizione nell’ordine giuridico dell’età moderna, Milano, 2002, 2 ss. e MastroMartino, Il diritto di asilo, cit., 13 ss.

21 caPPelletti, Dalla Legge di Dio alla Legge dello Stato, cit., 21 ss. e MastroMartino, Il diritto di asilo, cit., 29, 33 s.

22 J. lecler, Histoire de la tolérance au siècle de la Réforme [FR 1955], trad. it. Storia della tolleranza nel secolo della riforma, II, Brescia, 1967, 9, 297, 532; F. ruFFini, La libertà religiosa come diritto pubblico subiettivo, Bologna, 1992, 97 e MastroMartino, Il diritto di asilo, cit., 24.

23 Così MastroMartino, Il diritto di asilo, cit., 25, sulla scorta di r.h. Bainton, The Travail of Religion Liberty. Nine Biographical Studies [UK 1971], trad. it. La lotta per la libertà religiosa, Bologna, 2001, 21.

24 Sul pensiero di Francisco de Vitoria: i. truJillo Pérez, Francisco de Vitoria. Il diritto alla comunicazione e i confini della società umana, Torino, 1997, 129 s., sull’incidenza dello stesso nel pensiero di Grozio: r. tuck, The Rights of War and Peace: Political Thought in the International Order From Grotius to Kant, Oxford, 2009, 108.

25 Francisco de Vitoria, Relectio de indis [ESP 1532-38], trad. it. Relectio de indis. La questione degli indios, a cura di a. laMacchia, Bari, 1996, I, 3, I (16-20), p. 78: A principio orbis (cum omnia essent communia) licebat unicuique in quamcumque regionem vellet, intendere et peregrinari. Non autem videtur hoc demptum per rerum divisionem. Nunquam enim fuit intentio gentium per illam divisionem tollere hominum “invicem” communicationem, su cui cfr. MastroMartino, Il diritto di asilo, cit., 37, nt. 90; r. hoFMeister Pich, Francisco de Vitoria, “direito de comunicação” e “hospitalidade”, in Estudos de filosofía social e política: Justiça e Reconhecimento, a cura di a. BaVaresco, F. JoziVan Guedes de liMa, J.h. sousa assai, Porto Alegre, 2015, 331 ss.; M. de Wilde, Seeking Refuge: Grotius on Exile, Expulsion and Asylum, in Journal of the History of International Law, 20, 2018, 478; J. cruz cruz, Vitoria: Derecho de gentes y ley natural, in Ley Natural, novembre 2012, https://www.leynatural. es/2012/11/24/derecho-de-gentes-y-ley-natural-en-vitoria/ (consultato in data 13 aprile 2021), § 5; id., Vitoria y el fundamento del derecho internacional, in Ley Natural, marzo 2020, https://www.leynatural.es/2020/03/15/vitoria-y-el-fundamento-del-derecho-internacional/#more-5594 (consultato in data 13 aprile 2021), § 1, a). Per altro, è interessante rilevare, sebbene questo passaggio lo ridimensioni quale “uomo del suo tempo”, come nessun limite allo sfruttamento delle risorse naturali dei popoli indigeni da parte dei migranti spagnoli avesse individuato de Vitoria: non potevano, forse, considerarsi proprietà di quei popoli, in quanto gli stessi si erano dimostrati non in grado di sfruttarle, cfr. caPPelletti, Dalla Legge di Dio alla Legge dello Stato, cit., 22.

26 Francisco de Vitoria, Relectio de indis, cit., I, 3, I (11-12), p. 78.

27 Cfr. MastroMartino, Il diritto di asilo, cit., 37, nt. 90; hoFMeister Pich, Fran-

cisco de Vitoria, cit., 329 s.; F. todescan, Utrum Omnis Lex Derivetur a Lege Aeterna. Dogmatica giuridica e suggestioni teologiche nel “sistema delle fonti” di Francisco de Vitoria, in New Perspectives on Francisco de Vitoria, a cura di J.M. Beneyto, c.r. Vaca, Madrid, 2015, §. 4 e de Wilde, Seeking Refuge, cit., 476 s.

28 Cfr. MastroMartino, Il diritto di asilo, cit., 39 s. Al netto delle preoccupazioni d’indebolimento identitario, che personalmente non condivido, c’è qualcosa di tutto ciò nelle critiche più acute di Giuseppe Valditara alle strade intraprese da certo diritto sovranazionale dell’immigrazione (cfr. Valditara, Immigrazione, una scelta culturale, cit., 8, 10 s.); non è questione, certo, oggi, di proprietà, ma si potrebbero discutere talune politiche, come questo Autore sottolinea, per esempio, alla luce della loro possibile marcata inconciliabilità con il “patto fiscale”.

29 Cfr. la traduzione italiana, u. Grozio, Il diritto della guerra e della pace, Libro II, Tomo III, con introduzione di F. russo, a cura di s. Mastellone, Firenze, 2002. 30 caPPelletti, Dalla Legge di Dio alla Legge dello Stato, cit., 23 s.; MastroMarti-

no, Il diritto di asilo, cit., 40 e de Wilde, Seeking Refuge, cit., 487 ss.

31 MastroMartino, Il diritto di asilo, cit., 50 s. e de Wilde, Seeking Refuge, cit.,

491 ss.

32 caPPelletti, Dalla Legge di Dio alla Legge dello Stato, cit., 24.

33 Cfr. incipit §. 2.

34 Sui legami tra l’asilo offerto dai luoghi sacri e le funzioni, in questa decli-

nazione assimilabili, dei tribuni della plebe, nelle ere antecedenti della romanità, già cfr. Grillone, Duae arces libertatis tuendae, cit., 473 ss. Sulla funzione dell’asilo “en el mundo antiguo”, cfr. r. Mentxaka, El derecho de asilo en las iglesias cristianas con base en algunas constituciones imperiales del siglo IV y V, in Vergentis. Revista de Investigación de la Cátedra Internacional Conjunta Inocencio III, 7, 2018, 175 s.

35 G. VisMara, voce Asilo (diritto di), a) Premessa storica, II) Diritto intermedio, in Enc. dir., III, Milano, 1958, 201 s.; caPPelletti, Dalla Legge di Dio alla Legge dello Stato, cit., 20; latini, Il privilegio dell’immunità, cit., 2 ss. e MastroMartino, Il diritto di asilo, cit., 13 ss.

36 s. aGostino, La Giustizia, a cura di G. catalano, Roma, 2004, 163. E cfr. a riguardo: VisMara, Asilo, cit., 198; caPPelletti, Dalla Legge di Dio alla Legge dello Stato, cit., 10, 14 e F. MastroMartino, Percorsi dell’asilo cristiano. Origine, affermazione e crisi di un istituto giuridico controverso, in L’Acropoli. Rivista bimestrale, XI, 2010, http://lacropoli.eu/articolo.php?nid=786 (consultato in data 20 aprile 2021), §§. 2 e 3.

37 Cfr. VisMara, Asilo, cit., 199; P.G. caron, voce Asilo (diritto canonico e diritto statuale medioevale e moderno), in Noviss. Dig. it., I, Torino, 1958, 1037 s. e caPPelletti, Dalla Legge di Dio alla Legge dello Stato, cit., 17.

38 VisMara, Asilo, cit., 199 e caPPelletti, Dalla Legge di Dio alla Legge dello Stato, cit., 17.



39 A riguardo già mi sono intrattenuto in Grillone, Duae arces libertatis tuendae, cit., 441 ss.; in precedenza, MastroMartino, Percorsi dell’asilo cristiano, cit., §. 1; diffusamente Mentxaka, El derecho de asilo, cit., 176 s.

40 a. ducloux, Ad ecclesiam confugere. Naissance du droit d’asile dans les églises, Paris, 1994, 226 e Mentxaka, El derecho de asilo, cit., 222.

41 M. Melluso, In tema di servi fugitivi in ecclesia in epoca giustinianea. Le Bullae Sanctae Sophiae, in Dialogues d’Historie Ancienne, 28, 2002, I, 251 ss.; a.d. ManFredini, Debitori pubblici e privati “in ecclesiam confugientes” da Teodosio a Giustiniano, in RDR, 2002, II, 307, nt. 28; l. di cintio, L’“Interpretatio Visigothorum” al “Codex Theodosianus”. Il libro IX, Milano, 2013, 220 e Mentxaka, El derecho de asilo, cit., 221 ss.

42 Sull’allargamento dei confini dell’asilo fino a 50 passi dalle porte della basilica, cfr. pure una costituzione degli imperatori Onorio e Teodosio II del 21 novembre 419, raccolta nel 1631 dal gesuita Jacques Sirmond in un complesso di 16 leggi imperiali, che da costui prendono il nome di Constitutiones Sirmondianae: Sirmond., 13, consultabili online: http://ancientrome.ru/ius/library/codex/ theod/sirmond.htm (consultato in data 21 aprile 2021), su cui cfr. ducloux, Ad ecclesiam confugere, cit., 207 ss.; Melluso, In tema di servi fugitivi, cit., 250 s.; caPPelletti, Dalla Legge di Dio alla Legge dello Stato, cit., 15; Mentxaka, El derecho de asilo, cit., 217 ss. e, da ultimo, anche personalmente in Grillone, Duae arces libertatis tuendae, cit., 448.

43 Sull’analisi del completo e articolato disposto, qui rinvio a ducloux, Ad ecclesiam confugere, cit., 248 ss.; ManFredini, Debitori pubblici e privati, cit., 310 ss. e Mentxaka, El derecho de asilo, cit., 222.

44 Nonostante il tenore della disciplina si prestasse ad un’applicazione diffusa, in particolare, preoccupavano i suoi ideatori le richieste di asilo conseguenti ai gravi disordini generatisi in quel tempo a Costantinopoli e determinati da questioni di natura cristologica, nonché la possibilità che la protezione ecclesiastica potesse essere richiesta da truppe barbare armate ovvero da disertori, cfr. sul punto Melluso, In tema di servi fugitivi, cit., 251 e Mentxaka, El derecho de asilo, cit., 221, 225 s.

45 Su cui diffusamente cfr. G. Barone-adesi, “Servi fugitivi in ecclesia” indirizzi cristiani e legislazione imperiale, in AARC, 1990, 8, 695 ss., ora in Il diritto romano nella legislazione degli Imperatori Cristiani. Scritti di Giorgio Barone Adesi, a cura di M. carBone, o. licandro, i. Piro, Roma, 2019, 416 ss.

46 Cfr. Barone-adesi, “Servi fugitivi in ecclesia”, cit., 417; ManFredini, Debitori pubblici e privati, cit., 307, nt. 28; Melluso, In tema di servi fugitivi, cit., 252 ss. e Mentxaka, El derecho de asilo, cit., 228 ss.

47 Su cui cfr. ducloux, Ad ecclesiam confugere, cit., 247 s.; Melluso, In tema di servi fugitivi, cit., 254 s. e Mentxaka, El derecho de asilo, cit., 235 ss.