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L’allontanamento dalla residenza familiare tra soggettività delle ragioni della separazione e ripartizione dell’onere probatorio (nota a Cass. civ., sez. I, ord. 5 maggio 2021, n. 11792)

autore: R. Ruggeri

Sommario: 1. Il caso. - 2. L’allontanamento dalla residenza familiare come ragione di addebito nell’elaborazione giurisprudenziale; l’onere probatorio. - 3. Le diverse concezioni del matrimonio (e dell’addebito) così come individuate dalla normativa succedutasi nel tempo. - 4. La sentenza della corte territoriale: la confessione di essersi innamorati di un’altra persona sancisce e integra di per sé la crisi del matrimonio e la inerente giusta causa dell’allontanamento. - 5. La sentenza di legittimità: il coniuge che si allontana senza avere previamente depositato il ricorso per separazione rischia l’addebito se non provi o alleghi l’anteriorità della crisi coniugale, che la sola confessione di essersi innamorato di altra persona non consente di presumere.



1. Il caso



In una causa per separazione con richiesta reciproca di addebito, la Cassazione stabilisce, in riforma della sentenza della corte territoriale che aveva confermato sul punto la pronuncia di primo grado, che l’allontanamento dalla casa coniugale da parte del marito, intervenuto pochi giorni dopo che il medesimo aveva confessato alla moglie di essersi innamorato di un’altra donna e di volere separarsi, fonda di per sé, e in difetto del deposito del ricorso per separazione da parte del marito prima dell’allontanamento, la domanda di addebito spiegata dalla moglie, non valendo la confessione del marito – pur non contestata in giudizio e quindi pacificamente acquisita alle risultanze processuali – a configurare l’anteriorità della crisi coniugale rispetto all’abbandono del tetto coniugale.



2. L’allontanamento dalla residenza familiare come ragione di addebito nell’elaborazione giurisprudenziale; l’onere probatorio



La sentenza in commento sembra porsi in contrasto con il consolidato orientamento della Suprema Corte, che esclude l’addebito per il solo fatto che sia intervenuto l’allontanamento dalla casa familiare, postulando, a che la responsabilità della crisi matrimoniale sia ascritta al coniuge che ha lasciato il domicilio coniugale, che detto allontanamento non sia sorretto da una “giusta causa”; e che non si ponga quindi come conseguenza di una crisi già in atto1.

L’allegazione e l’accertamento del nesso causale tra violazione dell’obbligo coniugale e crisi familiare sono considerati sempre necessari per giungere alla pronuncia di addebito; anche se detto nesso può, considerate le circostanze del caso, presumersi. In relazione all’allontanamento dalla residenza familiare, l’art. 146 co. 1 c.c. prevede che l’obbligo di coabitazione sia sospeso (e ci si possa quindi allontanare senza conseguenze in punto addebito) se consti una “giusta causa”. Giusta causa che la giurisprudenza ha inteso individuare, oltre che nella proposizione della domanda di separazione espressamente menzionata dal comma successivo, in una molteplicità di condotte o situazioni2 , finendo sostanzialmente per svuotare la norma appena citata, che viene (dis)applicata, sebbene con molti distinguo, così da apparire di non intuitiva comprensione. Le molte precisazioni con le quali la casistica giurisprudenziale ha inteso negli anni delineare la fattispecie hanno infatti moto piuttosto ondivago, a seconda che all’elemento volontaristico del matrimonio sia dato più o meno risalto. A differenza di quanto è ritenuto necessario in riguardo alla pronuncia di addebito fondata sulla violazione di altri obblighi coniugali3 , l’onere di dimostrare la giusta causa dell’allontanamento incombe sul coniuge che se ne va. Complica le cose l’affermazione giurisprudenziale secondo la quale, in difetto di quella prova, il nesso causale tra allontanamento e crisi del matrimonio può presumersi4 . Si intravede in controluce, proprio grazie al gioco delle possibili presunzioni, il pericolo di fornire della fattispecie dedotta una interpretazione molto diversa a seconda di quale sia la sensibilità del giudicante in riguardo agli elementi fondanti del matrimonio. Articolando la ripartizione dell’onere probatorio a seconda di quel che appaia al giudice scontato o meno, può darsi rilievo all’elemento formale dell’allontanamento, trascurando considerazioni quasi ovvie – come è nel caso di specie –, oppure soffermare l’attenzione sulla concretezza della vicenda sottoposta a scrutinio, desumendo dall’allontanamento in sé indici, spesso evidentissimi, di una crisi già in atto. Nella pronuncia in commento, il mezzo di impugnazione e il successivo scrutinio del giudicante si sono incentrati sul solo abbandono del tetto coniugale, evidentemente ammesso dalla parte contro la quale è invocato; cui fa però da contrappeso proprio la confessione del marito, riferita in giudizio dalla stessa parte che chiede l’addebito e sulla cui idoneità a disinnescare l’efficacia dell’allontanamento dalla casa coniugale ben poteva, alla luce di molti precedenti della stessa Corte di cassazione, scommettersi. L’abbandono del tetto coniugale è infatti, tra le condotte cui la legge riconduce la possibilità di vedere pronunciato l’addebito, probabilmente la più formale ed esteriore, cui da tempo la giurisprudenza ha fornito molti correttivi, tanto che a chi esercita la professione di avvocato della crisi familiare la preoccupazione manifestata dai propri assistiti, di poter derivare conseguenze negative dall’allontanarsi dalla casa familiare prima dell’autorizzazione del giudice, pare quasi sempre fuori luogo, per essere spessissimo tale decisione giustificata dalla situazione di per sé “intollerabile” (che sappiamo essere evoluta, in riguardo alla separazione, in categoria sempre più soggettiva), venutasi a creare per il fatto stesso di avere affrontato tra coniugi la questione separativa. Lo scambio di una scrittura in tal senso, quando possibile, contiene più l’ansia dell’assistito che una reale preoccupazione dell’avvocato, consapevole dell’indirizzo consolidato della giurisprudenza secondo il quale l’abbandono del tetto coniugale, per essere considerato motivo di addebito, dovrebbe dimostrarsi, a valle di una valutazione comparativa delle condotte dei coniugi, causa, e non effetto, della crisi; e che per risultare veramente tale deve contemplare una riprovevolezza maggiore di quella che normalmente individuiamo nel semplice sottrarsi a una coabitazione tanto forzata quanto ulteriormente dolorosa, sia per chi ha deciso che per chi deve subire la decisione di separarsi: non dare più notizie di sé, troncare ogni contatto, far venir meno ogni obbligo di assistenza. Soprattutto, è massima consolidata quella per la quale “grava sulla parte che chiede l’addebito l’onere di provare la condotta contraria agli obblighi matrimoniali e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre è onere di chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda dimostrare la circostanza su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata violazione”5 . In tema di abbandono del tetto coniugale, vi sono pronunce che affermano espressamente che va sempre provato il nesso causale tra allontanamento dalla residenza familiare e addebito, non essendo sufficiente a giustificarlo la mera concretezza della condotta6 ; ancora, si precisa che né l’abbandono del tetto coniugale né la relazione adulterina in ragione della quale è effettuata tale scelta sono cause di addebito se sia provata l’anteriorità della crisi7 . Nella giurisprudenza di merito si giunge ad affermare apertis verbis che “l’abbandono è il modo in cui si manifesta la incapacità a proseguire in una coabitazione non più corrispondente a un comune sentimento ed è, al contempo, solo una tappa verso il percorso che conduce alla separazione”8 , con ciò offrendo una lettura del fenomeno assolutamente attuale e incentrata sulla lettura dei moti interiori dei coniugi e delle ragioni intime della cessazione della coabitazione, più che delle apparenze esteriori del matrimonio: con ciò riconoscendo che l’allontanamento dalla residenza familiare possa integrare, ed anzi frequentemente integri, conseguenza e non causa della crisi separativa. Tutto risolto, quindi? Non esattamente. Come abbiamo già visto9 , in altre pronunce viene affermato un principio assai pericoloso: vale a dire quello per il quale è presumibile il nesso tra abbandono del tetto coniugale e sua efficacia causale nella crisi separativa, in semplice (quasi meccanica) ragione del fatto che l’allontanamento del coniuge impedisce la prosecuzione della convivenza e quindi il matrimonio medesimo. Questo, quando la parte contro la quale l’addebito per abbandono del tetto coniugale è invocato non provi l’anteriorità della crisi. Anche nel caso che ci occupa, come vedremo, le conclusioni sono tratte seguendo un iter logico-motivazionale piuttosto tecnico, le cui risultanze lasciano comunque trasparire non solo il sentire personale – e forse un po’ obsoleto – del giudice in riguardo alla violazione degli obblighi coniugali (o meglio: di quali valori essi siano traduzione), ma anche la sua reticenza ad affrontare una questione – in buona sostanza l’esigibilità dell’obbligo di coabitazione quando l’affectio coniugalis sia venuta meno – cruciale quanto alla delineazione dell’istituto del matrimonio (e dell’addebito) nell’attualità.



3. Le diverse concezioni del matrimonio (e dell’addebito) così come individuate dalla normativa succedutasi nel tempo



La concezione giurisprudenziale del matrimonio è andata negli anni progressivamente evolvendo. L’emergere di una famiglia costituita da individui singolarmente portatori di diritti di rango costituzionale ha nel tempo costretto ad una reinterpretazione delle norme che permettesse una articolazionenuova dei rapporti familiari e coniugali; la frontiera della disponibilità dei diritti si è fatta sempre più ampia, collegandosi al principio di autodeterminazione dei singoli; stanno consistentemente riducendosi gli aspetti più schiettamente pubblicistici del matrimonio. Da una concezione di matrice statalista, che intende il rapporto coniugale come istituzione anche e soprattutto formale, in cui l’apparenza e le manifestazioni pubblicamente apprezzabili delle interazioni coniugali rivestono importanza centrale e la cui durabilità/indissolubilità è un valore in sé10, ci si è spostati progressivamente verso un matrimonio improntato ai dettami costituzionali e riletto attraverso il necessario filtro dei diritti della personalità e delle conquiste culturali dell’ultimo cinquantennio (riforma del diritto di famiglia e divorzio tra le altre), che pone l’accento sulla effettività dei sentimenti – in tesi sola base autentica e possibile dello svolgersi della personalità di ciascuno dei coniugi –, enfatizza la volontarietà della permanenza della relazione, considera naturale la possibilità del venir meno del vincolo11 e il costituirsi di nuove famiglie; dal che deriva un deciso ridimensionamento del disvalore riservato ai comportamenti del coniuge che siano espressione ed esercizio di libertà personale, letti pertanto per lo più come effetto, e non causa, della crisi matrimoniale, che si ammette possa riposare su ragioni che non si manifestano necessariamente all’esterno. Nell’ambito di questo intervallo valoriale, l’addebito e l’enucleazione dei suoi elementi costitutivi si sono certo evoluti; ma possono tuttora apparire, nell’elaborazione giurisprudenziale, piuttosto cangianti. Questo per la parziale sovrapposizione e coesistenza delle due matrici culturali di cui è composto il sentire comune – e quindi anche quello della giurisprudenza – sul matrimonio: può quindi accadere che a fattispecie simili siano date soluzioni difformi, soprattutto quando la causa di addebito sia l’infedeltà, le cui motivazioni – e la cui conformazione – sono le più varie e sulla quale appare a molti ormai anacronistico lo scrutinio del giudice in funzione della pronuncia di addebito (tanto che alcuni hanno felicemente indotto, dalla mancata inclusione del relativo obbligo tra quelli imposti agli uniti civilmente, non un minus ma un plus di quel vincolo rispetto al matrimonio, che a quell’esonero normativo dovrebbe in futuro tendere12).



4. La sentenza della corte territoriale: la confessione di essersi innamorati di un’altra persona sancisce e integra di per sé la crisi del matrimonio e la inerente giusta causa dell’allontanamento



L’allontanamento dalla residenza familiare viene spesso giustificato con la violazione dell’obbligo di fedeltà, che causerebbe il venir meno della comunione morale e materiale tra i coniugi ma che soprattutto determinerebbe l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza. Nella più parte delle pronunce l’intollerabilità della convivenza è individuata in favore del coniuge tradito che lascia la casa coniugale in ragione della scoperta della relazione dell’altro. Nel caso che ci occupa, però, è chi ha confessato la relazione extraconiugale ad allontanarsi dalla casa familiare: ma nei suoi confronti il giudice di legittimità esclude il ricorrere di una giusta causa e sancisce l’addebito. Ciò, nonostante egli abbia confessato alla moglie di essersi innamorato di un’altra donna (non di avere intrapreso una relazione extraconiugale) e di ritenerla così importante da avere deciso di separarsi: con ciò implicitamente affermando di ritenere ormai finito il matrimonio e intollerabile la prosecuzione della convivenza coniugale. La sentenza riformata13 ritiene questa confessione un fatto oggettivo non contestato, così che l’abbandono del tetto coniugale viene considerato di per sé non “valutabile come comportamento sufficiente a giustificare la pronuncia di addebito” in quanto esso lascia “presumere che, a quel punto, dopo l’esternazione da parte del… del venir meno dell’affectio maritalis e dell’interesse sentimentale verso altra persona e la presa d’atto da parte dei coniugi della situazione di crisi del rapporto coniugale, la prosecuzione della convivenza materiale fosse divenuta difficile da sopportare per entrambi e [si ponesse come] comunque inidonea a far venir meno la frattura del rapporto coniugale”. Due notazioni sulla motivazione della sentenza della Corte d’Appello: da un lato, essa mostra di considerare fondamento del matrimonio, dell’affectio e della comunione coniugale la reciprocità dei sentimenti: sorto e portato a conoscenza dell’altro coniuge l’interesse sentimentale per un’altra persona, il matrimonio è con ciò stesso in crisi e il successivo allontanamento è quindi giustificato dall’intollerabilità della prosecuzione della convivenza tra coniugi. Dall’altro, evidenzia – peraltro in conformità all’insegnamento della Suprema Corte, anche per come precisamente evidenziato nella pronuncia in commento – il profilo sotto il quale l’allontanamento dalla residenza familiare può considerarsi in sé (e quindi presumersi) ragione di addebito della separazione, vale a dire perché rende impossibile la convivenza e quindi impedisce una riconciliazione, ovvero una ricostituzione della comunione di vita tra coniugi. Motivando, nel caso di specie, in ordine alla inidoneità della prosecuzione della convivenza, stante la confessione e quindi la crisi del matrimonio, a far venir meno la frattura coniugale, la corte territoriale evita di dare rilevanza automatica e “oggettiva” al fatto dell’allontanamento, preferendo escludere espressamente che in concreto esso possa aver causato o aggravato una situazione già compromessa. Afferma, in altre parole, la sentenza di appello che l’allontanamento non può presumersi causa della fine del matrimonio perché è esso stesso conseguenza di altri fattori (il confessato interesse sentimentale per altra persona) e si pone pertanto a valle dell’aprirsi della crisi. A ciò aggiungasi che quella prosecuzione della convivenza viene anche qualificata come “difficile da sopportare per entrambi” i coniugi, integrando un caso di intollerabilità della coabitazione venuta in essere in specifica ragione della confessione del marito e della sua irretrattabile decisione di separarsi.



5. La sentenza di legittimità: il coniuge che si allontana senza avere previamente depositato il ricorso per separazione rischia l’addebito se non provi o alleghi l’anteriorità della crisi coniugale, che la sola confessione di essersi innamorato di altra persona non consente di presumere



La pronuncia di legittimità in commento è di altro avviso; ma la motivazione appare solida solo apparentemente. Afferma il giudice di legittimità che erra la sentenza di appello quando non considera l’abbandono del tetto coniugale come circostanza di per sé sola sufficiente a fondare l’addebito. Con interpretazione ingiustificatamente restrittiva dell’art. 146 c.c., viene individuata la “giusta causa” di allontanamento dalla residenza familiare unicamente nel previo deposito della domanda di separazione14; e se ne inferisce (ma la premessa minore è falsa, plurime essendo le giuste cause configurabili) che il coniuge che se ne allontani senza avervi provveduto incorre nella violazione dell’obbligo di coabitazione, cui “consegue inevitabilmente” l’addebito della separazione. La motivazione si sofferma poi sui profili processuali attinenti all’onere probatorio incombente su ciascuno dei coniugi. Punto di partenza del ragionamento è la sufficienza in sé A detta del giudice di legittimità “la decisione impugnata non si è fondata su un fatto noto acquisito al giudizio, bensì su una mera congettura dell’organo giudicante, non basata su alcun dato di fatto certo, idoneo a comprovare che l’abbandono della casa coniugale da parte del marito fosse stato determinato dal comportamento della moglie, anche in reazione a tale confessione, ovvero dalla sussistenza di una già conclamata e irreversibile frattura del rapporto coniugale”. Ma non può essere derubricata a mera congettura la considerazione che, nel momento stesso in cui interviene la confessione da parte dell’un coniuge all’altro di essere innamorato di un’altra persona, erompa la crisi matrimoniale. Diversamente opinando, si riconducono l’affectio e la communio coniugalis a evidenze di mero fatto (la mera coabitazione coniugale sino a quel momento), prescindendo dalla considerazione dell’allontanamento emotivo dei coniugi (che prelude quasi necessariamente all’innamoramento per altra persona) in sé sintomo del venir meno della comunanza e armonia di vita che il matrimonio dovrebbe integrare; e si ignora l’immediato contraccolpo di una simile comunicazione sugli equilibri familiari, che ben può dar luogo – ed è l’ammissione, rectius l’allegazione stessa della confessione a permettere di presumerlo, perché quella comunicazione risulta acquisita al processo come resa – all’immediata impossibilità di prosecuzione della convivenza. Il giudice di legittimità ha scelto invece di prediligere e seguire un’argomentazione formale, che finisce per sterilizzare la crisi familiare dalle cause reali che l’hanno determinata. Interrompendo l’indagine sulle cause della separazione al momento dell’abbandono del tetto coniugale, evita di affrontare il nodo delle implicazioni che la particolare fattispecie in esame comporta. Fattispecie che viene sostanzialmente ignorata e ricondotta al fatto oggettivo dell’allontanamento, scisso dalla vera ragione che lo ha causato, vale a dire l’innamoramento per un’altra persona. Resta quindi la domanda: è esigibile la coabitazione da (ed è quindi addebitabile la separazione a) chi si innamori di un’altra persona e lo confessi al coniuge, magari prima di intraprendere quella relazione dell’abbandono del tetto coniugale a fondare la pronuncia di addebito (in quanto porta all’impossibilità della – esteriore e formale – convivenza) salvo – ed è qui una prima contraddizione con le frettolose premesse già censurate – che chi vi abbia dato causa provi che è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge, ovvero sia intervenuto quando l’intollerabilità della convivenza si sia già verificata e in conseguenza di tale fatto, anche se la domanda di separazione non sia stata già proposta. Censura poi, ma con destrezza argomentativa solo apparente, le inferenze che la sentenza riformata trae dalla confessione del marito in riguardo alla anteriorità della crisi coniugale.

NOTE

1 Cfr., ex multis, Cass. civ,, sez. I, sent. n. 19328 del 29 settembre 2015, in webgiuridico.it.

2 Cass. Civ., sez. I, sent. n. 2059 del 14 febbraio 2012, in Foro it., 2012, II, 2434; Cass. civ., sez. I, ord. n. 4540 del 24 febbraio 2011, in altalex.com; Cass. civ., sez. I, ord. n. 1202 del 20 gennaio 2006, in Foro it., 2006, II, 1406. 3 Per i quali chi denuncia la violazione di un obbligo coniugale deve di norma dimostrare l’efficacia causale di quella violazione nella causazione della separazione.

4 Cfr. ad esempio, Trib. Bologna, sent. 10 marzo 2021, in data base dell’Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia; Cass. Civ. sez. VI, ord. n. 648/2020 – in divorzista.org, che a sua volta richiama Cass., Sez. VI, n. 25966 del 15 dicembre 2016, in data base Osservatorio Nazionale sul diritto di famiglia; Cass., Sez. I, n. 19328 del 29 settembre 2015, cit.; Cass. civ. sent. n. 10719 dell’8 maggio 2013, in news.avvocatoandreani.it.

5 Ex multis, Cass. civ. sez. VI, n. 3923 del 19 febbraio 2018, in webgiuridico. it, Cass. Civ., sez. I, sent. n. 2059 del 14 febbraio 2012, cit., Cass. civ. sez. I, ord. n. 16691 del 5 agosto 2020, in sentenze.laleggepertutti.it.

6 Vedansi Cass. civ, sez. VI-1, ord. n. 14591 del 28 maggio 2019, in sentenze. laleggepertutti.it, Cass. Civ., sez. I n. 13592 del 12 giugno 2006, in avvocatodomenicoesposito.it. 7 Così Cass. civ. sez. VI, ord. n. 2539 del 5 febbraio 2014, in ilcaso.it.

8 Trib. Milano, sent. n. 6822 del 18 giugno 2016, in data base Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia.

9 Cfr. nota 4.

10 Meritando di contro sanzione ogni comportamento che questo valore, intenzionalmente o meno, metta a repentaglio: si pensi alla passata costruzione della separazione appunto come sanzione o al trattamento discriminatorio riservato ai figli nati fuori del matrimonio: il valore assoluto consisteva nel fatto stesso di essere sposati ovvero inseriti in una famiglia legittima; la separazione era una sanzione per determinati comportamenti; la libertà personale arretrava davanti all’istituzione, che veniva difesa a tutti i costi.

11 A. Schillaci, “Famiglie e dignità delle relazioni”: una lettura costituzionale, in Questione giustizia, 2019, 2.

12 Cfr. M. Gattuso in G. Buffone, M. Gattuso, M.M. Winkler, Unione Civile e convivenza, Milano, 2017.

13 Corte d’Appello di Firenze, sent. n. 630 del 20 aprile 2016.

14 Mentre le pronunce che affermano la possibilità di desumere l’esistenza di una giusta causa di allontanamento da circostanze diverse non mancano, come si è visto supra, nota 2.