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Il diritto alla riservatezza e alla protezione dei dati personali del minore al tempo del web 2.0: nuovi orizzonti di valutazione della responsabilità genitoriale?

autore: F. Ferrandi



Sommario: 1. L’esigenza di tutelare il minore rispetto al web 2.0. 2. La tutela della riservatezza e dell’immagine del minore in relazione ai nuovi strumenti di comunicazione: uno sguardo al quadro normativo nazionale e internazionale. 3. (Segue) Il trattamento dei dati personali del minore nel Regolamento (UE) 2016/679. 4. Il diritto alla riservatezza dei minori, la violazione degli obblighi relativi alla responsabilità genitoriale e i possibili rimedi processualcivilistici esperibili. 5. Conclusioni.



1. L’esigenza di tutelare il minore rispetto al web 2.0

L’evoluzione del diritto di famiglia riflette, sempre di più, il diverso modo di percepire i rapporti familiari causato dai mutamenti del costume e della coscienza sociale.

Nel corso degli ultimi anni, il legislatore, anche per la determinante influenza esercitata dal diritto convenzionale1, ha mostrato una particolare sensibilità verso la valorizzazione del best interest of the child2: tale principio, infatti, ha trovato applicazione in diversi settori della vita del minore fino ad arrivare all’avvento del web 2.03, “luogo” in cui l’utente è al contempo autore e fruitore dei contenuti multimediali attraverso l’utilizzo dei nuovi media4, ossia i mezzi di comunicazione diversi da quelli propriamente tradizionali (rappresentati da radio e televisione) e frutto dell’innovazione tecnologica degli ultimi decenni.

E proprio questa inarrestabile evoluzione tecnologica rende, sempre di più, di centrale importanza il problema relativo alla gestione delle informazioni e della tutela della sfera personale dei singoli individui cui simili informazioni sono riferibili.

In particolare, i social network hanno indubbiamente rivoluzionato la comunicazione e l’interazione delle persone: negli odierni ampi spazi virtuali in cui si condividono grandi quantità di contenuti e informazioni personali, la perdita della privacy e della riservatezza sono ormai elementi acquisiti.

In questi nuovi “luoghi aperti al pubblico” milioni di persone trasferiscono, quotidianamente, a colpi di post, tweet e like, la loro proiezione sociale, molto spesso incuranti delle possibili conseguenze giuridiche in merito al materiale condiviso5.

Nell’ambito di questa nuova forma di comunicazione, offerta dai social network, immagini e informazioni personali diventano accessibili pubblicamente e/o ad un vasto numero di soggetti, fino ad essere considerate, ormai dalla vox populi, di pubblico dominio e, quindi, libere di essere utilizzate per scopi differenti da quelli per i quali sono state pubblicate e perfino senza l’autorizzazione dei diretti interessati.

Occorre, pertanto, riflettere su se e come il diritto all’immagine, alla riservatezza, all’onore e alla reputazione, che costituiscono espressione della tutela del diritto fondamentale dell’individuo, sancito dall’art. 2 della Costituzione come inviolabile e indisponibile, possano essere lesi dai nuovi media, dalla possibile formazione di una esistenza digitale e quali possano essere i rimedi per prevenirli e fronteggiarli.

Ancor prima, però, di affrontare le tematiche di cui sopra, è importante ricordare la distinzione, peraltro da tempo oggetto di attenzione da parte della dottrina civilistica più avveduta6, che intercorre tra il diritto alla privacy e quello alla riservatezza, i quali tutelano, come noto, la personalità dell’individuo su piani diversi.

Con il primo si fa riferimento al diritto al corretto trattamento dei dati personali e a quelli ad esso correlati, che vanno dalla loro correzione fino al loro aggiornamento. Il diritto alla privacy, quindi, riguardando anche l’aspetto della circolazione dei dati personali, si configura come un diritto dinamico e a contenuto positivo, a fronte della possibilità del controllo che su essi si può esercitare7. Il secondo, invece, si riferisce al diritto di escludere altri dalle ingerenze relative alla propria intimità privata e alle informazioni di carattere personale8: si tratta, pertanto, di una delle forme di espressione della personalità tutelata dall’art. 2 della Costituzione9, statico e a contenuto negativo.

Con riferimento, poi, ai minori d’età, la distinzione tra il diritto alla privacy e il diritto alla riservatezza, si è declinata in modo del tutto peculiare.

Sebbene, infatti, un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione di cui all’art. 30 della Costituzione abbia portato a riconoscere il diritto alla riservatezza del minore nell’ambito del ménage familiare, maggiori difficoltà si sono riscontrate relativamente alla problematica del riconoscimento del diritto del fanciullo ad esercitare un controllo costante sul flusso dei propri dati personali, specie laddove non siano loro ad utilizzare i nuovi media, ma i loro genitori.

La globalizzazione della rete consente, infatti, ai suoi fruitori, di entrare in contatto con chiunque e in qualsiasi parte del pianeta, attraverso una messaggistica istantanea, nonché di condividere dati personali con una platea potenzialmente “senza confini” di sconosciuti, per un tempo non circoscritto e, magari, nella peggiore delle ipotesi, use a comportamenti illegittimi.

In ragione, quindi, della pericolosità insita nei nuovi media, occorre porre particolare attenzione alla divulgazione di contenuti personali sul web, specie nell’ipotesi in cui essi riguardino determinate categorie di soggetti vulnerabili, come i minori, i quali necessitano, al contrario, di misure di protezione potenziate, al fine di tutelare il loro diritto alla riservatezza, all’immagine e alla privacy.

Al giorno d’oggi, invece, ciò a cui costantemente si assiste, è una sovraesposizione in rete di dati personali dei fanciulli di tenera età o addirittura “sotto forma di ecografia tridimensionale” ad opera dei loro genitori (o futuri tali), molto spesso incuranti: dei possibili rischi sullo sviluppo della futura personalità del minore, dell’esteso tracciamento della persona (profilazione) durante il corso della loro esistenza e dei possibili furti di dati o addirittura di identità. In questo modo, l’identità anagrafica del minore viene preceduta da una c.d. identità digitale che non è detto che corrisponda, poi, alla proiezione che l’individuo vorrebbe dare di sé, una volta raggiunta l’età adulta.

Aspetti questi, quindi, che pongono nuovi orizzonti di individuazione dei connotati del diritto alla riservatezza dei minori, di problematiche relative al loro diritto all’oblio e di definizione del corretto perimetro dell’esercizio della responsabilità genitoriale in un settore peculiare che pare aprire nuove frontiere di valutazione per ciò che attiene agli obblighi scaturenti dalle relazioni familiari.



2. La tutela della riservatezza e dell’immagine del minore in relazione ai nuovi strumenti di

comunicazione: uno sguardo al quadro normativo internazionale e nazionale



L’attenzione verso i minori, nel panorama giuridico internazionale, trova, in via generale, una prima attestazione a partire dall’industrializzazione, fino ad arrivare all’affermazione di un principio di tutela e alla previsione di strumenti giuridici necessari alla sua valorizzazione.

Già dal lontano 1924, si registra l’elaborazione dello Statuto dei diritti del minore, nel contesto della Convenzione di Ginevra, da parte della Quinta Assemblea Generale della Lega delle Nazioni, la quale ebbe a trovare ispirazione nella Carta dei Diritti del Bambino (Children’s Charter) di Eglantyne Jebb10.

Un altro documento, poi, che nel tempo ha assunto valore di jus cogens, a seguito del riconoscimento da parte della comunità internazionale, è la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, approvata dalle Nazione Unite, il 10 dicembre 1948, a New York: in esso, infatti, oltre ad essere sanciti i diritti fondamentali da riconoscere a tutti gli uomini, senza vincoli legati all’età, si prevede una protezione speciale per i minori11.

Successivamente, nel 1959, viene adottata, sempre da parte delle Nazioni Unite, la Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo, la quale, sebbene ancora una volta non vincolante, afferma, per la prima volta, il principio del best interest of the child12; in tale documento, rispetto a quello sopracitato del 1948, si superano gli sporadici riferimenti al minore, indicando agli attori della scena internazionale che il fanciullo è titolare di diritti che devono essere non solo riconosciuti, ma anche garantiti, così da costituire il fondamento di ogni ordinamento civile.

Il passaggio dalla logica della tutela degli interessi del minore a quello dell’affermazione dei suoi diritti, si avrà, però, sul piano internazionale, solo a partire 1989, grazie alla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Fanciulli13, ratificata dell’Italia con la l. n. 176 del 199114. Tale atto segna un passo decisivo verso la presa di consapevolezza della potenziale pericolosità dei media nella crescita e nello sviluppo dei minori d’età, tanto che gli Stati aderenti si impegnano a garantire che essi non subiscano interferenza alcuna nella loro vita privata, nonché qualsivoglia tipo di pregiudizio alla sfera del loro onore, della reputazione o dell’immagine (art. 16). Allo stesso tempo, inoltre, la Convenzione incentiva le nuove generazioni ad accedere ai media e alle nuove tecnologie, veicolando, così, un’immagine del minore al passo coi tempi15.

Altre fonti normative internazionali in cui la figura del minore assume importanza, sono rappresentate dalla Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia (art. 19), dalla Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del minore del 199616 e dalla Carta di Nizza del 2000 (art. 24)17.

La debolezza del minore in rete e la sua prioritaria esigenza di tutela trova, inoltre, da tempo conforto in atti normativi di natura diversa, quali normative comunitarie18, leggi interne e documenti di soft law19.

Come ben noto, il titolo I del libro I del nostro codice civile disciplina la tutela della persona e dei suoi segni distintivi e ad esso si affianca una legislazione speciale variegata, quale la legge sulla protezione dei diritti d’autore20, quella sulla privacy del 199621, trasmigrata, poi, nel codice in materia di protezione dei dati personali (d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196).

In primo luogo, la norma di cui all’art. 10 c.c.22 prevede che il diritto della persona alla propria immagine si esplichi nel divieto, posto a carico dei terzi, di esporre o pubblicare il ritratto altrui, o qualsiasi altra rappresentazione delle sue sembianze, senza il consenso dell’interessato.

La legge sulla protezione del diritto d’autore, poi, all’art. 96, vieta l’esposizione, la riproduzione o la commercializzazione del ritratto di una persona senza il suo consenso e a meno che ciò non risulti giustificato dalla sua notorietà o da peculiari esigenze scientifiche, culturali o ricreative. Una tematica, questa, che, sebbene il più delle volte, per quanto riguarda i soggetti più deboli, quali i minori, si intrecci con il diritto di cronaca e con la libertà di espressione artistica e giornalistica, vede quasi sempre prevalere, all’esito del giudizio di bilanciamento tra questi due opposti valori, il diritto alla riservatezza dei dati personali degli individui più vulnerabili23.

Un altro importante riferimento normativo è rappresentato dal Codice in materia di protezione dei dati personali24, oggi rimaneggiato a seguito dell’entrata in vigore del GDPR, il quale ha manifestato, senza dubbio, una maggiore sensibilità nei confronti delle problematiche relative alla tutela del minore in particolar modo per ciò che attiene allo svolgimento di attività professionali come quella giornalistica.

Il quadro normativo interno e quello internazionale appena ricostruito, per quanto eterogeneo, offre, dunque, diversi principi e clausole generali i quali inseriscono il minore nell’ambito sociale attribuendogli un ruolo preciso, situazioni giuridiche soggettive e diritti fondamentali, su cui spesso interferiscono i poteri/doveri di chi esercita la responsabilità genitoriale.

Da qui, pertanto, la necessità di garantire una forma di tutela rafforzata al diritto alla riservatezza e alla protezione dei dati dei minori: stante la loro incapacità, da una parte, di compiere scelte pienamente consapevoli in “luoghi aperti al pubblico”25, privi di intermediari e potenzialmente pregiudizievoli dei loro diritti; e, dall’altra, in ragione della divulgazione da parte dei genitori di immagini o dati del figlio, senza il suo consenso e/o con il consenso di uno solo degli aventi potestà genitoriale, così favorendo l’intrusione di soggetti terzi nella sfera di riservatezza del fanciullo ed esponendolo anche a potenziali pericoli, tanto più gravi quanto più pervasivo è lo strumento sul quale i dati sono stati divulgati.

E proprio la presa di coscienza delle insidie che si celano dietro il web, ha portato il legislatore degli ultimi anni, a predisporre un efficace sistema di protezione del fanciullo in relazione ai nuovi media, il quale ha trovato la sua massima espressione nell’approvazione della novella volta a contrastare il cyberbullismo26, la quale ha previsto un complesso di norme volte a reprimere il fenomeno del bullismo commesso attraverso i social network, ma soprattutto l’apprestamento di strumenti di tutela diversi rispetto a quelli comunemente conosciuti e che possono assurgere da apripista a nuovi paradigmi di tutela.



3. (Segue) Il trattamento dei dati personali del minore nel Regolamento (UE) 2016/679



Come in parte già anticipato, il panorama normativo relativo al tema oggetto di attenzione è stato oggetto di restyling a seguito dell’entrata in vigore del Regolamento UE 2016/67927, il quale ha portato, inevitabilmente, all’adeguamento della disciplina interna e del Codice della privacy28.

Il Regolamento Europeo si è proposto di proteggere i diritti e le libertà fondamentali delle persone fisiche, avuto particolar riguardo al diritto alla protezione dei loro dati personali, a prescindere dalla loro età29. L’obiettivo del legislatore europeo era quello di uniformare la normativa sulla protezione dei dati personali, nei vari Stati membri30, così da favorire lo sviluppo del mercato digitale, rafforzando altresì la posizione di intrinseca debolezza in cui, spesso, si vengono a trovare i soggetti i cui dati personali vengono trattati.

In particolare, con riferimento al trattamento dei dati personali dei minori, il Regolamento riconosce che proprio la personalità di quest’ultimi, in quanto soggetti vulnerabili, meriti una “specifica protezione relativamente ai loro dati personali, in quanto possono essere meno consapevoli dei rischi, delle conseguenze e delle misure di salvaguardia interessate nonché dei loro diritti in relazione al trattamento dei dati personali”31, specie in caso di attività di profilazione o marketing. Da qui, quindi, stante la situazione di incapacità legale di agire in cui si trova il minore, la necessità di tutelarlo in quei contesti virtuali in cui risulta maggiormente esposto, a fronte dei rischi insiti nel web, e l’imposizione, sulla base dell’art. 8, n. 2, GDPR, alla parte i cui dati sono conferiti, dell’obbligo di attivarsi “in considerazione delle tecnologie disponibili” per verificare se il consenso al trattamento dei dati sia stato prestato dai genitori.

Uno degli aspetti più significativi è, quindi, la previsione di una disciplina specifica, destinata al trattamento dei dati dei minori, in relazione ai servizi della c.d. società dell’informazione32.

Infatti, il Regolamento, all’art. 8, nel disciplinare, per la prima volta, la problematica dell’espressione del consenso digitale del minore, ha individuato due diversi regimi per quanto riguarda le condizioni applicabili in relazione ai suddetti servizi: a partire dal compimento del sedicesimo anno di età, il minore può prestare autonomamente il suo consenso informato al trattamento dei dati, mentre, al di sotto di tale soglia, o di quella fissata dai singoli Stati membri (ma in ogni caso non oltre i 13 anni)33, il trattamento è illecito, se il consenso non è prestato o autorizzato da parte del genitore o di chi esercita la responsabilità genitoriale.

Al riguardo, la scelta del nostro legislatore è stata quella di fissare, all’interno del Codice della privacy adeguato34, a 14 anni il limite di età per potere esprimere autonomamente il c.d. consenso digitale, accogliendo, così, le indicazioni del Garante privacy, secondo cui tale decisione non poteva prescindere dalla considerazione, di altre disposizioni, ove si era fatta coincidere la capacità di compiere atti giuridicamente validi al compimento degli anni quattordici, come, ad esempio si è verificato con la legge in materia di cyberbullismo.

Tuttavia, l’introduzione dell’art. 8 e la sua struttura, ha posto agli interpreti, fin da subito, diversi interrogativi in merito alla natura del consenso al trattamento dei dati personali delineata dalla norma e alla linea di distinzione tra capacità e discernimento.

Peraltro, già prima dell’introduzione di tale norma, assente nel precedente contesto normativo, nelle disposizioni codicistiche e nella legislazione speciale, non vi era alcun referente a cui poter agganciare la problematica dell’espressione del consenso digitale del minore.

A fronte di tale lacuna, secondo alcuni interpreti, la lettura del Codice privacy avrebbe condotto a ritenere che la prestazione del consenso del minore dovesse essere sempre demandata al rappresentante legale dello stesso. Una lettura, quindi, da un lato, in stridente contrasto con la figura del minore così come sviluppatasi nel contesto internazionale, ma dall’altro fedele all’impianto del codice civile, e, in particolare, alla visione patrimoniale dei rapporti giuridici dallo stesso delineata anche attraverso le figure concettuali dell’incapacità del minore e della rappresentanza legale, alla luce dell’art. 2 c.c.: essendo i minori incapaci di agire fino al raggiungimento della maggiore età non potrebbero validamente esprimere, da soli, un consenso digitale.

Al contrario, secondo opinioni di segno opposto, il consenso digitale dei minorenni andava riguardato come una dichiarazione di volontà di natura non negoziale che non richiederebbe la capacità d’agire degli stessi35. Altri, poi, argomentavano a partire dalla natura personalissima del consenso che, in quanto tale, avrebbe potuto essere espresso validamente solo dal soggetto titolare dello stesso36.

Nel silenzio del Codice privacy, quindi, era difficile per l’interprete allontanarsi dalle maglie dell’art. 2 c.c. con tutte le contraddizioni che ne conseguivano, rese, del resto, ancora ancora più evidenti dal dilagare dei social network tra i più giovani. Sebbene, infatti, il minore non poteva ritenersi in grado di esprimere validamente un consenso digitale, tale circostanza non sarebbe riuscita a spiegare come lo stesso avrebbe potuto, invece, concludere un contratto con uno dei c.d. Over the top37, i quali fissano l’età minima per l’iscrizione a 13 anni.

E se oggi, ad alcuni, l’art. 8 GDPR, sembra aver segnato una tappa importante al mosaico di previsioni costruito nel tempo intorno al tema del confinamento dell’incapacità di agire del minore, sancita dall’art. 2 c.c., all’ambito dei rapporti a contenuto patrimoniale, così da lasciare ampio respiro alla sua libera autodeterminazione nel settore dei rapporti non patrimoniali e dell’esercizio dei diritti fondamentali, sull’unico presupposto della sua “capacità di discernimento”, apprezzata in relazione alle circostanze del caso38, ad altri tale distinzione non sempre appare così netta39.

Autorevole dottrina, infatti, ritiene che occorra chiedersi se la tecnologia abbia delineato una diversa capacità digitale e se questa costituisca una deroga a quella civilistica di cui all’art. 2 c.c.: laddove, poi, la risposta fosse di segno affermativo, occorrerebbe verificare se essa sia funzionale alla protezione del fanciullo o se, al contrario, sia strumentale alla realizzazione di interessi di altri soggetti40. Il consenso, in quest’ottica, sarebbe in realtà uno strumento attraverso il quale si vengono a realizzare gli interessi dei detentori della società dell’informazione, piuttosto che proteggere gli interessi dei minori. Considerazioni, queste, che muovono dalla “natura bifronte” del diritto al trattamento dei dati personali e dalla sua incidenza sull’atto di autonomia negoziale: tale natura sintetizzerebbe, infatti, la convivenza degli interessi personali dei soggetti titolari dei dati personali, con quelli patrimoniali del mercato alla circolazione e alla patrimonializzazione41. Riconoscere, quindi, la natura ambivalente del diritto al trattamento dei dati personali, consentirebbe di superare la distinzione tra atti negoziali e non negoziali ed atti aventi contenuto patrimoniale e non patrimoniale42; allo stesso tempo, però, proprio tale “natura bifronte” rivelerebbe l’inadeguatezza di una tutela che si affidi al mero consenso del minore, tanto che, laddove si propenda per la sua natura negoziale, dovrebbe ammettersi che si tratti di una deroga a quanto previsto dall’art. 2 c.c.43.

Un altro problema interpretativo che l’art. 8 GDPR pone è quello del suo coordinamento con la disposizione di cui all’art. 315-bis c.c., norma, quest’ultima che, come ben noto, prevede il diritto del minore ad essere ascoltato, in tutti i procedimenti che lo riguardano, quando abbia egli compiuto gli anni 12 e quando, anche di età inferiore, sia capace di discernere44.

Orbene, anche al riguardo, si registrano due diverse linee di pensiero.

Secondo alcuni, che ritengono che la manifestazione del consenso da parte dei genitori rientri nell’ambito dei poteri conferiti loro dalla norma di cui sopra, la capacità di discernimento del minore costituirebbe, anche in tale ipotesi, il discrimine dell’eventuale disaccordo tra genitori e figli45.

Altri, invece, privilegiando il contenuto del Regolamento, come prima fonte regolatrice del tema oggetto di attenzione, e il contesto di rischi e problemi che esso mira a scongiurare, ritengono che andrebbe conservato il limite dei 13 anni, quale elemento di confine tra autodeterminazione del minore e manifestazione del consenso dei genitori, ammettendo, se del caso, il minore tredicenne dotato di capacità di discernimento a manifestare personalmente il consenso “solo a seguito di una più approfondita valutazione non solo di quella capacità, ma anche delle caratteristiche del servizio della società dell’informazione di cui trattasi, e far valere il best interest quale argomento che, in considerazione del rischio specifico connesso a quel servizio, assegna eventualmente ai genitori il potere di dare o negare il consenso al trattamento dei dati”46.



4. Il diritto alla riservatezza dei minori, la violazione degli obblighi relativi alla responsabilità genitoriale e i possibili rimedi processualcivilistici esperibili



Illustrato il panorama delle fonti normative che regolano il diritto alla riservatezza dei minori, occorre, ora, spendere qualche considerazione relativamente al corretto esercizio della responsabilità genitoriale e dei suoi nuovi possibili scenari di valutazione a fronte dell’inarrestabile evoluzione tecnologica.

Come ben noto, la responsabilità genitoriale è, oggi, un istituto volto a garantire e consentire al minore l’esercizio dei suoi diritti fondamentali: esso trova la sua ratio nella formazione del minore in vista di un suo futuro inserimento nel tessuto sociale.

L’evoluzione normativa che ha portato dalla patria potestà alla responsabilità genitoriale, passando per la potestà genitoriale, ha segnato un progressivo riconoscimento dell’uguaglianza tra i coniugi relativamente alla crescita dei figli ed una progressiva funzionalizzazione dell’istituto al best interest of the child in una prospettiva incentrata sulla loro educazione e formazione47. Con riguardo, quindi, al rispetto della vita personale dei minori, sui genitori grava sia l’obbligo di fare in modo che essi non subiscano alcuna intrusione nella loro privacy all’interno del nucleo familiare o al di fuori di esso, sia quello di evitare qualsivoglia divulgazione dei loro dati personali a terze persone senza alcuna ragione giustificatrice.

Oggi, pertanto, il diritto alla riservatezza dei minori e la gestione dei loro dati personali pone agli operatori della materia diversi problemi interpretativi: quello della corretta identificazione dei confini dell’educazione nel nuovo contesto del mondo digitale e della responsabilità genitoriale per eventuali illeciti commessi dal figlio minore in rete48; del controllo genitoriale sui minori in rete e dei dati normativi con cui regolarlo; e quello della pubblicazione, da parte dei genitori, di immagini o informazioni riguardante i figli minori sui social network, senza il loro consenso o a loro insaputa o, più frequentemente, in assenza del consenso di entrambi i genitori.

Le prime due problematiche riguardano, da un lato, tutti quei comportamenti con cui i genitori, stante il loro dovere di vigilanza, si possono trovare a violare, in generale, il diritto alla riservatezza di cui il figlio è titolare. I comportamenti in questione possono consistere: nella lettura della loro corrispondenza (telematica e non)49, nell’accesso ai loro social50 e dispositivi digitali51, nel possibile utilizzo di sistemi di controllo degli stessi a distanza, fino ad arrivare a quelli volti a conoscere i loro dati sensibili raccolti da terzi (specie quelli sanitari, laddove il minore compia scelte esistenziali autonomamente)52.

In questi casi, dunque, occorrerà individuare quale sia la giusta linea di confine tra il potere/dovere di vigilanza gravante sui genitori e il diritto alla riservatezza del minore, al fine di evitare il compimento di atti illeciti da parte del figlio in rete che potrebbero arrecare pregiudizi, in capo a quest’ultimo o a terzi, il tutto alla luce di quanto disposto dagli artt. 2046, 2047 e 2048 c.c.

Infatti, come ben noto, laddove il minore sia incapace di intendere e di volere, sulla base di quanto disposto agli artt. 2046 e 2047 c.c., il risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla sua sorveglianza, incombendo sul genitore del danneggiante la prova, particolarmente rigorosa, dell’affidamento ad altro soggetto della sorveglianza, tesa a dimostrare di non aver potuto impedire il fatto53.

Nel caso in cui, invece, il minore, che abbia compiuto atti dannosi, sia capace di intendere e di volere, la norma di riferimento è quella di cui all’art. 2048 c.c., la quale pone a carico dei genitori l’onere di impartire ai figli l’educazione necessaria per non recare danni a terzi nella loro vita di relazione, nonché di vigilare sul fatto che l’educazione impartita sia adeguata al carattere e alle attitudini del minore, dovendo rispondere delle carenze educative cui l’illecito commesso dal figlio sia riconducibile54. La norma, quindi, prevede una presunzione di responsabilità dei genitori, concorrente con quella del minore, legata dalla giurisprudenza ad un difetto di educazione e di vigilanza.

In particolare, con riferimento a quest’ultima disposizione, la giurisprudenza ha fondato la prova liberatoria di non aver potuto impedire il fatto, su quella della inesistenza della culpa in vigilando e in educando55, ragion per cui la responsabilità parentale può essere esclusa soltanto laddove i genitori dimostrino di aver integralmente adempiuto al dovere di educare i figli attraverso lo sviluppo negli stessi di un’adeguata capacità critica e di discernimento56.

Non meno attuali e privi di problemi sono, poi, i casi legati alla pubblicazione, da parte dei genitori, di immagini o informazioni riguardanti i figli minori sui social network, senza il loro consenso o a loro insaputa o, più frequentemente, in assenza del consenso di entrambi i genitori. Si tratta, quindi, di fattispecie in cui il dovere di vigilanza da parte dei genitori, quale espressione della responsabilità genitoriale, si traduce, o dovrebbe tradursi, nel proteggere il minore e i suoi dati personali dalla ingerenza di terze persone nella sua sfera di riservatezza ed evitare di esporlo ad inutili rischi specifici insiti nella rete.

Al riguardo, il quadro di riferimento che viene in gioco è quello delle principali fonti normative, passate in rassegna nei paragrafi precedenti del presente contributo e poste a presidio della tutela della riservatezza e dell’immagine dei soggetti minori.

Particolare rilievo assume, in tale ottica, il più volte citato art. 8 del GDPR il quale, come abbiamo visto, prevede che, sotto la soglia del consenso del minore al trattamento dei suoi dati personali, intervengano i suoi genitori, in quanto titolari della responsabilità genitoriale, a prestare od autorizzare il consenso al posto del fanciullo, data la sua assodata vulnerabilità. E proprio tale aspetto della responsabilità genitoriale deve essere indagato, in quanto l’istituto de quo prevede che ciascun genitore possa assumere, in via autonoma, decisioni nell’interesse della prole accanto a quelle per le quali è richiesto, al contrario, il consenso di entrambi a fronte del loro potenziale maggior pregiudizio.

Si tratta di stabilire, dunque, se relativamente alla problematica della pubblicazione delle foto dei figli minori sui diversi social network, oggi in gran voga, sia o meno necessario il consenso di entrambi i genitori. La risposta al momento offerta dalla giurisprudenza è di segno positivo, in quanto richiede, in assenza di norme specifiche al riguardo, che il consenso alla pubblicazione delle immagini relative ai minori sia espresso da entrambi i genitori esercenti la responsabilità genitoriale57. Non solo, ma la stessa giurisprudenza è giunta altresì a ritenere che la decisione in questione possa essere rimessa alla volontà del minore, essendo di regola lo stesso, alla soglia dei 17 anni, in grado di gestire il diritto alla privacy a ciò connesso58.

Per quanto attiene ai rimedi processualcivilistici esperibili al fine di garantire l’attuazione degli obblighi nascenti dalla responsabilità genitoriale, nella giurisprudenza di merito si registra l’utilizzo degli apparati di cui agli artt. 614-bis, 700 e 709-ter c.p.c.

In particolare, negli arresti che si sono confrontati con la tematica oggetto di attenzione, con riferimento ai presupposti per l’applicazione della tutela d’urgenza, la giurisprudenza, quanto al fumus bonis iuris, ha concluso a favore della sua sussistenza in ragione, da un lato, della a-territorialità della rete e, dall’altro, a fronte dalla circostanza che in sede di divorzio congiunto, gli ex coniugi avessero espressamente stabilito che la pubblicazione di fotografie dei figli minori spettasse esclusivamente ai genitori e non a terze persone, salvo il consenso congiunto di entrambi; mentre, la sussistenza del periculum in mora è stata ravvisata nella stessa attività di pubblicazione in rete di foto di minori, in quanto attività di per sé pregiudizievole, stante le caratteristiche proprie del web, che rende inefficaci forme di controllo sui flussi informativi soltanto ex post59.

Interessante, poi, quale misura di carattere sanzionatorio e afflittivo, è la disposizione di cui all’art. 614-bis c.p.c.60: essa rimette al giudice la possibilità di condannare l’obbligato al pagamento di una somma di denaro nell’ipotesi di violazione, inosservanza o ritardo nell’esecuzione di un obbligo di fare infungibile o non fare.

Una misura coercitiva indiretta che, se utilizzata nel caso di divieto di pubblicazione di immagini del minore, offre un duplice vantaggio: da una parte, guarda al passato in quanto condanna all’eliminazione di quanto fatto in violazione dell’obbligo, dall’altra, guarda al futuro laddove pone il divieto di compiere una determinata attività dall’adozione del provvedimento in poi.

E proprio tale rimedio inibitorio e sanzionatorio, avente carattere generale, è stato utilizzato sempre dai giudici di merito al fine di evitare il diffondersi di informazioni e dati riguardanti la personalità del minore nel contesto sociale. In diversi casi, infatti, i giudici, pur decidendo per la rimozione di alcune foto di un minore pubblicate sui social network, da parte di un genitore senza il consenso dell’altro, hanno altresì previsto la condanna al pagamento di una sanzione pecuniaria, laddove i genitori non avessero rispettato i provvedimenti stabiliti dal giudice, ossia l’inibizione della condotta di pubblicazione e di diffusione delle foto del figlio e la cancellazione di quelle già postate61.

Accanto allo strumento appena ricordato, nel contesto endofamiliare, assume, poi, rilievo la disposizione di cui all’art. 709-ter c.p.c. Tale norma è stata introdotta dalla l. n. 54/200662, al fine di incrementare in modo significativo l’effettività della tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi del minore e di evitare che rimangano inattuati i provvedimenti riguardanti l’esercizio della responsabilità genitoriale, nonché le modalità dell’affidamento della prole63.

Essa, funzionale ad assicurare la corretta attuazione o esecuzione dei preesistenti provvedimenti emessi in materia di esercizio della responsabilità genitoriale o di affidamento della prole minore, è stata introdotta per rafforzare, in via indiretta, il diritto alla bigenitorialità, essendo nota la difficoltà di eseguire coattivamente i provvedimenti nella materia relativa alle relazioni familiari; ampia discrezionalità è stata lasciata al giudice tanto sulla scelta del trattamento sanzionatorio, fornendo diversi strumenti alternativi (l’ammonimento, il risarcimento all’altro genitore, il risarcimento a favore del minore o la condanna ad una ammenda amministrativa), quanto sulla necessità o meno di disporre sanzioni.

La previsione di cui all’art. 709-ter c.p.c. ha, quindi, un duplice obiettivo: risolvere le controversie sull’esercizio della potestà e sulle modalità dell’affidamento e favorire l’attuazione ai provvedimenti di affidamento della prole64.

La parte, però, più innovativa della norma de qua riguarda le regole che hanno lo scopo di attuare i provvedimenti di affidamento della prole, in quanto il legislatore ha optato per una forma di esecuzione indiretta, affidando al giudice del procedimento in corso (o a quello competente per la revisione) il compito di pronunciare provvedimenti che valgano non soltanto ad individuare, se necessarie, nuove modalità dell’affidamento, ma anche ad influire sulla volontà dell’obbligato per indurlo ad ottemperare volontariamente al contenuto precettivo del provvedimento di affidamento. In questo caso, il giudice, accertate le inadempienze o violazioni commesse da uno dei genitori, e a prescindere dall’esistenza di una controversia insorta tra di loro, può modificare i provvedimenti in vigore e adottare, anche congiuntamente, le misure coercitive e sanzionatorie elencate nell’art. 709-ter c.p.c., garantendo, così, l’attuazione e l’osservanza dei provvedimenti di affidamento, al fine di indurre l’adempimento degli incoercibili doveri genitoriali e tutelare, così, il diritto del minore alla bigenitorialità65.

Pertanto, si può affermare che l’art. 709-ter c.p.c., volto ad assicurare il rispetto dei provvedimenti emanati dal giudice per regolare i rapporti personali tra genitori e figli a seguito della separazione, e da alcuni ritenuto cumulabile con l’art. 614-bis c.p.c.66, testimoni come il diritto di famiglia rappresenti un ambito nel quale la responsabilità civile può assumere diverse sfumature di deterrenza.



5. Conclusioni



Per rispondere alla domanda da cui siamo partiti fin dal titolo del presente contributo, credo che oggi non vi sia alcun dubbio che la nozione di responsabilità genitoriale si presti a nuovi scenari interpretativi.

La tematica, infatti, dell’individuazione dei connotati del diritto alla riservatezza dei soggetti più vulnerabili e della loro tutela si presenta, oggi, particolarmente problematica, a fronte del pregiudizio insito nella diffusione sui vari social network di immagini dei minori, per mano proprio dei loro stessi genitori. E sebbene l’esperienza giurisprudenziale dell’applicazione dell’astreinte abbia, in diversi casi, fatto fronte alle richieste di tutela effettiva e limitato la portata dei danni, credo che, oltre ad individuare strumenti che prevengano o che almeno circoscrivano gli stessi, occorrerebbe, più in generale, ripensare all’identificazione dei confini della educazione nel nuovo contesto digitale, per comporre un giusto bilanciamento tra opportunità e rischi della rete, nonché al fine di un più corretto esercizio della responsabilità genitoriale, non solo per quanto attiene agli illeciti commessi dai genitori, ma anche relativamente a quelli compiuti in rete dai figli.

NOTE

1 Il riferimento è alla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989 (v. infra par. 2): essa qualifica come “superiore” l’interesse del fanciullo e prescrive che “in tutte le decisioni relative ai fanciulli” tale interesse “deve ricevere preminente considerazione” (art. 3), contribuendo così in modo decisivo a rendere effettivi i diritti dei minori e a dare un nuovo orientamento al diritto di famiglia.

2 Riguardo alla nozione di best interest of the child si è recentemente evidenziata una differenza linguistica tra la versione anglosassone, incentrata sui migliori interessi del bambino, e quella franco-italiana, la quale fa leva sul superiore interesse dello stesso: la prima sembrerebbe circoscrivere il compito di concretizzazione dell’interprete all’individuazione di quelli che sono i migliori interessi del minore, mentre la seconda indicherebbe un primato dell’interesse di quest’ultimo su quelli delle altre persone coinvolte. Per un approfondimento ex multis v. L. lenti, Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, 87; E. laMarque, Prima i bambini, Il principio del best interest of the child nella prospettiva costituzionale, Milano, 2016; V. Scalisi, Il superiore interesse del minore. Ovvero il fatto come diritto, in Riv. dir. civ., 2018, 405; U. Salanitro, Azioni di stato e favor minoris tra interessi pubblici e privati, in Nuova giur. civ. comm., 2018, 552 e da ultimo a.c. di landro, Best interest of the child e tutela dei minori nel dialogo tra legislazione e giurisprudenza, in Nuove leggi civ. comm., 2020, 2, 451.

3 Con l’espressione Web 2.0 si fa riferimento alla seconda fase di sviluppo del World Wide Web, originariamente inventato da Tim Berners Lee al CERN di Ginevra nel 1989. Essa si deve all’editore americano Tim O’Reilly, che la utilizzò durante la Web 2.0 Conference di San Francisco (2004), definendolo come “un insieme di tendenze economiche, sociali e tecnologiche che formano collettivamente la base per la futura generazione di Internet, che diventa un mezzo più maturo”. A differenza del Web di prima generazione o Web 1.0 che, basato sul linguaggio HTML e sul protocollo TCP IP per la scrittura e la trasmissione a pacchetti dei dati, è stato caratterizzato dalla diffusione unidirezionale dei contenuti da parte delle grandi imprese ICT e che gli utenti ricevevano in modo piuttosto passivo, il Web 2.0 si basa, invece, sul linguaggio XML, attraverso il quale le persone possono diventare protagoniste attive nell’utilizzo e nella creazione di contenuti, applicazioni e servizi. Per un approfondimento di tali tematiche cfr. T. Berners-Lee, L’architettura del nuovo Web. Dall’inventore della rete il progetto di una comunicazione democratica, Milano, 2001; T. O’Reilly, What Is Web 2.0, 2005, in https://www. oreilly.com/pub/a/web2/archive/what-is-web-20.html?page=all (consultato in data 17 giugno 2021); A. Fini, M.E. CiGoGnini (a cura di), Web 2.0 e social networking. Nuovi paradigmi per la formazione, Trento, 2009 e C. Petrucco (a cura di), Didattica dei Social Software e del Web 2.0, Padova, 2010.

4 Sul punto cfr. S. BentiVeGna, G. Boccia Artieri, Le teorie della comunicazione di massa e la sfida digitale, Bari-Roma, 2019.

5 Al riguardo si veda la copiosa giurisprudenza penale sviluppatasi intorno a reati quali furto di identità, diffamazione, molestie e stalking, spesso perpetrati proprio attraverso i social cfr., fra le ultime, Cass. pen., sez. I, 26 maggio 2021, n. 15835; Cass. pen., sez. V, 19 maggio 2021, n. 19883; Cass. pen., sez. V, 17 maggio 2021, n. 19359; Cass. pen., sez. V, 17 maggio 2021, n. 19363 e Cass. pen., sez. V, 26 gennaio 2021, n. 3204, tutte reperibili in www.osservatoriofamiglia.it (consultato in data 21 giugno 2021).

6 Al riguardo v. S. Rodotà, Elaboratori elettronici e controllo sociale, Bologna, 1973; C.M. Bianca, Nota introduttiva, in La protezione dei dati personali. Commentario al d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (“Codice della privacy”), a cura di C.M. Bianca, F.D. Busnelli, Padova, 2007, XXII; e più recentemente, anche dopo l’entrata in vigore del GDPR, cfr. G. Finocchiario, Il quadro d’insieme sul Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali, in Il nuovo Regolamento europeo sulla privacy e sulla protezione dei dati personali, a cura di G. Finocchiario, Bologna, 2017, e G. AlPa, Introduzione, in Circolazione e protezione dei dati personali tra libertà e regole del mercato. Commentario al Regolamento UE n. 2016/679 (GDPR) e al novellato d.lgs. n. 196/2003 (Codice della privacy). Scritti in onore di Stefano Rodotà, a cura di R. Panetta, Milano, 2019.

7 Cfr. A. Thiene, Riservatezza e autodeterminazione del minore nelle scelte esistenziali, in Fam. e dir., 2017, 2, 171 e R. Messinetti, Circolazione dei dati personali e autonomia privata, in Persone e mercato dei dati: riflessioni sul GDPR, a cura di N. Zorzi GalGano, Padova, 2019, 139 ss.

8 La Consulta, con la pronuncia resa del 12 aprile 1973, n. 38, in Foro it., 1973, I, c. 1707, in un obiter rinvenne il fondamento normativo del diritto alla riservatezza nell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (“toute personne à droit au respect de sa vie privée et familiale, de son domicilie et de sa correspondance”).

9 Cfr. C. Irti, Persona minore d’età e libertà di autodeterminazione, in Giust. civ., 2019.

10 Fondatrice di Save the Children. Tale documento, ancorché non abbia valore giuridicamente vincolante e il minore venga visto come solo soggetto passivo di diritti, costituisce un importante punto di riferimento relativamente al riconoscimento di uno status da tutelare e promuovere.

11 Cfr. Art. 25 “La maternità e l’infanzia hanno diritto a speciali cure e assistenza. Tutti i bambini, nati nel matrimonio o fuori di esso, devono godere della stessa protezione sociale”.

12 Cfr. Principio VII, Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo, 1959: “The best interest of the child shall be the guiding principle of those responsible for his education and guidance”.

13 Per un approfondimento v. M. Gestri, La Convenzione su diritti del fanciullo: luci, ombre e problemi di prospettiva, in Jura Gentium, 2015; C. Focarelli, La Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e il concetto di “best interest of the child”, in Riv. dir. int., 2010, 981; A. Dell’antonio, La Convenzione sui diritti del fanciullo: lo stato di attuazione in Italia, in Dir. fam e pers., 1997, 246; M.R. Saulle (a cura di), La convenzione dei diritti del minore e l’ordinamento italiano, Napoli, 1994 e A.C. Moro, Il bambino è un cittadino. Conquista di libertà e itinerari formativi. La Convenzione dell’ONU e la sua attuazione, Milano, 1991.

14 L. 27 maggio 1991 n. 176, Ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989. Pubblicata nella Gazz. Uff. 11 giugno 1991, n. 135, S.O.

15 Cfr. A. RuBino, Minori e privacy: una tutela rafforzata?, in Nuovi media e minori, a cura di G. De Minico, Roma, 2012, 85 e L. Musselli, Internet e tutela dei minori, in Dir. informatica., 2011, 6. 727.

16 Ratificata dall’Italia con l. 20 marzo 2003 n. 77, Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996. Pubblicata nella Gazz. Uff. 18 aprile 2003, n. 91, S.O. Cfr. C. FioraVanti, I diritti del bambino tra protezione e garanzie: l’entrata in vigore, per la Repubblica italiana, della convenzione di Strasburgo, in Nuove leggi civ. comm., 2003, 3, 561 (1).

17 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Pubblicata nella G.U.C.E. 18 dicembre 2000, n. C 364. L’art. 24 (Diritti del bambino), dispone che: “1. I bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità. 2. In tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente. 3. Ogni bambino ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse”. Sul punto cfr. G. Resta, La disponibilità dei diritti fondamentali e i limiti della dignità (note a margine della Carta dei diritti), in Riv. dir. civ., 2002, 801.

18 Pensiamo, ad esempio, oltre al Regolamento UE n. 2016/679, il quale data l’ampiezza del tema sarà oggetto di una specifica trattazione nel paragrafo 3 del presente contributo: alla Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 dicembre 2006, riguardante la tutela dei minori, la dignità umana e il diritto alla rettifica relativamente alla competitività dell’industria europea dei servizi audiovisivi e d’informazione in linea; relativamente, poi, agli strumenti di incentivo di politiche a tutela dei minori in rete, al Report della Commissione Europea del 2017, Evaluation of the Implementation of the Alliance to better protect minors Online; e alla Direttiva (UE) 2018/1808 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 novembre 2018 recante modifica alla Direttiva 2010/13/UE, relativa a coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi e sui cui v. F. Donati, La tutela dei minori nella direttiva 2018/1808, in MediaLaws, 2019, 60.

19 Il riferimento è al primo Libro bianco “Media e minori” pubblicato dall’Autorità per le comunicazioni (AGCOM) e dedicato ai media c.d. tradizionali, a cui ne ha fatto seguito un secondo relativo ai nuovi media. Sul punto v. M. Bianca, La tutela del minore nell’età digitale. Riflessione a margine della lettura del Libro bianco AGCOM 2.0. su media e minori, in Comunicazione.doc., 2018, 59.

20 L. 22 aprile 1941 n. 633. Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio. Pubblicata nella Gazz. Uff. 16 luglio 1941, n. 166. Sul punto cfr. S. staBile, Internet e diritto d’autore: il cyberspace e la mondializzazione delle opere, in Dir. industriale, 1999, 1, 87, (1) e C. resta, Diritto d’autore e internet: la lenta e difficile evoluzione della responsabilità dei soggetti, in Impresa, 2001, 2, 247, (1).

21 L. 31 dicembre 1996 n. 675. Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali. Pubblicata nella Gazz. Uff. 8 gennaio 1997, n. 5. Per un approfondimento v. C.M. Bianca, F.D. Busnelli (a cura di), La tutela della privacy, in Nuove leggi civ. comm., 1999, 223; V. Francescelli, La tutela della privacy informatica. Problemi e prospettive, Milano, 1998 e E. Giannantonio, M.G. losano, V. zeno-zencoVich (a cura di), La tutela dei dati personali. Commentario alla l. 675/1996, Padova, 1997.

22 Art. 10 c.c. (Abuso dell’immagine altrui): “Qualora l’immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l’autorità giudiziaria su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento dei danni”. Per un approfondimento v. R. caterina, Le persone fisiche, 4 ed., Torino, 2020; M. Proto, Il diritto e l’immagine, Milano, 2012 e A. GiuFFrida, Diritti della personalità, in Il diritto privato nella giurisprudenza, a cura di P. cendon, Torino, 2000.



23 Sul punto cfr. da ultimo Cass. civ., sez. I, 19 febbraio 2021, n. 4477, in www.osservatoriofamiglia.it (consultato in data 17 giugno 2021), in cui gli Ermellini hanno cassato con rinvio la sentenza d’appello che aveva respinto la domanda di risarcimento del danno subito da una minore in stato vegetativo, che in occasione di un articolo pubblicato su talune testate giornalistiche, era apparsa ritratta insieme ad un noto calciatore che si era appositamente recato in ospedale per farle visita. La S.C., in occasione di tale pronuncia, ha ribadito che: “L’interesse pubblico alla diffusione di una notizia, in presenza delle condizioni che giustificano l’esercizio del diritto di cronaca, non rileva ai fini della legittimità della pubblicazione delle immagini delle persone coinvolte nella vicenda narrata, dovendosi accertare uno specifico ed autonomo interesse pubblico alla conoscenza delle fattezze dei protagonisti, ovvero il loro consenso o le altre condizioni eccezionali previste dall’ordinamento giuridico”.

24 D.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, Codice in materia di protezione dei dati personali. Pubblicato sulla G.U. del 29 luglio 2003, n. 174, S.O., n. 123/L. Con il codice della privacy si era provveduto a recepire anche i principi sanciti dalla direttiva 2002/58/CE, in materia di trattamenti dei dati personali e di tutela della vita privata nell’ambito delle comunicazioni elettroniche. Per un approfondimento cfr. ex multis, S. Rodotà, Tra diritti fondamentali ed elasticità della normativa: il nuovo Codice sulla privacy, in Europa e dir. priv., 2004, 1; V. Zeno ZencoVich, Privacy e informazioni a contenuto economico del d. legisl. n. 196 del 2003, in Studium iuris, 2004, 452; D. Turroni, Il “codice in materia di protezione dei dati personali”: note a prima lettura sulle novità introdotte in campo processuale civile, in Giur. it., 2004, 12, (1), e A. Pinori, Internet e responsabilità civile per il trattamento dei dati personali, in Contratto e Impresa, 2007, 6, 1565.

25 Si ricorda, infatti, che la Cassazione, con la sentenza 11 luglio 2014, n. 37596, in Dir. pen. e proc., 2014, 10, 1175, ha affermato che i social network, ossia servizi internet che permettono alle persone di mettersi in contatto per condividere amicizie, hobbies, informazioni, opportunità di lavoro e in generale interessi comuni, sono “luoghi aperti al pubblico”, quindi potenzialmente pregiudizievoli per i minori e che integra il reato di cui all’art. 660 c.p., l’invio di messaggi molesti, “postati” sulla pagina pubblica di Facebook della persona offesa, trattandosi di luogo virtuale aperto all’accesso di chiunque utilizzi la rete e quindi di “luogo aperto al pubblico” 26 Il riferimento è alla l. 29 maggio 2017 n. 71. Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del Cyberbullismo. Pubblicata nella Gazz. Uff. 3 giugno 2017, n. 127. Per un approfondimento v. P. russo, La normativa italiana in tema di bullismo e cyberbullismo, tra presente e futuro, in questa Rivista, V, gennaio-aprile, 2021; M. laBriola, La culpa in educando: il bullismo e il cyberbullismo, in questa Rivista, IV, 1, gennaio-aprile, 2020, 37; M. orFino, F.G. Pizzetti (a cura di), Privacy, minori e cyberbullismo, Torino, 2018; R. Bocchini, M. Montanari, Le nuove disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo (l. 29 maggio 2017, n. 71), in Nuove leggi civ. comm., 2018, 2, 340; P. Pittaro, La legge sul cyberbullismo, in Fam. e dir., 2017, 8-9, 819; R.M. ColanGelo, La legge sul cybebullismo. Considerazioni informatico-giuridiche e comparatistiche, in Inf. e dir., 2017, 397; C. Panicali, Il “cyberbullismo”: i nuovi strumenti (extrapenali) predisposti dalla legge n. 71/2017 e la tutela penale, in Resp. civ. e prev., 2017, 2081.

27 Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati). Sul tema ex multis v. V. CuFFaro, R. D’Orazio, V. Ricciuto (a cura di), I dati personali nel diritto europeo, Torino 2019; R. Panetta (a cura di), Circolazione e protezione dei dati personali, tra libertà e regole del mercato. Commentario al Regolamento UE n. 2016/679 (GDPR) e al novellato d.lgs. n. 196/2003 (Codice Privacy), Milano, 2019; N. Zorzi GalGano (a cura di), Persone e mercato dei dati: riflessioni sul GDPR, Milano, 2019; A. BarBa, S. PaGliantini (a cura di), Delle persone, in Comm. cod. civ., diretto da E. GaBrielli, Leggi collegate, II, Milano, 2019; E. Tosi (a cura di), Privacy digitale: riservatezza e protezione dei dati personali tra GDPR e nuovo codice della Privacy, Milano, 2019; D. Poletti, GDPR tra novità e discontinuità. Le condizioni di liceità del trattamento dei dati personali, in Giur. it., 2019, 12, 2777; V. CuFFaro, Il diritto europeo sul trattamento dei dati personali, in Contratto e impresa, 2018, 1098; A. Iuliani, Note minime in tema di trattamento dei dati personali, in Eur. dir. priv., 2018, 293; A. Barletta, La tutela effettiva della privacy nello spazio giuridico europeo e nella “aterritorialità” di Internet, in Eur. dir. priv., 2017, 1179 e G. Finocchiaro (diretto da), Il nuovo Regolamento europeo sulla privacy e sulla protezione dei dati personali, Bologna, 2016.

28 Modifica operata dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, recante “Disposizioni

per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE)

2016/697 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla pro-

tezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla

libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento genera-

le sulla protezione dei dati”. Pubblicato sulla G.U. del 4 settembre 2018, n. 205.

29 Cfr. par. 2, art. 1 del Regolamento.

30 Cfr. considerando 10 del Regolamento

31 Cfr. considerando 38 del Regolamento.

32 Secondo quanto disposto dall’art. 4, n. 25, del GDPR, servizio della società

dell’informazione è quello definito all’art. 1, par. 1, lett. b), dir. UE 2015/1535 del Parlamento europeo e del Consiglio, ossia “qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi”. Tale definizione si ricavava, peraltro, già dall’art. 1, n. 2, dir. 98/34/CE, come modificata dalla dir. 98/48/CE, nonché dal d.lgs. n. 70 del 2003 di recepimento della dir. 2000/31/CE, in materia di servizi della società dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico.

33 Peraltro già previsto dal Children’s Online Privacy Protection Act del 21 Ottobre 1998, cfr. J. WarMund, Can COPPA Work? An Analysis of the Parental Consent Measures in the Children’s Online Privacy Protection Act, in Fordham Intellectual Property Media & Entertainment Law Journal, 2001, 1, 11, 189 ss.

34 Cfr. art. 2-quinquies, comma 2, Codice della privacy come adeguato da d.lgs. n. 101/ 2018.

35 Cfr. E. La Rosa, Tutela dei minori e contesti familiari. Contributo allo studio per uno statuto dei diritti dei minori, Milano, 2005, 166.

36 Al riguardo v. F.D. Busnelli, Capacità ed incapacità di agire del minore, in Dir. fam., 1982, 54 ss.

37 Il riferimento è a Google, Microsoft e Facebook, cfr. S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Roma-Bari, 2012, 416.

38 Cit., C. CaMardi, Minore e privacy nel contesto delle relazioni familiari, in Autodeterminazione e minore età. Itinerari di diritto minorile, a cura di R. SeniGaGlia, Pisa, 2019, 124, secondo la quale la struttura dell’art. 8 del Regolamento, legittimando il minore di anni 16 al consenso libero al trattamento dei dati personali, farebbe espressamente salve le disposizioni generali del diritto dei paesi membri relative alla validità e all’efficacia dei contratti stipulati dai minorenni; in tal modo, secondo l’Autrice, la disposizione separerebbe il problema del consenso negoziale agli atti a contenuto patrimoniale in senso stretto, da quello dal consenso al trattamento dei propri dati personali, da includere nel campo dell’esercizio dei diritti personali fondamentali.

39 Al riguardo, v. E. Lucchini GuastaGlia, Il nuovo Regolamento europeo sul trattamento dei dati personali: i principi ispiratori, in Contratto e impresa, 2018, 106; CaPilli, La tutela dei dati personali dei minori, cit., 247.

40 Cfr. M. Bianca, Il minore e i nuovi media, in Autodeterminazione e minore d’età. Itinerari di diritto minorile, a cura di R. SeniGaGlia, Pisa, 2019, 156.

41 Cfr. Bianca, Il minore e i nuovi media, cit.

42 Per una ricognizione circa la natura giuridica del consenso al trattamento

dei dati personali cfr. N. Zorzi GalGano, Le due anime del GDPR e la tutela del diritto alla privacy, in Persone e mercato dei dati: riflessioni sul GDPR, a cura di Zorzi Giordano, cit., 33; A. Astone, L’accesso dei minori d’età ai servizi della c.d. società dell’informazione: l’art. 8 del Reg. (UE) 2016/679 e i suoi riflessi sul codice per la protezione dei dati personali, in Contratto e impresa, 2019, 2, 614 e F. Naddeo, Il consenso al trattamento dei dati personali del minore, in Dir. inf., 2018, 27.

43 Cfr. Bianca, Il minore e i nuovi media, cit., 157.

44 Art. 315-bis c.c. (Diritti e doveri del figlio): “Il figlio ha diritto di essere mante-

nuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti. Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa”. La disposizione di cui all’art. 316 c.c., invece, prevede che il figlio sia ascoltato dal giudice di merito, anche in presenza di contrasto da parte dei genitori, su questioni che lo coinvolgono direttamente. Quanto, poi, alla disciplina generale, essa è racchiusa nell’art. 336-bis c.c., dove si prevede l’ascolto del minore che abbia compiuto dodici anni, o che, se minore di tale età, abbia la capacità di discernimento, disponendone l’obbligatorietà del suo ascolto, in tutti i procedimenti, nei quali debbono essere adottate decisioni che lo riguardano; obbligo, quest’ultimo, che può essere escluso, solo nell’ipotesi in cui il giudice, esclusivamente con provvedimento motivato, lo reputi inutile o manifestamente contrario all’interesse del minore. Per un approfondimento sul diritto di ascolto del minore v. C. Guerra, Sulla nullità per omesso e immotivato ascolto del minore ultradodicenne, in Fam. e dir., 2019, 10, 873; B. Bottecchia, Il ruolo del minore nel processo, in Autodeterminazione e minore d’età. Itinerari di diritto minorile, a cura di R. SeniGaGlia, Pisa, 2019, 219; A. Nascosi, Nuove direttive sull’ascolto del minore infradodicenne, in Fam. e dir., 2018, 4, 352; I. Bitonti, Perenne attualità dell’istituto dell’ascolto del minore, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, 1069 e R. Pesce, L’ascolto del minore tra riforme legislative e recenti applicazioni giurisprudenziali, in Fam. e dir., 2015, 252.

45 Cfr. Naddeo, Il consenso al trattamento dei dati personali del minore, cit., 51. 46 Cit., CaMardi, Minore e privacy nel contesto delle relazioni familiari, cit., 126. 47 Per un approfondimento sul tema v. ex multis B. AGostinelli, L’educazione

della prole tra antiche prerogative genitoriali e nuovo interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2021, 1, 155 (1); M. Sesta, A. Arceri, La responsabilità genitoriale e l’affidamento dei figli, in A. Cicu, F. Messineo, l. MenGoni, P. schlesinGer, Trattato di diritto civile e commerciale, La crisi della famiglia, III, Milano, 2016, 86; E. Al Mureden, Dalla potestà alla responsabilità genitoriale, in Giur. it., 2014, 5, 1266; G. De CristoFaro, Dalla potestà alla responsabilità genitoriale: profili problematici di una innovazione discutibile, in Nuove leggi civ. comm., 2014, 4, 782 (1) e T. Gianni, Culpa in educando e responsabilità genitoriale, in Fam. e dir., 2012, 7, 722.

48 Sui cui rimando al bel saggio di Bianca, Il minore e nuovi media, cit., 159 ss.

49 Trib. min. Caltanissetta, 8 ottobre 2019, cit.

50 Cfr. https://www.corriere.it/scienze/10_aprile_09/figlio-madre-tribunale-face-

book_73a5da38-43be-11df-9c20-00144f02aabe.shtml (consultato in data 24 giugno 2021).

51 Cfr. Cass. pen., sez. V, 3 ottobre 2014, n. 41192, in Foro it., 2014, 11, 2, 564, in cui gli Ermellini hanno affermato che: “Risponde del reato di cui all’art. 617, 1° comma, c.p. il padre che registra clandestinamente le conversazioni telefoniche intervenute tra la moglie separata e i figli minori della coppia, i quali possono opporre ai genitori una propria sfera di riservatezza, non essendo idonea a escludere la fraudolenza della condotta la circostanza che l’imputato avesse comunicato al coniuge l’intenzione di agire in tal senso, né potendosi invocare come causa di giustificazione il diritto/ dovere del genitore di vigilare sulle comunicazioni effettuate o ricevute dai figli minori”.

52 Mi riferisco alle possibili libere scelte dei minori nei campi dell’interruzione della gravidanza, dell’uso non terapeutico di sostanze stupefacenti e della diagnostica dell’HIV. Per un approfondimento su tali tematiche rimando a G. Di Rosa, Il minore e la salute, in Autodeterminazione e minore età. Itinerari di diritto minorile, a cura di R. SeniGaGlia, Pisa, 2019, 93 ss.; R. SeniGaGlia, “Consenso libero e informato” del minorenne tra capacità e identità, in Rass. dir. civ., 2018, 1318; M. RidolFi, Il consenso informato per i minori e le persone incapaci, in Il Civilista. Consenso informato e DAT: tutte le novità, a cura di M. RodolFi, C. Casonato, S. Penasa, Milano, 2018, 19; meno recentemente C. Crocetta, L’autonomia decisionale del minore di fronte al trattamento medico: un confronto tra i sistemi giuridici italiano e svizzero, in Comparazione e diritto civile, 2015, 4 e R. Ducato, U. Izzo, Diritto all’autodeterminazione informativa del minore e gestione dei dati “supersensibili” nel contesto del fascicolo sanitario elettronico, in Dir. inf., 2013, 703.

53 Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 2005, n. 1148, in Danno e resp., 2005, 5, 563 e Trib. Sulmona, 9 aprile 2018, in Dir. fam. e pers., 2019, 1, I, 185, in cui si legge che “i genitori sino alla maggiore età hanno obbligo di vigilare sulla crescita dei figli con l’obbligo di impartire l’educazione necessaria e congrua affinché non arrechino danni a terzi nella loro vita di relazione, dovendo rispondere delle carenze educative a cui l’illecito commesso dal figlio sia riconducibile”.

54 Cfr. Cass. civ., sez. III, 10 settembre 2019, n. 22541, in Studium juris, 2020, 4, 486.

55 Cfr. ex multis, Cass. civ., sez. III, 10 settembre 2019, n. 22541, cit.; Cass. civ., sez. VI, 9 ottobre 2018, n. 24907, in www.leggiditalia.it (consultato in data 24 giugno 2021); Trib. Parma, 5 agosto 2020; Trib. min. Caltanissetta, 8 ottobre 2019, cit., entrambe in www.osservatoriofamiglia.it (consultato in data 24 giugno 2021); Trib. Sulmona, 9 aprile 2018, cit., il quale ha condannato i genitori di alcuni minorenni, che avevano diffuso sui social network una foto compromettente di una loro coetanea, a risarcirle i danni, ciò in quanto “esprimono, di per sé, una carenza educativa degli allora minorenni, dimostratisi in tal modo privi del necessario senso critico, di capacità di discernimento e di orientamento consapevole delle proprie scelte nel rispetto e nella tutela altrui. Capacità che invece avrebbero già dovuto godere in relazione all’età posseduta. Tanto è vero che alcuni coetanei, ricevuta la foto, non l’hanno divulgata” e Trib. Teramo, 16 gennaio 2012, in Banca dati De Jure (consultato in data 24 giugno 2021).

56 Al riguardo si segnala come in dottrina vi sia chi, al contrario, consideri la responsabilità dei genitori di cui all’art. 2048 c.c., quale responsabilità oggettiva, cfr. P.G. Monateri, La responsabilità civile, Torino, 2006, 929.

57 Cfr. Trib. Rieti, 7 marzo 2019, in www.osservatofamiglia.it (consultato in data 25 giugno 2021), anche se nel caso oggetto della pronuncia era la nuova compagna del padre dei piccoli a commettere il fatto, pubblicando sul suo profilo Facebook e su altri social network, le foto dei figli minorenni della ricorrente e dell’ex marito; Trib. Mantova, 19 settembre 2017, in www.osservatofamiglia.it (consultato in data 25 giugno 2021) e in Resp. civ. e prev., 2018, 589 con nota di S. Peron, Sul divieto di diffusione sui social network delle fotografie e di altri dati personali dei figli; Trib. Roma, 23 dicembre 2017, in Fam. e dir., 2018, 4, 380, con nota di M. Nitti, La pubblicazione di foto di minori sui social network tra tutela della riservatezza e individuazione dei confini della responsabilità genitoriale.

58 Cfr. Trib. Chieti, 21 luglio 2020, in www.osservatoriofamiglia.it (consultato in data 25 giugno 2021).

59 Trib. Rieti, 7 marzo 2019, cit.

60 Per un approfondimento v. ex multis E. Merlini, Prime note sul sistema delle

misure coercitive pecuniarie per l’attuazione degli obblighi infungibili nella l. 69/2009, in Riv. dir. proc., 2009, 6, 1546; M. BoVe, La misura coercitiva di cui all’art. 614-bis c.p.c., in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 781; F. ToMMaseo, L’esecuzione indiretta e l’art. 614-bis c.p.c., in Riv. dir. proc., 2014, 267; F. DanoVi, Gli illeciti endofamiliari: verso un cambiamento della disciplina processuale?, in Dir. fam. e pers., 2014, 293; I. GaMBoli, Le misure di coercizione indirette di cui all’art. 614-bis c.p.c., in Giur. it., 2016, 5, 1264; S. Vincre, Le misure coercitive ex art. 614bis c.p.c. dopo la riforma del 2015, in Riv. dir. proc., 2017, 2, 368; F. GiGliotti, Danni punitivi e sistema processuale (civile), in Giur. it., 2018, 10, 2274 e B. Ficcarelli, Misure coercitive e diritto-dovere di visita del genitore non collocatario, in Fam. e dir., 2020, 4, 332.

61 Cfr. Trib. Roma, 23 dicembre 2017, cit., dove, a fronte della elevata conflittualità, il giudice aveva stabilito la sospensione della responsabilità genitoriale in quanto le condotte poste in essere da entrambi i genitori erano pregiudizievoli per il minore (in particolare, nel caso di specie, la madre aveva reso noto su Facebook che il figlio era in cura da uno psicoterapeuta e aveva definito lo stesso, in alcuni post, come un ragazzo soggetto a turbe psichiche di vario genere); Trib. Mantova, 19 settembre 2017, cit., in cui il giudice ha accolto la richiesta di inibitoria, avanzata dal padre di due minori, della pubblicazione delle foto degli stessi su alcuni social network, ordinando al contempo alla madre di provvedere alla rimozione di tutte quelle dalla stessa già divulgate; e Trib. Rieti, 7 marzo 2019, cit.

62 L. 8 febbraio 2006 n. 54, “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”, pubblicata nella Gazz. Uff. 1 marzo 2006, n. 50. Per un approfondimento ex multis: M. Dell’utri, L’affidamento condiviso nel sistema dei rapporti familiari, in Giur. it., 2006, 329, 3; C. MurGo, Affido congiunto e condiviso: vecchio e nuovo confronto in tema di affidamento della prole, in Nuova giur. civ., 2006, 20547, 11, e L. SalVaneschi, I procedimenti di separazione e divorzio, in Fam. e dir., 2006, 356, 4.

63 Per un suo approfondimento v. ex multis: F. DanoVi, Le misure sanzionatorie a tutela dell’affidamento, in Riv. dir. proc., 2008, 603; A. Graziosi, L’esecuzione forzata, in aa.VV., I processi di separazione e divorzio, a cura di A. Graziosi, Torino, 2008, 234 ss.; F. ToMMaseo, L’adempimento dei doveri parentali e le misure a tutela dell’affidamento: l’art. 709ter c.p.c., in Fam e dir., 2010, 11, 1057; F. De AnGelis, Obblighi infungibili e misure coercitive: questioni interpretative e soluzioni giurisprudenziali, in Esecuzione forzata, 2015, 2, 157 e E. Ficcarelli, L’esecuzione dei provvedimenti relativi ai minori: l’esperienza italiana e francese a confronto, in Fam. e dir., 2016, 1, 83.

64 Quanto al primo aspetto, si tratta dei disaccordi o dei contrasti che possono sorgere tra i genitori nell’individuazione delle modalità attuative dell’affidamento e, quindi, del modo in cui esercitare la potestà ogni qual volta sia operativo un provvedimento di affidamento. Trova, pertanto, applicazione non solo laddove si voglia colpire inadempienze o violazioni del provvedimento di affidamento, ma anche per consentire ai genitori di avvalersi dell’intervento giudiziale nell’ipotesi in cui non riescano ad esercitare di comune accordo la potestà parentale a prescindere dalla causa che ha portato a tale contrasto.

65 La prassi giurisprudenziale ha ricondotto l’applicazione dell’art. 709-ter c.p.c., ai seguenti casi: a) controversie derivanti da una diversa interpretazione attribuita da ciascuno dei genitori ai provvedimenti precedentemente adottati in sede giudiziale; b) controversie derivanti dalla scelta unilaterale del genitore collocatario di mutare il luogo di residenza proprio e del figlio, quelle relative all’educazione dei figli (la scelta della scuola, la decisione di iscrivere il figlio al catechismo) ovvero alla loro cura (la scelta di un medico anziché di un altro); c) le istanze volte a ottenere rimedio avverso la condotta ostruzionistica del genitore che ostacola il rapporto del figlio con l’altro o comunque non collabora al fine di rendere possibile la frequentazione; d) le istanze volte a ottenere rimedio avverso la condotta del genitore non affidatario ovvero coaffidatario non convivente che si disinteressi del figlio o comunque ometta di esercitare il suo diritto-dovere di tenerlo con sé nei periodi stabiliti dal giudice.

66 Al riguardo cfr. A. Di Bernardo, I confini mobili dell’art. 614-bis c.p.c. e 709ter c.p.c. nei nuovi trend giurisprudenziali in materia di misure coercitive, in questa Rivista, V, gennaio-aprile 2021, 10; F. DanoVi, Le misure ex art. 709-ter c.p.c. in appello tra oneri di impugnazione e poteri del giudice, in Fam. e dir., 2016, 172; D. AMraM, Cumulo dei provvedimenti ex artt. 709ter e 614bis per forzare l’adempimento dei doveri genitoriali, in Danno e resp., 2012, 781 e E. Vullo, Affidamento dei figli, competenza per le sanzioni ex art. 709-ter e concorso con le misure attuative del fare infungibile ex art. 614-bis, in Fam. e dir., 2010, 932.