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Note di trattazione scritta in sostituzione dell’udienza e regime delle preclusioni

autore: A. Mengali

SOMMARIO: 1. Premessa e ambito della disamina. - 2. La natura dei termini previsti per il deposito delle note di trattazione scritta. - 3. L’esercizio delle facoltà difensive delle parti tra preclusioni derivanti dalla disciplina “comune” e previsione del deposito di note di trattazione scritta in sostituzione dell’udienza. - 4. Ulteriori problemi di carattere operativo e alcune soluzioni della prassi. - 5. Considerazioni conclusive e spunti di riflessione.



1. Premessa e ambito della disamina



Con le presenti brevi note si intende svolgere alcune considerazioni in merito alla previsione1 normativa, nata nel periodo dell’emergenza sanitaria ancora in atto, che consente, fino al 31 luglio 2021, come disposto dall’art. 23, comma 1, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. in l. 18 dicembre 2020, n. 176, e successive modificazioni, la sostituzione delle udienze civili “che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti” con lo scambio delle c.d. “note di trattazione scritta”, secondo quanto previsto dall’art. 221 d.l. 19 maggio 2020, n. 34 conv. in l. 17 luglio 2020, n. 772 . Nel momento in cui si scrive si è prossimi alla scadenza del predetto termine di efficacia della disciplina straordinaria, che, non è da escludere, possa essere prorogato3 . Eppure vale in ogni caso la pena svolgere alcune considerazioni in merito ad un’esperienza che, in una prospettiva de iure condendo, potrebbe ripetersi4 , anche in considerazione del fatto che la sostituzione delle udienze per le quali non è necessaria la presenza dei difensori con il deposito di note scritte ha un impatto indubbiamente positivo in termini di ottimizzazione delle (scarse) risorse della nostrana giustizia civile. Non si intende qui affrontare una minuziosa disamina della disciplina emergenziale, per la quale si rinvia agli ampi contributi in tema, né avventurarsi in riflessioni sulla (invero già perduta) oralità nel processo5 ma svolgere alcune considerazioni sulle implicazioni derivanti dalla sostituzione dell’udienza con il deposito di note di trattazione scritta, soprattutto con riferimento alle facoltà difensive delle parti e alla loro potenziale perdita per effetto del vigente, severo regime delle preclusioni. Come noto il dato normativo di riferimento è, almeno allo stato, il seguente, stante che il giudice “può disporre che le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti siano sostituite dal deposito telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni. Il giudice comunica alle parti almeno trenta giorni prima della data fissata per l’udienza che la stessa è sostituita dallo scambio di note scritte e assegna alle parti un termine fino a cinque giorni prima della predetta data per il deposito delle note scritte. Ciascuna delle parti può presentare istanza di trattazione orale entro cinque giorni dalla comunicazione del provvedimento. Il giudice provvede entro i successivi cinque giorni. Se nessuna delle parti effettua il deposito telematico di note scritte, il giudice provvede ai sensi del primo comma dell’articolo 181 del codice di procedura civile”. La peculiarità di una simile previsione normativa non è tanto quella di prevedere una trattazione scritta del processo, ciò di cui vi è già ampia esperienza a partire dalla prima formulazione del codice del 19406 , e che è stata razionalizzata e armonizzata nel rinnovato sistema delle preclusioni reintrodotto con la riforma del 1990-1995 con l’ultima significativa riforma in merito risalente al 2006, con la previsione della (possibile) concessione dei 3 termini per il deposito di memorie scritte di cui all’art. 183, comma VI, c.p.c.7 . Il vero punto nodale è invece che la trattazione scritta è prevista in sostituzione e contemporaneamente in alternativa alla celebrazione orale dell’udienza. Ciò crea una inevitabile frizione tra le normali e tendenzialmente elastiche modalità di funzionamento dell’udienza e il rigido formalismo che domina lo svolgimento del processo nelle altre sue fasi. Nel prosieguo di queste brevi note si cercherà di comprendere se e come sia possibile armonizzare le previsioni codicistiche che prescrivono le modalità ed i termini di svolgimento delle facoltà difensive delle parti in udienza con quelle derivanti dalla disciplina delle “note di trattazione scritta” sostitutive della stessa.



2. La natura dei termini previsti per il deposito delle note di trattazione scritta



È naturalmente possibile che in udienza le parti abbiano facoltà di compiere attività difensive che siano invece successivamente precluse. In altre parole, è ben possibile che vi siano facoltà difensive che debbano essere esercitate a pena di decadenza entro una determinata udienza8 . Si pensi ad esempio alla formulazione delle eccezioni riservate o della reconventio reconventionis da parte dell’attore a fronte delle difese del convenuto, ma la stessa richiesta della concessione dei termini (perentori) ex art. 183, comma VI, c.p.c., e quindi l’esercizio delle relative facoltà difensive ivi previste, per unanime interpretazione deve considerarsi prevista a pena di decadenza entro la prima udienza di trattazione9 . Il punto è quindi, nei casi naturalmente in cui non vi sia opzione da parte di alcuna delle parti verso la trattazione orale, o allorché in ogni caso il giudice disponga che l’udienza debba svolgersi mediante (rectius, sia sostituita dal) deposito di note di trattazione scritta10, quali siano, negli esempi sopra indicati e comunque ogniqualvolta le previsioni codicistiche prevedano che una certa attività debba essere compiuta entro l’udienza, le conseguenze del mancato rispetto dei termini previsti per il deposito delle note di trattazione scritta. Il primo approccio al tema non può che essere quello di chiedersi se i termini di cui alla disciplina emergenziale, previsti a ritroso rispetto alla data dell’udienza originariamente fissata, siano o meno previsti a pena di decadenza. E le conseguenze di un simile approccio non possono che essere quelle, in prima battuta, di rispolverare la nota distinzione tra termini perentori e termini (“meramente”) ordinatori ricordando l’opinione11 di chi rifiuta l’equazione termine perentorio=termine previsto a pena di decadenza, termine ordinatorio=termine che non comporta, se non rispettato, alcuna conseguenza preclusiva, richiamando in particolare il disposto degli artt. 153, comma 1, e 154 c.p.c., che distinguono le due categorie di termini in base alla loro prorogabilità (prevista solo per i secondi), fermo restando che entrambe le tipologie di termini comporterebbero, se violati, un effetto decadenziale12. Eppure è opportuno ricordare il disposto dell’art. 152, comma 1, ultimo inciso, che con riferimento ai termini disposti dal giudice, come sono quelli di cui si parla, prevede che questi “possono essere stabiliti […] anche a pena di decadenza, soltanto se la legge lo permette espressamente”. E d’altra parte l’accostamento esclusivo tra previsione decadenziale e perentorietà del termine è evocato a contrario dal disposto dell’art. 154 c.p.c., che disciplina il termine ordinatorio come quello che “non sia stabilito a pena di decadenza”. Ed il fatto che il termine ordinatorio non possa essere “ulteriormente prorogato” non significa necessariamente che l’atto compiuto oltre il termine sia invalido. A tale proposito pare opportuno distinguere la preclusione all’attività difensiva che va ricondotta alla categoria delle sanzioni in senso proprio13, dalla previsione del termine per il compimento dell’atto che può contenere quella difesa. La decadenza ha ad oggetto la difesa e costituisce una sanzione derivante dal mancato esercizio della facoltà nel termine previsto; laddove non vi sia previsione decadenziale il termine potrà scadere ma al compimento dell’atto oltre la scadenza non può conseguire, se non prevista, una sanzione decadenziale. Giova a tale proposito richiamare la dottrina che ha correttamente inquadrato come nullo l’atto compiuto oltre un termine decadenziale, qualificando tuttavia tale invalidità non in termini di nullità formale, bensì quale conseguenza della mancanza del potere, siccome perduto, di compiere l’atto14. Pertanto, escluso che il termine possa costituire requisito formale dell’atto, l’atto compiuto oltre la scadenza non può qualificarsi invalido a meno che non sia espressamente prevista per tale ipotesi la perdita del potere (ossia la decadenza).



3. L’esercizio delle facoltà difensive delle parti tra preclusioni derivanti dalla disciplina “comune” e previsione del deposito di note di trattazione scritta in sostituzione dell’udienza



Esposte le ragioni per le quali, in difetto di espressa previsione decadenziale, il termine previsto per il deposito delle note di trattazione scritta non può considerarsi in sé e per sé come determinante una preclusione a carico delle parti, occorre coordinare la nuova modalità di esercizio delle facoltà difensive con le originarie previsioni codicistiche.

Il vero nodo problematico rappresentato dalla novità normativa nata in periodo emergenziale è infatti quello di coordinare le nuove modalità di trattazione in sostituzione dell’udienza con le preclusioni alle attività difensive da compiere entro l’udienza tradizionalmente intesa. Prendendo ad esempio l’attore che intenda eccepire la prescrizione del diritto fatto valere in via riconvenzionale dal convenuto, secondo lo schema tradizionale ciò dovrà avvenire “entro l’udienza”; senza che sul punto ci si sia mai particolarmente soffermati da un punto di vista sistematico, esercitare un’attività entro l’udienza, dal punto di vista quantomeno pratico è sempre conciso con l’esercitarla prima della conclusione dell’udienza stessa, momento che altrettanto empiricamente coincide con la “chiusura del verbale”15. Quid juris, pertanto, allorché lo svolgimento dell’udienza sia sostituito dallo scambio di note di trattazione scritta? Ci si potrebbe chiedere a che cosa corrisponda la conclusione dell’udienza, e ancora a cosa la chiusura del verbale. La soluzione che appare più corretta dal punto di vista sistematico è quella di considerare la fase di trattazione originariamente prevista per l’udienza già fissata (cioè, utilizzando il linguaggio forese, l’“incombente” dell’udienza) come conclusa alla scadenza dei termini previsti per il deposito delle note16; e a ben vedere non appare insuperabile l’argomento contrario secondo cui l’udienza non sarebbe cancellata, ma solo “sostituita” dal deposito delle note17; tuttavia rimangono alcune perplessità, perché il termine è conteggiato a ri troso dalla “data” dell’udienza originariamente prevista (che potrebbe essere quella fissata dallo stesso attore con l’atto di citazione). Inoltre la norma dettata per il periodo emergenziale equipara il mancato deposito delle note alla mancata comparizione, agli effetti dell’art. 181 c.p.c., omettendo di riferirsi al termine a ritroso previsto dall’inciso precedente (il che rende non del tutto peregrina l’interpretazione secondo cui il deposito delle note, seppur tardivo ma svolto entro la data dell’udienza originariamente prevista, non sia equiparabile alla mancata comparizione). Altra considerazione da fare è che se la trattazione dovesse intendersi “anticipata” di 5 giorni, si potrebbe avere una ingiustificata compressione del diritto di difesa delle parti18; poniamo sempre ad esempio il caso dell’attore che si trovi a dover replicare alla comparsa del convenuto, con tutte le relative previsioni decadenziali per le proprie difese, non più in un termine minimo di venti giorni, bensì potenzialmente di quindici, con immotivata disparità di trattamento rispetto al caso dello svolgimento dell’udienza nelle forme tradizionali (e tale considerazione vale a ben vedere anche come ulteriore argomento per escludere la perentorietà del relativo termine di 5 giorni)19. Né vale argomentare dal fatto che le parti possono sempre fare istanza di trattazione orale, se è vero che il giudice, come è secondo la prevalente interpretazione, non è tenuto ad accogliere la stessa mantenendo un ampio margine di discrezionalità. Ciò che non convince è soprattutto il fatto che lo scadere di termini che non sono previsti a pena di decadenza determini invece una decadenza prevista dal codice per le attività da compiere nell’udienza che il deposito delle note entro quei termini va a sostituire. L’appiglio sistematico per considerare corretta la soluzione più rigorosa a ben vedere c’è, e risiede nella considerazione che la decadenza non necessariamente discende dal mancato rispetto di un termine perentorio20, ma per l’appunto può essere previsto che una determinata attività, anche alla luce dello sviluppo dialettico del processo e del c.d. ius variandi possa e debba essere compiuta entro l’udienza, come è ad esempio nel caso di cui all’art. 183, comma 5, c.p.c.21; la “sostituzione” dell’udienza con un atto da depositare entro un certo termine manterrebbe quindi l’originaria previsione decadenziale, “trasferendola” sull’atto “sostituto” dell’udienza, anche in difetto di espressa previsione di perentorietà. Si tratta tuttavia di una frizione tra la disciplina dell’udienza “sostituita” e quella della trattazione scritta “sostituta” che ben potrebbe essere evitata alla luce di una normazione più puntuale. È chiaro peraltro che la previsione dei termini a ritroso, pur non essendo previsto un termine per l’emanazione del provvedimento giudiziale conseguente, intenderebbe lasciare al giudice i giorni intercorrenti tra la scadenza degli stessi e la data dell’udienza originaria per l’emanazione di quest’ultimo.

Anche alla luce di questo, se, nell’attuale disciplina che non prevede la perentorietà di quei termini, si ritenesse invece – con ogni probabilità a torto, e probabilmente suggestionati dal fatto che la data originariamente prevista per l’udienza rimane in qualche modo all’interno delle agende dei difensori delle parti (se non altro quale probabile fine dell’attesa del provvedimento giudiziale) – che “l’udienza non scompare” si potrebbe azzardare che la trattazione scritta in sostituzione dell’udienza sarà conclusa al momento del deposito dell’ordinanza in cancelleria da parte del giudice, il quale, si potrebbe ancora sostenere, avrà l’onere di considerare come svolte “in udienza” (rectius entro la conclusione della trattazione relativa agli incombenti previsti per l’udienza originaria) tutte le difese contenute in note che siano state previamente depositate dalle parti (anche, quindi, oltre la data originaria dell’udienza, in caso, come sovente avviene, che il giudice non depositi l’ordinanza nel giorno di udienza originariamente previsto ma oltre la stessa).



4. Ulteriori problemi di carattere operativo e alcune soluzioni della prassi



Nel quadro delineato vi sono anche altre possibili complicazioni. Basti pensare alla possibilità, certo non vietata, ed anzi sovente colta (alla luce degli incombenti previsti dal codice che ben si prestano alla “cartolarizzazione”), di provvedere ai sensi dell’art. 221 comma 4 per la prima udienza del processo ordinario22. Ebbene in tali casi il termine di 30 giorni anteriore per la comunicazione alle parti non potrà essere concretamente rispettato, quantomeno per il convenuto, che può tempestivamente costituirsi fino a venti giorni prima dell’udienza fissata dall’attore23 e che pertanto, in detta ipotesi, non potrà venire a conoscenza delle relative modalità, o meglio, la cancelleria non potrà svolgere la relativa comunicazione in quanto la parte non è ancora (legittimamente) costituita. Anche ammessa una comunicazione nei 20 giorni anteriori, come si può pensare che il termine di 5 giorni anteriori all’udienza fissata dall’attore determini una qualsivoglia decadenza (per esempio, relativamente alla richiesta di concessione dei termini ex art. 183 comma VI c.p.c.)? In detta ipotesi, non essendovi (e non potendovi essere) il rispetto del termine di 30 giorni previsto dalla legge, se anche si voglia ritenere che l’udienza venga letteralmente soppiantata dalle note di trattazione scritta, con la conseguenza che le facoltà da esercitare a pena di decadenza in quella andranno esercitate in questa, non potrà che trovare applicazione l’art. 153, comma 2, c.p.c., e ciò senza che possa ritenersi necessaria un’apposita istanza, ma invece attraverso una c.d. deroga al sistema delle preclusioni dovuta al necessario rispetto del principio del contraddittorio24. Stessa soluzione dovrà darsi ogniqualvolta la trattazione scritta non sia comunicata entro i 30 giorni anteriori previsti dalla norma25. Vi è poi che la previsione codicistica non contempla l’ipotesi che sia necessario dare sfogo al contraddittorio consentendo alle parti di replicare alle deduzioni avversarie. Ed è solo un esempio il protocollo del Tribunale di Milano secondo cui “il giudice dispone che l’udienza venga svolta secondo le suddette modalità con provvedimento telematico, eventualmente differenziato per ciascuna parte il per il deposito telematico delle note scritte contenente le istanze e conclusioni o del foglio di precisazione delle conclusioni”26. Ciò che deve sempre guidare l’interprete è senz’altro il rispetto del principio del contraddittorio e dei diritti processuali delle parti che ne sono necessario corollario; alcuna previsione decadenziale può evidentemente imporsi in spregio agli stessi.



5. Considerazioni conclusive e spunti di riflessione



Le considerazioni che precedono, e le scarse certezze che, purtroppo, lo studio del tema, probabilmente (e, da questo punto di vista, fortunatamente) a differenza della prassi giudiziaria, può produrre, ritengo debbano indurre alle riflessioni che seguono. La previsione delle “note di trattazione scritta in sostituzione dell’udienza” è stata una risorsa in un periodo di grave crisi sanitaria e sociale come quella che ci ha attraversato nell’ultimo anno e mezzo; la prassi e il buon senso degli operatori di giustizia hanno fatto il resto, consentendo nella stragrande maggioranza dei casi, e senz’altro con qualche eccezione, di recuperare un sufficiente ordine del processo e di limitare il più possibile la compressione dei diritti processuali delle parti (e dove ciò non è avvenuto è sempre possibile rimediare tramite istanza ex art. 153, comma 2, c.p.c.). Tuttavia, pensare di adottare questo schema in futuro appare un errore di prospettiva, ed è questo, ritengo, il momento giusto per svolgere opportune e necessarie riflessioni da un punto di vista sistematico, affinché la risorsa di oggi non divenga il problema di domani. E allora, mi pare si debba constatare che l’udienza è orale e non può essere “sostituita” di volta in volta dal deposito di scritti difensivi la cui disciplina (in particolare, per quanto esaminato, in punto di previsioni decadenziali) vada ricercata in quella dell’udienza originariamente prevista, in quanto ciò, oltre a problemi applicativi che una normazione più attenta potrebbe invero contribuire a ridurre, rischia di generare di sordine all’interno del processo, oltre che duplicare le attività dei giudici e dei difensori che dovranno di volta in volta disporre – i primi – e verificare – i secondi – le modalità della trattazione. Si può molto più semplicemente, ritengo, come proposto peraltro in seno al progetto di riforma della Commissione presieduta dal Prof. Francesco Paolo Luiso27, eliminare udienze pressoché inutili28 e sostituirle, per previsione normativa (e non per provvedimento giudiziale), dal deposito di scritti difensivi29, ampliando i già ben a mpi spazi della trattazione scritta. A quel punto le facoltà difensive ben potrebbero essere circoscritte (al di là di ogni ulteriore considerazione e perplessità sull’essenzialità di un sistema a preclusioni30) entro termini di decadenza, ma ciò in virtù di una riscrittura del rito, e non a fronte della “sostituzione” dell’udienza per provvedimento del giudice. Nell’ipotesi in cui invece si voglia proseguire nell’esperienza della trattazione scritta “in sostituzione dell’udienza” la soluzione che appare più sensata è quella di prevedere che il giudice possa disporre lo scambio di note scritte da depositare in un termine perentorio entro il quale esercitare le facoltà difensive che il codice prevede debbano essere svolte entro l’udienza; ma se questa è la soluzione non ha senso prevedere termini a ritroso rispetto alla data originariamente prevista (ciò che peraltro comprime irragionevolmente i diritti processuali delle parti), bensì prevedere un termine che coincida o sia successivo a quello della data di udienza originariamente prevista. Peraltro così facendo, ovvero massimizzando le potenzialità della trattazione scritta, ad avviso di chi scrive faremmo meno danno di quanto si pensi all’idea di oralità di Giuseppe Chiovenda, che ben potrebbe essere recuperata celebrando “dal vivo” anche soltanto le udienza istruttorie, purché il giudice sia messo in condizione di arrivare preparato al momento antecedente dell’ammissione delle prove, evitando il dilungarsi del processo mediante svolgimento di istruttorie superflue (perché magari studiando da subito il fascicolo ci si può rendere conto che il punto realmente controverso è tutto in diritto), e potendo giungere in fase decisoria a breve distanza dalla diretta assunzione delle prove orali.





NOTE

1 Per, invece, una completa disamina della normativa emergenziale, compreso l’analisi dell’altra alternativa all’udienza tradizionale, ossia lo svolgimento dell’udienza da remoto, che non tratteremo nel presente scritto, cfr., senza pretesa di esaustività, A. Carratta, G. Costantino, Quadro d’insieme della legislazione d’emergenza, in Giur. it., 2020, 2044 ss., 2046; P. Biavati, Processo civile e pandemia: che cosa passa, che cosa rimane, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2021, 133 ss.; C. Cecchella, Il futuro della giustizia civile dopo la disciplina emergenziale Covid-19, in L’osservatorio sul diritto di famiglia. Diritto e processo, 2020; Id., Trattazione scritta, a distanza, digitalizzazione degli atti: cosa resterà nel processo civile dell’emergenza epidemiologica, in questionegiustizia.it; I. Pagni, Le misure urgenti in materia di giustizia per contrastare l’emergenza epidemiologica: un dibattito mai sopito su oralità e pubblicità dell’udienza, in Judicium.it; G. Ruffini, Emergenza epidemiologica e processo civile, in questionegiustizia.it; B. Sassani, B. Capponi, A. Panzarola, M. Farina, Il decreto ristori e la giustizia civile: una prima lettura, in judicium.it; M.G. Civinini, La giornata europea della giustizia civile 2020, occasione di riflessione sull’impatto della pandemia sulla giustizia attraverso l’esperienza del Tribunale di Pisa, in questionegiustizia.it; E. Fabiani, L. Piccolo, La giustizia civile nell’era dell’emergenza epidemiologica, in Giusto proc. civ., 2020, 1027 ss.; D. Dalfino, G. Poli, Il “remoto” è già passato (le udienze civili nell’emergenza epidemiologica e le ulteriori novità del d.l. 28/20), in Foro it., 2020, 225 ss.; E. Dalmotto, Sospensione dei termini processuali e rinvio delle udienze nel Covid-19, in Giur. it., 2020, 2046 ss. F. Valerini, In difesa dell’udienza da remoto, in judicium.it; Aa.Vv., Il processo civile solidale, a cura di A. Didone, F. De Sanctis, Milano, 2020; con riferimento alla prima fase dell’emergenza, anche per ulteriori riferimenti, sia consentito rinviare anche a A. Mengali, La sospensione speciale dei processi civili nell’emergenza Covid19: (non è) tutto chiaro, in judicium. it. Per ulteriori riferimenti cfr. anche le note successive.

2 Peraltro il comma 6 del medesimo articolo prescrive che “Il giudice può disporre che le udienze civili in materia di separazione consensuale di cui all’articolo 711 del codice di procedura civile e di divorzio congiunto di cui all’articolo 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898 siano sostituite dal deposito telematico di note scritte di cui all’articolo 221, comma 4, del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, nel caso in cui tutte le parti che avrebbero diritto a partecipare all’udienza vi rinuncino espressamente con comunicazione, depositata almeno quindici giorni prima dell’udienza, nella quale dichiarano di essere a conoscenza delle norme processuali che prevedono la partecipazione all’udienza, di aver aderito liberamente alla possibilità di rinunciare alla partecipazione all’udienza, di confermare le conclusioni rassegnate nel ricorso e, nei giudizi di separazione e divorzio, di non volersi conciliare”. Si tratta paradossalmente di una previsione che non desta, a differenza di quella prevista in via generale dal citato art. 221 d.l. 34/20, particolari problemi, soprattutto con riferimento ai poteri delle parti che sono oggetto della disamina che segue, e ciò per la particolarità del processo di famiglia che, almeno nella fase presidenziale, non conosce rigide preclusioni, che devono intendersi più in generale superate allorché questo abbia ad oggetto diritti indisponibili.

3 Siamo stati facili profeti, nel corso della pubblicazione del presente scritto il termine è stato prorogato al 31 dicembre 2021 dal d.l. 23 luglio 2021, n. 105 conv. in l. 16 settembre 2021, n. 126.

4 Per considerazioni analoghe cfr. P. Biavati, Processo civile e pandemia: che cosa passa, che cosa rimane, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2021, 133 ss., il quale tra le altre cose osserva che “le modalità cartolari o da remoto (e specialmente le prime), introdotte a causa dell’emergenza sanitaria, mentre il disegno di legge delega di riforma si orientava su tutt’altre linee, sono state accettate dagli operatori, al punto che, quando si è prevista la possibile scelta fra le modalità vecchie e quelle nuove, le nuove hanno registrato una significativa adesione”, ibid., 137; C. Cecchella, Il futuro della giustizia civile dopo la disciplina emergenziale Covid-19, in L’osservatorio sul diritto di famiglia. Diritto e processo, 2020, 5 ss., spec. 8, secondo cui “è necessario misurarsi con la possibilità di un recupero della disciplina straordinaria nell’ambito della disciplina ordinaria del processo civile”.

5 Per quanto, come si è avuto modo di approfondire in altra sede, cfr. A. Mengali, Preclusioni e verità nel processo civile, Torino, 2018, 38 ss., l’idea di oralità di chiovendiana memoria è stata sovente fraintesa, stante che il fulcro di quella concezione del processo sta nell’identità soggettiva tra chi svolge la funzione istruttoria e colui che decide la causa, che peraltro non ha granché a che vedere con le udienze “che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti”, che sono invece quelle per le quali è stata prevista la speciale trattazione scritta che ha avuto origine dalla disciplina emergenziale e per le quali ha senso svolgere le considerazioni che seguono anche in una prospettiva de iure condendo.

6 Che all’art. 183, nell’originaria formulazione, già prevedeva che il giudice potesse autorizzare lo scambio di memorie quando lo ritenesse necessario per consentire alle parti il dispiegarsi delle facoltà difensive previste nei precedenti commi della medesima disposizione, cfr. Mengali, Preclusioni e verità, cit., 45.

7 Sia consentito rinviare, per ulteriori riferimenti, a Mengali, Preclusioni e verità, cit., 34 ss.

8 Cfr. ancora, se si vuole, Mengali, Preclusioni e verità, cit., spec. 113 ss.

9 Cfr. R. Muroni, sub art. 183 c.p.c., in Codice di procedura civile commentato, a cura di C. Consolo, VI ed., Milano, 2018, II, 216, la quale osserva come “è evidente […] che la mancata richiesta di termini anche solo per le istanze istruttorie comporta l’obbligo per le parti di avanzare le eventuali nuove istanze istruttorie e le nuove produzioni documentali a pena di decadenza nella stessa udienza ex art. 183 essendo altrimenti detta attività preclusa in un momento successivo”. Nella giurisprudenza di legittimità, con riferimento alla disciplina precedente alla riforma del 2006, in senso sostanzialmente del tutto analogo cfr. Cass. 25 novembre 2002, n. 16571 secondo cui “nel processo civile disciplinato dalla legge n. 353 del 1990, che lo configura come un processo articolato in fasi successive (la fase preparatoria, la fase istruttoria e la fase decisoria) alle quali si correlano preclusioni all’esercizio dei poteri processuali, la facoltà delle parti di chiedere nuovi mezzi di prova deve essere esercitata a pena di decadenza nel momento in cui si conclude la fase di trattazione preparatoria e si apre la fase istruttoria (in difetto della quale si verifica l’immediato passaggio alla fase decisoria, ai sensi dell’art. 187 c.p.c.). Pertanto qualora il giudice, al termine della prima udienza di trattazione, in mancanza di anteriori istanze istruttorie o di richiesta di assegnazione del termine di cui all’art. 184, comma 1, abbia rinviato la causa per la precisazione delle conclusioni senza fissare un’apposita udienza per le deduzioni istruttorie, non prevista obbligatoriamente dalle disposizioni vigenti, resta definitivamente sancita la decadenza delle parti da ulteriori deduzioni istruttorie”.

10 È ritenuto in modo piuttosto pacifico che il giudice mantenga la propria discrezionalità nel decidere le modalità di svolgimento dell’udienza, anche a fronte dell’eventuale istanza di trattazione orale proveniente da una delle parti, cfr. Ruffini, Emergenza epidemiologica, cit., 12.

11 Sul punto vi sono oscillazioni anche in giurisprudenza, cfr., per riferimenti, Vullo, sub art. 152, in Codice di procedura civile commentato, I, cit., 1748 s.

12 In tema, anche per gli opportuni riferimenti, cfr. Vullo, op. cit., 1746 ss.

13 Cfr. S. Menchini, Principio di preclusione e autoresponsabilità processuale, in Giusto proc. civ., 2013, 979 ss. In tema, se si vuole, Mengali, Preclusioni e verità, cit., 27 ss.

14 Cfr. Menchini, op. cit., spec. 1020 ss.; F. Marelli, La trattazione della causa nel regime delle preclusioni, Padova, 1996, 11 ss., spec. 13 e nota 31 che critica l’opinione tradizionale che “costruisce i termini come requisiti formali dell’atto processuale”.

15 Ed invero in giurisprudenza si trovano pronunce che individuano esattamente nella “chiusura del verbale”, determinata dalla sottoscrizione del giudice, il momento nel quale si determina la preclusione al compimento di una determinata attività difensiva da compiere per l’appunto entro l’udienza. Cfr. Cass. 25 luglio 1992, n. 8978 secondo cui “la preclusione posta dall’art. 293 c. p. c. alla costituzione del contumace in una udienza successiva a quella di rimessione della causa al collegio risponde ad inderogabili esigenze di coordinamento tra l’attività difensiva delle parti e l’esercizio della funzione decisoria, onde nessun potere è conferito al giudice di consentire – qualunque sia stata la ragione della inosservanza del termine massimo di legge – al contumace una costituzione successiva alla suddetta udienza, da intendersi, peraltro, come riferita al tempo di trattazione di ogni singola causa e non a quello complessivamente riservato dall’ufficio alla trattazione di tutte le cause fissate per quel giorno, talché l’udienza stessa deve ritenersi chiusa, con effetto preclusivo della costituzione, nel momento in cui il giudice disponga la chiusura del verbale della causa trattata, apponendovi la propria sottoscrizione”. Alla chiusura del verbale fanno riferimento anche alcune pronunce che si sono occupate del problema della “riapertura”, ammessa nell’ambito dei poteri del giudice di direzione del processo ma soltanto laddove sia rispettato il principio del contraddittorio, cfr. Cass. 27 giugno 2007, n. 14848 secondo cui “il provvedimento del giudice che dispone la riapertura del verbale di udienza, che può ricondursi al potere di direzione del procedimento, deve essere sempre esercitato nel rispetto del diritto di difesa delle parti”. Altre pronunce hanno evidenziato come, sopraggiunto l’orario fissato per l’udienza, non vi sia un tempo minimo da attendere prima della chiusura del verbale, dovendosi ritenere di carattere eccezionale la previsione di cui all’art. 59 disp att. c.p.c. che dispone che, nel procedimento davanti al giudice di pace, la dichiarazione di contumacia è fatta “quando è decorsa almeno un’ora dall’apertura dell’udienza”, cfr. Cass. 19 ottobre 2012, n. 18048.

16 In questo senso cfr. Ruffini, Emergenza epidemiologica e processo civile, cit., il quale ritiene il riferimento tout court all’art. 181 c.p.c. frutto di una normazione non attenta, valorizzando il fatto che il dettato dell’art. 221 d.l. 34/20, riferendo alla “sostituzione” dell’udienza, ha preso il posto dell’espressione utilizzata dall’art. 83 d.l. 18/20 che faceva riferimento allo “svolgimento delle udienze civili […] mediante lo scambio e il deposito telematico di note scritte”. Per considerazioni analoghe S. Ciliegi, A. Cosattini, Il graduale rientro del processo alla normalità dopo l’emergenza, in Lavoro nella giur., 2020, 932 ss., secondo i quali il deposito telematico delle note scritte non costituisce “una modalità di ‘svolgimento delle udienze civili’”, come affermato secondo la formulazione previgente, bensì “una modalità alternativa che sostituisce l’udienza”.

17 Cfr. F. Caroleo, R. Ionta, La trattazione scritta. Un arabesco, in giustiziainsieme.it, § 5.1.1.

18 Ed è in questo senso che si è osservato, presupponendo che il termine per il deposito delle note non faccia “scomparire” l’udienza, che non può essere modificato l’assetto delle preclusioni regolato nella disciplina comune e ordinaria applicabile al processo, cfr. C. Cecchella, Trattazione scritta, a distanza, digitalizzazione degli atti: cosa resterà nel processo civile dell’emergenza epidemiologica, in questionegiustizia.it, 7.

19 E non mi pare che a salvare la coerenza del sistema valga l’incerto spazio attribuito alla possibilità per le parti di fare istanza affinché la trattazione si svolga in udienza.

20 In particolare per tale osservazione cfr. Marelli, op. cit., 11 ss.

21 Cfr. in tema Muroni, sub art. 183 c.p.c., cit., 198. Se si vuole, anche per ulteriori riferimenti, Mengali, Preclusioni e verità, cit., 113 ss.

22 Su cui si vedano le osservazioni di Biavati, Processo civile e pandemia, cit., 138, il quale osserva che “la prima udienza veda raramente lo sviluppo di una discussione orale” e che pertanto il “surrogato” scritto dell’udienza può in tal caso essere accolto con favore.

23 Ma che può costituirsi anche all’udienza, pur decadendo in detta ipotesi dalle facoltà di cui all’art. 167 c.p.c. (ma ben potendo a detta prima udienza chiedere la concessione dei termini di cui all’art. 183 comma VI c.p.c.). Anche tale ipotesi è contemplata nel protocollo del Tribunale di Milano citato nelle note seguenti.

24 Sul tema della rimessione in termini automatica sia consentito rinviare, anche per riferimenti, a Mengali, Preclusioni e verità nel processo civile, cit., spec. 116 ss.

25 Si veda a tale proposito, a titolo di esempio, il recente protocollo del Tribunale di Milano (consultabile dal sito ordineavvocatimilano.it), siglato dal Presidente dell’Ufficio e dal Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Milano del 4 maggio 2021 nel quale si legge “le parti di questo protocollo danno atto che il termine di 30 giorni spesso non può essere rispettato in quanto la legislazione emergenziale può intervenire anche su udienze già programmate all’interno dell’arco temporale individuato dalla norma”.

26 Cfr. nota precedente.

27 Cfr. Proposta al ministro della giustizia rinvenibile in Judicium.it.

28 È il caso dell’udienza di precisazione delle conclusioni, nata come noto nella prassi giudiziaria, e relativamente alla quale il progetto prevede che sia “ristrutturata la fase decisoria, anche in queto caso per evitare passaggi inutili come una udienza finalizzata solo alla precisazione delle conclusioni”.

29 Come già detto è così, nel progetto di riforma, per l’udienza, in realtà mai espressamente prevista dal codice di procedura civile ma divenuta prassi consolidata, di precisazione delle conclusioni, che si è proposto di sostituire con la concessione di un termine perentorio per il deposito di note scritte di precisazioni delle conclusioni, anteriore all’udienza di remissione della causa in decisione (cfr. proposta di riforma Luiso, cit., pagg. 45-46).

30 Che non rappresenta, come si è cercato di argomentare in precedenti scritti, cfr. Mengali, Preclusioni e verità nel processo civile, cit., passim, l’unica via possibile per garantire il razionale svolgimento del processo.