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Sentenza di divorzio su domanda congiunta e tutela dei creditori

autore: F. Campione

Sommario: 1. Ambito dell’indagine. - 2. I patti dispositivi stipulati in occasione della crisi coniugale e la loro incidenza nella sfera giuridica dei terzi creditori. - 3. La soluzione accolta dalla giurisprudenza e dalla dottrina in tema di tutela del creditore rispetto ai patti dispositivi conclusi nell’ambito della separazione consensuale. - 4. L’applicabilità, ai patti dispositivi conclusi nell’ambito della separazione consensuale, della disciplina di cui all’art. 2929-bis c.c.; brevi considerazioni anche sul piano concorsuale. - 5. Sentenza di divorzio su domanda congiunta e tutela dei creditori: posizione del problema. - 6. Accordo dei coniugi e provvedimento giurisdizionale nella separazione consensuale e nel divorzio su domanda congiunta. - 7. Provvedimento giurisdizionale, sistema delle impugnazioni e tutela dei creditori: actio pauliana e opposizione di terzo revocatoria, anche nella dimensione comparatistica. - 8. Sentenza di divorzio su domanda congiunta e presupposti dell’opposizione di terzo revocatoria; spunti sul dolo e la collusione (anche in chiave simulatoria). - 9. (segue) L’ipotesi dell’apertura della liquidazione giudiziale a carico del coniuge. - 10. Profili processuali: il rito applicabile e gli effetti dell’accoglimento dell’impugnazione. - 11. (segue) Spunti critici sul possibile “cumulo” tra opposizione di terzo e azione revocatoria.



1. Ambito dell’indagine



Tra gli accordi che i coniugi concludono nell’ambito della crisi familiare e che confluiscono nelle condizioni della separazione consensuale o del divorzio su ricorso congiunto, non di rado compaiono pattuizioni aventi ad oggetto atti dispositivi pregiudizievoli per i creditori di uno dei coniugi. Sul piano della tutela del creditore nei confronti degli atti de quibus, in dottrina e in giurisprudenza vi è una consistente elaborazione per ciò che attiene alle pattuizioni concordate nell’ambito della separazione consensuale; i riscontri giurisprudenziali, invece, si fanno più radi con riguardo ai patti annessi alle condizioni di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio su domanda congiunta, rispetto ai quali è comunque possibile rintracciare – seppure nel contesto di trattazioni che non sembrano esaurire l’analisi (e la soluzione) di tutte le problematiche che il tema pone – qualche spunto dottrinale. L’argomento, per il processualista, è di indubbio interesse, poiché occorre orientarsi in un contesto in cui la dimensione del consenso si intreccia con quella del processo e dei suoi provvedimenti [il decreto di omologa, nella separazione consensuale; la sentenza di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, nel divorzio su ricorso congiunto]1 . L’intento della presente indagine è di proporre una ricostruzione che, per un verso, individui il mezzo di tutela del creditore a fronte delle pattuizioni – pregiudizievoli per il suo diritto – che regolano il divorzio su domanda congiunta; per altro verso, che fornisca la disamina (e la soluzione) delle principali questioni di matrice più strettamente processuale. In tale prospettiva, riteniamo che l’analisi non possa prescindere dalla previa individuazione dei patti dispositivi (idonei a pregiudicare il diritto dei creditori) conclusi nell’ottica della regolazione della crisi coniugale, e dalla ricognizione degli orientamenti espressi sul piano della tutela dei creditori, con precipuo riferimento all’ipotesi della separazione consensuale.



2. I patti dispositivi stipulati in occasione della crisi coniugale e la loro incidenza nella sfera giuridica dei terzi creditori



In sede di separazione consensuale, i coniugi non possono limitarsi a concordare unicamente la loro separazione, ma devono anche determinare tutte le condizioni riguardanti i coniugi medesimi e la prole2 ; invero, si afferma che nel ricorso di separazione consensuale possono non essere indicate nel dettaglio le condizioni che i coniugi chiedono di omologare, le quali potrebbero essere esposte in udienza e ivi verbalizzate3 . L’accordo di separazione presenta un contenuto essenziale, costituito dalle c.d. convenzioni di diritto di famiglia e consistente per lo più nel reciproco consenso a vivere separati e nella regolamentazione degli altri obblighi previsti dall’art. 143 c.c., oltre che all’esercizio della potestà genitoriale; e un contenuto eventuale e occasionale, integrato dalle pattuizioni che concernono l’instaurarsi della vita separata4 . A dire il vero, il tema della distinzione tra contenuto c.d. necessario e contenuto c.d. eventuale dell’accordo di separazione nel suo complesso è risultato, storicamente, piuttosto dibattuto. In particolare, secondo la giurisprudenza di legittimità e parte della dottrina, rientra nell’ambito del contenuto essenziale il consenso reciproco a vivere separati, l’affidamento dei figli e l’assegno di mantenimento ove ne ricorrano i presupposti, mentre il contenuto eventuale annovera quegli accordi che trovano solo occasione nella separazione e che sono costituiti, per lo più, dagli accordi patrimoniali del tutto autonomi che i coniugi concludono in relazione all’instaurazione di un regime di vita separata5 . Secondo un’altra posizione, invece, il contenuto necessario sarebbe limitato al solo accordo sulla cessazione della coabitazione, in un’ottica secondo la quale l’assenza di pattuizioni riferite alle conseguenze personali ed economiche della separazione, sia nell’ambito dei rapporti tra coniugi, sia nel contesto dei rapporti tra genitori e figli, non costituisce ostacolo all’omologazione6 ; sulla base dell’osservazione che questa tesi sembra contrastare con il disposto dell’art. 158 c.c. in merito alle disposizioni attinenti alla prole minorenne, un’ulteriore elaborazione ha ricondotto all’alveo del contenuto essenziale, oltre all’accordo di vita separata, tutte le pattuizioni riguardanti i figli minori7 . In ogni caso, l’accordo di separazione può contemplare quei patti con i quali “un coniuge fa acquistare (o si obbliga a far acquistare) all’altro (o a un terzo), la proprietà o un altro diritto reale su uno o più beni determinati, al fine di regolamentare i rapporti d’ordine patrimoniale collegati alla crisi coniugale”8 . Il più delle volte, l’intento perseguito dai coniugi, nella conclusione degli accordi de quibus, sta nella sostituzione del contributo periodico di mantenimento con una prestazione una tantum9 ; ma vi possono essere anche altre giustificazioni, quale ad esempio la collocazione del patto in questione all’interno di una più ampia cornice transattiva (o divisoria)10. Invero, un approfondimento più capillare e analitico del profilo causale, ha condotto una parte della dottrina – seguita, in linea di massima, come vedremo subito appresso, dalla giurisprudenza di legittimità – a sostenere la configurazione di una causa tipica di definizione della crisi coniugale11. Posto ciò, s’intuisce che, potenzialmente, il patto dispositivo, vuoi che rientri nell’essenzialità della regolamentazione della separazione, vuoi che dia luogo a un accordo meramente eventuale (ossia non legato ai profili essenziali della separazione ma frutto di esercizio esclusivo dell’autonomia privata), è idoneo ad arrecare un pregiudizio a carico del creditore di uno dei coniugi, alla luce dell’attitudine di tale patto a determinare una diminuzione della garanzia patrimoniale del debitore12. Anche nel ricorso contenente la domanda congiunta di divorzio le parti, oltre ad esporre i presupposti che fondano la richiesta di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, devono indicare compiutamente le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici (art. 4, comma 16, l. 898/1970)13; e nell’ambito delle condizioni attinenti ai rapporti patrimoniali possono essere contemplati, in particolare, i patti con i quali un coniuge fa acquistare (o si obbliga a far acquistare) all’altro (o a un terzo, come il figlio), la proprietà o un altro diritto reale su uno o più beni determinati, anche qui secondo una logica di capitalizzazione una tantum dell’assegno di divorzio (ex art. 5, comma 8, l. n. 898/1970), ovvero sulla base di altre “giustificazioni”, come quella transattiva oppure, ad esempio, la finalità di divisione del patrimonio comune14 (ma a dire il vero, anche in tema di divorzio chiesto congiuntamente dai coniugi ha attecchito in dottrina – seguita poi dalla giurisprudenza di legittimità – l’idea di una causa tipica di definizione degli aspetti economici della crisi coniugale15). Onde pure la sede del divorzio su ricorso congiunto rappresenta l’ambiente entro cui può realizzarsi la diminuzione della garanzia patrimoniale del coniuge-debitore.



3. La soluzione accolta dalla giurisprudenza e dalla dottrina in tema di tutela del creditore rispetto ai patti dispositivi conclusi in sede di separazione consensuale



La giurisprudenza di legittimità, nell’ottica di definire i margini della tutela del creditore (o del ceto creditorio, in caso di fallimento16 di uno dei coniugi), in non poche occasioni ha sviscerato il seguente ragionamento: in linea con la concezione privatistica della separazione consensuale, ricavabile dagli artt. 158 c.c. e 711 c.p.c., l’accordo di separazione costituisce un atto di natura essenzialmente negoziale, rispetto al quale il provvedimento di omologazione si atteggia a mera condizione sospensiva (legale) di efficacia; ne consegue che l’avvenuta omologazione lascia impregiudicata la facoltà delle parti di esperire nei confronti della convenzione l’azione di annullamento per vizi della volontà, in base alle regole generali; allo stesso tempo, devono considerarsi valide le clausole dell’accordo di separazione che, nel quadro della complessiva regolamentazione dei rapporti fra i coniugi, prevedano il trasferimento di beni immobili ovvero la costituzione di diritti reali minori (si tratta di clausole che sono espressione di libera autonomia contrattuale delle parti interessate e che danno vita a veri e propri contratti atipici, con particolari presupposti e finalità, non riconducibili né al paradigma delle convenzioni matrimoniali né a quello della donazione, ma diretti comunque a realizzare interessi meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c.); le pattuizioni de quibus ben possono rivelarsi lesive, in concreto, dell’interesse dei creditori all’integrità della garanzia patrimoniale del coniuge disponente; in quest’ultima eventualità, nessun ostacolo si frappone all’esercizio – in presenza dei presupposti contemplati dalla legge – dell’azione revocatoria, tanto ordinaria che fallimentare; nell’ipotesi considerata, non viene in gioco una revocatoria “della” separazione, quanto piuttosto una revocatoria “nella” separazione, nel senso che l’azione mira a colpire, anziché la separazione in sé, il segmento della fattispecie complessa in cui risiede il vulnus alle aspettative di soddisfacimento dal ceto creditorio; infine, non costituisce una preclusione all’esperimento dell’azione revocatoria la circostanza che il trasferimento immobiliare o la costituzione del diritto reale minore siano stati pattuiti in funzione solutoria dell’obbligo di mantenimento, dato che nel caso prospettato l’azione revocatoria non pone in discussione la sussistenza dell’obbligo in sé, quanto piuttosto le modalità di assolvimento del medesimo17. In merito all’eventualità che, in sede di accordo di separazione, venga semplicemente pattuito il vincolo obbligatorio al trasferimento, rinviando quest’ultimo a un atto successivo, la Cassazione, nel ribadire l’ammissibilità dell’azione revocatoria del trasferimento di immobile (anche in favore della prole) in ottemperanza ai patti assunti in sede di separazione consensuale omologata, ha aggiunto che l’atto dispositivo trae origine dalla libera determinazione del coniuge e diviene dovuto solo in conseguenza dell’impegno assunto in costanza dell’esposizione debitoria nei confronti di un terzo creditore, onde l’accordo separativo integra esso stesso parte dell’operazione revocabile e non fonte di obbligo idoneo a giustificare l’applicazione dell’art. 2901, comma 3, c.c.18. Nella prospettiva della qualificazione sotto il profilo causale delle attribuzioni patrimoniali in questione, la Suprema Corte – come anticipato aderendo, in linea di massima, all’impostazione dottrinale richiamata al § 219 – ha delineato i tratti per distinguere, ai fini dell’esercizio dell’azione revocatoria, tra gratuità e onerosità dell’atto. In sostanza, secondo la Cassazione, tali pattuizioni rispondono, di norma, ad un originario spirito di sistemazione dei rapporti in occasione della separazione consensuale, in una dimensione negoziale che lascia fuori le connotazioni classiche dell’atto di donazione vero e proprio e dell’atto di vendita; la logica di fondo, invece, svela, di norma, una propria tipicità la quale, volta a volta, può, ai fini della disciplina di cui all’art. 2901 c.c., colorarsi dei tratti dell’obiettiva onerosità oppure di quelli della gratuità, in ragione dell’eventuale ricorrenza o meno, nel caso concreto, dei tratti di una sistemazione “solutorio-compensativa”, più ampia e complessiva, di tutto il novero dei possibili rapporti patrimoniali maturati nel corso della quotidiana convivenza matrimoniale20. Al di là del profilo afferente alla gratuità od onerosità dell’atto – che incide sulla modulazione e sul rilievo dei presupposti per il fondato esperimento dell’azione revocatoria –, il dato da rimarcare è che, secondo il costante indirizzo della Cassazione, il creditore (o il ceto creditorio) può tutelarsi attraverso l’azione de qua nei confronti delle pattuizioni sopra richiamate. Anche nella giurisprudenza di merito si è assestato, con gli anni, un orientamento favorevole all’esercizio dell’azione revocatoria nei confronti degli atti di disposizione patrimoniale contemplati in negozi contenuti nel verbale di separazione consensuale21. Pure in dottrina prevale nettamente l’idea dell’esperibilità dell’azione revocatoria avverso il verbale di separazione consensuale, in ragione della natura essenzialmente negoziale delle pattuizioni da cui derivano gli atti di disposizione pregiudizievoli per il creditore (o i creditori) del coniuge e della qualificazione in termini di semplice condizione di efficacia del crisma impresso (all’accordo di separazione) dal decreto di omologa22. Sennonché, secondo alcuni, emerge una rilevante differenza, sul piano della possibilità di esercizio dell’azione, tra revocatoria ordinaria e revocatoria fallimentare: la prima, infatti, a differenza della seconda (per la quale il curatore potrà avvalersi delle agevolazioni probatorie di cui all’art. 69 l.fall.23), non sarebbe esperibile – ex art. 2901, comma 3, c.c. – laddove l’atto dispositivo pattuito dai coniugi integri una modalità di corresponsione del contributo di mantenimento, coincidendo con l’adempimento di un obbligo e dando così luogo a un atto dovuto24. Si è aggiunto, inoltre, che – essendo prevalenti (se non esclusive) le ipotesi in cui nei verbali di separazione è previsto soltanto il vincolo al trasferimento (in luogo del trasferimento diretto)25 – quando viene sottoposto ad azione revocatoria il patto (obbligatorio) contenuto nell’accordo di separazione è necessario impugnare anche l’atto finale-traslativo26. In parte qua, in realtà, la Suprema Corte ha affermato che: i) la domanda di revoca del contratto di trasferimento sottopone alla cognizione del giudice anche l’esame degli accordi preliminari stipulati in sede di separazione, che abbiano dato causa al trasferimento, senza necessità che sia proposta specifica impugnazione contro gli stessi, sempre che siano stati dedotti in giudizio i presupposti di diritto e di fatto rilevanti ai fini della decisione; ii) la valutazione relativa alla sussistenza dei requisiti per la revoca ai sensi dell’art. 2901 c.c. va compiuta con riferimento sia ai preliminari accordi di separazione, sia al contratto definitivo di trasferimento immobiliare27.



4. L’applicabilità, ai patti dispositivi conclusi nell’ambito della separazione consensuale, della disciplina di cui all’art. 2929-bis c.c.; brevi considerazioni anche sul piano concorsuale



Il quadro ricostruito e descritto nel paragrafo precedente, dal quale emerge una pressoché pacifica revocabilità – in presenza dei presupposti contemplati dalla legge – degli atti dispositivi pattuiti tra i coniugi nell’ambito della separazione consensuale, richiede di essere completato dal confronto con la disciplina, di (piuttosto) recente introduzione28, di cui all’art. 2929-bis c.c. Ai sensi di tale disposto normativo, per gli atti del debitore di costituzione di un vincolo di indisponibilità o di alienazione, aventi a oggetto beni immobili o mobili registrati, compiuti a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito, è contemplato un regime in virtù del quale il creditore è esentato dal previo esperimento dell’azione revocatoria, potendo egli procedere – se munito di titolo esecutivo e purché trascriva il pignoramento entro un anno dalla trascrizione dell’atto del debitore – direttamente a esecuzione forzata, salva la possibilità per il debitore o per il terzo esecutato (ovvero ogni altro interessato alla conservazione del vincolo) di aprire, tramite l’opposizione all’esecuzione, la sede cognitiva ove accertare, tra l’altro, la sussistenza o meno dei presupposti dell’iniziativa del creditore29. Viene così a configurarsi una (potenziale) inversione dell’iniziativa processuale, nel senso che – al ricorrere dei presupposti previsti dal comma 1 – la tutela esecutiva viene assicurata senza prima passare per quella dichiarativa, la quale tuttavia è, per così dire, rimandata all’eventuale opposizione all’esecuzione. Nell’ambito delle vicende familiari, mentre l’ipotesi del vincolo di indisponibilità sembra più legata alla costituzione del fondo patrimoniale30, senza dubbio, anche alla luce dell’impostazione giurisprudenziale riferita nel paragrafo precedente, ove il patto di trasferimento immobiliare (o avente ad oggetto un bene mobile registrato)31 inserito nell’accordo di separazione presenti i connotati dell’attribuzione a titolo gratuito, il creditore del coniuge potrà avvalersi – in presenza dei presupposti contemplati dal comma 1 dell’art. 2929-bis c.c. – della tutela offerta dalla norma de qua, procedendo direttamente a espropriazione forzata (se del caso contro il coniuge avente causa, arg. ex art. 2929-bis, comma 2, primo periodo, c.c.) e senza dover previamente proporre l’azione revocatoria.

Per completezza del discorso, giova rilevare che, in caso di apertura di liquidazione giudiziale a carico del coniuge32, la gratuità dell’atto dispositivo pattuito nell’ambito della separazione consensuale comporta l’applicazione dell’art. 163 c.c.i.i. (corrispondente, grosso modo, all’art. 64 l.fall.), il quale sancisce l’inefficacia rispetto ai creditori degli atti a titolo gratuito33 posti in essere dal debitore dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale o nei due anni anteriori. In questo caso, il bene oggetto dell’atto di disposizione è acquisito al patrimonio della liquidazione giudiziale mediante trascrizione della sentenza che ha dichiarato l’apertura della procedura concorsuale; inoltre, ogni interessato – quindi anche il coniuge avente causa – può proporre reclamo avverso la trascrizione a norma dell’articolo 133 c.c.i.i. (l’art. 64 l.fall. rinvia, in parte qua, all’art. 36 della medesima legge). La fattispecie contemplata in ambito concorsuale non sembra perfettamente coincidente con quella regolata dall’art. 2929-bis c.c.; inoltre, a differenza di quanto disposto da quest’ultima disposizione, nella sede concorsuale, onde consentire una forma di “opposizione” all’iniziativa esecutiva del curatore, è previsto il meccanismo del reclamo avverso gli atti e le omissioni del curatore, al quale, come osservato in dottrina, in considerazione della natura camerale del relativo procedimento, rischia di star “stretta” una controversia complessa come quella promossa mediante la proposizione di un’azione revocatoria34. Infine, al di là dell’ambito di applicazione dell’art. 163 c.c.i.i., la stipulazione degli accordi (presi in considerazione ai fini della presente indagine) può determinare, come accennato nel precedente paragrafo, l’applicazione dell’art. 169 c.c.i.i.35, il quale dispone la revocabilità – oltre che degli atti previsti dall’art. 166 c.c.i.i. (atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie) compiuti, nel tempo in cui il debitore esercitava un’impresa, tra coniugi, parti di un’unione civile tra persone dello stesso sesso o conviventi di fatto – degli atti a titolo gratuito compiuti tra le stesse persone più di due anni prima della data di deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale, ma nel tempo in cui il debitore esercitava un’impresa, qualora il coniuge o la parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso o il convivente di fatto non provi che ignorava lo stato d’insolvenza del debitore.



5. Sentenza di divorzio su domanda congiunta e tutela dei creditori: posizione del problema



Se, come abbiamo sin qui potuto apprezzare, le prospettive di tutela dei creditori del coniuge, rispetto agli atti dispositivi contemplati nell’ambito della separazione consensuale, sono ben definite, il quadro diviene ben più problematico e incerto allorché l’atto dispositivo va a integrare le condizioni concor date nell’ambito di un ricorso congiunto di cessazione degli effetti civili o scioglimento del matrimonio (art. 4, comma 16, l. 1° dicembre 1970, n. 898). Il tema, rispetto al contesto della separazione consensuale, ha avuto indubbiamente meno riscontri giurisprudenziali specifici e meno approfondimenti scientifici; eppure non è infrequente imbattersi, nella prassi dei tribunali, in sentenze di cessazione degli effetti civili (o di scioglimento) del matrimonio produttive direttamente dell’effetto traslativo o costitutivo concordato dagli ex coniugi e dedotto tra le condizioni enucleate nel ricorso congiunto36. Sicché il nodo da sciogliere attiene all’individuazione, in siffatte ipotesi, dello strumento di tutela del creditore pregiudicato sul piano della garanzia patrimoniale; e occorre fondamentalmente chiedersi se, in tale ottica, valgano le medesime regole ritenute generalmente applicabili nell’ambito della separazione consensuale o se, invece, si applichino regole diverse. Invero, la risposta all’interrogativo, in conformità a quanto indicato nei precedenti paragrafi per l’ipotesi della separazione, potrebbe indirettamente ricavarsi da quanto afferma la Suprema Corte, e cioè che, come nella separazione consensuale, nel divorzio congiunto – in cui sono assai frequenti le clausole contenenti promesse di trasferimenti, ma pure trasferimenti effettivi di proprietà o altri diritti reali su beni immobili o mobili da un coniuge all’altro – si stipula un accordo, di natura sicuramente negoziale, che, frequentemente, per i profili patrimoniali, si configura come un vero e proprio contratto; inoltre, non rileva che tale contratto sia fatto proprio dalla sentenza, essendo questa necessaria per la pronuncia sul vincolo matrimoniale, ma, quanto all’accordo, integrando un controllo esterno del giudice, analogo a quello di separazione consensuale37. Su una non dissimile linea ricostruttiva si pone la prevalente dottrina civilistica, secondo la quale, in sede di divorzio su domanda congiunta, la produzione degli effetti giuridici contemplati nel contesto delle condizioni patrimoniali va ricondotta all’accordo delle parti anziché alla determinazione del giudice; in sostanza, analogamente a quanto avviene nella separazione consensuale, nel procedimento finalizzato alla cessazione degli effetti civili o dello scioglimento del matrimonio su ricorso congiunto, il trasferimento avviene per effetto della volontà delle parti manifestata dinanzi al collegio e documentata nel relativo verbale d’udienza38. Altre impostazioni sembrano più ambigue, posto che, con precipuo riferimento alla rilevanza dei vizi del consenso, per un verso, segnalano che, in caso di verbale di divorzio su domanda congiunta, i vizi de quibus potrebbero essere fatti valere con gli ordinari mezzi d’impugnazione della sentenza che avesse recepito l’accordo dei coniugi; per altro verso, aggiungono che nei confronti del contenuto eventuale dell’accordo potrebbero valere le regole applicabili alla separazione consensuale39. In questa concezione di fondo, sembra annidarsi l’idea che, anche in caso di divorzio congiunto, i creditori (e il curatore) abbiano a disposizione l’actio pauliana e la revocatoria fallimentare, in una dimensione di negozialità40 ove l’atto di cui chiedere l’inefficacia sembra essere rappresentato – anche se non sempre è specificato – dal verbale di udienza in cui le parti suggellano il loro accordo41. D’altro canto, secondo qualche pronuncia di merito, non è possibile sottoporre ad azione revocatoria la sentenza di divorzio42; tuttavia, va anche registrato che, in dottrina, vi sono voci a sostegno della soggezione dei provvedimenti giurisdizionali (o meglio, degli effetti dei medesimi) al regime dell’azione revocatoria, in specie fallimentare43. Un’altra parte della dottrina, invece, sostiene che, quando l’accordo viene recepito in una sentenza di divorzio, non sia più possibile parlare di negozio giuridico tout court, pertanto l’atto da impugnare è proprio il provvedimento giurisdizionale, ancorché dal punto di vista materiale esso abbia la sostanza di un accordo tra coniugi. In questo ordine di idee, nel caso in esame non è possibile por mente alle azioni di impugnativa negoziale, tra cui la revocatoria, mentre appare configurabile la prospettiva dell’opposizione di terzo revocatoria ex art. 404, comma 2, c.p.c., e cioè un mezzo d’impugnazione (straordinario) delle sentenze, di cui possono avvalersi anche i creditori (e il curatore) qualora il provvedimento del giudice sia frutto di dolo o collusione a loro danno, e che presenta i connotati di un’azione revocatoria nelle vesti di un’impugnativa giurisdizionale44. Ancorché – come avremo modo di apprezzare in seguito – l’azione revocatoria e l’opposizione di terzo ex art. 404, comma 2, c.p.c., presentino significative somiglianze funzionali, non può non convenirsi sul rilievo che le soluzioni appena richiamate consegnano all’interprete un quadro ricostruttivo piuttosto complesso e controverso. Infatti, esse autorizzano a ipotizzare, alternativamente, che in caso di divorzio su domanda congiunta sia proponibile l’azione revocatoria avverso l’accordo (rappresentato formalmente dal verbale), ovvero che sia bensì esperibile l’azione de qua ma nei confronti della sentenza, oppure, ancora, che sia utilizzabile il rimedio dell’opposizione di terzo revocatoria sempre contro la sentenza, venendosi così a delineare delle prospettive di tutela, soprattutto sul versante delle regole processuali, totalmente differenti. S’intuisce, allora, che il tema richiede una serie di approfondimenti, necessari per determinare quale delle già menzionate soluzioni si lasci preferire. In linea generale, la progressione logica dell’indagine deve condurre ad individuare, dapprima, quale sia l’atto nei cui confronti il creditore, per tutelarsi, deve rivolgere l’iniziativa; e poi, quale sia il mezzo specifico di tutela da proporre (con le correlate implicazioni di rilievo più strettamente processuale).



6. Accordo dei coniugi e provvedimento giurisdizionale nella separazione consensuale e nel divorzio su domanda congiunta



In precedenza (retro, § 3), con riferimento alla separazione consensuale, abbiamo avuto modo di riportare la concezione privatistica sostenuta dalla Suprema Corte, secondo la quale, sulla base di quanto è dato ricavare dagli artt. 158 c.c. e 711 c.p.c., l’accordo di separazione costituisce un atto di natura essenzialmente negoziale, rispetto al quale il provvedimento di omologazione si atteggia a mera condizione sospensiva (legale) di efficacia. Secondo la Cassazione, in particolare, tale provvedimento espleta la circoscritta funzione di verificare che la convenzione sia compatibile con le norme cogenti ed i principi di ordine pubblico, nonché di controllare, in termini più pregnanti, che l’accordo relativo all’affidamento e al mantenimento dei figli non contrasti con l’interesse di questi ultimi45. Questo approccio sembra essere replicato anche con riguardo al divorzio su ricorso congiunto, in merito al quale la S.C., come si è poc’anzi indicato, sostiene l’irrilevanza della circostanza che l’accordo sia trasfuso nella sentenza, giacché questa è bensì necessaria per lo scioglimento del vincolo matrimoniale, ma con riferimento all’accordo delle parti integra un mero controllo esterno del giudice, analogo a quello di separazione consensuale46. Da questa impostazione pare emergere l’idea che anche il provvedimento emesso in sede di procedimento di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio su domanda congiunta – espressamente qualificato come sentenza dall’art. 4, comma 16, l. n. 898/1970 – sia esercizio, non già di attività cognitiva e decisoria stricto sensu, ma di volontaria giurisdizione, alla stregua del decreto di omologa emanato nell’ambito del procedimento di separazione consensuale47. Invero, la natura del provvedimento di omologazione da parte del collegio del tribunale in sede di separazione consensuale è stata piuttosto controversa, e solo in una fase (relativamente) più recente si è assestato l’indirizzo sopra richiamato48, in forza del quale, in sostanza, la fonte degli effetti giuridici della separazione è rappresentata dal consenso manifestato dai coniugi dinanzi al presidente del tribunale, mentre la successiva omologazione svolge semplicemente la funzione di condizione sospensiva (esterna) della produzione degli effetti de quibus49. Quanto, invece, alla sentenza di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio su ricorso congiunto dei coniugi, il quadro ricostruttivo – quantunque una parte degli interpreti, in ragione dell’applicazione del rito camerale, riconduca il relativo procedimento alla giurisdizione volontaria – vede, in realtà, la dottrina maggioritaria schierata a sostegno dell’idea che tale provvedimento giurisdizionale abbia natura costitutiva e funzione decisoria, essendo emesso all’esito di un procedimento contenzioso, ancorché soggetto alle regole del rito camerale50. In particolare, la dottrina, che più analiticamente ha indagato l’argomento, ha messo in evidenza come la l. n. 898/1970, all’ultimo comma dell’art. 4, disciplinando l’ipotesi della domanda congiunta dei coniugi, richieda comunque che il giudice verifichi l’esistenza dei presupposti (di cui all’art. 3 della medesima legge) per poter pronunciare la cessazione degli effetti civili o lo scioglimento del matrimonio, onde il diritto dei coniugi – come nel processo di divorzio su ricorso unilaterale – di rivolgersi al giudice per chiedere il divorzio sorge solo a seguito della verificazione di una delle cause previste dal citato art. 3 della l. n. 898/1970. Pertanto, anche in tale ipotesi, il giudice è chiamato ad accertare, mediante un provvedimento che è esercizio di vera e propria attività giurisdizionale, un diritto (in specie, il diritto alla modificazione giuridica consistente nello scioglimento o nella cessazione degli effetti civili del matrimonio), mentre nella separazione consensuale egli si limita ad omologare il consenso dei coniugi – questo integrando la fattispecie da cui nascono gli effetti propri della separazione – verificandone la compatibilità con l’interesse dei minori51. Peraltro, tale concezione non segna una distanza incolmabile dall’indirizzo espresso dalla giurisprudenza, posto che, a ben vedere, la Cassazione, denotando una non perfetta coerenza ricostruttiva, in altre occasioni ha affermato che nel caso di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio chiesto congiuntamente dai coniugi, il provvedimento emesso dal giudice ha natura decisoria, posto che esso incide su diritti soggettivi ed è assunto con sentenza destinata a passare in giudicato52.

Non pare dunque azzardato rilevare che, secondo l’inquadramento prevalentemente riconosciuto, la sentenza di divorzio su domanda congiunta non è espressione di attività di volontaria giurisdizione, e rappresenta la fonte di produzione degli effetti giuridici invocati dai coniugi nel ricorso e confermati in udienza. Del resto, la conformazione nei suddetti (e distinti) termini del decreto di omologazione da un lato, e della sentenza di divorzio su domanda congiunta dall’altro, si trae anche dai seguenti rilievi. L’art. 158 c.c. (in combinato con l’art. 711 c.p.c.) è piuttosto chiaro nell’attribuire all’omologazione una funzione tutt’altro che decisoria; qui il giudice interviene solo quando l’accordo relativamente all’affidamento e al mantenimento dei figli è in contrasto con l’interesse di questi, per giunta riconvocando i coniugi e indicando ad essi le modificazioni da adottare (in parte qua sembra emergere una logica di salvaguardia, per quanto possibile, dell’accordo raggiunto dai coniugi, che deve restare la piattaforma di regolamentazione della separazione), con possibilità di rifiutare allo stato l’omologazione in caso di inidonea soluzione (art. 158, comma 2, c.c.). Per il resto, egli si limita ad apporre una sorta di timbro sull’accordo dei coniugi, che costituisce l’unica fonte della separazione e della produzione degli ulteriori effetti giuridici che da questa discendono. Ai sensi dell’art. 4, comma 16, l. 898/1970, invece, nel caso in cui il tribunale ravvisi che le condizioni relative ai figli sono in contrasto con gli interessi degli stessi, viene disposto dall’organo giurisdizionale il mutamento del rito da camerale a contenzioso (e non, come nella separazione consensuale, l’indicazione ai coniugi delle modifiche da apporre all’accordo). Inoltre, la suddetta norma, anche in mancanza di figli, richiede sempre e comunque la verifica, da parte del giudice, dei presupposti che la legge stessa richiede affinché venga pronunciato il divorzio (sia in caso di ricorso unilaterale, sia in caso di ricorso congiunto). Se ne ricava che, in mancanza dell’accertamento dei presupposti de quibus, il giudice non dispone il divorzio e nessun effetto giuridico al medesimo correlato si produce. E anche laddove la S.C. aveva, per così dire, affievolito la portata della “verifica” (dei presupposti per la pronuncia del divorzio) richiesta dall’ultimo comma dell’art. 4 l. n. 898/1970, rispetto all’ “accertamento” (di tali presupposti) richiamato dall’art. 5 per il procedimento instaurato su ricorso unilaterale, qualificando la prima come un quid minus in confronto all’apprezzamento che è solitamente affidato al giudice all’esito della più articolata e complessa istruttoria propria del rito ordinario, aveva comunque inserito tale accertamento “minore” nel contesto di un procedimento decisorio, sia pure camerale53. Ancora, in altra occasione la Cassazione ha sostenuto che, nel caso di domanda congiunta di divorzio, gli effetti relativi ai rapporti economici tra i coniugi, ancorché risultanti dagli accordi intervenuti tra gli stessi, si producono pur sempre per mezzo della pronuncia del tribunale, il quale – come recita il comma 16 dell’art. 4, l. n. 898/1970 – “decide con sentenza” all’esito della valutazione circa la sussistenza dei presupposti testé richiamati; aggiungendo che, a differenza di quanto accade in sede di separazione consensuale, nel procedimento di divorzio su domanda congiunta il giudice non si limita ad esercitare un potere di controllo su atti posti in essere da altri soggetti e destinati a conservare la loro autonomia logico-giuridica, ma ingloba e fa proprie le pattuizioni intervenute tra le parti54. In buona sostanza, sia in caso di separazione, sia in caso di divorzio, si apre un procedimento finalizzato alla composizione di una controversia relativa a un rapporto giuridico; composizione che incide su tale rapporto comportandone una modificazione. Per quanto riguarda la separazione consensuale, per come tale meccanismo è stato regolato dal legislatore, le regole di condotta, che dànno contenuto all’atto compositivo della controversia e che indicano i termini della modificazione giuridica, sono giustappunto contenute esclusivamente nell’accordo dei coniugi; questo, una volta consacrato nel verbale ex art. 711 c.p.c., attende il decreto del tribunale – che già di per sé, formalmente, tende ad allontanare i crismi della decisorietà55 – esclusivamente per acquisire efficacia, un po’ come accade in altri contesti del codice di rito, ove sono contemplati procedimenti di omologazione56. Nel divorzio su domanda congiunta, invece, ancorché sul piano dei profili economici e patrimoniali i contenuti siano determinati direttamente dai coniugi, le suddette regole di condotta (e con esse i termini della modificazione giuridica) sono da rinvenire nella sentenza del giudice e non nell’accordo delle parti. Tant’è che, per un verso, la stessa legge divorzile, all’art. 4, comma 16, stabilisce che il tribunale, sentiti i coniugi, verificata l’esistenza dei presupposti di legge e valutata la rispondenza delle condizioni all’interesse dei figli, decide con sentenza (corsivo nostro); per altro verso, quando la giurisprudenza57 osserva che, per i profili patrimoniali, l’accordo raggiunto in sede di divorzio su domanda congiunta ha natura negoziale, e che non rileva il fatto che questo sia recepito dalla sentenza, sembra non rendersi conto che, nell’essere per l’appunto “recepito” – e cioè fatto proprio – dall’atto giurisdizionale, il contenuto dell’accordo è soggetto a un passaggio dalla dimensione consensuale a quella giurisdizionale. Si tratta sicuramente di un giudizio sui generis, poiché il giudice – salve la verifica dei presupposti per pronunciare lo scioglimento del vincolo e la valutazione circa la rispondenza delle condizioni pattuite all’interesse dei figli – si limita ad accogliere un accordo delle parti; ma è innegabile che la fonte per così dire ufficiale degli effetti giuridici correlati al divorzio è la sentenza. In altri termini, a nostro avviso, non bisogna incappare nell’equivoco – come pare sia accaduto a Cass. sez. un. n. 21761/2021 – di ritenere che la sentenza di divorzio su ricorso congiunto abbia portata decisoria solo nella parte in cui, verificata la sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge, pronuncia lo scioglimento del vincolo, e non anche nella parte in cui dà avallo ai profili e alle attribuzioni patrimoniali tra coniugi, trattandosi di temi insindacabili dal giudice. Infatti, l’art. 4, comma 16, l. 898/1970 non richiama in alcun modo la distinzione, quanto al valore del provvedimento del tribunale, tra profilo afferente al riscontro dei presupposti per la pronuncia del divorzio e profilo attinente alle condizioni pattuite dai coniugi; qui, a differenza che negli artt. 158 c.c. e 711 c.p.c. (ove si discorre espressamente di omologazione), il giudice decide con sentenza in ogni caso e, dunque, su tutto ciò che gli viene sottoposto. Volendo concludere sul punto, ad avviso di scrive il creditore del coniuge, pregiudicato da un’attribuzione patrimoniale disposta in sede di divorzio su domanda congiunta, deve rivolgere l’iniziativa a propria tutela nei confronti della sentenza emessa ai sensi dell’art. 4, comma 16, l. n. 898/1970.



7. Provvedimento giurisdizionale, sistema delle impugnazioni e tutela dei creditori: actio pauliana e opposizione di terzo revocatoria, anche nella dimensione comparatistica



Una volta stabilito che il creditore (oppure il ceto creditorio, attraverso il curatore) deve, per così dire, reagire avverso la sentenza di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio su ricorso congiunto, occorre determinare se, in tale prospettiva, egli possa beneficiare dell’actio pauliana (o dell’azione revocatoria fallimentare), ovvero se, invece, abbia a disposizione solo lo strumento impugnatorio di cui all’art. 404, comma 2, c.p.c., il quale prevede che gli aventi causa e i creditori di una delle parti possono fare opposizione alla sentenza, quando è l’effetto di dolo o collusione a loro danno. Sul piano, dunque, della tutela a fronte di una sentenza emessa inter alios, il creditore, ai sensi della disposizione da ultimo citata, è equiparato ai terzi soggetti all’efficacia c.d. riflessa del giudicato. Peraltro, secondo la ricostruzione maggioritaria, rispetto a tale sentenza, il creditore non assume la veste del titolare di un diritto giuridicamente dipendente da quello accertato dalla sentenza medesima, ma del terzo interessato in via di mero fatto; egli, in sostanza, può subire un pregiudizio al suo diritto – di cui risulterebbero compromesse l’attuazione e la possibilità di soddisfacimento – a cagione dell’effetto giuridico dichiarato o prodotto dalla sentenza, la quale accerti l’inesistenza di un diritto o l’esistenza di un obbligo del debitore (ovvero determini comunque la sottrazione di un elemento attivo dal patrimonio dell’obbligato), così come potrebbe subire identico pregiudizio a causa dell’effetto prodotto da un atto negoziale dispositivo posto in essere dal debitore58. Posto ciò, il dubbio poc’anzi avanzato, soprattutto se si rivolge lo sguardo anche verso altri ordinamenti giuridici, non è privo di senso. Infatti, mentre è generalmente riconosciuto che l’opposizione di terzo è un rimedio di derivazione francese59, mette conto rilevare che, in altri sistemi, non è affatto contemplato uno specifico mezzo di impugnazione delle sentenze a favore dei terzi e, quindi, dei creditori. Nel sistema iberico, ad esempio, come segnala la dottrina spagnola, i terzi interessati dal giudicato inter alios, sul versante dei mezzi di impugnazione, non sono affatto presi in considerazione dalla legislazione processuale60. Al tempo stesso, in tale sistema, nella prospettiva della delimitazione dei limiti soggettivi della cosa giudicata, la figura del creditore, rispetto a una sentenza che, all’esito di un processo contro un altro soggetto, determini la soccombenza e quindi la diminuzione della garanzia patrimoniale del debitore, è presa in considerazione dalla dottrina onde dar conto dei vari tipi di effetti riflessi del giudicato61. Ecco che, pertanto, si ritiene che, laddove la sentenza sia frutto dell’iniziativa fraudolenta delle parti, i creditori possano avvalersi dell’actio pauliana disciplinata dall’art. 1111 del Código Civil62. Anche nel sistema tedesco il diritto processuale ignora, nel novero dei mezzi d’impugnazione della sentenza, l’opposizione di terzo revocatoria, onde in dottrina si tende a considerare esperibile, ricorrendone i requisiti, l’azione pauliana63. Questo breve inquadramento comparatistico sembra fornire utili riscontri all’idea della esperibilità, nel nostro sistema, del rimedio ex art. 2901 c.c. (o della revocatoria fallimentare), oltre che nell’ipotesi di separazione consensuale, in caso di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio su domanda congiunta. Sennonché, laddove non è contemplata l’opposizione di terzo revocatoria, la proponibilità nei confronti della sentenza dell’azione pauliana è predicata proprio perché manca la previsione di uno specifico mezzo d’impugnazione64. Nell’ordinamento giuridico italiano, al contrario, è disciplinato un rimedio impugnatorio specifico, che è per l’appunto l’opposizione di terzo revocatoria. Del resto, si tenga conto del seguente dato: in tema di sentenze attuative di trasferimenti di diritti, dunque potenzialmente in grado di provocare una diminuzione del patrimonio del debitore, uno dei modelli più rappresentativi è il provvedimento costitutivo di cui all’art. 2932 c.c.; ebbene, in parte qua, nell’ottica della tutela del creditore (del promittente venditore) pregiudicato sul piano della garanzia patrimoniale, la Cassazione è costante nell’escludere la proponibilità dell’azione revocatoria (nei confronti del provvedimento de quo), e precisa che il creditore rimane soggetto all’efficacia della sentenza, se questa non viene impugnata, in mancanza di intervento adesivo dipendente nel relativo giudizio, mediante l’esperimento dell’opposizione di terzo revocatoria65. Vien fatto allora di avallare la tesi secondo la quale, in caso di divorzio su domanda congiunta, l’eventuale effetto giuridico pregiudizievole per il creditore debba essere rimosso mediante l’esperimento dell’opposizione ex art. 404, comma 2, c.p.c.66. Tale assunto si lega alla considerazione generale che, per vanificare gli effetti negativi prodotti da un certo atto, occorre dare applicazione al regime giuridico e processuale previsto dal legislatore per la caducazione o contestazione di tale atto. L’idea qui sostenuta trova conferma nell’ordinamento francese, laddove è espressamente prevista l’opposizione di terzo avverso la sentenza di omologazione della convenzione di divorzio a favore dei creditori dei coniugi (art. 1104 Code de procédure civile) 67. A ben vedere, essa incontra elementi di riscontro anche nella stessa legge divorzile (italiana) e in altri interventi della Cassazione a proposito della sentenza di divorzio su domanda congiunta. Da questo punto di vista, non pare superfluo osservare che, nell’ottica dell’impugnazione della sentenza di divorzio ad opera delle parti del relativo giudizio, la l. n. 898/1970 contempla, ovviamente, l’appello (art. 4, comma 15) e stabilisce che la sentenza è impugnabile da ciascuna delle parti (art. 5, comma 5). Orbene, posto che tale assetto è generalmente ritenuto applicabile anche alla sentenza emessa all’esito del procedimento avviato su ricorso congiunto68, se ne ricava che le parti devono far valere le ragioni di contestazione avverso tale sentenza mediante il mezzo di impugnazione a tale scopo previsto, e non secondo le regole delle impugnative negoziali. Inoltre, la Cassazione ha ammesso l’appello nei confronti della sentenza di divorzio su domanda congiunta per dolo revocatorio. In particolare, nel caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte un coniuge, a seguito di sentenza di scioglimento del matrimonio su ricorso congiunto, aveva lamentato – proponendo appello – l’inganno dell’altro coniuge circa la propria effettiva situazione economica. La S.C., pur affermando la natura negoziale dell’accordo sotteso al divorzio su domanda congiunta, e pur asserendo altresì che tale accordo potrebbe essere oggetto di annullamento da parte del soggetto la cui volontà risulti viziata (dal dolo di una delle parti), ha concluso nel senso che, da un lato, l’annullamento non potrebbe costituire motivo di impugnazione (dovendo essere fatto valere un autonomo giudizio di cognizione); dall’altro lato, che il vizio revocatorio (e specificamente quello di cui all’art. 395, n. 1), c.p.c., può proporsi con i motivi di appello69. A nostro avviso, anche questa impostazione del Giudice della legittimità lascia trasparire qualche incoerenza ricostruttiva, probabilmente dovuta a una non perfettamente meditata commistione tra dimensione negoziale e dimensione giurisdizionale del divorzio su domanda congiunta. Per ricondurre la riflessione a coerenza, ci sembra che il tassello concettuale da fissare sia che anche il provvedimento di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio su ricorso congiunto soggiace, sul versante dei mezzi di impugnazione esperibili, al regime tipico delle sentenze, il quale prevede, per l’ipotesi in cui l’interesse ad impugnare sia di un terzo, il rimedio di cui all’art. 404 c.p.c.



8. Sentenza di divorzio su domanda congiunta e presupposti dell’opposizione di terzo revocatoria; spunti sul dolo e la collusione (anche in chiave simulatoria)



Giunti a questo punto, occorre adesso ragionare sui presupposti dell’opposizione di terzo revocatoria (anche in un’ottica di raffronto con i presupposti della revocatoria ordinaria e della revocatoria fallimentare). Intanto, preme subito precisare che le questioni più spinose si presentano sul piano dei presupposti soggettivi, posto che, sul versante dell’elemento oggettivo, anche alla luce del rilievo generale circa l’affinità funzionale tra i due istituti70, è diffuso il convincimento che anche ai fini dell’opposizione di cui all’art. 404, comma 2, c.p.c. occorra la sussistenza di un pregiudizio, che nel caso dei creditori coincide con l’eventus damni dell’azione ex art. 2901 c.c.71 e nel pregiudizio che arreca ai creditori l’atto simulato (v. infra nel testo), ossia nella concreta diminuzione delle possibilità di soddisfarsi sul patrimonio del debitore72. Quanto al profilo soggettivo, come anticipato, l’art. 404, comma 2, c.p.c., ai fini della proposizione dell’opposizione da parte dei creditori (e degli aventi causa), richiede che la sentenza sia l’effetto del dolo o della collusione (in loro danno). Va subito osservato che, in dottrina, non vi è una perfetta uniformità di opinioni in merito alla ricostruzione concettuale di tali due presupposti, e in particolare del dolo. Circa la collusione, secondo l’impostazione prevalente essa consiste in una condotta processuale concordata tra le parti al fine di far emettere dal giudice una decisione che faccia apparire esistente una realtà sostanziale che, invece, le parti sono d’accordo di non tener per buona; in questi termini, l’opposizione di terzo espleterebbe la medesima funzione svolta, per gli atti negoziali, dall’azione di simulazione73 (che pure, come la pauliana, serve a proteggere il creditore sul piano della garanzia patrimoniale, benché a fronte di un atto dispositivo del debitore meramente fittizio74). In merito al dolo, invece, pare che le incertezze ricostruttive insistano, più che altro, sul carattere necessariamente unilaterale ovvero anche bilaterale del medesimo: secondo alcuni, infatti, il dolo può anche essere bilaterale75, mentre secondo altri esso, a differenza della collusione, è unilaterale76. Sebbene alcuni autori abbiano sostenuto che il dolo debba provenire dalla parte vittoriosa77 ovvero che esso sia bilaterale78, op pure, ancora, che, esclusa la necessità del dolo bilaterale, sia indifferente la sua provenienza79, il dato che pare potersi attribuire all’indirizzo assolutamente prevalente è che il presupposto in questione deve comunque essere rintracciato in capo alla parte soccombente (il debitore), la quale abbia sfruttato il processo per ottenere i medesimi effetti che avrebbe potuto conseguire sul piano negoziale con un atto di disposizione80. Ed ecco che, nei termini così descritti, viene a delinearsi una funzione del rimedio ex art. 404, comma 2, c.p.c., analoga a quella svolta, nei confronti degli atti di disposizione sostanziali, dall’azione revocatoria di cui all’art. 2901 c.c. Anche la Cassazione ha rilevato che il dolo e la collusione integrano concetti distinti, ma più che altro per evidenziare che il primo può consistere anche in omissioni e può provenire anche da una sola delle parti, mentre la seconda ha matrice necessariamente in un accordo tra le parti, il quale può essere anche tacito e aver luogo sia prima, sia nel corso della lite81. In realtà, la Suprema Corte sembra risaltare, più che la dicotomia concettuale tra i due presupposti, il tratto essenziale che accomuna i medesimi, e cioè il carattere fraudolento della condotta delle parti a danno del terzo e il nesso di causalità con la decisione del giudice: in una non più recente ma nota pronuncia, seguita da arresti sostanzialmente conformi, la Cassazione ha infatti spiegato che, affinché l’opposizione trovi accoglimento, è necessario che il terzo dimostri, oltre alla sussistenza del dolo o della collusione, il rapporto di causalità fra tali elementi e il contenuto della decisione, rapporto che può dirsi esistente purché il comportamento processuale fraudolento, di uno o di entrambi i contendenti, abbia determinato “statuizioni diverse da quelle che sarebbero state adottate a conclusione di un dibattito corretto”82. Il quadro sin qui ricostruito deve essere completato dal rilievo generale secondo il quale non è necessario che il dolo e la collusione siano stati specificamente diretti contro il creditore opponente, essendo sufficiente che il debitore o entrambe le parti abbiano avuto intenzione di pregiudicare genericamente i creditori del primo83. Pare dunque che il dolo e la collusione rappresentino l’espressione di un utilizzo fraudolento della sede giurisdizionale in pregiudizio del terzo, nel senso che il processo viene strumentalizzato dalla parte (o dalle parti) per ottenere un assetto sostanziale del diritto o del rapporto oggetto di giudizio che, se realizzato per via negoziale, avrebbe legittimato il terzo medesimo ad attivarsi, a seconda dei casi e salva la dimostrazione dei rispettivi presupposti, con l’azione revocatoria o con l’azione di simulazione. Le considerazioni sopra esposte devono essere adattate al contesto del procedimento (e della sentenza) di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio su ricorso congiunto; da questo peculiare angolo visuale, ci sembra che la disamina del profilo in questione consegni all’interprete interessanti spunti. Intanto, va osservato che la conformazione del procedimento de quo – ove, come detto nel paragrafo precedente, le parti chiedono l’accoglimento delle medesime conclusioni – conferma l’assunto, sostenuto da alcuni ma avversato da altri, che, ai fini dell’opposizione di terzo revocatoria, non rileva l’ingiustizia del provvedimento84; rispetto alle attribuzioni patrimoniali concordate dai coniugi nel congegno delle condizioni di divorzio, la sentenza che dà loro efficacia giuridica recependole all’interno del proprio contenuto decisorio non è giudicabile come giusta o ingiusta, sicché, ai fini della tutela del terzo, ciò che rileva sono le implicazioni determinate dalla sentenza sul patrimonio del debitore e il conseguenziale pregiudizio al soddisfacimento del credito. Inoltre, occorre domandarsi se il creditore possa invocare la collusione dei coniugi onde utilizzare il rimedio ex art. 404, comma 2, c.p.c. ad instar dell’azione di simulazione. L’interrogativo si correla a un tema discusso in dottrina e giurisprudenza con precipuo riguardo alla separazione consensuale e del quale sino a questo momento non avevamo dato conto. In breve, secondo la Cassazione, pur dovendosi confermare la natura negoziale dell’accordo di separazione consensuale, questo, una volta omologato, non può essere impugnato per simulazione, dato che “l’iniziativa processuale diretta ad acquisire l’omologazione, e quindi la condizione formale di coniugi separati, con le conseguenti implicazioni giuridiche, si risolve in una iniziativa nel senso della efficacia della separazione che vale a superare il precedente accordo simulatorio, ponendosi in antitesi con esso, essendo logicamente insostenibile che i coniugi possano disvolere con detto accordo la condizione di separati ed al tempo stesso volere l’emissione di un provvedimento giudiziale destinato ad attribuire determinati effetti giuridici a detta condizione”85. Questa impostazione è stata fermamente criticata in dottrina, che già aveva avuto modo di riconoscere, unitamente a parte della giurisprudenza, la possibilità di far valere in tale ambito la simulazione86. In particolare, si è argomentato nel senso che ben può esistere una divergenza tra il consenso alla separazione espresso dai coniugi davanti al presidente del tribunale e un’effettiva sottostante volontà di acquisire lo status di coniugi separati, sicché i coniugi possono anche voler conseguire effettivamente lo status formale di separati, senza però l’intenzione di attribuire allo stesso valore sostanziale87. Su questa linea argomentativa, pur escludendo, peraltro, che i coniugi siano abilitati all’azione di simulazione, si è rilevato che i terzi, come ad esempio i creditori di uno dei coniugi, possono beneficiare dell’azione de qua88. Peraltro, mette conto riferire che una parte della dottrina ha valorizzato, sul versante della simulazione, la distinzione tra contenuto necessario e contenuto eventuale dell’accordo di separazione e, in questo ordine di idee, di recente, la Cassazione sembra aver corretto la propria impostazione, facendo presente che gli accordi patrimoniali conclusi tra coniugi in occasione della separazione consensuale nell’ottica di una regolamentazione complessiva dei loro rapporti e non direttamente collegati al matrimonio, per quanto trasfusi nel verbale di separazione omologato, sono impugnabili per simulazione89. Proiettando il ragionamento sul versante del divorzio su domanda congiunta, e appuntando l’attenzione sulle pattuizioni pregiudizievoli per i creditori, ci sembra che, almeno astrattamente, sia configurabile la possibilità che le parti, pur acconsentendo allo scioglimento (effettivo) del vincolo coniugale, si accordino nel senso di attribuire a quel certo trasferimento patrimoniale – concordato in seno alle condizioni economiche del divorzio – un’efficacia meramente apparente. In questo scenario, ferma la necessità della dimostrazione della collusione simulatoria, non vediamo ostacoli alla possibilità che il creditore del coniuge (simulato alienante) impugni la sentenza di divorzio ai sensi dell’art. 404, comma 2, c.p.c.90. Più in generale, poi, occorre testare quanto generalmente si afferma in tema di dolo e collusione – e cioè, come visto poc’anzi, che è necessario che il terzo dimostri la condotta fraudolenta delle parti e il rapporto di causalità fra tale contegno e il contenuto della decisione – nel caso specifico del divorzio su ricorso congiunto. In tale prospettiva, mette conto ribadire che, nel caso in questione, il giudice – salve la verifica dei presupposti per pronunciare lo scioglimento del vincolo e la valutazione circa la rispondenza delle condizioni pattuite all’interesse dei figli – si limita a recepire le condizioni concordate dai coniugi all’esito di un procedimento che segue il rito camerale, nell’ambito del quale non vi è quindi “conflitto” processuale tra le parti e il cui esito non mette in contrapposizione una parte vittoriosa e una parte soccombente. Questa conformazione del procedimento de quo legittima l’osservazione che, ai fini del riscontro dell’intento doloso o collusivo, rileva, non un contegno consistente in specifiche attività od omissioni nel corso del processo (con tutte le implicazioni e complicazioni per l’opponente sul piano probatorio) che abbiano poi influito, in attuazione distorta del principio dispositivo91, sulla decisione finale, ma esclusivamente l’accordo delle parti, che già in sé contiene l’intenzione fraudolenta; in altri termini, se proprio si vuole individuare un comportamento processuale fraudolento, nel caso in esame esso è rappresentato dal deposito di un ricorso che altro non è che il veicolo per introdurre nel processo l’accordo, e dalla conferma di questo in occasione dell’udienza dinanzi al collegio. Del resto, ci pare in linea con tale assunto il rilievo, formulato dalla giurisprudenza francese a proposito dell’opposizione del creditore nei confronti della sentenza di omologazione di una convenzione di divorzio ai sensi dell’art. 1104 Code de procédure civile, secondo il quale il giudice deve verificare se vi sia stata la collusione fraudolenta dei coniugi nel concludere l’accordo92. Ciò, a nostro avviso, suscita l’impressione che, concettualmente, nella prospettiva dell’impugnazione della sentenza di divorzio su domanda congiunta, il requisito soggettivo richiesto dall’art. 404, comma 2, c.p.c. – a parte le ipotesi di collusione simulatoria –, non si discosti più di tanto da quello contemplato dall’art. 2901 c.c. Inoltre, ragionando nei termini appena indicati, a ben vedere, si giunge alla conclusione che l’intento fraudolento è causale rispetto al contenuto della decisione, giacché questa, come detto, recepisce l’accordo delle parti (e non dà la ragione e il torto all’esito di un percorso dialettico e conflittuale). In altre parole, nell’ipotesi in esame, l’intento de quo risiede nel fatto che il mezzo processuale è sfruttato per conseguire, mediante il semplice recepimento dell’accordo nella sentenza, un provvedimento giurisdizionale che produce un effetto pregiudizievole per il creditore. Giunti a questo punto, v’è da comprendere se, alla luce della conformazione del procedimento e nell’ottica della dimostrazione da parte del creditore del presupposto soggettivo dell’opposizione revocatoria, sia necessario provare in ogni caso la partecipazione dolosa o la collusione di entrambe le parti, o se invece sia sufficiente dar riscontro del dolo del coniuge debitore. Abbiamo notato, poc’anzi, che, sul piano generale, secondo la ricostruzione costante, ai fini dell’accoglimento dell’opposizione revocatoria proposta dal creditore basta la dimostrazione del dolo del debitore (soccombente); del resto, l’art. 404, comma 2, c.p.c., pone i due elementi in via alternativa (dolo o collusione). A nostro avviso, benché la sentenza di divorzio su domanda congiunta non sancisca una soccombenza in contrapposizione a un esito vittorioso, non bisogna ritenere che, ove frode vi sia, questa, stante la matrice consensuale del contenuto decisorio del provvedimento del giudice, sia automaticamente bilaterale. Infatti, il coniuge non debitore potrebbe teoricamente non essere al corrente della reale situazione che involge, sul piano delle obbligazioni, l’altro coniuge, e versare così in una condizione di buona fede. È anche vero, d’altro canto, che il peculiare rapporto che coinvolge le parti può consentire di dedurre elementi presuntivi per inferire la partecipazione alla frode da parte del coniuge non debitore93; tuttavia, ai fini dell’accoglimento dell’opposi zione, deve bastare la dimostrazione dell’intento fraudolento in capo al debitore, ché a ragionare diversamente, ossia richiedendo la necessità della frode bilaterale, verrebbe a imporsi sul creditore un aggravamento del suo onere probatorio, non giustificato dal disposto dell’art. 404, comma 2, c.p.c. In questo ordine di idee, pertanto, per il creditore anteriore non sarà oltremodo difficile dimostrare la consapevolezza del pregiudizio (a lui arrecato) in capo al debitore, al momento in cui questi, in sede di divorzio, ha concordato con il coniuge quella certa disposizione patrimoniale, servendosi poi del processo per dare seguito all’intento fraudolento94; consapevolezza che può anche essere rintracciata in capo al coniuge non debitore, ancorché, come detto, ciò non sia indispensabile. Se la ricostruzione sopra proposta è fondata, ci sembra che il quadro – almeno sul piano della dimostrazione dei presupposti oggettivi e soggettivi95 – non sia più complicato di quello delineato dall’art. 2901 c.c., laddove, anzi, occorre modulare la dimostrazione dell’elemento soggettivo, non solo rispetto all’anteriorità o posteriorità dell’atto dispositivo rispetto al sorgere del credito96, ma anche con riguardo alla posizione del terzo acquirente in base alla natura onerosa o meno dell’atto. L’art. 404, comma 2, c.p.c., infatti, richiede all’opponente la dimostrazione del dolo o della collusione a suo danno, con la possibilità che l’intenzione fraudolenta sia rintracciabile solo in capo al debitore (soccombente) e senza distinguere tra onerosità e gratuità, essendo sufficiente soltanto che l’effetto giuridico prodotto dalla sentenza abbia diminuito la garanzia patrimoniale97. Applicando questo schema al divorzio su ricorso congiunto – ove, come detto, non si hanno un soccombente e un vincitore, e ai fini del riscontro del dolo e della collusione non occorre la dimostrazione di uno specifico comportamento processuale che abbia determinato statuizioni diverse da quelle che sarebbero state adottate a conclusione di un dibat tito corretto – si conferma la sensazione che, rispetto alla sentenza emessa in tale procedimento, la tutela del creditore non sia affatto meno ampia di quella accordata dall’art. 2901 c.c. avverso gli atti sostanziali. Casomai, vi è da sottolineare che nel caso in esame, nella prospettiva dell’accoglimento dell’opposizione revocatoria, può rilevare anche soltanto il dolo del debitore poiché pure in siffatta ipotesi la sede giurisdizionale viene utilizzata come mezzo per consumare la frode in danno del creditore, delineando a tutti gli effetti una fattispecie rientrante nel raggio operativo dell’art. 404, comma 2, c.p.c. Qualora l’intento fraudolento, anziché concretizzarsi in un effetto traslativo, venga a sostanziarsi in una collusione simulatoria – ipotesi, forse, di meno frequente verificazione nella prassi ma da non escludere a priori –, il creditore è necessariamente onerato di dar prova dell’accordo (giustappunto simulatorio) tra le parti. Certamente in questo caso il compito per l’opponente è più gravoso, ma egli, in quanto terzo, può avvalersi di presunzioni che, come detto, venendo in gioco una relazione di coniugio, possono talora fornire feconde chances probatorie. Resta comunque il fatto che, essendo sufficiente ai fini dell’accoglimento dell’opposizione di terzo revocatoria la dimostrazione del dolo del debitore, la prospettiva di far valere mediante tale rimedio la collusione simulatoria diviene, a nostro avviso, recessiva, proprio in ragione della maggiori difficoltà sul piano probatorio; probabilmente essa mantiene una certa utilità allorché la pattuizione fraudolenta da far recepire nella sentenza di divorzio, anziché contemplare un trasferimento (quantunque apparente) dal coniuge debitore all’altro coniuge, consiste nel riconoscimento (fittizio) della titolarità di un certo bene in capo al coniuge non debitore. Quanto testé esposto, a ben vedere, riflette il rapporto tra azione di simulazione e azione pauliana (nell’ottica dell’esercizio delle medesime da parte del creditore). In parte qua, in generale, si afferma che in entrambi i casi il terzo deve allegare il credito che lo legittima all’azione e dimostrare il pregiudizio che alla soddisfazione del suo diritto può derivare dall’alienazione del bene98. Inoltre, pur nella coincidenza di alcuni elementi, si rileva che le azioni de quibus sono diverse e cumulabili nel medesimo processo, in via alternativa o più frequentemente subordinando la revocatoria alla domanda di simulazione99; e si specifica che, a tal fine, il creditore si determinerà in ragione delle concrete circostanze del caso, nel senso che, sussistendo tutti i presupposti per entrambe le azioni, utilizzerà quella che presenta le più immediate soluzioni probatorie100. Si tenga poi conto che, in caso di simulazione relativa, il creditore può agire in revocatoria contro l’atto simulato, ma può anche rivolgere tale azione avverso l’atto dissimulato, opzione meno impervia ove questo integri un atto a titolo gratuito; è chiaro peraltro che, in questo caso, occorre previamente l’accertamento della simulazione101. La funzione di tali azioni, quando il pregiudizio al creditore è perpetrato mediante una sentenza, è espletata da un unico strumento – giustappunto l’opposizione ex art. 404, comma 2, c.p.c. –, onde, processualmente, non viene a porsi un problema di cumulo di (diverse) domande, ma una ben precisa impugnazione (o, come afferma una parte della dottrina, un’azione sotto veste di impugnazione102) che, sul versante dei presupposto soggettivi, può fondarsi, alternativamente, sul dolo o sulla collusione.



9. (segue) L’ipotesi dell’apertura della liquidazione giudiziale a carico del coniuge debitore



Le considerazioni articolate nel precedente paragrafo devono essere vagliate alla luce della disciplina degli effetti della liquidazione giudiziale sugli atti di disposizione posti in essere dall’imprenditore in bonis. In breve – fermo che, sul piano della legittimazione, il curatore fallimentare può proporre l’opposizione di terzo revocatoria103 –, nella peculiare ipotesi della sentenza di cessazione degli effetti civili o scioglimento del matrimonio su ricorso congiunto a cui segua l’apertura della liquidazione giudiziale a carico del coniuge debitore, mancando i requisiti per poter esperire l’azione revocatoria fallimentare, il curatore deve impugnare il provvedimento del giudice ai sensi dell’art. 404, comma 2, c.p.c. Non si applicano, dunque, norme come gli artt. 69 l.fall. e 169 c.c.i.i., con tutte le agevolazioni sul piano probatorio garantite da tali previsioni. Tuttavia, alla luce di quanto sviscerato nel paragrafo precedente, ai fini dell’accoglimento dell’opposizione è sufficiente che il curatore dimostri, da un lato, il pregiudizio alla garanzia patrimoniale; dall’altro lato, il dolo del debitore, consistente nella consapevolezza del pregiudizio de quo, facilmente dimostrabile anche mediante presunzioni semplici, le quali possono anche fondare elementi indiziari per riscontrare la partecipazione fraudolenta dell’altro coniuge104.



10. Profili processuali: il rito applicabile e gli effetti dell’accoglimento dell’impugnazione



A parte il profilo del termine per interporre l’impugnazione ex art. 404, comma 2, c.p.c., che è di trenta giorni dalla scoperta dolo o la collusione (art. 326 c.p.c.) – momento che deve essere indicato, con la relativa prova, nell’atto di opposizione (art. 405, comma 2, c.p.c.) –, vi sono alcune questioni, di matrice processuale che, con precipuo riguardo all’opposizione avverso la sentenza di divorzio su domanda congiunta, meritano di essere scrutinate. Ci stiamo riferendo, in particolare, ai profili attinenti al rito applicabile e agli effetti dell’accoglimento dell’impugnazione. In merito al primo punto, fermo che, i sensi dell’art. 405, comma 1, c.p.c. – e volendo dar seguito al (prevalente) orientamento secondo il quale la sentenza di divorzio su domanda congiunta (che accolga le condizioni pattuite dalle parti) nasce già passata in giudicato –, l’opposizione è proposta innanzi al tribunale che ha pronunciato la sentenza, qualche difficoltà sembra porre l’art. 406 c.p.c., il quale stabilisce che davanti al giudice adito si osservano le norme stabilite per il procedimento davanti a lui (in quanto non derogate da quelle del medesimo capo V, titolo III, libro II del codice di rito). Intanto, sul versante dell’atto introduttivo, benché l’art. 405, comma 2, c.p.c., preveda che l’opposizione si propone con citazione, è piuttosto diffusa l’idea che, proprio in virtù di quanto disposto dall’art. 406 c.p.c., ove la sentenza impugnata sia stata pronunciata secondo un rito speciale avviato con ricorso, l’opposizione debba essere proposta con lo stesso atto introduttivo105. Invero, con riferimento al procedimento di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio su ricorso congiunto, il nodo problematico attiene all’applicabilità del rito contemplato in subiecta materia al giudizio di opposizione instaurato dal creditore. Atteso che quanto disposto dall’art. 4, comma 16, l. 898/1970, deve essere integrato dalle disposizioni di cui agli artt. 737 ss. c.p.c., va subito osservato che non mancano ipotesi di utilizzo dello schema processuale delineato per i procedimenti in camera di consiglio per l’esercizio di attività giurisdizionale finalizzata alla tutela di diritti e status; anzi, in questo senso, la tendenza negli ultimi decenni si è progressivamente accentuata106. E il risultato è che, laddove il rito camerale sia utilizzato in materia contenziosa, le norme di cui agli art. 737 ss. subiscono, talora direttamente ad opera dello stesso legislatore, talora in via interpretativa, rilevanti integrazioni e modifiche107. Al di là di ogni valutazione in merito all’opportunità di una siffatta tendenza, ciò che ai fini del presente lavoro interessa appurare è se, nel contesto ricostruttivo testé delineato, possa configurarsi, tra le maglie della scarna regolamentazione codicistica, un contenitore processuale idoneo a garantire al creditore opponente la tutela ex art. 404, comma 2, c.p.c. La risposta sembra essere positiva. Infatti, quantunque gli artt. 737 e 738 c.p.c. nulla prevedano sul punto, si deve ritenere che, dopo il deposito del ricorso e prima che il giudice designato quale relatore compia l’eventuale istruzione, sia assicurata l’integrazione del contraddittorio, generalmente mediante decreto di fissazione della comparizione delle parti e del termine per la notifica del ricorso ai controinteressati108. Quanto alla fase di trattazione e istruzione, l’art. 738, u.c., c.p.c., si limita a stabilire che il giudice può assumere informazioni (evidenziando la discrezionalità dei poteri del giudice e il carattere ufficioso delle possibili iniziative probatorie); peraltro, in parte qua, si ritiene generalmente che l’istruzione sia necessaria e attuabile attraverso i poteri istruttori ufficiosi e in applicazione analogica delle norme sul processo ordinario di cognizione, laddove il procedimento camerale abbia ad oggetto la tutela di diritti109. Per quanto concerne l’atto conclusivo del procedimento, l’art. 737 c.p.c. richiama la forma del decreto motivato, salva tuttavia una diversa previsione legislativa. Sicché, posto che il procedimento di cessazione degli effetti civili o scioglimento del matrimonio su ricorso congiunto è deciso con sentenza, anche il giudizio di opposizione di terzo revocatoria instaurato dal creditore si chiuderà con sentenza, la quale – arg. ex artt. 4, comma 15 e 5, comma 5, l. 898/1970 (retro, § 7) – sarà appellabile e la corte territoriale deciderà in camera di consiglio. Il richiamo alla sentenza che decide sull’opposizione di terzo revocatoria ci conduce così ad esaminare il secondo profilo indicato all’inizio del presente paragrafo, il quale, sul piano della ricostruzione generale della disciplina ricavabile dagli artt. 404 ss. c.p.c., costituisce probabilmente uno degli aspetti più dibattuti e controversi. Così, in linea di massima, secondo l’indirizzo della giurisprudenza e di parte della dottrina, l’accoglimento dell’opposizione di terzo revocatoria, a differenza dell’esito vittorioso della pauliana, non comporta l’inefficacia del precedente giudicato nei soli confronti del terzo opponente, mantenendolo fermo nel rapporto tra le parti originarie, bensì la totale eliminazione del provvedimento passato in giudicato nei confronti delle parti del processo originario, con effetto riflesso e conseguenziale nei confronti del terzo110. Secondo altra (e copiosa) dottrina, la sentenza opposta ai sensi dell’art. 404, comma 2, c.p.c., continua a produrre i suoi effetti inter partes, giovando l’accoglimento dell’impugnazione al solo opponente111.

Va dato conto, inoltre, di un orientamento che potremmo definire intermedio, il quale – in specie con riferimento alla posizione del creditore opponente e pur affermando in via generale che gli effetti rescissori possono essere limitati al terzo, sempre che ciò sia sufficiente per la sua tutela – distingue il caso in cui la pronuncia inter alios affermi un obbligo del debitore da quello in cui la pronuncia neghi l’esistenza di un elemento attivo del patrimonio del debitore: nel primo caso, è sufficiente che gli effetti del provvedimento opposto siano tolti di mezzo, affinché il terzo riceva tutela, e spetta casomai alla parte già vittoriosa (nel processo che ha partorito il provvedimento opposto) affermare che il proprio diritto esiste anche e a prescindere dal dolo o dalla collusione, e domandarne l’accertamento tramite un processo non viziato; nel secondo caso, rimossa la pronuncia, il terzo opponente deve chiedere che si accerti (e deve dimostrare) che quel certo elemento attivo appartiene veramente al patrimonio del debitore, di guisa che possa essere oggetto di espropriazione112. Volendo calare il ragionamento nel contesto del procedimento di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio su ricorso congiunto, vien fatto di osservare, in prima battuta, che, ove la sentenza recepisca, tra l’altro, delle pattuizioni aventi ad oggetto attribuzioni patrimoniali da un coniuge (debitore) all’altro (o, ad esempio, ai figli), essa assume strutturalmente la conformazione del provvedimento decisorio con più capi. Infatti, accanto allo scioglimento del vincolo e ad eventuali altre condizioni, la sentenza dispone anche il trasferimento del diritto; sicché, dal punto di vista del creditore pregiudicato, non sono affatto rilevanti gli altri capi (in primis, quello relativo allo scioglimento del vincolo), donde la mancanza di un interesse, in capo a lui, a far caducare l’intera sentenza. Posto ciò, resta da stabilire se il creditore debba domandare, limitatamente al capo o ai capi per lui pregiudizievoli, la rimozione anche inter partes (dunque un vero e proprio annullamento della decisione) oppure semplicemente una declaratoria d’inefficacia relativa. Alcuni elementi ci portano ad escludere che l’accoglimento dell’opposizione di terzo revocatoria comporti sempre la caducazione anche tra le parti originarie della decisione impugnata. Infatti, mette conto rilevare che, nell’ordinamento francese – da cui, come abbiamo indicato, deriva l’opposizione di terzo – è previsto, in linea generale, che la decisione che accoglie l’opposizione riforma la sentenza impugnata soltanto per quanto riguarda i capi pregiudizievoli del terzo opponente, e che il giudizio originario conserva i suoi effetti tra le parti, anche sui capi annullati (art. 591 Code de procédure civile). Inoltre, in precedenza (retro, § 8) abbiamo avuto modo di sottolineare che, almeno secondo la ricostruzione da noi propugnata, per un verso, rispetto alle attribuzioni patrimoniali concordate dai coniugi, la sentenza di divorzio non è giudicabile come (sostanzialmente) giusta o ingiusta; per altro verso, l’opposizione di terzo revocatoria può essere utilizzata dal creditore, a seconda dei casi, ad instar dell’azione revocatoria o dell’azione di simulazione. Alla luce di questi dati, riteniamo che ove l’opposizione ex art. 404, comma 2, c.p.c. avverso la sentenza di divorzio su domanda congiunta serva a reagire a un effettivo trasferimento patrimoniale, al creditore basta che quanto disposto, in parte qua, dalla sentenza venga dichiarato a lui inopponibile; laddove, invece, vi siano i margini per far valere la collusione simulatoria (intesa come simulazione assoluta) tra i coniugi, allora l’opponente deve chiedere la caducazione della decisione anche tra le parti.



11. (segue) Spunti critici sul possibile “cumulo” tra opposizione di terzo e azione revocatoria



In precedenza (§ 3), esaminando il tema della tutela dei creditori rispetto ai patti dispositivi conclusi in sede di separazione consensuale (e con prevalente riferimento ai trasferimenti immobiliari), abbiamo richiamato l’indirizzo dottrinale in forza del quale, essendo più frequenti le ipotesi in cui nel verbale di separazione è previsto soltanto il vincolo al trasferimento, quando viene sottoposto ad azione revocatoria il patto (obbligatorio) contenuto nell’accordo di separazione è necessario impugnare anche l’atto finale-traslativo. Questa concezione è riproposta anche per il caso in cui sia la sentenza di divorzio su domanda congiunta a recepire il mero vincolo al trasferimento, il quale è rimandato a un atto definitivo successivo113. In sostanza, secondo la dottrina che si è occupata dell’argomento, muovendo dal rilievo che l’opposizione di terzo revocatoria è assimilabile a un’azione in primo grado (che si propone innanzi allo stesso giudice che ha emesso la sentenza inter alios), nella predetta fattispecie, nell’ottica dell’esercizio della necessaria duplice impugnativa, il terzo può cumulare nello stesso atto introduttivo (citazione) l’opposizione ex art. 404, comma 2, c.p.c. e l’actio pauliana, rivolgendo la prima contro la sentenza di divorzio e la seconda contro il successivo negozio traslativo114. Questa impostazione non ci persuade pienamente per le seguenti ragioni. Come osservato, l’elaborazione appena esposta è in sintonia con quanto dalla medesima dottrina affermato a proposito della separazione consensuale, e muove dal rilievo che, in caso di patti aventi portata obbligatoria, da essi discende un semplice obbligo a perfezionare l’atto traslativo, che è tutelato in forma specifica ai sensi dell’art. 2932 c.c.115.

Questo assunto, in specie con riguardo alla separazione consensuale, è sostanzialmente espresso anche dalla Cassazione (retro § 3). Il punto è che, in qualche passaggio argomentativo, la Corte Suprema non è apparsa impeccabile per chiarezza, sicché talora, sul piano strutturale, ha ricostruito lo schema dell’impegno al trasferimento assunto in sede di separazione consensuale, a cui segua il trasferimento vero e proprio, nei termini del collegamento contratto preliminare-contratto definitivo116; in altre occasioni, ha messo in dubbio che l’impegno (a trasferire) assunto nel contesto della separazione consensuale si collochi nella cornice di un contratto preliminare117. Ad ogni modo, quello che sembra emergere con una certa chiarezza dall’orientamento di legittimità è che deve essere esclusa la necessità che, unitamente alla domanda di revoca dell’atto traslativo, sia proposta specifica impugnazione anche contro l’accordo contenente l’obbligo di trasferire118. Da questo punto di vista, allora, la predetta impostazione, al di là della configurazione di un collegamento riconducibile allo schema contratto preliminare-contratto definitivo, pare in linea con il granitico indirizzo di legittimità secondo il quale non è proponibile l’azione pauliana nei confronti del contratto preliminare, mentre è revocabile il contratto definitivo (che rappresenta la fattispecie rispetto alla quale valutare la sussistenza dell’eventus damni) solo ove venga provato il carattere fraudolento del pactum de contrahendo119. Ebbene, ulteriore tassello di tale indirizzo è rappresentato dal rilievo secondo il quale non occorre che la prova del carattere fraudolento del negozio preliminare sia fornita nell’ambito di un’apposita domanda; siffatta prova, invece, può essere data nel giudizio introdotto con la domanda di revoca del contratto definitivo, indipendentemente da un’apposita domanda diretta nei confronti del contratto preliminare per sentirne dichiarare l’inefficacia120. In altri termini, in tema di patti dispositivi stipulati nell’ambito della separazione consensuale, quanto affermato dalla Cassazione, e cioè che la valutazione relativa alla sussistenza dei requisiti ex art. 2901 c.c. va effettuata con riguardo sia all’accordo contenente l’impegno a trasferire, sia al contratto traslativo121, deve essere letto nel quadro poc’anzi descritto, dal quale emerge che il negozio da “impugnare” è quello produttivo dell’effetto traslativo (il quale rileva ai fini dell’elemento oggettivo), mentre l’impegno al trasferimento (corrisponda esso o meno a un accordo preliminare) rileva ai fini dell’elemento soggettivo. Posto ciò, ci sembra che il medesimo schema possa essere replicato nel caso in cui l’impegno al trasferimento sia recepito dalla sentenza di divorzio su domanda congiunta, alla quale poi segua la stipulazione del negozio traslativo. Se siffatto vincolo non crea un pregiudizio per il creditore, allora è inconferente che esso sia assunto in via negoziale ovvero sia fatto inglobare in una sentenza, posto che sul piano giuridico l’effetto, anche per il creditore, è il medesimo. Pertanto, a nostro avviso, anche in tal caso il pregiudizio alle ragioni del creditore è perpetrato dal negozio traslativo: questo, una volta perfezionato, può essere “impugnato” con l’azione revocatoria, mentre non occorre impugnare appositamente anche la sentenza di divorzio mediante l’opposizione di terzo, dato che questa assume rilevanza solo ai fini della valutazione dell’elemento soggettivo (ex art. 2901 c.c.), onde il creditore può limitarsi ad allegare e provare gli elementi da cui ricavare, giustappunto, la sussistenza dell’elemento de quo. Del resto, l’idea della necessità della duplice impugnativa (eventualmente mediante la proposizione con un unico atto dell’azione revocatoria e dell’opposizione di terzo) pone problemi anche rispetto al diverso termine previsto per i due rimedi: dato che l’opposizione ex art. 404, comma 2, c.p.c., va proposta, a pena di decadenza, entro trenta giorni dal giorno della scoperta del dolo o della collusione, il creditore, per un verso, nel caso in cui avesse notizia dell’intento fraudolento quando l’effetto traslativo è ancora lungi dall’essere realizzato, dovrebbe comunque impugnare la sentenza prima dello spirare del predetto termine (col rischio di un rigetto in rito per difetto d’interesse); per altro verso, ove “impugnasse” il negozio produttivo del trasferimento rispettando il termine quinquennale di prescrizione, pur avendo appreso della mala fede delle parti prima della conclusione di tale negozio, rischierebbe di vedersi rigettare la domanda per non aver previamente opposto la sentenza.

NOTE

1 Per questa ragione, l’oggetto specifico del presente lavoro non riguarderà la negoziazione assistita in ambito familiare, di cui all’art. 6 del d.l. 132/2014, convertito con modificazione in l. 162/2014.

2 Così, ex multis, M. PALAdINI, in AA.VV., Diritto privato, III, 2a ed., Torino, 2013, 1128, il quale in tal senso richiama l’art. 711 c.p.c.; U. BRECCIA, Separazione personale dei coniugi, in Dig. disc. priv., sez. civ., XVIII, Torino, 1998, 425ss., § 21.

3 R. GIORdANO, sub art. 711 c.p.c., in Codice della famiglia, diretto da F. dI MARzIO, Milano, 2018, 719; A. ANCEsChI, Separazione personale dei coniugi, in Dig. disc. priv., sez. civ., I agg., Torino, 2017, § 32.

4 Tra gli altri, GIORdANO, op. cit., 688; F. GAzzONI, Manuale di diritto privato, 14a ed., Napoli, 2009, 397.

5 Cfr., in giurisprudenza, tra le più recenti, Cass. 26 gennaio 2018 n. 2036, in Fam. e dir., 2019, 167 ss., con nota di R. FORCINITI, Il contenuto eventuale degli



accordi patrimoniali in sede di separazione consensuale. In dottrina v., tra gli altri, A. FALzEA, La separazione personale, Milano, 1943, 101; U. AzzOLINA, La separazione personale dei coniugi, Torino, 1966, 203 ss.

6 Sul punto, con ulteriori riferimenti anche alla giurisprudenza meno recente, v., tra gli altri, E. AL MUREdEN, La separazione personale dei coniugi, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. CICU, F. MEssINEO, L. MENGONI e continuato da P. sChLEsINGER, La crisi della famiglia, I, Milano, 2015, 117 ss., testo e note;

G. OBERTO, La natura dell’accordo di separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili, I, in Fam. e dir., 1999, 601 ss., § 1, testo e note

7 OBERTO, op. loc. ult. cit.

8 Così G. OBERTO, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e divorzio, in Fam. e dir., 1995, 155 ss., § 1, il quale aggiunge che, con riferimento all’oggetto del trasferimento, possono venire in considerazione non soltanto diritti reali attinenti a qualsiasi tipo di bene, ma anche diritti non reali, come ad esempio la cessione di un credito; v. anche T.V. RUssO, I trasferimenti patrimoniali tra coniugi nella separazione e nel divorzio, Napoli, 2001, passim; P. CARBONE, I trasferimenti immobiliari in occasione della separazione e del divorzio, in Notar., 2005, 622 ss., § 1; per una più recente ricostruzione e disamina del tema, v., anche per ulteriori riferimenti, S. sCUdERI, I trasferimenti patrimoniali in occasione della separazione dei coniugi, in Fam. e dir., 2016, 1142 ss. In argomento,

v. anche, tra gli altri, L. BALEsTRA, Autonomia negoziale e crisi coniugale: gli accordi in vista della separazione, in Accordi sulla crisi della famiglia e autonomia coniugale, a cura di F. RUsCELLO, Padova, 2006, 77 ss.; E. CAPOBIANCO, I trasferimenti patrimoniali nella crisi familiare, ivi, 181 ss. Sulla configurabilità dei trasferimenti in favore della prole e sull’evoluzione giurisprudenziale in materia v. G. OBERTO, Gli accordi patrimoniali tra coniugi in sede di separazione o divorzio tra contratto e giurisdizione: il caso delle intese traslative, in https://www.giacomooberto.com/oberto_contratti_crisi_coniugale_intese_traslative_2014.pdf, §§ 15 ss.; in giurisprudenza, da ultimo, v. Cass. sez. un. 29 luglio 2021 n. 21761, in www.rivistafamilia.it, con nota di B. VIGORITO.

9 Amplius, sulla funzione solutoria, rispetto all’obbligo legale di mantenimento, dell’accordo traslativo, v., tra gli altri, T.V. RUssO, op. cit., 131 ss.

10 V., ancora, tra gli altri, OBERTO, op. loc. ult. cit.; T.V. RUssO, op. cit., 137 ss., 148 ss.

11 Per ogni più ampio approfondimento sul punto v. OBERTO, Gli accordi patrimoniali, cit., § 7; amplius, per ulteriori approfondimenti e riferimenti, Id., Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, Milano, 2000, 91 ss.; v. anche AL MUREdEN, op. cit., 148 ss.

12 Cfr. C. CECChELLA, Diritto e processo nelle controversie familiari e minorili, Bologna, 2018, 270 ss.; T.V. RUssO, op. cit., 244 ss.

13 Sul punto v., tra gli altri, M.A. LUPOI, Il procedimento di separazione e di divorzio, in AA.VV., Trattato “Omnia” di diritto processuale civile, IV, a cura di L. dITTRICh, Torino, 2019, 4870.

14 Cfr., tra gli altri, CECChELLA, op. cit., 270; OBERTO, op. loc. ult. cit. Mette conto rilevare, peraltro, che, con ordinanza n. 3089 del 10 febbraio 2020 della Sezione I (in Corr. giur., 2020, 740 ss., con nota di F. FERRARA, Separazione e trasferimenti coniugali: il ruolo del giudice e quello del notaio al vaglio delle sezioni unite; v., in tema, anche ARCERI, op. ult. cit., 641 ss.), le Sezioni unite sono state investite della questione se la sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio, su ricorso congiunto degli ex coniugi, possa contenere una clausola che attui direttamente il trasferimento del diritto reale immobiliare, o, piuttosto, debba limitarsi al solo impegno preliminare alla successiva stipula per atto notarile. Ebbene, Cass. sez. un. 29 luglio 2021 n. 21761, cit., ha risolto la questione affermando, tra l’altro, che “sono valide le clausole dell’accordo di divorzio a domanda congiunta, o di separazione consensuale, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, o di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi, o dei figli, al fine di assicurarne il mantenimento” [questa sentenza verrà ripresa in altri passaggi della presente trattazione (§§ 3, 5, 6 e 11)].

15 “OBERTO, Gli accordi patrimoniali, cit., § 7.

16 Adesso, in virtù della nuova nomenclatura coniata dal nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, d’ora in avanti c.c.i.i.), dovremmo invero parlare di liquidazione giudiziale.

17 Cfr., tra le altre, Cass. 15 aprile 2019 n. 10443, in Foro it., 2019, 1, 2773; Cass. 12 aprile 2006 n. 8516 (in Nuova giur. civ. comm., 2007, 372, con nota di M. MARTINO, Collegamento negoziale e pagamento traslativo nella revocatoria dei trasferimenti immobiliari realizzati tra coniugi in occasione della separazione consensuale e in Giur. it., 2007, 1939 ss., con nota di G. GIGLIOTTI, Accordi traslativi nella separazione coniugale e azioni revocatorie); Cass. 14 marzo 2006 n. 5473 (anche questa in Nuova giur. civ. comm., 2007, 371, con la già citata nota di M. MARTINO); Cass. 26 luglio 2005 n. 15603, in Mass. giur. it., 2005.

18 Cfr., tra le altre, Cass. 5 luglio 2018 n. 17612, in www.rivistafamilia.it, con nota di G. dONAdIO, Trasferimenti immobiliari in adempimento di obblighi assunti in sede di separazione e azione revocatoria; Cass. 6 ottobre 2020 n. 21358, in Fam. e dir., 2020, 1180.

19 V. nota 11.

20 Cfr., tra le più recenti, Cass. 15 aprile 2019 n. 10443, cit.; Cass. 5 luglio 2018 n. 17612, in Quotid. giur., 2018; nella giurisprudenza di merito più recente, v. Trib. Frosinone 24 gennaio 2020, in Fam. e dir., 2020, 840 ss., con nota di

R. GELLI, Azione revocatoria e causa degli atti traslativi tra coniugi separati; per un caso in cui l’attribuzione patrimoniale viene ricondotta a un atto a titolo gratuito (peraltro con una distinzione concettuale tra quest’ultimo e la donazione), cfr. Cass. 24 giugno 2015 n. 13087, in Fam. e dir., 2016, 1142 ss., con nota di sCUdERI, op. cit., e in Giur. it., 2015, 2389 ss., con nota di R. FORMIsANI, Gratuità dell’atto nella revocatoria fallimentare e separazione dei coniugi.

21 Cfr., tra le altre, Trib. Milano 29 gennaio 1996, in Fall., 1996, 781 ss., con nota di A. FIGONE, Separazione consensuale, trasferimento di beni ed azione revocatoria; Trib. Torino 18 agosto 1999, in Giust. civ., 2000, 2762 ss.; Trib. Reggio Emilia 5 novembre 2013 (in Fam. e dir., 2014, 362 ss., con nota di L. VIGNUdELLI, Revocatoria dei trasferimenti immobiliari in sede di separazione consensuale, fra interessi dei familiari e interessi dei creditori), che in motivazione si allinea perfettamente all’indirizzo della Cassazione riportato nel testo.

22 V., tra gli altri, CECChELLA, op. cit., 273; GIGLIOTTI, op. cit., § 3; sull’astratta proponibilità dell’azione revocatoria da parte del creditore di uno o entrambi i coniugi, avverso i trasferimenti patrimoniali effettuati nell’ambito delle procedure di definizione consensuale della crisi familiare, v. anche, tra gli altri, T.V. RUssO, op. cit., 244 ss.

23 La norma tendenzialmente corrispondente nel c.c.i.i., come specificheremo meglio nel prossimo paragrafo, è l’art. 169.

24 Così CECChELLA, op. cit., 274; sviluppa alcune considerazioni in merito alla differenza tra l’azione pauliana e l’azione revocatoria fallimentare – con riferimento alle pattuizioni traslative contemplate nell’accordo di separazione – anche GIGLIOTTI, op. loc. cit. Sulla base di altre elaborazioni, sviluppate soprattutto in seno alla dottrina civilistica, sembra che il rimedio dell’actio pauliana sia predicabile ove dalla complessa regolamentazione predisposta in sede di separazione risulti una sperequazione tra quanto dovuto per soddisfare il diritto al mantenimento (ovvero tra quanto dovuto in sede di divisione dei beni già rientranti nella comunione legale) e quanto effettivamente attribuito all’altro coniuge; con la precisazione che occorre fornire la prova che le “poste” del dare e avere facenti capo ai coniugi, mascherate dall’adempimento di obblighi legali, siano state oggetto di artifici contabili finalizzati a creare l’apparente legittimazione alla pretesa di un cospicuo assegno di mantenimento (così T.V. RUssO, op. cit., 244 ss.).

25 Da questo punto di vista, l’opinione richiamata aderisce all’indirizzo espresso, negli anni, da una parte della giurisprudenza di merito, secondo la quale nell’ambito della separazione consensuale il giudice non può avere il compito di determinare l’effetto traslativo reale (in questo senso, tra le altre, Trib. Firenze 29 settembre 1989, in Riv. notar., 1992, 595 ss., con commento di A. BRIENzA, Attribuzioni immobiliari nella separazione e nel divorzio consensuali; Trib. Napoli 16 aprile 1997, in Dir. fam. e pers., 1998, con nota di P. GIVRI, Separazione consensuale: ricevimento di dichiarazioni negoziali ed ambito della giurisdizione; Trib. Bari 8 aprile 2008, in Giur. merito, 2009, 1564). Peraltro, altra parte della giurisprudenza è contraria alla predetta impostazione, così come la giurisprudenza di legittimità (v., tra le altre, Trib. Bergamo 15 novembre 1984, in Riv. notar., 1985, 926; Trib. Genova 7 ottobre 1985, in Dir. fam. e pers., 1985, 1022; Cass. 15 maggio 1997 n. 4306, in Fam. e dir., 1997, 417 ss., con nota critica di R. CARAVAGLIOs, Trasferimenti immobiliari nella separazione consensuale tra coniugi). Anche in dottrina gli orientamenti non sono univoci [v., ad es., nel primo senso, BRIENzA, op. ult. cit.; CARAVAGLIOs, op. ult. cit.; contra, OBERTO, I trasferimenti immobiliari, cit., 155 ss. Amplius, sul punto, T.V. Russo, op. cit., 174 ss.]. Si consideri anche che, in qualche occasione la Cassazione ha affermato che il verbale di separazione omologato è sufficiente a integrare gli estremi della forma scritta, senza necessità dell’atto notarile, anche ai fini della trascrizione (Cass. 11 novembre 1992 n. 12110, in Giur. it., 1994, 2 ss., con nota di A. MORACE PINELLI, Separazione consensuale e negozi atipici familiari; v. anche, tra le altre, Cass. 25 ottobre 2019 n. 27409, in Notar., 2020, 38); in tema, cfr. BRECCIA, op. cit., § 21; per un confronto dialogico sul punto, v. le contrapposte posizioni di A. BRIENzA, Attribuzioni patrimoniali nella separazione consensuale, in Riv. notar., 1990, 1409 ss. e G.E. CONdÒ, Ancora sulle attribuzioni patrimoniali nella separazione consensuale tra coniugi (postilla ad Arturo Brienza), ivi, 1425 ss. Le questioni testé illustrate si correlano, peraltro, a quella sottoposta alle Sezioni unite, che abbiamo richiamato retro alla nota 14. Su questo punto, la Suprema Corte (cfr. punto 3.5 della motivazione), nell’affermare che anche in sede di separazione consensuale è valida la clausola che contempla il riconoscimento del diritto reale immobiliare o il trasferimento del medesimo a favore dell’altro coniuge o dei figli, ha specificato che l’accordo di separazione, in quanto inserito nel verbale di udienza redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato, assume forma di atto pubblico ai sensi dell’art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo l’omologazione che lo rende efficace, valido titolo per la trascrizione; inoltre, la validità dei trasferimenti immobiliari presuppone l’attestazione, da parte del cancelliere, che le parti abbiano prodotto gli atti e rese le dichiarazioni di cui all’art. 29, comma 1-bis della legge n. 52 del 1985, e non produce nullità del trasferimento il mancato compimento, da parte dell’ausiliario, dell’ulteriore verifica circa l’intestatario catastale dei beni trasferiti e la sua conformità con le risultanze dei registri immobiliari.

26 CECChELLA, op. cit., 274, 277; secondo VIGNUdELLI, op. cit., § 3, è preferibile considerare irrevocabile l’atto traslativo in quanto mera esecuzione dell’obbligo precedentemente assunto in sede di separazione, “il quale rappresenta pertanto, in via prioritaria, l’(unico) atto suscettibile di revocatoria, essendo l’(unico) atto

– fra i due – che nel processo volitivo del dante causa si mostra libero”.

27 Cass. 13 maggio 2008 n. 11914, in Nuova giur. civ. comm., 2008, 1468, con nota di D. PECORIELLO. Peraltro, più di recente, la S.C. ha affermato che la volontà, espressa nell’accordo di separazione, di trasferire un bene ai figli, non integra un contratto preliminare a favore di terzi, ma, ai fini della revocatoria, va visto come l’atto stesso di disposizione del patrimonio. In sostanza, il trasferimento del bene, in ragione dell’accordo preso nel procedimento di separazione, si atteggia come un atto traslativo che trova la sua causa non in sé, ma in un precedente accordo, che funge solo da causa esterna del trasferimento medesimo; con la conseguenza che i presupposti della revocatoria vanno valutati rispetto a quest’ultimo e non all’accordo causale e giustificativo (Cass. 6 ottobre 2020

n. 21358, cit. Invero, nel caso di specie, il principale motivo di censura della sentenza fatta oggetto di ricorso atteneva alla (asserita) non revocabilità dell’atto traslativo, in quanto atto dovuto ex art. 2901, comma 3, c.c., perché posto in essere in attuazione di un obbligo assunto in sede di separazione; la Cassazione, sulla base del ragionamento poc’anzi riportato, ha rigettato il ricorso, muovendo anche dal rilievo che l’atto traslativo era intervenuto ben sette anni dopo la stipula dell’accordo di separazione e subito dopo il rilascio, da parte del ricorrente, della fideiussione da cui traeva origine il credito della società che aveva agito in revocatoria). Torneremo su questa giurisprudenza al § 11.

28 V. l’art. 12, comma 1, del d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, nella l. 6 agosto 2015, n. 132, e poi modificato dalla l. 30 giugno 2016, n. 119, di conversione del d.l. 3 maggio 2016, n. 59.

29 In argomento cfr., tra gli altri, M. BOVE, Profili processuali dell’art. 2929-bis c.c., in Riv. esec. forz., 2016, 157 ss.; Id., L’applicazione dell’art. 2929-bis c.c. tra esercizio dell’azione esecutiva ed azioni dichiarative, ibidem, 2017, 281 ss.; G. MICCOLIs, Brevi riflessioni sull’art. 2929-bis c.c., ibidem, 2016, 335 ss.; M. dE CRIsTOFARO, La prospettiva processuale della pauliana (note sull’introduzione del nuovo art. 2929-bis c.c.), in Nuove leggi civ. comm., 2016, 431 ss.; A. MONdINI, L’art. 2929-bis

c.c. (“espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità o di alienazioni a titolo gratuito”): spunti di carattere processuale, in judicium.it; P. GALLO, Azione revocatoria breve, in Dig. disc. priv., Agg. XI, Torino, 2018, 33 ss.

30 Come rileva GALLO, op. cit., 42, quanto alle ipotesi riconducibili ai vincoli di indisponibilità il fondo patrimoniale integra uno dei casi più eclatanti. Peraltro, in parte qua, mette conto osservare che la disciplina prevista dall’art. 2929-bis c.c. finisce con l’interferire, in qualche modo, con quanto disposto dall’art. 170 c.c., il quale stabilisce che l’esecuzione sui beni del fondo patrimoniale e sui loro frutti è esclusa per i debiti contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia, ove il creditore sia consapevole di detta estraneità. Sul punto va osservato che, per un verso – posto che, nell’ottica di delineare i limiti di espropriabilità dei beni del fondo patrimoniale, gioca un ruolo fondamentale la definizione del concetto di “bisogni della famiglia” –, la giurisprudenza ha adottato e consacrato un concetto assai lato di bisogni della famiglia; per altro verso, che, sempre secondo la costante giurisprudenza, grava sui coniugi – in sede di opposizione all’esecuzione – l’onere di dimostrare che il debito era stato contratto per cause estranee ai bisogni della famiglia e che il creditore conosceva tale estraneità; sicché, in specie in dottrina, si è denunciato che, seguendo le linee esegetiche dettate dalla giurisprudenza, l’area dell’inespropriabilità dei beni del fondo patrimoniale finisce per essere notevolmente ridotta (per ogni più ampio approfondimento in subiecta materia e per riferimenti, sia consentito rinviare, tra gli altri, a F. CAMPIONE, Opposizione all’esecuzione sui beni del fondo patrimoniale e onere della prova. Spunti sul rilievo dell’impignorabilità, in Osserv. dir. fam., 2020, 3, 45 ss.). Posto ciò, preme aggiungere anche che, sempre per giurisprudenza consolidata, i creditori (anteriori e posteriori) che, per effetto del vincolo derivante dal fondo patrimoniale, vedano restringere la loro garanzia patrimoniale generica, possono proporre l’azione revocatoria; in tal caso essi beneficiano del più agevole regime probatorio previsto per gli atti a titolo gratuito, posto che secondo la Suprema Corte l’atto di costituzione del fondo patrimoniale, anche quando è posto in essere dagli stessi coniugi, integra un negozio a titolo gratuito che può essere dichiarato inefficace nei confronti del creditore, qualora ricorrano le condizioni di cui all’art. 2901 c.c., n. 1. (ex plurimis, Cass. 12 dicembre 2012 n. 22878, in Dir. e Giust. online 2012, 13 dicembre). Pertanto, è chiaro che, in presenza dei presupposti di cui al comma 1 dell’art. 2929-bis c.c., per il creditore non sarà più necessaria la proposizione dell’azione revocatoria per ottenere la caducazione del limite – di cui all’art. 170 c.c. – alle azioni esecutive sui beni del fondo patrimoniale; con la conseguenza che, proprio l’art. 170 c.c., vede ormai vieppiù ridotta all’osso la sua portata (v. R. METAFORA, Il nuovo art. 2929-bis c.c.: espropriabilità dei “beni oggetto di vincoli di indisponibilità o di alienazioni a titolo gratuito”, in www.eclegal.it, 27 luglio 2015, § 3).

31 Si consideri anche che, sulla base del comma 2, secondo periodo, dell’art. 2929-bis c.c., ove con l’atto sia stato riservato o costituito alcuno dei diritti di cui al primo comma dell’articolo 2812 c.c., il creditore è ammesso a pignorare la cosa come libera nei confronti del proprietario.

32 Si pensi, ad esempio, alla posizione del coniuge socio illimitatamente responsabile di una società in nome collettivo (art. 147 l.fall. e art. 256 c.c.i.i.).

33 La norma aggiunge “esclusi i regali d’uso e gli atti compiuti in adempimento di un dovere morale o a scopo di pubblica utilità, in quanto la liberalità sia proporzionata al patrimonio del donante”.

34 Il rilievo è di CECChELLA, op. cit., 276; Id., Il diritto della crisi dell’impresa e dell’insolvenza, Padova, 2020, 262-263. Più in generale, per una disamina sui rapporti e le interazioni, in specie sul piano processuale, tra l’art. 64 l. fall. e l’art. 2929-bis c.c., v. M. CIRULLI, Profili sostanziali e processuali dell’art. 64 l. fall. de iure condito e de iure condendo, in Il dir. fall. soc. comm., 2019, 646 ss.

35 Invero, in precedenza abbiamo fatto cenno al (sostanzialmente) corrispondente art. 69 l.fall., il quale, peraltro, sul piano soggettivo, limita la previsione ai coniugi.

36 In questo senso, tra le altre, pare emblematica una sentenza del Tribunale di Verona del 12 novembre 1987, in Dir. fam. pers., 1989, 651 ss. In tale occasione il Giudice veronese, nel dare soluzione positiva al quesito se la corresponsione da parte di un coniuge, a favore dell’altro, dell’assegno di divorzio in un’unica soluzione potesse avvenire mediante il trasferimento della proprietà o di altro diritto reale su beni determinati, ha osservato che nel caso in questione il giudice recepisce la volontà delle parti di trasferire un diritto reale, onde, tramite la propria decisione, supera la volontà delle parti, che ne rappresenta un mero presupposto, e la assorbe nella sentenza stessa che si pone da sola come produttiva degli effetti giuridici traslativi.

37 Cass. 20 agosto 2014 n. 18066, in Riv. dir. proc., 2016, 231 ss., con nota di M. GOzzI, Conclusioni congiunte nel procedimento di divorzio e inammissibilità dell’appello; Cass. 21 aprile 2015 n. 8096, in Foro it., 2015, 11, 1, 3628. Questa impostazione sembra avallata anche da Cass. sez. un. n. 21761/2021, cit.

38 V. OBERTO, I trasferimenti, cit., § 14, il quale aggiunge che il titolo in forza del quale va operata la trascrizione è costituito, anche in questo caso, non già dal provvedimento del giudice, ma dal verbale.

39 FIGONE, op. loc. cit.

40 Sulla natura negoziale dell’accordo di cui alla domanda congiunta di divorzio v., tra le altre, la recente opera di C.M. NANNA, Accordi in vista del divorzio, Pisa, 2021, 38 ss., spec. 43 ss., a cui rinviamo anche per ulteriori riferimenti. Cfr. anche E. RUssO, Negozio giuridico e dichiarazioni di volontà relative ai procedimenti “matrimoniali” di separazione, di divorzio, di nullità, in Dir. fam. e pers., 1989, 1092 ss., il quale peraltro distingue tra divorzio senza figli e divorzio con figli, e rileva che nel primo caso può sicuramente parlarsi di negozialità, essendo l’attività del giudice, ancorché nella forma della sentenza, vincolata e costituendo essa un mero requisito di efficacia dell’accordo; viceversa, per quanto attiene ai rapporti riguardanti i figli, la volontà dei coniugi non può costituire atto negoziale per via della mancanza del potere sostanziale di autonomia.

41 Per spunti nel senso prospettato, cfr. le considerazioni in merito alla valenza del verbale di udienza di T.V. RUssO, op. cit., 180 ss.

42 Cfr. App. Milano 25 maggio 2017, in www.ilcaso.it, ove si rileva che il disposto dell’art. 2901 c.c. richiama espressamente gli atti di disposizione patrimoniale, nel cui ambito non è possibile comprendervi le sentenze di divorzio.

43 Cfr. Cfr. I. ANTONINI, L’esperibilità dell’actio pauliana avverso la sentenza ex art. 2932 c.c., in Giust. civ., 1993, I, 768 ss., spec. 772 ss.; C. TRENTINI, Sentenza ex art. 2932 codice civile e revocatoria fallimentare, in Fall., 2007, 277 ss. Invero, la questione storicamente è stata esaminata soprattutto con riferimento alle vendite e alle assegnazioni disposte nel processo di espropriazione forzata (per ogni più ampio approfondimento sul punto e per riferimenti, v. da ultimo M. CIRULLI, Profili processuali dell’azione revocatoria, Pisa, 2020, 93 ss.).

44 CECChELLA, Diritto e processo, cit., 285 ss.

45 Cfr. Cass. n. 8516/2006, cit.

46 V. le sentenze citate alla nota 38.

47 Sulla (generalmente riconosciuta) riconducibilità del giudizio di separazione consensuale ai procedimenti di volontaria giurisdizione cfr., tra gli altri,

A. NAsCOsI, Il giudizio di separazione consensuale, lo scioglimento consensuale delle unioni civili, il divorzio su domanda congiunta, in Diritto processuale di famiglia, a cura di A. GRAzIOsI, Torino, 2016, 132, a cui rinviamo per ulteriori riferimenti.

48 Sul punto, v., tra gli altri, anche per ulteriori riferimenti, NAsCOsI, op. cit., 132-133, in nota; LUPOI, op. cit., 4869; v. anche GIORdANO, op. cit., 719.

49 Cfr., tra gli altri, C.M. MANNA, op. cit., 38 ss., a cui rinviamo per ogni più ampio approfondimento e per ulteriori riferimenti; G. ChINÉ, M. FRATINI,

A. zOPPINI, Manuale di diritto civile, 7a ed., Roma, 2016, 293; A. dONATO, Accordi patrimoniali “atipici”, contenuti nel ricorso per separazione consensuale, in Fam. pers. succ., 2011, 131 ss., § 3, nota 5. In argomento, v. anche S. MEzzANOTTE, Separazione consensuale dei coniugi: il problema della revocabilità unilaterale del consenso prima della omologazione, in Giur. merito, 2007, 81 ss.

50 Cfr., tra gli altri, A. GRAzIOsI, La sentenza di divorzio, Milano, 1997, 243 ss., (il quale precisa che la scelta del rito camerale si correla alla sussistenza del consenso dei coniugi; in altri termini, tale consenso rileva sul piano del rito, nel senso che è stato reputato dal legislatore come requisito necessario e sufficiente per poter dar corso a un rito molto più rapido e certamente in sintonia con la comune volontà dei coniugi di far cessare il vincolo matrimoniale); CECChELLA, Diritto e processo, cit., 281 ss.; NAsCOsI, op. cit., 133-134, 168 ss.; C. MANdRIOLI, A. CARRATTA, Corso di diritto processuale civile, III, 16a ed., Torino, 2019, 269-270; contra, a favore della natura di giurisdizione volontaria, v., ad es., F. CIPRIANI, La riforma dei processi di divorzio e di separazione, in Riv. dir. proc., 1988, 419; F. dANOVI, Il processo di separazione e divorzio, Milano, 2015, 798; R. RUssO, La nuova legge sul divorzio: prime riflessioni su alcuni aspetti processuali, in Dir. fam. pers., 1988, 477; su questa linea, nella dottrina civilistica, v. ad es. T.V. RUssO, op. cit., 52 ss.

51 GRAzIOsI, op. cit., 247; v. anche NAsCOsI, op. cit., 170. Alla base di questa impostazione risiede la ricostruzione secondo la quale la situazione giuridica accertata dal tribunale a seguito dell’iniziativa congiunta dei coniugi, così come in caso di iniziativa unilaterale, è un diritto potestativo a esercizio processuale, che l’Autore citato sviluppa in maniera più ampia in altra parte dell’opera richiamata (cfr. GRAzIOsI, op. cit., 31 ss., spec. 92 ss.).

52 Cass. 7 dicembre 2011 n. 26365, in Riv. dir. proc., 2012, 1686, con nota di G. sAVI.

53 Cass. 14 ottobre 1995 n. 10763, in Fam. e dir., 1996, 135 ss., con nota di

F. TOMMAsEO, Divorzio su domanda congiunta e inconsumazione e in Nuova giur. civ. comm., 1996, 512 ss., con nota di F. CIPRIANI, Disco verde per il divorzio congiunto.

54 Cass. 19 settembre 2000 n. 12389, in Giur. it., 2001, 1127, con nota di

A. BELLIsARIO.

55 Benché sia impugnabile mediante reclamo ex art. 739 c.p.c. per vizi propri, ed anche revocabile, in base alle disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio, contenute negli artt. 737-742-bis c.p.c., ma non anche ricorribile in Cassazione ex art. 111 Cost.; per contro, all’accordo di separazione è applicabile in via estensiva la normativa sull’annullamento dei contratti per vizi del consenso (cfr., tra le altre, Cass. 22 novembre 2013 n. 26202).

56 Si pensi, ad esempio, all’omologazione del lodo rituale ex art. 825 c.p.c., finalizzata a far acquisire al dictum arbitrale l’esecutività (oltre che l’attitudine all’annotazione e alla trascrizione), e considerata attività di volontaria giurisdizione e non già decisoria (cfr., tra gli altri, F.P. LUIsO, Diritto processuale civile, V, 10a ed., Milano, 2019, 229; F. AULETTA, sub art. 825, in AA.VV., La nuova disciplina dell’arbitrato, a cura di S. MENChINI, Padova, 2010, 434 ss.).

57 V. ad es. Cass. n. 18066/2014 cit.

58 Cfr., per ogni più ampio approfondimento e per ulteriori riferimenti, S. MENChINI, Il giudicato civile, Torino, 2002, 175 ss.; S. MENChINI, A. MOTTO, sub art. 2909, in Commentario del codice civile, diretto da E. GABRIELLI, Della tutela dei diritti, III, a cura di G. BONILINI, A. ChIzzINI, Milano, 2016, 109 ss.

59 Come ricorda CECChELLA, Diritto e processo, cit., 286; v. anche CIRULLI, op. ult. cit., 82; G. OLIVIERI, Opposizione di terzo, in Dig. disc. priv., sez. civ., XIII, Torino, 1995, § 1; A. ChIzzINI, L’intervento adesivo, II, Struttura e funzione, Padova, 1992, 703. Nel sistema francese, all’interno del congegno normativo dedicato a la tierce opposition (artt. 582-592 Code de procédure civile), l’art. 583, tra l’altro, prevede espressamente che i creditori e gli altri aventi causa di una parte possono proporre opposizione di terzo contro la sentenza resa in frode dei loro diritti. L’opposizione di terzo è disciplinata anche nell’ordinamento belga, ove il Code judiciaire regola tale rimedio agli artt. 1122-1131; in particolare, per quanto maggiormente rileva ai fini della presente indagine, l’art. 1122 consente la proposizione dell’opposizione, tra gli altri, al creditore, in caso di frode del loro debitore.

60 V. J. NIEVA FENOLL, Derecho procesal II. Proceso civil, Madrid, 2015, 339, il quale descrive “los terceros afectados por la sentencia firme” come “los grandes olvidados de la regulación española”.

61 Spunti, tra gli altri, in C. ROsENdE VILLAR, Efectos directos y reflejos de la sentencia, in Revista Chilena de Derecho, 2001, 504-505; NIEVA FENOLL, op. cit., 285.

62 Cfr. ROsENdE VILLAR, op. cit., 504.

63 In argomento, anche per riferimenti, cfr. ChIzzINI, op. cit., 703, nota 508;

N. TROCKER, I limiti soggettivi del giudicato tra tecniche di tutela sostanziale e garanzie di difesa processuale (profili dell’esperienza giuridica tedesca), in AA.VV., Studi in onore di Enrico Allorio, I, Milano, 1989, 545 ss.

64 Cfr., ad es., ROsENdE VILLAR, op. loc. cit.

65 Cass. 11 ottobre 2006 n. 21813, in Fall., 2007, 277 ss., con il commento critico sopra citato di C. TRENTINI; Cass. 16 gennaio 1992 n. 497, in Vita notar., 1992, 558. Torneremo peraltro nel prossimo paragrafo su questa giurisprudenza, per soffermarci brevemente sul tema dell’intervento adesivo del creditore.

66 CECChELLA, Diritto e processo, cit., 286. La considerazione esposta nel testo, peraltro, ci porta ad escludere che, contrariamente all’ipotesi della separazione consensuale, in caso di disposizioni patrimoniali attuate in sede di divorzio su domanda congiunta sia esperibile da parte del creditore la tutela di cui all’art. 2929-bis c.c. Riteniamo, infatti, per un verso, che, come dispone il comma 1 dell’articolo citato, tale tutela sia invocabile in caso di atto del debitore (e la sentenza di divorzio non è tale); per altro verso, che non sia configurabile un’opposizione di terzo revocatoria all’interno di una opposizione all’esecuzione avviata dal soggetto esecutato, secondo la logica dell’inversione dell’iniziativa processuale, posto che, una volta che il creditore abbia contezza della contaminazione fraudolenta della sentenza inter alios che lo pregiudica sul piano della garanzia patrimoniale, deve necessariamente utilizzare il rimedio ex art. 404, comma 2, c.p.c., entro trenta giorni dalla scoperta del dolo o della collusione (sul punto v. F.P. LUIsO, Diritto processuale civile, II, 10a ed., Milano, 2019, 528: “l’opposizione di terzo revocatoria è lo strumento necessario per chi vuole sottrarsi all’efficacia della sentenza altrui, allegando la sussistenza del dolo o della collusione: infatti, in virtù del principio dell’onere dell’impugnazione, il dolo o la collusione non potrebbero essere utilizzati in via incidentale dal terzo per difendersi nel corso del successivo processo”.)

67 In tema, anche per ulteriori riferimenti, cfr., da ultimo, M. GROs, La remise en cause du divorce déjudiciarisé par le droit commun des contrats, in s. BERNARd, M. FARGE, Les mutations contemporaines du droit de la famille, Grenoble, 2020, 105; v. anche H. LÉCUyER, Action paulienne, tierce opposition et convention définitive dans le divorce sur requête conjointe, Dr. fam., 1998, chron. n. 3). Va peraltro ricordato che, nell’ordinamento francese, a seguito della riforma dovuta alla LOI n. 2016-1547 du 18 novembre 2016 de modernisation de la justice du 21e siècle, il divorzio consensuale è stato complessivamente “degiurisdizionalizzato” (salvo il caso in cui il minore, informato dai suoi genitori del suo diritto ad essere ascoltato dal giudice alle condizioni previste all’articolo 388-1 del Code civil, chieda tale audizione, laddove la richiesta congiunta di divorzio è sottoposta al vaglio giudiziale) [in argomento v. V. EGÉA, Le divorce par consentement mutuel sans juge en droit français, in AA.VV., Separarsi e divorziare senza giudice, a cura di C. BEssO, M. LUPANO, Milano, 2018, 61 ss.]. Coerentemente, sul piano della tutela dei terzi, gran parte della dottrina francese osserva che, a seguito della riforma de qua, per un verso, in mancanza di decisione giudiziaria, non è esperibile il rimedio dell’opposizione di terzo; per altro verso, nei confronti della convenzione di divorzio consensuale sono comunque proponibili le azioni di diritto comune, e dunque i creditori possono beneficiare dell’azione pauliana (v. ancora GROs, op. cit., 104 ss., anche per ulteriori riferimenti; v. anche M. MEKKI, Le divorce par consentement mutuel conventionnel à la lumière du droit commun des contrats. Et si c’était vrai…, Gaz. Pal., 21 mars 2017, n. 12, 16).

68 Si discute, casomai, sull’attitudine della sentenza che accolga la domanda congiunta di divorzio a passare, per così dire, subito in giudicato, per difetto di soccombenza delle parti. L’opinione prevalente opta per la soluzione affermativa, osservando che la sentenza acquista autorità di giudicato con il semplice deposito in cancelleria, e che, fermo il passaggio in giudicato del capo relativo allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, la sentenza è appellabile per i capi relativi alle condizioni di divorzio su cui il tribunale abbia deciso in maniera difforme rispetto quanto stabilito dai coniugi: cfr., tra gli altri, GRAzIOsI, op. cit., 255-256; NAsCOsI, op. cit., 171 ss.; LUPOI, op. cit., 4871-4872; F.P. LUIsO, Diritto processuale civile, IV, 10a ed., Milano, 2019, 335. In giurisprudenza, v. Cass. n. 18066/2014, cit.

69 Cass. 21 aprile 2015 n. 8096, in Foro it., 2015, 11, 1, 3628. Giova ricordare che, sempre secondo la Cassazione, quando la sentenza è ancora appellabile, gli eventuali motivi di revocazione possono essere fatti valere con l’appello, quale rimedio normale ed illimitato alla ingiustizia della decisione (cfr., tra le altre, Cass. 3 marzo 2001 n. 3104, in Mass. giur. it., 2001).

70 Cfr., tra gli altri, LUIsO, Diritto processuale civile, II, cit., 529; C. CONsOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, 11a ed., Torino, 2017, 649; C. MANdRIOLI, Diritto processuale civile, II, 18a ed., Torino, 2006, 568; C. MANdRIOLI, A. CARRATTA, Corso di diritto processuale civile, II, 16a ed., Torino, 2019, 325-326; BALENA, op. cit., 478; A. VILLA, L’opposizione di terzo, in AA.VV., Trattato “Omnia” di diritto processuale civile, II, a cura di L. dITTRICh, Torino, 2019, 2864; OLIVIERI, op. cit., § 14; C. CECChELLA, Sulla opposizione di terzo ordinaria proposta incidentalmente in un giudizio di opposizione di terzo revocatoria al lodo arbitrale e sulla equiparazione del lodo alla sentenza, in Riv. dir. proc., 2006, 1091 ss., § 3; ChIzzINI, op. ult. cit., 868, nota 167; A. GUALANdI, Frammenti sull’opposizione di terzo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1976, 1296; sul punto, amplius, anche per ciò che attiene alle differenze strutturali e di disciplina tra i due istituti, v. da ultimo CIRULLI, op. ult. cit., 82 ss.

Proprio con riferimento alle testé citate differenze, la Cassazione in più occasioni ha affermato che il carattere di impugnazione straordinaria dell’opposizione di terzo revocatoria conduce ad accogliere una nozione più restrittiva di “creditore” rispetto all’analoga nozione richiamata ai fini della legittimazione all’azione revocatoria, nel senso che per creditore, ai fini dell’impugnazione in questione, deve intendersi chi effettivamente rivesta tale qualità, pur se sottoposta a termine o a condizione, al momento della proposizione di essa; in altri termini, è necessario che il credito dell’opponente sia certo e non meramente eventuale (Cass. 13 marzo 2017 n. 6378; Cass. 23 maggio 2006 n. 12144). Inoltre, si ritiene che non sia invece necessario che il credito sia sorto in epoca precedente al giudizio nel quale è stata emessa la sentenza impugnata (Cass. 9 aprile 1979 n. 2021, in Giur. it., 1980, 932, con nota di M. MONTELEONE; OLIVIERI, op. loc. cit.).

71 Cfr., tra gli altri, LUIsO, Diritto processuale civile, II, cit., 531; OLIVIERI, op. loc. cit.; PROTO PIsANI, op. cit., 371; CIRULLI, op. ult. cit., 83. Su questo piano, pare utile aggiungere che in sede di divorzio è ben possibile – ex art. 5, comma 8,



898/1970 – che su accordo delle parti la corresponsione dell’assegno di mantenimento avvenga in unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal tribunale. In parte qua, vale la pena ricordare che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, ancorché per la diversa ipotesi della separazione consensuale, non costituisce una preclusione all’esperimento dell’azione revocatoria la circostanza che il trasferimento immobiliare o la costituzione del diritto reale minore siano stati pattuiti in funzione solutoria dell’obbligo di mantenimento, posto che nel caso prospettato l’azione revocatoria non pone in discussione la sussistenza dell’obbligo in sé, quanto piuttosto le modalità di assolvimento del medesimo (v. retro, § 3 e nota 15); probabilmente si tratta di un assunto che, mutatis mutandis, può trovare applicazione anche nella prospettiva dell’opposizione di terzo revocatoria avverso la sentenza di divorzio su domanda congiunta.

72 LUIsO, op. loc. ult. cit.

73 LUIsO, op. ult. cit., 529; OLIVIERI, op. cit., § 17; VILLA, op. cit., 2857.

74 Cfr. CIRULLI, op. cit., 96-97; F. ROsELLI, I mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, 2a ed., Torino, 1997, 289; sullo specifico tema dell’interesse del creditore a far valere la simulazione v., da ultimo, M.A. COMAsTRI, L’azione di simulazione proposta dal terzo. Presupposti, funzione e oggetto, Pisa, 2018, 92 ss., a cui rinviamo anche per ulteriori riferimenti.

75 Cfr. ad es. LUIsO, op. ult. cit., 530 ss.; VILLA, op. cit., 2857.

76 Cfr. ad es. CIRULLI, op. cit., 85-86; BALENA, op. loc. cit.; GUALANdI, op. cit., 1314.

77 Cfr. S. sATTA, Commentario al codice di procedura civile, II, 2, Milano, 1966, 366.

78 V. ad es. E. LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, II, 4a ed., Milano, 1984, 391.

79 Cfr. C.A. NICOLETTI, Opposizione di terzo, in Enc. dir., XXX, Milano, 1980, 509; OLIVIERI, op. loc. cit.

80 CIRULLI, op. cit., 85; LUIsO, op. ult. cit., 530, il quale discorre di alterazione fraudolenta, con il mezzo processuale, della realtà sostanziale a danno del terzo; VILLA, op. loc. cit.; BALENA, op. cit., 479; CONsOLO, op. cit., 649; GUALANdI, op. cit., 1315; cfr. anche G. dELLA PIETRA, Opposizione di terzo: lo stato dell’arte, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2014, 1102.

81 Cfr. Cass. 17 maggio 1980 n. 3243, in Giust. civ., 1980, 1, 2913; nella giurisprudenza di merito, ai fini del riscontro della collusione, ha dato rilievo alla condotta anche non processuale Trib. Brescia 1° febbraio 1986, in Foro it., 1987, I, 271, con nota di V. COCChI. Del resto, la rilevanza, nell’ottica dell’accoglimento dell’opposizione revocatoria, di un accordo o di una condotta collusiva anteriore al procedimento, è rappresentata anche dalla casistica afferente all’opposizione di terzo ex art. 656 c.p.c. di un decreto ingiuntivo (divenuto esecutivo) ottenuto da un terzo contro il debitore dell’opponente sulla base di un negozio e di titoli cambiari simulati (Cass. 20 maggio 2011 n. 11259).

82 Cass. 14 maggio 1990 n. 4123. Cfr. anche Cass. 27 febbraio 2004 n. 4008; Cass. 11 dicembre 2020 n. 28311. Sul rapporto di causalità tra gli artifizi delle parti e la pronuncia v. anche App. Bari 13 dicembre 2010 n. 1203, in Giurisprudenzabarese.it 2011. In dottrina, sul punto, v., tra gli altri, OLIVIERI, op. cit.,

§ 17. In parte qua, pare significativo quanto disposto dall’ultimo comma dell’art. 1122, alinea 3, del Code judiciaire belga, secondo il quale può essere invocata soltanto la frode commessa nel corso del procedimento.

83 Cfr. CIRULLI, op. cit., 87, a cui rinviamo per ulteriori riferimenti.

84 Ad esempio, secondo CIRULLI, op. cit., 87-88, e ivi ulteriori riferimenti, la differenza fondamentale tra l’opposizione di terzo revocatoria e l’azione revocatoria è che la prima è rivolta contro una sentenza che, oltre che pregiudizievole per i creditori, è intrinsecamente ingiusta, mentre la seconda ha per oggetto un atto pregiudizievole, espressione di autonomia privata, di per sé non valutabile in termini di ingiustizia; rimarcava l’erroneità della sentenza anche GUALANdI,



op. cit., 1316; al contrario, secondo LUIsO, Diritto processuale, II, cit., 531, non vi è alcuna necessità che il terzo dimostri che la sentenza è ingiusta; v. anche C. CECChELLA, L’opposizione di terzo alla sentenza, Torino, 1995, 184.

85 Cass. 20 novembre 2003 n. 17607, in Fam. dir., 2004, 473 ss., con nota di

G. CONTE; Cass. 12 settembre 2014 n. 19319, in Foro it., 2014, I, 3455, la quale aggiunge che “occorre invero considerare che nel momento in cui i coniugi convengono, nello spirito e nella prospettiva della loro intesa simulatoria, di chiedere al Tribunale l’omologazione della loro (apparente) separazione esse in realtà concordano nel voler conseguire il riconoscimento di uno “status” dal quale la legge fa derivare effetti irretrattabili tra le parti e nei confronti dei terzi, salve le ipotesi della riconciliazione e dello scioglimento definitivo del vincolo”.

86 Cfr. G. OBERTO, La natura dell’accordo di separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili, II, in Fam. e dir., 2000, 86 ss., § 8; Trib. Verona 15 novembre 2002, in Giur. merito, 2003, 1978; App. Bologna 17 maggio 2000, in

Foro it., 2000, I, 3136 ss.; anche Cass. 20 marzo 2008 n. 7540, seppur obiter, sembra aver ammesso la possibilità che l’accordo di separazione possa essere affetto da simulazione.

87 F. dANOVI, La cassazione torna a negare rilievo alla simulazione della separazione: ma per quanto ancora?, in Fam. e dir., 2015, 331 ss., § 2.

88 Cfr., ancora, dANOVI, op. ult. cit., § 4; v. anche CECChELLA, Diritto e processo, cit., 267 ss.

89 Cass. 30 agosto 2019 n. 21839; in dottrina v. AL MUREdEN, op. cit., 127-128.

90 Del resto, la dottrina (sopra citata) favorevole all’azione di simulazione da parte dei creditori avverso la separazione consensuale, ha altresì osservato che, ove la separazione sia stata pronunciata con sentenza, il rimedio potrebbe essere quello dell’opposizione di terzo revocatoria (dANOVI, op. loc. ult. cit.).

91 Cfr. GUALANdI, op. cit., 1298; CECChELLA, Diritto e processo, cit., 286.

92 Cfr. ad es. Cour de cassation 15 mai 2015, F-P+B, n. 14-10.501, in www. dalloz-actualite.fr del 3 giugno 2015, con nota di M. KEBIR, Convention de divorce homologuée: fraude et tierce opposition recevable.

93 Sulla rilevanza, tra l’altro, del rapporto familiare ai fini della collusione, v., ad es., Trib. Brescia 1° febbraio 1986, cit.

94 Quanto all’opposizione di terzo del creditore avverso la sentenza di omologazione della convenzione di divorzio, la giurisprudenza francese è stata chiara nell’affermare che il riscontro della frode presuppone che sia accertata la conoscenza da parte del debitore del danno causato al creditore (Cour de cassation 15 mai 2015, cit.). Non pare inoltre vano segnalare che, in tema di azione revocatoria, secondo una parte della dottrina civilistica, la consapevolezza del debitore di ledere, in conseguenza dell’atto di disposizione, la garanzia del creditore è in sostanza presupposta, poiché sussisterà ogniqualvolta è ravvisabile il periculum damni (F. GAzzONI, Manuale di diritto privato, 14a ed., Napoli, 2009, 686).

95 Sul piano del regime, invece, come vedremo più avanti, l’opposizione di terzo sconta la brevità del termine decadenziale, rispetto al quinquennio della prescrizione dell’azione pauliana.

96 Parallelamente, a nostro avviso, nell’ottica dell’opposizione di terzo revocatoria, qualora il credito sorga dopo la sentenza, il terzo opponente deve dimostrare la preordinazione dolosa del debitore (se del caso, di concerto con l’altro coniuge) [in argomento, per un rilievo generale, cfr. OLIVIERI, op. cit., § 14, il quale osserva che non può essere preclusa la proposizione dell’opposizione revocatoria al creditore che abbia assunto tale qualità dopo la sentenza e aggiunge che questi, naturalmente, per vedere accolta l’opposizione, dovrà offrire la non facile prova che il giudizio fraudolento era stato preordinato alla diminuzione della garanzia patrimoniale del debitore in vista dell’assunzione di obbligazioni future].

97 Anche in parte qua, a nostro avviso, deve valere il rilievo, costantemente applicato all’azione revocatoria, secondo il quale a fondamento della pretesa del creditore non occorre la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito, che può consistere non solo in una variazione quantitativa del patrimonio del debitore, ma anche in una modificazione qualitativa di esso (in giurisprudenza cfr., tra i provvedimenti più recenti, ex multis, Trib. Cuneo 8 ottobre 2020, in Mass. redaz., 2020; App. L’Aquila 19 novembre

2020, ivi 2020; Cass. 12 dicembre 2014 n. 26151; Cass. 25 settembre 2019 n. 23907). A questo proposito, in merito alla pauliana, in dottrina si discorre di periculum damni, per evidenziare che in realtà l’art. 2901 c.c. richiede questo e non già il danno in atto, ossia l’eventus damni (cfr. GAzzONI, op. loc. cit.).

98 CIRULLI, op. cit., 97-98, a cui rinviamo per ulteriori riferimenti.

99 Il dato non è revocabile in dubbio [cfr. Cass. 11 giugno 2018 n. 15077; Cass. 22 agosto 2007 n. 17867, la quale spiega che l’unica differenza tra la proposizione delle due domande in via alternativa, piuttosto che in via subordinata una all’altra, è esclusivamente nella circostanza che nel primo caso l’attore rimette al potere discrezionale del giudice valutare le pretese fatte valere sotto una species iuris piuttosto che l’altra, mentre nel secondo richiede, espressamente, che il giudice, prima valuti la possibilità di accogliere una domanda, e solo nella eventualità che questa risulti infondata (o, comunque, non accoglibile) esamini l’ulteriore richiesta; in dottrina v. CIRULLI, op. cit., 99].

100 C. COssU, Revocatoria ordinaria (azione), in Dig. disc. priv., sez. civ., XVII, Torino, 1998, 457 ss., § 9, il quale aggiunge che in entrambe le ipotesi si finisce con il fare leva sugli identici fatti, per dedurre analoghe presunzioni, nel senso che i fattori capaci di accreditare la tesi dell’accordo simulatorio non sono poi tanto diversi da quelli significativi per la prova del consilium fraudis; v. anche GAzzONI, op. cit., 682, ove si afferma che se il creditore ignora la simulazione o comunque non è in grado di provarla, potrà agire, se ne ricorrono le condizioni, con la revocatoria, essendo l’atto simulato, nei confronti dei terzi, efficace fino a sentenza contraria.

101 GAzzONI, op. cit., 683; COssU, op. loc. cit., e nota 62, ove richiama la possibilità della contestuale proposizione delle due azioni sia pure in via subordinata l’una all’altra od in via alternativa; Cass. 14 gennaio 1982 n. 238, in Giur. it., 1982, I, 1, 1771.

102 Cfr. LUIsO, Diritto processuale civile, II, cit., 300 ss., in riferimento, in generale, alle impugnazioni straordinarie.

103 Cfr., tra le altre, Cass. 24 maggio 1999 n. 5026, in Fall., 2000, 481; App. Lecce 6 novembre 2015 n. 460, in Mass. redaz., 2015.

104 Si tenga, del resto, conto che la legge, in mancanza dei presupposti specifici per la revocatoria fallimentare, consente al curatore di esercitare l’azione revocatoria ordinaria, domandando che siano dichiarati inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori secondo le norme del codice civile, ossia ove siano integrati gli elementi di cui all’art. 2901 c.c. (artt. 66 l.fall. e 165 c.c.i.i.). E proprio su quest’ultimo profilo mette conto segnalare che, nell’ottica dell’azione pauliana proposta dal curatore, non si distingue tra dolo generico e dolo specifico a seconda della anteriorità o posteriorità del credito rispetto all’atto di disposizione, posto che la tutela è rivolta alla massa indistinta dei creditori – sia anteriori, sia posteriori –, pertanto rileva sempre il dolo generico (Cfr. CECChELLA, Il diritto della crisi dell’impresa e dell’insolvenza, cit., 284).

105 LUIsO, Diritto processuale civile, II, cit., 536; BALENA, op. cit., 479; dELLA PIETRA, op. cit., 1104 e nota 69 per riferimenti giurisprudenziali.

106 Cfr., più di recente, tra gli altri, E. VULLO, I procedimenti in camera di consiglio, in AA.VV., Trattato “Omnia” di diritto processuale civile, IV, a cura di L. dITTRICh, Torino, 2019, 4944 ss.; amplius, G.N. NARdO, Rito camerale ed “ingiusto” processo, Pisa, 2020, 11 ss.; per una rassegna dei giudizi camerali su diritti v. A. CARRATTA, Processo camerale (dir. proc. civ.), in Enc. dir., Annali, III, Milano, 2010, 950 ss. In tema v. anche PROTO PIsANI, op. cit., 679 ss.

107 VULLO, op. cit., 4947.

108 C. MANdRIOLI, A. CARRATTA, Corso di diritto processuale civile, III, 16a ed., Torino, 2019, 240; VULLO, op. cit., 4955. Controinteressati, nel caso dell’opposizione di terzo revocatoria avverso la sentenza di divorzio su domanda congiunta, sono entrambi i coniugi.

109 MANdRIOLI, CARRATTA, op. ult. cit., 241.

110 In giurisprudenza cfr. Cass. 13 marzo 2017 n. 6378; Cass. 3 dicembre 2015 n. 24631; Cass. 27 giugno 1988 n. 4324, in Giust. civ., 1989, I, 2175, con nota di M. zUMPANO. In dottrina, tra i contributi più recenti v., tra gli altri, CIRULLI, Profili processuali, cit., 89 ss.; MURONI, op. cit., 887; nella dottrina più risalente v. L. MORTARA, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, IV, Milano, s.d., 536, nota 1. Altri autori, pur riconoscendo che, in linea generale, l’opposizione revocatoria, se accolta, determina la rescissione della sentenza tra le parti originarie, avanzano qualche dubbio, in ipotesi di accoglimento dell’opposizione proposta dai creditori, circa l’idoneità di tale impugnazione a rescindere totalmente la sentenza resa tra le parti originarie o solo a rendere inefficace la sentenza de qua nei confronti del creditore, sulla falsariga di quanto previsto dalle norme sull’azione revocatoria (cfr., ad es., PROTO PIsANI, op. cit., 542).

111 Nell’ambito dei contributi meno risalenti, cfr., tra gli altri, MANdRIOLI, Diritto processuale civile, II, cit., 570-571, secondo il quale, in linea di massima, “la sentenza che definisce il giudizio sull’opposizione di terzo lascia integro il giudicato formatosi tra le parti; ma questo principio trova il suo limite nell’incompatibilità col rapporo così come accertato dalla sentenza in sede di opposizione”; MANdRIOLI, CARRATTA, Corso di diritto processuale civile, II, cit., 327; CECChELLA, L’opposizione, cit., 194; CONsOLO, op. cit., 649; secondo VILLA, op. cit., 2868-2869, alla luce del parallelismo con l’azione di cui all’art. 2901 c.c., la pronuncia di accoglimento dell’opposizione di terzo dovrebbe rendere inefficace l’impugnato provvedimento soltanto rispetto al terzo; nella dottrina più risalente v., tra gli altri, G. ChIOVENdA, Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1912, 1015 ss.; G. BENETTIN, Appunti in tema di opposizione di terzo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1950, 440; E. ALLORIO, La cosa giudicata rispetto ai terzi, Milano, 1935, 310; per ulteriori riferimenti, v. CIRULLI, op. ult. cit., 90, in nota.

112 LUIsO, Diritto processuale civile, II, cit., 532 ss., il quale aggiunge che l’eventuale nuova decisione (circa la situazione sostanziale già fatta valere nel processo che ha portato alla sentenza opposta e annullata) non può che avere effetti in primis fra i titolari della situazione stessa, giacché la nuova decisione consegue alla domanda di uno di costoro o dell’opponente, il quale ha legittimazione straordinaria a far valere in giudizio il diritto del suo debitore; v. anche dELLA PIETRA, op. cit., 1102-1103; M. zUMPANO, Sugli effetti della sentenza che accoglie l’opposizione di terzo ex art. 404, comma 2, c.p.c., in Giust. civ., 1989, I, 2180 ss., ad avviso della quale il legislatore non ha prestabilito l’ambito di efficacia della pronuncia di opposizione per consentire un adattamento alle varie esigenze dei singoli casi (così, se il pregiudizio arrecato al creditore è analogo a quello che può prodursi con un atto di disposizione, allora può bastare la dichiarazione di inefficacia relativa; in altri casi, ove emergono per il terzo dei vincoli di dipendenza più intensi rispetto a quelli che si realizzano tra il creditore agente in revocatoria e l’atto di alienazione compiuto dal debitore in frode ai suoi diritti, occorre rimuovere la pronuncia resa tra le parti originarie, posto che altrimenti l’opposizione non raggiungerebbe lo scopo di tutela del terzo); OLIVIERI, op. cit., § 18, secondo cui “il contenuto della sentenza di accoglimento dell’opposizione revocatoria (e il collegato problema della limitazione o meno della tutela al rescindente) non può essere determinato in via astratta ma deve tener conto della situazione concreta dedotta in giudizio dal terzo”.

113 Vale la pena ricordare che Cass. sez. un. n. 21761/2021, cit., pur avendo ammesso la possibilità che in sede di separazione consensuale e di divorzio su domanda congiunta sia attuato direttamente il trasferimento immobiliare, ha tenuto a precisare che resta del tutto incontroversa l’ammissibilità della sola assunzione dell’obbligo al trasferimento.

114 CECChELLA, Diritto e processo, cit., 288, il quale aggiunge che, nel caso in cui la sentenza da opporre sia di secondo grado, allora è necessario formulare l’opposizione davanti al giudice del secondo grado e contemporaneamente agire con l’azione revocatoria davanti al giudice di primo grado (con conseguenziale sospensione del processo dinanzi a quest’ultimo, in attesa dell’esito del giudizio di opposizione).

115 V., ancora, CECChELLA, op. ult. cit., 277. Il rilievo esposto nel testo – e cioè che sul piano della tutela giudiziale dell’obbligazione di trasferire è concessa, in caso di rifiuto dell’obbligato, l’azione ex art. 2932 c.c. – trova, invero, il consenso generalizzato della giurisprudenza e della dottrina [cfr., tra le più recenti, Cass. 5 luglio 2018 n. 17612, cit.; in dottrina, v., tra gli altri, A. ChIANALE, Obbligazioni di dare e atti traslativi solvendi causa, in Riv. dir. civ., 1989, II, 238; OBERTO, Gli accordi patrimoniali, cit., § 12, al quale rinviamo per ulteriori riferimenti).

116 Cass. 13 maggio 2008 n. 11914, cit.

117 Cass. 6 ottobre 2020 n. 21358, cit.; v. anche Cass. 5 luglio 2018 n. 17612, cit.

118 V., ancora, Cass. 11914/2008, cit., la quale esprime quando indicato nel testo in termini piuttosto chiari. Inoltre, Cass. 6 ottobre 2020 n. 21538, cit., pur negando che la volontà espressa nell’accordo di separazione di trasferire un bene integri un contratto preliminare, afferma testualmente che “è ammissibile l’azione revocatoria ordinaria del trasferimento di immobile, effettuato da un genitore in favore della prole in ottemperanza ai patti assunti in sede di separazione consensuale omologata, poiché esso trae origine dalla libera determinazione del coniuge e diviene ‘dovuto’ solo in conseguenza dell’impegno assunto in costanza dell’esposizione debitoria nei confronti di un terzo creditore, sicché l’accordo separativo costituisce esso stesso parte dell’operazione revocabile e non fonte di obbligo idoneo a giustificare l’applicazione dell’art. 2901 c.c., comma 3”. Par di capire, insomma, che il ragionamento della Cassazione espresso nella pronuncia da ultimo citata sia più che altro teso a rimarcare l’insussistenza, nella specie, di una ipotesi di esenzione da revocatoria ai sensi dell’art. 2901, comma 3; in questo ordine di idee, l’azione revocatoria è esperibile nei confronti dell’atto di trasferimento, il quale fa parte di un’operazione complessiva che trae origine da un impegno liberamente assunto, sicché esso – salva ovviamente la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 2901 c.c. – non può essere esente da revoca quale atto dovuto (in termini analoghi, v. anche Cass. 5 luglio 2018 n. 17612, cit.).

119 Per la precisione, secondo la S.C., per un verso, la stipulazione di un negozio definitivo costituisce l’esecuzione doverosa di un pactum de contrahendo (validamente posto in essere e a cui il promissario non potrebbe unilateralmente sottrarsi) e, come tale, non soggetto a revoca, ai sensi dell’art. 2901 c.c., comma 3, c.c.); per altro verso, la regola dell’irrevocabilità del negozio definitivo – il quale rappresenta l’atto dispositivo che determina il pregiudizio – deve però essere esclusa nell’ipotesi in cui venga provato il carattere fraudolento del negozio preliminare con cui il debitore abbia assunto l’obbligo poi adempiuto (Cass. 15 ottobre 2004 n. 20310, in Impresa, 2005, 1, 114; Cass. 16 aprile 2008 n. 9970, in Obbl. e contr., 2008, 483, con nota di L. RUBINO; Cass. 20 agosto 2009 n. 18528, in Imm. e propr., 2009, 732; Cass. 12 giugno 2018 n. 15215). Inoltre, sempre secondo la Cassazione, il contratto preliminare di vendita di un immobile non produce effetti traslativi e, conseguentemente, non è configurabile quale atto di disposizione del patrimonio, assoggettabile all’azione revocatoria ordinaria, che può, invece, avere ad oggetto l’eventuale contratto definitivo di compravendita successivamente stipulato; pertanto, dal punto di vista del creditore, la sussistenza dell’eventus damni va accertata con riferimento alla stipula del contratto definitivo, mentre l’elemento soggettivo richiesto dall’art. 2901 c.c. in capo all’acquirente va valutato con riguardo al momento della conclusione del contratto preliminare (cfr., da ultimo, Cass. 26 giugno 2019 n. 17067). In dottrina, sul punto, v., tra gli altri, GAzzONI, op. cit., 685.

120 Cfr. Cass. 20 agosto 2009 n. 18528, cit.; Cass. 12 giugno 2018 n. 15215, cit.

121 Cass. 13 maggio 2008 n. 11914, cit.