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Emergenza sanitaria e scrittura giuridica: spunti di riflessione

autore: B. M. Lanza

Sommario: 1. L’uso dell’antilingua negli scritti giuridici e l’utilizzo del protocollo quale misura difensiva. 2. L’antilingua nel diritto di famiglia. Le derive dell’emotività. 3. La sinteticità e pertinenza come presupposto per l’efficacia degli atti. 4. Rapporto tra emergenza Covid ed atti processuali; il passaggio dalla trattazione orale a quella scritta. 5. Conclusioni.



1. L’uso dell’antilingua negli scritti giuridici e l’utilizzo del protocollo quale misura difensiva



Anche per i giuristi scrivere bene è un’arte ed il recente periodo emergenziale, con il proliferare della trattazione scritta, potrebbe contribuire a renderla più efficace, concorrendo a ridurre i tempi processuali quando nei procedimenti in materia di famiglia la trattazione orale possa apparire superflua.

Riflettere sulla trattazione scritta impone una considerazione più generale sulla scrittura giuridica nella quale si è registrata finora la tendenza all’utilizzo di forme espressive ridondanti, celebrative e dove la quantità diviene, a torto, sinonimo di qualità1. Infatti, in questa direzione molti professionisti del diritto, avvocati, magistrati, ma anche notai e burocrati, hanno attribuito al linguaggio giuridico una sacralità che, anziché avvicinare il cittadino alla giustizia, lo ha allontanato segnando una distanza tra chi la amministra ed i destinatari degli effetti.

Un autorevole studioso della lingua italiana come Calvino ha orientato una parte delle proprie indagini allo studio della scrittura giuridica che definisce efficacemente l’antilingua. Secondo lo scrittore, il giurista davanti ad ogni vocabolo che abbia in sé un significato oggettivo viene colto dal terrore semantico che lo porta ad esprimersi in modo contorto, utilizzando perifrasi di stampo tecnico burocratico2. Una modalità di comunicazione che rende questa forma espressiva poco chiara per l’ascoltatore, relegato ad una posizione di inferiorità rispetto a chi assume un indiscutibile potere3. L’abitudine all’uso di un linguaggio involuto, faticoso ma altisonante, si acquisisce sin dai tempi dell’università e si consacra con l’esercizio della professione. Il singolo, aderendo a questo lessico, sente di appartenere ad un gruppo, ad una corporazione che si identifica con uno strumento linguistico4.

Le censure che nel tempo si sono avvicendate hanno colto nel segno e lo dimostrano i molti protocolli, particolarmente reattivi all’uso dell’antilingua, sintesi della dialettica tra magistratura ed avvocatura che hanno individuato regole virtuose per la redazione degli atti. Alcuni di questi documenti hanno descritto le condotte che affaticano gli atti processuali, invitando a non cadere in ripetizioni, espressioni gergali, forme passive, curando addirittura la punteggiatura e la precisione lessicale, suggerendo la preferenza per frasi brevi e per una sintassi semplice ed agile rispetto ad espressioni lunghe con incisi, divagazioni e molte subordinate5.

Altri hanno fornito indicazioni concrete sulla stesura degli atti prevedendo come il testo debba essere avalutativo, contenere deduzioni formulate per articoli separati e distinti, progressivamente numerati6, se non addirittura elaborando dei modelli da utilizzare nella pratica7.

Si tratta ora di capire come nell’evoluzione del sistema processuale, caratterizzato nella pratica dal prevalere della scrittura sull’oralità, il sistema emergenziale possa aver concorso ad una riduzione dei tempi, richiamando indirettamente i principi che dovrebbero sostenere la sinteticità degli atti.



2. L’antilingua nel diritto di famiglia. Le derive dell’emotività



Nell’ambito del diritto di famiglia non è infrequente si associno a perifrasi involute e alle formule sacramentali, contenuti largamente emotivi, giudizi e valutazioni che rendono lo scritto giuridico poco chiaro ed incapace di cogliere gli obiettivi. In questo particolare ramo del diritto, si registra la tendenza alla narrazione più che all’esposizione, trascurando il richiamo di un brocardo, abusato nelle citazioni ma di fatto non praticato, dabo mihi factum dato tibi ius. Lo sforzo dell’estensore dell’atto dovrebbe muovere da una rigorosa pianificazione di argomentazioni e concetti, in modo che la piena comprensibilità dell’oggetto del processo, che si realizza con una domanda chiara, diventi strumentale alla qualità della risposta fornita dalla giustizia8.

Nella prassi, invece, capita spesso che vengano associati contenuti narrativi e motivazioni in diritto addirittura alle conclusioni che costituiscono una delle espressioni più tecniche di un atto difensivo e tali da disorientare gli interlocutori9.

La rappresentazione di una vicenda familiare dovrebbe, invece, essere il frutto di una logica sequenza di avvenimenti, un’oggettiva ricostruzione e non l’espressione di una soggettiva percezione. Il compito del legale non è giudicare ma rappresentare una realtà per arrivare al giudizio senza rimanere, come accade, invischiati nella tensione tra due concetti opposti buono e cattivo, giusto ed ingiusto10. In questo modo ad un linguaggio carico di stereotipi, circonlocuzioni ridondanti, abuso delle subordinate11, si associa un’esposizione che, anziché lasciare la valutazione al giudicante, utilizza una narrazione condotta con pretese letterarie e condita di luoghi comuni, brocardi spinti all’eccesso, affermazioni del tutto inadeguate12 e poco pertinenti alla domanda. In un groviglio di complessità, l’obiettivo che l’atto persegue, quindi, viene liquefatto dall’uso improprio delle parole.



3. La sinteticità e pertinenza come presupposto per l’efficacia degli atti



Nel panorama giudiziario non sono mancati numerosi richiami alla sinteticità ed alla chiarezza degli atti da parte della giurisprudenza di merito13 e di legittimità14.

Non giova alla chiarezza, ad esempio, riprodurre negli atti processuali l’integrale contenuto di quelli precedenti, anche in forma riassuntiva; questo significherebbe lanciare all’interlocutore, giudice o controparte, un evidente messaggio di sfiducia rispetto alla lettura degli atti precedenti. Ma nemmeno utile risulta l’inclusione nel corpo del testo di documenti che, anziché essere allegati, vengono strutturati all’interno dell’atto concorrendo all’estensione, ma non ad una efficace comunicazione di quello che si vuole rappresentare e delle domande.

Un difetto, questo, che stravolge non solo gli atti introduttivi dei giudizi in materia di famiglia in senso lato, ma anche quelli particolarmente tecnici come dovrebbero essere le memorie ex art. 183, VI com. n. 2 c.p.c. Ad esempio, non è inusuale che proprio in queste ultime l’esposizione non sia limitata alla replica sulle domande o eccezioni di cui alla memoria numero 1, nonché all’indicazione dei mezzi di prova ed alla produzione documentale, ma divenga l’ennesima occasione per riprodurre difese già espletate negli atti precedenti, tese ad avvalorare la propria domanda15.

Tale modalità appesantisce lo scritto ed impone all’avversario l’obbligo di provvedere ex art. 115, I com. c.p.c.; conseguentemente, impone lo svolgimento di attività difensiva ulteriore di cui si dovrà tener conto anche ai fini della decisione e della condanna alle spese di lite16, se non addirittura una condanna ex art. 96 c.p.c.



4. Rapporto tra emergenza Covid ed atti processuali in materia di diritto di famiglia; il passaggio dalla trattazione orale a quella scritta



In piena emergenza Covid l’utilizzo di atti scritti e di formule rituali sostitutive della trattazione orale è stato rafforzato. Sono fioriti numerosi protocolli tra Tribunali ed Ordini Professionali oltre ad alcune, ragionevolmente criticate, linee guida17. Si è trattato, in genere, di regolamentazioni pratiche delle disposizioni introdotte con le norme di emergenza e che, oltre alla trattazione delle udienze da remoto, hanno previsto la possibilità di sostituire alla trattazione orale quella scritta.

L’esempio più evidente concerne le procedure a domanda congiunta di separazione, divorzio e modifica delle relative condizioni dove nei diversi tribunali, per giustificare l’assenza delle parti18, sono state utilizzate formule di rito con differenti estensioni e contenuto. In genere le dichiarazioni più diffuse che dovrebbero accompagnare il testo dell’accordo richiedono la rinuncia, sottoscritta anche personalmente dalle parti, alla comparizione personale in udienza, nonché l’ulteriore dichiarazione di non volersi riconciliare e nel caso di divorzio di non aver ripreso la convivenza con l’altro coniuge a decorrere dalla data dell’avvenuta separazione.

In alcuni casi, tuttavia, avvocatura e magistratura non hanno ritenuto sufficiente esprimere la mancanza di interesse per la riconciliazione19, ma hanno richiesto un’ulteriore integrazione per rafforzare la validità della decisione assunta, esonerando in qualche misura il legale da responsabilità per la mancata informativa. Si è richiesto, infatti, che le istanze contenessero espressioni rituali in cui la parte dichiarasse di avere avuto notizia dal proprio legale delle norme processuali che prevedono l’obbligo di partecipazione all’udienza, di aver scelto di non presenziare in udienza e che tale decisione sia avvenuta liberamente e senza costrizioni20.

Questa modalità operativa ha avvicinato, nella prassi giudiziaria, la separazione ed il divorzio a domanda congiunta alla negoziazione assistita introdotta con il d.l. n. 132/2014 convertito in l. n. 162/2014 e che, prescindendo dal deposito di un ricorso innanzi al Tribunale e dalla necessità della comparizione delle parti innanzi al Giudice, ha introdotto un percorso sicuramente più veloce e agevole. La prospettiva, nella citata procedura, era quella di introdurre un canale alternativo di risoluzione delle controversie in tema di separazione, divorzio e delle modifiche congiunte delle relative pattuizioni, anche alleggerendo il carico giudiziario, caratterizzato dalla sostituzione dell’attività del Giudice con quella di due o più avvocati in funzione di garanti della correttezza e legalità del percorso negoziale intrapreso. La normativa, quindi, ha pragmaticamente reso possibile superare la barriera della comparizione attribuendo alla procedura un notevole grado di agilità.

Prassi che, anche prima dell’emergenza, molti tribunali applicavano già ai ricorsi a domanda congiunta ex art. 337-ter c.c. per l’esercizio della responsabilità genitoriale, trattando il relativo procedimento senza la comparizione personale delle parti21.

L’emergenza sanitaria dunque ha avuto, limitatamente a questo aspetto, una funzione deflattiva analoga agli accordi di negoziazione assistita.

Inoltre, ha permesso di privilegiare la trattazione scritta laddove la discussione orale poteva, in un’ottica di celerità, essere superata da concise note scritte, su istanza congiunta delle parti; si pensi, ad esempio nei procedimenti giudiziali di separazione o divorzio, alla prima udienza ex art. 183 c.p.c. che si svolge avanti il giudice istruttore e nei quali si è registrata la tendenza a richiedere l’emanazione di una sentenza non definitiva di separazione o divorzio, con contestuale rimessione in istruttoria per ottenere i termini di cui all’art. 183, VI comma, c.p.c. In questo modo è stato permesso alle parti, che ne avessero fatto richiesta, di ottenere il medesimo risultato senza discussione orale, nel particolare caso generalmente inutile.

Ed ancora si pensi alla discussione in ordine ai mezzi di prova ed alla possibilità di riservarla alla trattazione scritta con notevole risparmio di tempo, laddove ovviamente gli scritti già dimessi abbiano esaurito i temi e e ne convengano i legali. Si tratta delle ipotesi in cui i richiamati principi di sinteticità e chiarezza22, ma anche e soprattutto di pertinenza23, dovrebbero imporre per questo specifico incombente, ossia le note di trattazione scritta, che le parti si limitino ad osservazioni tecniche sul presupposto di aver già esaurito tutte le principali altre questioni nei precedenti atti.

Va comunque rilevato come alcune linee Guida24 abbiano correttamente dato anche puntuali criteri da rispettare sulla forma delle note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, suggerendo la lunghezza massima e indicativa di due pagine, il formato da rispettare (Times New Roman), la dimensione (12) e la spaziatura (1,5). È assolutamente apprezzabile l’indirizzo dato dal tribunale catanese perché l’osservanza anche della forma diviene indirettamente rispetto del contraddittorio attraverso l’attribuzione a tutti interlocutori dello stesso strumento.



5. Conclusioni



È evidente che nell’attuale contesto emergenziale qualche deriva è possibile specie con riguardo alle note scritte che dovrebbero sostituirsi alla trattazione orale, dove previste e concordate; questo non è, però, imputabile al particolare periodo che stiamo vivendo ma anche ad altri fattori che hanno contribuito, già da tempo, a modificare l’approccio della categoria forense nella redazione degli atti difensivi in genere per estensione, organizzazione e struttura. Si può riflettere, ad esempio, se l’introduzione del contributo unificato di iscrizione a ruolo (art. 9 d.P.R. 115/2002), che ha sicuramente semplificato l’imposizione fiscale degli atti giudiziari, abbia tolto degli argini istituzionali che imponevano uno sforzo di sintesi nella estensione commisurata al numero di marche giudiziarie da apporre in funzione del numero delle pagine.

Ed ancora, ci si può interrogare se l’uso del processo telematico sia in qualche misura responsabile di certe tecniche difensive che in termini di sinteticità e chiarezza espositiva presentano macroscopiche falle.

Ebbene, ciascuno degli accennati aspetti ha concorso in varia misura al diffondersi dell’antilingua, ma l’era della digitalizzazione non è certamente l’unica responsabile, posto che l’inserimento dei software di videoscrittura con l’introduzione del taglia/incolla ha decisamente contributo al peggioramento degli stili di scrittura. Una modalità espressiva esplicitamente censurata dagli ermellini in molti provvedimenti25, salvo cadere, purtroppo, nello stesso errore riproducendo sistematicamente ampi stralci di sentenze o ordinanze antecedenti per motivare le proprie decisioni anche in contesti legislativi completamente differenti26 ed argomentandole con le stesse forme ridondanti.

Ma è proprio nel diritto di famiglia, più che in altri rami, che si impone una riflessione strutturata, soprattutto in questo contesto storico, sulla scrittura efficace, la trattazione scritta e la rapidità del processo; in questo ambito il tempo da dedicare alla soluzione dei problemi familiari, operando sui diritti dei minori, di persone fragili e sulle relazioni in senso lato richiede interventi incisivi che passano attraverso l’elisione del superfluo.

Il contributo che gli avvocati familiaristi possono, concretamente, dare in termini di tempestività è di non cedere al fascino dell’improduttivo eloquio perché essere avvocati è utile ai giudici per aiutarli a decidere secondo giustizia, utile al cliente per aiutarlo a far valere le proprie ragioni. Utile è quell’avvocato che parla lo stretto necessario, che scrive chiaro e conciso, che non ingombra l’udienza colla sua invadente personalità, che non annoia i giudici colla sua prolissità e non li mette in sospetto colla sua sottigliezza: proprio il contrario, dunque, di quello che certo pubblico intende per “grande avvocato”27.

E la citazione, per quanto sia consumata, rimane ora più che mai oggi espressione di un precetto giuridico e soprattutto etico a cui ciascuno di noi deve rispondere.

NOTE

1 M. Finocchiaro, Il principio di sinteticità nel processo civile, in Riv. dir. proc., 2013, 853 ss. L’autore puntualizza che è ancora molto diffusa la convinzione che la sovrabbondanza dei contenuti e dei riferimenti sia da preferirsi in quanto maggiormente persuasiva.

2 I. Calvino, Una pietra sopra, Milano, 2018, 150 ss.; dalle colonne de il Giorno, nel 1965, l’autore denunciava come con l’antilingua i significati delle parole fossero costantemente allontanati, relegati in fondo ad una prospettiva di vocaboli che di per sé stessi non vogliono dire niente o vogliono dire qualcosa di vago e sfuggente.

3 Calvino, op. ult. cit. chi parla l’antilingua ha sempre paura di dimostrare familiarità e interesse per le cose di cui parla, crede di dover sottintendere: “io parlo di queste cose per caso, ma la mia funzione è ben più in alto delle cose che dico e che faccio, la mia funzione è più in alto di tutti, anche di me stesso”. Secondo l’autore l’utilizzo di questo linguaggio ha una motivazione psicologica ossia la mancanza di un vero rapporto con la vita ma anche l’odio per se stessi. Invece la lingua vive solo di un rapporto con la vita che diventa comunicazione, d’una pienezza esistenziale che diventa espressione. Perciò dove trionfa la lingua – l’italiano di chi non sa dire ho fatto ma deve dire ho effettuato – la lingua viene uccisa.

4 Così G. Carofiglio, Con parole precise. Breviario di scrittura giuridica, Bari-Roma, 2015, 53.

5 Protocollo sulla sinteticità e chiarezza degli atti processuali di parte e dei provvedimenti del giudice nel giudizio di primo grado, in www.romaosservatorio. it (ult. acc. 27 marzo 2021); il documento sollecita una corretta proporzione tra la complessità delle questioni da esaminare e l’estensione espositiva degli atti.

6 Protocollo per la redazione degli atti processuali, in www.tribunaletorino. giustizia.it (ult. acc. 27 marzo 2021).

7 Line guida per la redazione degli atti processuali in materia di famiglia, in www.tribunaledimilano.it (ult. acc. 27 marzo 2021).

8 S. Latino, La chiarezza e la sinteticità degli atti di parte e dei provvedimenti del Giudice nel processo civile, in www.diritto.it (ult. acc. 27 marzo 2021).

9 Soprattutto negli atti difensivi della separazione ove gli argomenti di discussione possono essere veramente limitati, le uniche ipotesi in cui le conclusioni in sé potrebbero richiedere una maggiore articolazione attengono alle modalità di esercizio del diritto dovere di visita di un genitore che svolga un lavoro con turni (ad esempio operai nelle fabbriche a ciclo continuo, operatori sanitari, forze dell’ordine ecc.).

10 Nella memoria difensiva depositata in fase di udienza presidenziale, il legale del signor XX, si è così espresso “La sig.ra XX si sarà sicuramente curata dell’accudimento dei figli e della gestione della casa ma ciò rientra nei normali compiti di una moglie ancorché lavoratrice dipendente o libero professionista”. Il commento appare marcatamente discriminatorio e poco funzionale a contrastare la domanda di riconoscimento di un contributo al mantenimento ottenendo, al contrario, il risultato opposto, ossia di confermare che la moglie oltre al lavoro si occupava oggettivamente di tutte le incombenze domestiche rispetto al marito.

11 G. Carofiglio, op. ult. cit.

12 B. Baratelli, La scrittura efficace degli atti di causa, in L’Osservatorio sul Diritto di Famiglia, Diritto e Processo, Roma, 2018. In senso analogo C. Cecchella, M. Paladini, in Come scrivere atti e pareri, Milano, 2012.

13 Trib. di Milano, ordinanza del 1° ottobre 2013 est. Buffone in www.ilcaso. it (ult. acc. 15 marzo 2021) ove viene fatto puntuale richiamo a quanto contenuto nel codice del processo amministrativo, ove è stato introdotto nel processo all’art. 3 un principio comune ad altre Codificazioni Europee: il dovere di motivazione e sinteticità degli atti, sia del giudice che delle parti. Viene altresì evidenziato come alcune pronunce di giurisprudenza abbiano inteso valutare i suddetti elementi attraverso la chiave valutativa di cui all’art. 116 c.p.c., ovvero secondo il disposto di cui all’art. 88 c.p.c. Secondo l’orientamento, invece, seguito dall’ufficio cui l’ordinanza si riferisce il richiamo va fatto agli artt. 91,92 c.p.c.

14 F. De Stefano, La sinteticità degli atti processuali civili di parte nel giudizio di legittimità, in www.questione giustizia.it (ult. acc. 15 marzo 2021). L’autore richiama la numerosa giurisprudenza di legittimità che sin dal 2006 richiamava al rispetto della chiarezza e della sinteticità espositiva come l’adempimento di un preciso dovere processuale. L’inosservanza di tale obbligo lo esponeva al rischio di una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione.

15 B. Mortara Garavelli, La parola e la giustizia. Divagazioni grammaticali e retoriche su testi giuridici italiani, Torino, 2001, ove si legge: “Raramente l’insistenza si giustifica; ma uno dei luoghi retoricamente deputati al ritorno sul già detto è proprio il riepilogo. Ai modi del riepilogo si addice il procedere per sommi capi: con ellissi consentite e oneste dissimulazioni e sottrazioni degli argomenti da dare per scontati. E con rapidi richiami agli argomenti chiave”.

16 Trib. di Verona, sent. del 15 marzo 2021, est. Dott. Franco Angelo, in www.osservatoriofamiglia.it (ult. acc. 27 marzo 2021), ove l’Autorità Giudiziaria che nel condannare alle spese di lite ha attribuito per la fase istruttoria e di trattazione l’importo massimo previsto e ciò in ragione della rilevante mole dei capitolati istruttori (824 nella seconda memoria, 19 nella terza) che hanno comportato per la controparte un rilevante sforzo professionale finalizzato al loro esame e alla loro specifica contestazione.

17 Linee guida del Tribunale di Udine del 4 giugno 2020 e Parere del COA del 11 giugno 2020, in www.osservatoriofamiglia.it (ult. acc. 27 marzo 2021).

18 Protocollo del Tribunale di Trani, 20 novembre 2020, in www.osservatoriofamiglia.it (ult. acc. 6 marzo 2021). 19 Protocollo del Tribunale di Nola, del 22 aprile 2020, in www.osservatoriofamiglia.it (ult. acc. 6 marzo 2021).

20 Protocollo del Tribunale di Salerno,15 febbraio 2020, in www.osservatoriofamiglia.it (ult. acc. 6 marzo 2021). Integrazione del Protocollo per le udienze civili alla luce delle nuove disposizioni previste dal decreto Ristori n. 137 del 28 ottobre 2020, del 24 novembre 2020, in www.osservatoriofamiglia.it (ult. acc. 27 marzo 2021); in questo ultimo documento viene addirittura puntualizzato che la formula di rito sopra precisata “da contezza della volontà dei coniugi di procedere nella separazione o nel divorzio, senza ripensamenti e secondo quanto stabilito nel ricorso congiunto e che dovrà, quindi, essere sottoscritta personalmente dalle parti”. Altri Tribunali, invece, nei loro protocolli pur dando atto in premessa di significative modifiche legislative per cui in numerose fattispecie a domanda congiunta, di genitori coniugati o meno, non richiedono la comparizione dei coniugi come nei ricorsi ex art. 337-quinquies c.c., e la normativa di negoziazione assistita richiedono nelle formulazioni delle istanze un minor rigor rigore formale senza alcun richiamo alla attività di informazione dei legali, ed alla consapevolezza di una rinuncia.

21 Ad esempio i fori di Bari, Caserta, Livorno, Modena, Verona e Vicenza prima dell’emergenza Covid prevedevano questa possibilità; la comparizione personale, è invece ritenuta necessaria, in altri fori come Bologna, Genova, Matera, e Roma.

22 Protocollo per le udienze civile civili di Milano, 4 maggio 2020, in www. osservatoriofamiglia.it (ult. acc. 6 marzo 2020).

23 Protocollo per le udienze civile civili di Verona, 20 aprile 2020, in www. osservatoriofamiglia.it (ult. acc. 6 marzo 2020).

24 Linee guida del Tribunale di Catania 8 maggio 2020, p. 7 in www.osservatoriofamiglia.it (ult. acc. 6 marzo 2020).