inserisci una o più parole da cercare nel sito
ricerca avanzata - azzera

Istanbul senza Turchia, ovvero il recesso della Turchia dalla convenzione di Istanbul: quali prospettive nel diritto internazionale per le donne vittime di violenza?

autore: S. Tonolo

Sommario: 1. Osservazioni introduttive. - 2. Il recesso della Turchia dalla Convenzione di Istanbul. - 3. La posizione dell’UE rispetto alla Convenzione di Istanbul. - 4. Conseguenze del recesso della Turchia dalla Convenzione di Istanbul.



1. Osservazioni introduttive



Il recesso degli Stati dai trattati internazionali è un istituto previsto dal diritto internazionale per consentire la flessibilità degli atti con i quali gli Stati regolano le loro relazioni reciproche1 . Ciò in ragione del fatto che i governi degli Stati mutano e che le scelte politiche di partecipare a un certo regime convenzionale possono variare nel corso del tempo. Sono in realtà ormai pochi i Trattati che non prevedono clausole di recesso, trattati istitutivi di organizzazioni internazionali (ad es. la Carta delle Nazioni Unite), e alcuni trattati sui diritti umani (Patto sui diritti civili e politici, Carta africana), per i quali la prassi sembra orientata ad escludere che si possa realizzare il recesso per la rilevanza dei valori tutelati. Recentemente vi sono stati casi più e meno noti di recesso degli Stati dai Trattati internazionali, quali ad es. il recesso del Regno Unito dai Trattati sull’Unione europea (Brexit)2 , il recesso degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, notificato il 4 novembre 20193 , poi superato dall’adesione del febbraio 2021, il recesso di Bolivia, Ecuador e Venezuela dall’ICSID (2012-2017)4 , il tentativo del SudAfrica di recedere dal Trattato istitutivo della Corte penale internazionale5 . La disciplina della materia è riconducibile alla Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati, internazionalmente in vigore dal 27 gennaio 1980, e fondamentalmente si ricollega all’operatività delle norme previste dal trattato da cui si intende recedere6 .



2. Il recesso della Turchia dalla Convenzione di Istanbul



La Convenzione di Istanbul adottata dal Consiglio d’Europa l’11 maggio 2011 sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, internazionalmente in vigore dal 20147 , prevede una clausola di recesso. L’art. 80 stabilisce che: “1. Ogni parte può, in qualsiasi momento, denunciare la presente Convenzione mediante notifica inviata al Segretario Generale del Consiglio d’Europa. Tale denuncia ha effetto il primo giorno del mese successivo alla scadenza di un periodo di tre mesi dalla data di ricevimento della notifica da parte del Segretario Generale”. Non si pone, nel caso del recesso della Turchia decretato il 20 marzo 20218 , il problema del contrasto tra la c.d. “san tità dei trattati” (pacta sunt servanda di cui all’art. 26 della Convenzione di Vienna9 ) e la sovranità degli Stati, essendo prevista espressamente una clausola di recesso. Solo se non fosse prevista tale clausola, si potrebbe invocare la rilevanza dei diritti tutelati per affermare la loro inderogabilità come nel caso del Patto sui diritti civili e politici del 196610 e del Patto sui diritti economici sociali e culturali del 196611. Dal punto di vista delle scelte politiche degli Stati, il recesso dalla Convenzione di Istanbul è molto significativo, dal momento che questa Convenzione assicura la tutela di diritti fondamentali, protegge le vittime della violenza e dunque costituisce un punto d’arrivo molto importante nella tutela dei diritti umani. Tale punto d’arrivo completa la Convenzione del 18 dicembre 1979 sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna adottata dalle Nazioni Unite (di seguito CEDAW)12, in corrispondenza a quanto già sancito dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 194813, dai Patti del 1966 sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali riguardo al divieto di discriminazione in base al sesso14. Nell’ambito dell’azione del Consiglio d’Europa, alcune disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950 (Cedu)15 sono state invocate contro le discriminazioni nei confronti delle donne. Per gli aspetti sostanziali relativi all’uguaglianza di genere si è fatto ricorso principalmente all’art. 8, in tema di protezione della vita privata e familiare16.

Abbastanza rilevante è anche l’affermazione del principio di non discriminazione codificato in un primo momento nell’art. 14 della convenzione. Tuttavia, la protezione prevista dall’art. 14 è limitata rispetto a quella prevista in altri strumenti internazionali, in quanto si riferisce esclusivamente al godimento dei diritti e delle libertà previste nella Convenzione stessa17, assumendo quindi carattere accessorio rispetto a essi. Come ha specificato la Corte europea, l’art. 14 individua i motivi che possono determinare un comportamento di natura discriminatoria. Tuttavia, il comportamento assunto acquista una sostanziale portata discriminatoria quando si concretizza nella mancanza sia di perseguimento di uno scopo legittimo sia nella mancanza di ragionevolezza nel ricorso al principio di proporzionalità tra mezzi impiegati e scopo perseguito18. Il riferimento al contrasto della violenza contro le donne, sottoposto all’attenzione degli organismi internazionali nel 199219, e poi nuovamente nel 201320, per ricollegarsi alla Women, Peace and Security (WPS) Agenda21, delle Nazioni Unite in attuazione della CEDAW22, è un punto centrale della Convenzione di Istanbul. In precedenza, la giurisprudenza di Strasburgo aveva interpretato la Convenzione europea, per sanzionare alcuni comportamenti che potevano rilevare ai fini del divieto di tortura, della tutela della vita privata, in coordinamento con il divieto di discriminazione23.



3. La posizione dell’UE rispetto alla Convenzione di Istanbul



In seguito al recesso della Turchia dalla Convenzione di Istanbul, si è aperto un dibattito in merito all’efficacia della stessa entro alcuni Paesi europei che ancora non hanno posto in essere la ratifica della Convenzione (Lettonia, Lituania, Repubblica Slovacca, Repubblica Ceca, Ungheria), che richiama alcuni spunti di attenzione per la relazione tra l’Unione europea e la Convenzione di Istanbul. Il tema dell’adesione dell’Unione europea ai Trattati internazionali evidenzia, anche dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, diversi aspetti problematici, che riguardano la competenza e la procedura da seguire. Relativamente alla competenza dell’UE a ratificare i trattati internazionali, l’art. 216 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) prevede che essa ricorra: a) quando i trattati o gli atti UE lo prevedono; b) quando l’accordo è necessario per raggiungere uno degli obiettivi dei trattati o per raggiungere gli obiettivi previsti dai principi comuni. Pertanto rispetto alla competenza dell’Unione europea a ratificare la Convenzione di Istanbul, vi è da dire che ricorrono le condizioni appena considerate, dal momento che combattere il crimine di violenza contro le donne e promuovere l’uguaglianza di genere sono obiettivi chiaramente definiti dall’Unione europea. La violenza contro le donne è considerata una forma di discriminazione contraria ai principi dei Trattati: si pensi ad es. all’art. 19 TFUE, che prevede il divieto di discriminazione sulla base del sesso e all’art. 157.3. TFUE, che dispone che le misure per assicurare parità di trattamento tra uomo e donna in materia di lavoro e occupazione siano adottate con la procedura legislativa ordinaria, o all’art. 157.4 TFUE che attribuisce all’UE la competenza a porre delle norme in tema di molestie sul luogo di lavoro. Relativamente alla procedura per la ratifica dei Trattati internazionali, occorre distinguere i casi in cui i trattati riguardino materie in cui vi è la competenza concorrente della UE con gli Stati o la competenza esclusiva dell’UE perché nel primo caso vi è la necessità di porre in essere la ratifica dell’UE accanto ad accordi degli Stati. Lasciando ora da parte il caso della Convenzione europea dei diritti dell’uomo per la quale l’adesione dell’UE era prevista già nei Trattati (art. 6 par. 2 del Trattato sull’Unione europea), ma sulla quale hanno pesato scelte politiche differenti24, l’unico precedente di adesione dell’UE ad un trattato internazionale in tema di diritti umani25, è la ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sulla tutela delle persone disabili nel 201026. L’art. 6 di tale Convenzione prevede che l’UE adotti misure per combattere la discriminazione contro donne e ragazze con di sabilità per assicurare il completo godimento dei diritti fondamentali. È interessante considerare questo caso per l’analogia con la Convenzione di Istanbul dal momento che anche la Convenzione delle Nazioni Unite sulla tutela delle persone con disabilità ha uno scopo più ampio delle norme dell’UE che tutelano le persone con disabilità dalle discriminazioni solo nel contesto lavorativo; molte delle obbligazioni derivanti dalla Convenzione delle Nazioni Unite rientrano nella competenza esclusiva degli Stati. L’UE non ha tuttavia ratificato il protocollo opzionale alla Convenzione che prevede un sistema di ricorso individuale dinanzi al Comitato di controllo27. Nel caso della Convenzione di Istanbul, vi è il problema delle competenze concorrenti in materia penale, visto che alcuni ambiti della Convenzione, prevedendo norme di rilevanza penalistica da introdurre nei singoli ordinamenti, rientrano nella competenza riservata agli Stati in coerenza al principio di sussidiarietà, e condivisa in base al titolo V del TFUE. La ratifica della Convenzione di Istanbul da parte dell’Unione europea incontra quindi tale limite, ad eccezione di quanto stabilito dall’art. 83 TFUE secondo il quale l’Unione europea ha una competenza in materia di ravvicinamento delle legislazioni penali in ambiti concernenti crimini c.d. transfrontalieri: traffico di esseri umani, sfruttamento sessuale di donne e bambini, e crimini organizzati su ampia scala contro le donne – mancando tuttavia il riferimento alla violenza di genere c.d. domestica (sia in senso tecnico sia riferibile a un solo Stato). La ratifica della Convenzione di Istanbul da parte dell’UE richiederebbe dunque, sulla scorta di quanto già avvenuto con la ratifica della Convenzione sulle persone con disabilità, un atto esplicativo ulteriore per distinguere gli ambiti di competenza esclusiva UE e condivisa con gli Stati. Si è pertanto avviata la complessa procedura per la conclusione di un accordo internazionale c.d. misto, in base al principio di attribuzione delle competenze, che nel caso degli accordi misti differenzia competenze dell’UE e competenze degli Stati. Dopo alcune indicazioni dell’Agenzia per i diritti fondamentali FRA (nel 2014), a favore della ratifica della Convenzione28, e l’esortazione del Consiglio dell’Unione europea nella formazione Giustizia e affari interni, in data 5 e 6 giugno 2014, affinché gli Stati ratificassero la Convenzione29, il 4 marzo 2016 la Commissione ha sottoposto al Consiglio dell’Unione europea una proposta di decisione del Consiglio relativa alla firma a nome dell’Unione europea della Convenzione; in questa proposta si precisa che la conclusione di questa Convenzione rientra sia nelle competenze dell’Unione sia in quelle degli Stati membri30. La proposta della Commissione prevedeva la firma della Convenzione con una unica decisione fondata sugli articoli 82 par. 2 e 84 TFUE. Durante la discussione sul progetto di decisione in seno agli organi preparatori del Consiglio si è osservato che la conclusione della Convenzione da parte dell’UE in alcuni settori non avrebbe avuto il sostegno della maggioranza qualificata dei membri del Consiglio, quindi si è deciso di limitare la con clusione della Convenzione alle sole competenze che gli organi preparatori consideravano rientranti nella competenza esclusiva dell’Unione. Le basi giuridiche dell’adesione dell’Unione europea alla Convenzione di Istanbul si sono modificate: è stato eliminato il riferimento all’art. 84 TFUE e aggiunto quello all’art. 82 par. 2 e all’art. 83 par. 1 e all’art. 78 par. 2 TFUE. Inoltre si è deciso di scindere la proposta della Commissione di decisione del Consiglio in due parti e di adottare due decisioni al fine di tener conto della posizione dell’Irlanda e del Regno Unito come previsto dal protocollo 21 allegato al TUE e al TFUE31. Queste modifiche adottate dal Coreper (Comitato rappresentanti permanenti) sono state approvate dalla Commissione il 26 aprile 2017. L’11 maggio 2017 il Consiglio ha adottato pertanto due decisioni separate concernenti la firma della Convenzione di Istanbul: la decisione (UE) 2017/865 che autorizza la firma per le disposizioni della cooperazione giudiziaria in materia penale (art 82 par. 2 e art. 83 TFUE)32, e la decisione (UE) n. 2017/866 che riguarda la ratifica della Convenzione di Istanbul per la parte relativa alle norme sull’asilo e il non respingimento (art. 78,2 TFUE)33. La Convenzione di Istanbul è stata firmata dall’UE il 13 giugno 2017. Il 4 aprile 2019, il Parlamento europeo ha chiesto alla CGUE ex art. 218 par. 11 TFUE il parere alla CGUE sull’opportunità di due decisioni separate con due basi giuridiche separate per la ratifica della Convenzione, e sulla compatibilità della Convenzione con i Trattati UE34. Ciò al fine di evitare poi l’annullamento dell’atto di conclusione di un trattato internazionale in contrasto con i Trattati, anche se la questione che un trattato internazionale riguardasse competenze concorrenti era già stata risolta dalla Corte affermando che non rilevava al fine di escludere la competenza dell’UE a concludere un trattato internazionale35. Tra le questioni proposte alla Corte, vi era anche quella concernente la compatibilità della Convenzione con i Trattati, in assenza di un accordo di tutti gli Stati a essere vincolati. Ciò perché il ritardo del Consiglio nella ratifica sembrava dipendere dall’attesa della ratifica degli Stati membri UE. Per superare la situazione di stallo così configurata e le perplessità di alcuni Stati è intervenuta l’opinione dell’avvocato generale Hogan in data 11 marzo 2021, che suggerisce alla Corte di ritenere possibile la ratifica da parte del Consiglio senza attendere la ratifica di tutti gli Stati36. L’avvocato generale analizza inoltre le questioni dell’eventuale recesso di uno Stato dopo che sia avvenuta la ratifica da parte dell’Unione e degli altri Stati e lo ritiene possibile – salvo l’obbligo di informare preventivamente l’UE – sempre in base al principio di attribuzione delle competenze, ove naturalmente la parte dell’accordo rientri nelle competenze dello Stato37.

Tra i vantaggi delineati dall’Avvocato generale Hogan in merito alla ratifica della Convenzione di Istanbul da parte dell’UE rientra sicuramente il coordinamento di alcuni meccanismi di monitoraggio ad es. delle informazioni dei crimini di violenza contro le donne, nonché la soluzione uniforme dei problemi concernenti il diritto dell’immigrazione ovvero l’eventuale perdita di residenza delle donne maltrattate, cui deve essere assicurata una residenza autonoma, entrambi risolvibili in maniera omogenea tra gli Stati membri in base alle norme della Convenzione di Istanbul. Un altro aspetto positivo riguarda il superamento delle perplessità che alcuni Stati membri ora manifestano nei confronti di tale Convenzione (ad es. la Polonia, o la Bulgaria), e che all’esito dell’uscita della Turchia potrebbero aumentare. Inoltre tale ratifica appare funzionale a superare le perplessità di nuovi Stati che entrassero in seguito all’ampliamento dell’UE e ai quali l’UE potrebbe chiedere rispetto della Convenzione. Infine, poiché i trattati internazionali vengono ad assumere un rango di norma interposta tra i Trattati istitutivi e gli altri atti sicuramente la Convenzione di Istanbul varrebbe come parametro di valutazione degli atti degli Stati membri e dell’UE.



4. Conseguenze del recesso della Turchia dalla Convenzione di Istanbul



Il fatto che la Turchia receda dalla Convenzione di Istanbul non esclude il fatto che essa rimanga comunque vincolata al rispetto dei diritti fondamentali delle donne come codificati a livello degli atti internazionali in precedenza esaminati38. Tale circostanza di per sé rilevante in vista dell’importanza della tutela dei diritti fondamentali della donna nello scenario internazionale, appare ulteriormente confermata da un recente intervento della Corte interamericana dei diritti dell’uomo che in seguito a una richiesta della Colombia nel 2019 si è pronunciata con un parere concernente il recesso degli Stati dai trattati posti a tutela dei diritti umani in maniera abbastanza significativa. Anche se un trattato – la Convenzione interamericana sui diritti dell’uomo contiene una clausola di recesso – art. 78 – e pur essendo chiaro che lo Stato può recedere e rimane vincolato al trattato per fatti avvenuti nel periodo precedente al recesso, la Colombia chiede quali meccanismi offra il diritto internazionale per fare in modo che lo Stato recedente continui a rispettare i diritti umani anche dopo il recesso e per tutelare gli individui che lamentino violazioni dei diritti garantiti da quel trattato. La Corte risponde sottolineando il ruolo fondamentale dei diritti umani, considerando però la necessità di considerare i meccanismi previsti entro gli ordinamenti dei singoli Stati per tutelare i diritti fondamentali39. Nonostante gli aspetti problematici ancora non risolti da tale intervento, appare tuttavia chiaro che la Turchia pur non essendo più vincolata al rispetto delle norme della Convenzione di Istanbul dopo 3 mesi dalla data della denuncia, rimane vincolata al rispetto delle norme che tutelano internazionalmente le donne, in quanto aderente alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo che, tramite la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, delinea un sistema che protegge le donne vittime di violenza, tramite l’interpretazione degli artt. 3, 8 e 14 della Convenzione europea. A tale riguardo, appare significativo che la giurisprudenza della Corte europea in merito alla condanna della violenza di genere si sia costruita proprio in applicazione di queste norme della Convenzione nei confronti della Turchia, Stato in cui con molta frequenza vengono posti in essere abusi nei confronti delle donne per un sistema normativo nazionale non particolarmente sensibile. Si pensi ad es. al caso Opuz c. Turchia del 200940, in cui una donna vittima di maltrattamenti da parte del compagno della madre si lamentava di tali violenze senza mai ottenere ragione dai giudici interni nemmeno con riguardo all’assassinio della madre; la Corte di Strasburgo ha condannato la Turchia per violazione degli artt. 2 e 3 della Cedu perché le autorità turche non sono state in grado di proteggere la vita ed evitare la tortura della ricorrente e dei membri della sua famiglia. Nel caso si segue il ragionamento elaborato dalla Corte nel caso Osman c. Regno Unito41 in occasione del quale la Corte di Strasburgo valuta la condotta dello Stato contraente che non aveva adottato misure idonee ad impedire l’uccisione di un padre e di suo figlio da parte di un soggetto che aveva più volte manifestato condotte ossessive nei confronti dello stesso nucleo familiare. La Corte parametra il giudizio di responsabilità dello Stato sulla prevedibilità degli atti lesivi in danno di un individuo e sulla ragionevolezza delle misure da adottare per impedirle. Nel caso Durmaz c. Turchia42, la Turchia viene censurata dalla Corte europea per violazione dell’art. 2 della Cedu per non aver correttamente accertato i fatti sottesi al dichiarato suicidio per overdose di una donna da tempo vittima di violenze da parte del marito. Nel caso specifico, rileva la mancanza di indagini giudiziarie svolte dalle autorità turche per accertare le reali cause della morte della figlia della signora Durmaz, basate solo su un report medico che aveva attestato l’overdose in base all’assunzione di due farmaci. Nel caso MG c. Turchia43, la Turchia viene censurata per violazioni degli artt. 3 e 14 Cedu, in merito alle violenze subite da una donna e dai suoi tre figli minori nel 2009. Nel caso specifico, la donna si era allontanata dalla casa di famiglia con i figli per scappare al marito violento e quindi non godeva della protezione della legge per le donne separate o divorziate, in quanto prevista da una modifica legislativa successiva ai fatti violenti44. Nel caso la Corte di Strasburgo richiama la Convenzione di Istanbul per definire gli obblighi positivi degli Stati, affermando che anche se i fatti oggetto del procedimento sono avvenuti in un’epoca anteriore all’entrata in vigore di tale atto normativo, la Convenzione rileva per definire la modalità in cui gli Stati devono adottare tutte le misure necessarie per le indagini e le procedure giudiziarie relative a ogni forma di violenza che rientri nel campo di applicazione della Convenzione trattandole senza ritardo ingiustificato e prendendo in considerazione i diritti delle vittime in tutte le fasi dei processi penali45. La Corte rileva inoltre che, analogamente a quanto osservato nel caso Durmaz, il clima di inerzia giudiziaria diffuso in Turchia è propizio alla violenza contro le donne e pertanto condanna la Turchia per violazione degli artt. 3 e 14 Cedu46. Nel caso Halime Kilic c. Turchia, è interessante notare come la Turchia si difenda affermando che, in seguito alla ratifica della Convenzione di Istanbul, sia stata adottata la circolare n. 13 del 2012 in base alla quale lo Stato ha istituito case-ospitalità per donne vittima di violenza e in questo modo ha adempiuto anche agli obblighi di cui agli artt. 2, 3, 13 e 14 della Cedu47. Tale argomentazione non viene accolta dalla Corte di Strasburgo nel caso concernente una vittima di violenze protrattesi per quasi vent’anni ad opera del marito infine suicidatosi, richiamando la Convenzione di Istanbul per affermare in maniera indiscutibile che l’art. 3 della stessa annoverando la violenza contro le donne tra le “violazioni dei diritti dell’uomo” ne rende evidente il carattere di discriminazione nei confronti delle donne48. Alla luce dell’analisi della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in tema di violenza contro le donne, non sorprende il recesso della Turchia dalla Convenzione di Istanbul, visto il clima contrario alla repressione di tale fenomeno in questo Paese. L’analisi evidenzia però come l’evoluzione del sistema generale di tutela dei diritti umani sia garanzia di non ritorno, nel senso che la Corte europea dei diritti dell’uomo richiama la Convenzione di Istanbul anche nei confronti degli Stati che non sono soggetti agli obblighi da essa disposti, e si offre così quale sicuro punto di riferimento contro la violenza alle donne tramite l’applicazione delle norme generali della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 2, 3, 8, 14).

NOTE

1 Si v. gli articoli 54 e 56 della Convenzione di Vienna del 22 maggio 1969 sul diritto dei trattati, 1969, 1155 UNTS 331. In generale sul punto si veda K. zEMANEK, Vienna Convention on the Law of Treaties, in United Nations Audiovisual Library of International Law, 2009, https://legal.un.org/avl/pdf/ha/vclt/vclt-e.pdf.

2 Si v. l’art. 50 (1) del Trattato sull’Unione europea che prevede la facoltà per gli Stati di recedere dall’Unione in conformità alle previsioni costituzionali nazionali. Per le problematiche di diritto interno connesse alla Brexit, si v. R (on the application of Miller and another) (Respondents)v. Secretary of State for Exiting the European Union (Appellant)[2017] UKSC 5.

3 WhITE hOUsE PREss sECRETARy, Statement by President Trump on the Paris Climate Accord, 1 June 2017, https://www.whitehouse.gov/the-press-office/2017/06/01/ statement-president-trump-paris-climate-accord.

4 ICSID, Database of Member States, https://icsid.worldbank.org/en/Pages/about/ Database-of-Member-States.aspx. C. PEINhARdT, R.L. WELLhAUsEN, Withdrawing from Investment Treaties but Protecting Investment’ Global Policy (2016), http://www.rwellhausen.com/uploads/6/9/0/0/6900193/peinhardt_wellhausen_globalpolicy_forth.pdf.

5 South Africa, Withdrawal of Notification of Withdrawal 7 March 2017 Depository NotificationC.N.121.2017.TREATIES-XVIII.10, https://treaties.un.org/ doc/Publication/CN/2017/CN.121.2017-Eng.pdf.

6 United Nations Conference on the Law of Treaties, First and Second Sessions: Vienna, 26 March 24 May 1968 and 9 April 22 May 1969, Official Records, A/CONF.39/11/Add.2, 1115 UNTS, 331 In generale sul tema: zEMANEK, Vienna Convention on the Law of Treaties, cit.; J. CRAWFORd, The Current Political Discourse Concerning International Law, in Modern Law Review, 2018, 81, 1, 1 ss.; A. CIAMPI, Invalidity and Termination of Treaties and Rules of Procedure, in E. CANNIzzARO (ed.), The Law of Treaties beyond the Vienna Convention, Oxford, 2011.

7 Si v. sul punto A. dI sTEFANO, Violenza contro le donne e violenza domestica nella nuova Convenzione del Consiglio d’Europa, in DUDI, 2012, 169 ss.; G. PAsCALE, L’entrata in vigore della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, in Osservatorio costituzionale, www.osservatorioaic.it, settembre 2014, 1 ss.

8 E. yALCINALP, Turkey Erdogan: Women rise up over withdrawal from Istanbul Convention, in BBC News, 26 marzo 2021.

9 P. FOIs, Il consenso degli Stati ad obbligarsi e il principio pacta sunt servanda, in Rivista di diritto internazionale, 2001, 5-32; A. OddENNINO, Pacta sunt servanda e buona fede nell’applicazione dei trattati internazionali, Torino, 2003; C. BINdER, The Pacta Sunt Servanda Rule in the Vienna Convention on the Law of Treaties: A Pillar and its Safeguards, in I. BUFFARd, J. CRAWFORd, A. PELLET, S. WITTICh (eds.), International Law between Unilateralism and Fragmentation. Festschrift in Honour of Gerhard Hafner, Leiden, Boston, 2008, 315-342; I. BUFFARd, Stability and Change in Time of Fragmentation: The Limits of Pacta Sunt Servanda Revisited, in Leiden Journal of International Law, 2012, 903-934.

10 International Covenant on Civil and Political Rights (adopted 16 December 1966, entered into force 23 March 1976) 999 UNTS 171.

11 International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights (adopted 16 December 1966, entered into force 3 January 1976) 993 UNTS 3.

12 Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women, New York, 18 December 1979, entered into force on 3 September 1981, in UNTS, 1249, 13 ss.

13 Universal Declaration of Human Rights (UDHR), GA Res. 217/A (III), 10.12.1948, U.N. Doc. A/810, 71.

14 In Italia l’autorizzazione alla ratifica e l’ordine di esecuzione alla Conven-



zione del 1979 sono stati dati con legge n. 132 del 14 marzo 1985. La Convenzione è poi entrata in vigore il 10 giugno 1985. La Convenzione è stata preceduta dalla Dichiarazione sull’eliminazione della discriminazione contro le donne, adottata il 7 novembre 1967 dall’Assemblea generale, con la risoluzione n. 2263 (XII).

15 Consiglio d’Europa, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, 4 Novembre 1950, ETS/5 (consultabile al sito: http://www.refworld.org/docid/3ae6b3b04.html). Per l’Italia l. n. 848 del 4 agosto 1955 autorizzazione alla ratifica e ordine di esecuzione, in Gazzetta Ufficiale n. 221 del 24 settembre 1955.

16 Si pensi ad es. al diritto alla scelta del cognome familiare. Sono state ritenute contrarie agli articoli 8 e 12 CEDU le norme nazionali che impediscono di scegliere il cognome della moglie come cognome familiare, vietando anche ai figli l’acquisizione del cognome della madre, oppure le norme interne che proibiscono alla donna di mantenere il cognome da nubile dopo il matrimonio, pur in presenza della concorde volontà dei coniugi. V. Corte europea dei diritti umani, ricorso n. 16213/89, Burghartz c. Svizzera, sentenza del 22 febbraio 1994; ricorso n. 77/07, Cusan e Fazzo c. Italia, sentenza del 7 gennaio 2014. Per un commento a queste sentenze, v. M. CALOGERO, L. PANELLA, L’attribuzione del cognome ai figli in una recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo: l’affare Cusan e Fazzo c. Italia, in Ordine internazionale e diritti umani, 2014, 222 ss.;

G. PIGNATARO, Il cognome materno (art. 8 CEDU), in A. dI sTAsI (a cura di), CEDU e ordinamento italiano. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e l’impatto nell’ordinamento interno (2010-2015), Padova, 2016, 657 ss.

17 Dopo il 1950 alcune garanzie specifiche riguardanti unicamente l’uguaglianza tra i coniugi sono state inserire con l’art. 5 del VII Protocollo addizionale.

18 Corte europea dei diritti umani, ricorso n. 2126/66, Affaire relative à certain aspects du régime linguistique de l’enseignement en Belgique, sentenza del 27 luglio 1968.

19 General Reccomendation adopted by the Committee on the elimination of discrimination against women, 1992, https://tbinternet.ohchr.org/Treaties/CEDAW/ Shared%20Documents/1_Global/INT_CEDAW_GEC_3731_E.pdf.

20 UNCEDAW, General Recommendation no. 30 on Women in Conflict Prevention, Conflict and Post-Conflict Situations, 1 November 2013, CEDAW/C/GC/30,

§§ 36-38.

21 S/RES/1820 (2008); S/RES/1888 (2008); S/RES/1889 (2009); S/RES/1960

(2010); S/RES/2106 (2013); S/RES/2122 (2013); S/RES/2242 (2015); S/

RES/2467 (2019); S/RES/2493 (2019). Sul punto si veda J. TRUE, S. dAVIs (eds.),

The Oxford Handbook on Women, Peace, and Security, Oxford, 2019.

22 C. O’ROURKE, A. sWAINE, CEDAW and the Security Council: Enhancing Women’s Rights in Conflict, in International and Comparative Law Quarterly, 2018, 67, 167-199.

23 Nello specifico, la violenza domestica era stata sanzionata tramite il richiamo alle norme indicate nel testo nella sentenza del 31 maggio 2007, ric n, 7510/04, Kontrova c. Slovacchia, nella sentenza del 12 giugno 2008, ricorso 71127/01, Bevacqua e S. c. Bulgaria e nella sentenza del 9 giugno 2009, n. 33401/02, Opuz c. Turchia, la violenza sessuale nella sentenza del 4 dicembre 2003, ricorso n. 39272/98, M.C. c. Bulgaria.

24 Il processo di adesione dell’Unione europea alla Cedu si è bloccato per il parere negativo della Corte di giustizia dell’Unione europea, parere 2/13 del 18 dicembre 2014, sul quale si v.: T. LOCK, Oops! We did it again the CJEU’s Opinion on EU Accession to the ECHR, http://www.verfassungsblog.de/en/oops-das-gutachten-des-eugh-zum-emrk-beitritt-der-eu/#.VJPu2dDpDw; S. PEERs, The CJEU and the EU’s accession to the ECHR: a clear and present danger to human rights protection, 18 dicembre 2014, http://eulawanalysis.blogspot.it/2014/12/the-cjeu-and-eus-accessionto-echr.html; L.S. ROssI, Il Parere 2/13 della CGUE sull’adesione dell’UE alla CEDU: scontro fra Corti?, 22 dicembre 2014, http://www.sidi-isil.org/sidiblog/?p=1228; H. LABAyLE, La guerre des juges n’aura pas lieu. Tant mieux? Libres propos sur l’avis 2/13 de la Cour de justice relatif à l’adhésion de l’Union à la CEDH, http://www.gdr-elsj. eu/2014/12/22/elsj/la-guerre-des-juges-naura-pas-lieu-tant-mieux-libres-propossur-lavis-213-de-la-cour-de-justice-relatif-a-ladhesion-de-lunion-a-la-cedh/, 22

dicembre 2014; S. VEzzANI “Gl’è tutto sbagliato, gl’è tutto da rifare!”: la Corte di giustizia frena l’adesione dell’UE alla CEDU, 23 dicembre 2014, http://www.sidi-isil. org/sidiblog/?p=1231; L.F.M. BEssELINK, Acceding to the ECHR notwithstanding the Court of Justice Opinion 2/13, 23 dicembre 2014, http://www.verfassungsblog.de/ acceding-echr-notwithstanding-court-justice-opinion-213/#.VKvveiuG-WA; S. dOUGLAs-sCOTT, Opinion 2/13 on EU accession to the ECHR: a Christmas bombshell from the European Court of Justice, http://www.verfassungsblog.de/opinion-213-eu-accession-echr-christmas-bombshell-european-court-justice/#.VKvvryuG-WA. Nel 2020

i negoziati di adesione sono ripresi. Si veda il 6th negotiation meeting of the Steering Committee for Human Rights (CDDH) ad hoc negotiation group (47+1 Group) on the accession of the European Union (EU) to the European Conven-



tion on Human Rights (ECHR) (29 September 1 October 2020).

25 Per la conclusione secondo la quale la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, finché non viene ratificata dall’UE, non entra a far parte del diritto dell’Unione europea, si veda la sentenza della Corte di Giustizia, C-617/10 Åkerberg Fransson [2013] EU:C:2013:105, § 44.

26 Si veda la Decisione del Consiglio del 26 novembre 2009 concernente la conclusione da part della Comunità europea della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità [2010] GUUE L 23/35. Al momento Irlanda e Paesi Bassi non hanno ratificato tale Convenzione nonostante la ratifica europea.

27 Sul punto si v. D. FERRI, The Unorthodox Relationship between the EU Charter of Fundamental Rights, the United Nations Convention on the Rights of Persons with Disabilities and Secondary Rights in the Court of Justice Case Law on Disability Discrimination, in European Constitutional Law Review, 2020, 275.

28 Violence against women: an EU-wide survey, 3.3.2014, https://fra.europa.eu/ sites/default/files/fra_uploads/fra-2014-vaw-survey-main-results-apr14_en.pdf.

29 Prevenire e combattere tutte le forme di violenza contro le donne e le ragazze, compresa la mutilazione genitale femminile, Doc. 9543/14.

30 COM(2016) 109 final e COM(2016) 111 final

31 Il Regno Unito non ha ratificato la Convenzione di Istanbul, l’Irlanda sì.

32 https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=celex%3A32017D0865.

33 https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=celex%3A32017D0866.

34 https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-8-2019-0357_EN.html. La richiesta del Parlamento europeo, procedura parere 1/19, è stata censurata da parte di alcuni Stati (Ungheria, Irlanda, Spagna, Grecia, Polonia) che affermano che dietro la richiesta del Parlamento vi sia un’indiretta critica al Consiglio per aver deciso di adottare due decisioni al posto di una che avrebbe dato maggiore coerenza ed efficacia alla Convenzione di Istanbul.



35 Parere 2/00 del 6 dicembre 2001, sul Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza, EU:C:2001: 664.

36 https://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?docid=238745&doclang=en.

37 Ad es. la Polonia, che minaccia di recedere dalla Convenzione di Istanbul potrebbe farlo anche qualora l’UE ratificasse la Convenzione.

38 Si v. supra par. 1.

39 Advisory Opinion OC-26/20 of November 9, 2020, requested by the Republic of Colombia, The Obligations in matters of human rights of a State that has denounced the American Convention on Human Rights and the Charter of the Organization of American States, https://www.corteidh.or.cr/opiniones_consultivas.cfm?lang=en.

40 Sentenza del 9 giugno 2009, ricorso n. 33401/02, Opuz c. Turchia, cit.

41 Sentenza del 28 ottobre 1998, ricorso n. 23452/94, Osman c. Regno Unito.

42 Sentenza del 13 febbraio 2015, ricorso n. 3621/07, Durmaz c. Turchia.

43 Sentenza del 22 marzo 2016, n. 646/10, MG. c. Turchia.

44 La materia era regolata dalla l. 4320 del 1998 – poi modificata dalla l. 5636 del 2007 e infine dalla l. 6284 del 2012.

45 Sentenza del 22 marzo 2016, n. 646/10, MG. c. Turchia, cit., par. 94.

46 È ormai consolidata la prassi del richiamo della Convenzione di Istanbul da parte della Corte di Strasburgo anche nei confronti di Paesi che non l’hanno ratificata sempre in casi concernenti la violenza nei confronti delle donne. Si veda sentenza del 24 febbraio 2020, ricorsi n. 32949/17 e 34614/17, J.D. e A. c. Regno Unito. Sulla circostanza che la violazione delle norme della Cedu derivi non tanto dalle norme interne ma dall’inerzia di giudici e polizia nel perseguire le violenze nei confronti delle donne si veda anche la sentenza del 2 marzo 2017 ricorso n. 41237/14, Talpis c. Italia; sentenza 28 maggio 2013, ricorso n. 3564/11, Eremia e altri c. Moldavia; sentenza 16 luglio 2013, ricorso 74839/10, Mudric c. Moldavia; sentenza 4 novembre 2019, ricorso n. 41261/17, Volodina c. Russia. E per una considerazione più ampia sul clima generale di discriminazione delle donne vittime di violenza, e c.d. “victim blaming”: sentenza 27 maggio 2021, ricorso n. 5671/2016, J.L. c. Italia.

47 Sentenza 28 giugno 2016, ricorso n. 63034/11, Halime Kilic c. Turchia, par. 111.

48 Sentenza 28 giugno 2016, ricorso n. 63034/11, Halime Kilic c. Turchia, par.

114. In maniera analoga non rileva il richiamo della Convenzione di Istanbul da parte della Turchia nel caso deciso dalla sentenza del 23 febbraio 2016, ricorso

n. 55354/11, Civek c. Turchia, par. 44: “Il tient néanmoins à informer la Cour des développements qui ont eu lieu après l’incident: – la loi no 6284 sur la protection de la famille et la prévention de la violence contre les femmes, entrée en vigueur le 20 mars 2012, donne aux autorités administratives et judiciaires le pouvoir de prendre des mesures préventives et de protection contre les actes de violence envers les femmes; – en 2012, un plan d’action de lutte contre les violences subies par les femmes a été mis en œuvre, et des réunions d’évaluation sur le suivi de ce plan d’action sont régulièrement organisées; – le 5 janvier 2013, des lieux d’accueil et des centres d’hébergement pour les femmes victimes de violences ont été créés; – le 18 janvier 2013, des centres de prévention et de surveillance ont été institués dans le cadre de la lutte contre les violences faites aux femmes; – la Convention sur la prévention et la lutte contre la violence à l’égard des femmes et la violence domestique (Convention d’Istanbul), signée le 14 mars 2012 par la Turquie, est entrée en vigueur le 1er août 2014 à l’égard de ce pays; – le 25 novembre 2014, une commission d’enquête parlementaire a été établie en vue d’enquêter sur les causes des violences faites aux femmes et de déterminer les mesures qui doivent être prises; – dans le cadre des études sur la prévention des violences contre les femmes, 157 000 fonctionnaires en poste dans différentes autorités étatiques ont suivi une formation…”.